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Autore: rainbowdasharp    07/09/2017    1 recensioni
"Aveva letto un milione di teorie, riguardo la sua scrittura: “un poeta”, lo definivano e Leo davvero non capiva – un poeta di cosa, della sovversione? Della ribellione silenziosa a cui si era condannato?"
| leotsu (e presenza di altre coppie, seppur accennate), soulmate!au |
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Leo Tsukinaga, Tsukasa Suou, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4: Paradiso Terrestre



“Non passò molto tempo prima che il pettirosso mi si rivelasse nel suo reale aspetto: un giovane di bell'aspetto, dai tratti delicati e la risata cristallina, i cui occhi giudiziosi parevano scrutare fino alle brutture più nascoste del mio animo; non le giudicava, però, le accoglieva con amorevole pazienza. Non potei che fissarlo incantato mentre, con gesti silenziosi come quelli di un elegante felino, mi faceva strada verso il Paradiso – un'enorme, infinita valle rigogliosa di una vegetazione che mai avevo conosciuto e la quale, mossa da una leggera brezza, sembrava darmi il benvenuto ad una nuova vita.”

 

Leo non era abituato ad avere appuntamenti. Oltre a non avere molti amici, odiava in generale chiudersi in rigidi schemi e aveva sempre avuto problemi nel rispettare orari così come regole di qualunque tipo – scuola, impegni, formalità di qualunque genere... Il suo temperamento apertamente ribelle, che solo in parte si era smussato durante la crescita, gli aveva sempre causato un sacco di problemi ma, nonostante tutto, non lo aveva mai costretto a rinunciare a gestire la sua vita come meglio credeva.

Forse era anche per questo che odiava tanto il Predestino.

Eppure, quel giorno non solo era stato puntuale, ma era arrivato addirittura in anticipo: sedeva sul bordo della fontana che fronteggiava la stazione, il luogo che avevano accordato con il suo misterioso interlocutore e, coperto fino al naso dal suo giaccone pesante verde militare, si difendeva sia dal freddo ancora pungente nonostante i primi timidi sbuffi di primavera che si potevano già avvertire, sia dagli sguardi delle persone intorno a lui.

Si rigirava tra le mani il cellulare, impaziente; aveva passato i precedenti due giorni a chiedersi se avesse fatto la cosa giusta – insomma, si trattava in pratica di una versione alternativa di un incontro online, no? Messa così, si sentiva un po' un idiota, in effetti.

Era buffo perché, proprio in un momento del genere gli tornò in mente il suo amico Arashi e di come, in un pomeriggio afoso, lo avesse quasi costretto a registrarsi su un sito per incontri organizzati con chi più si avvicinava ad essere la sua anima gemella – come se non bastasse la faccenda del PreDestino a renderlo già irritabile. Chissà cosa avrebbe detto, se lo avesse visto in quel momento: rigido e nervoso di fronte all'imminente incontro con un misterioso straniero, con cui avrebbe ipoteticamente dovuto fuggire dal suo destino già scritto.

Lo sentiva quasi ridacchiare nella sua mente, Arashi, con i suoi occhi violacei che si allungavano in uno sguardo insinuatore.

Sollevò lo sguardo dallo schermo del telefono: l'orologio digitale della stazione scandiva i secondi in modo preciso, mentre sempre più persone uscivano ed entravano nelle fauci del grande sistema di trasporti della città, trascinati dai loro ritmi di vita e che finivano con l'incrociarsi continuamente senza mai vedersi davvero. Chissà quante possibilità si sarebbero potute creare se solo ognuna di quelle persone non fosse già stato proiettata sulla propria strada... ? A volte si chiedeva se anche il suo percorso come scrittore fosse già stato previsto; la sua creatività era davvero sua? Chi gli aveva donato la capacità di vedere oltre la foschia della mediocrità? Avrebbe dovuto ringraziarlo per quella sua capacità o maledirlo per averlo condannato ad una vita di dolore e di lotte continue?

Gettò un'occhiata al suo zaino verde fluorescente che aveva poggiato al suo fianco, rigorosamente a forma di testa di alieno (che, come Artù, risaliva al suo burrascoso periodo adolescenziale), cercando di distrarsi; il malumore non gli serviva, non ora che stava finalmente per essere libero. Diede una pacca alla borsa-peluche, che aveva usato come “segno distintivo” per farsi riconoscere da Robin e poi, di nuovo, un'altra occhiata all'orologio che svettava sull'entrata della metropolitana: mancavano trenta secondi all'orario che avevano concordato. Adesso capiva quasi l'irritazione di Izumi quando arrivava in ritardo ai loro appuntamenti...

Senza che se ne rendesse conto, il suo sguardo si incrinò impercettibilmente.

“Izumi...”

«Signor Leo... ?» una voce singolarmente familiare lo richiamò dai suoi pensieri, quasi facendolo trasalire; a pochi passi da lui, si era fermato un ragazzo pressoché della sua età con l'aria interrogativa in volto – almeno, per quello che riusciva ad intravedere. Indossava un grosso paio di occhiali da sole di gusto un po' vintage... più o meno come il resto del suo vestiario: a partire dal maglione bianco, a collo alto e il giaccone in lana nera che portava sopra di esso, con una spilla dorata raffigurante una spada di eccelsa fattura che brillava di un caldo e luminoso riflesso sotto la luce del sole. Aveva capelli corvini lunghi appena oltre le spalle, portati in una morbida coda bassa che spariva dietro il suo collo; alcuni ciuffi più corti incorniciavano il volto pallido dai lineamenti piuttosto delicati, quasi fosse ancora in uno stato intermedio tra la pubertà e l'età adulta.

«... Robin?» chiese, dopo un primo attimo di puro sbigottimento. Il tenue sorriso del ragazzo bastò come conferma e poi, finalmente, si tolse gli occhiali. Per un attimo, Leo cedette al panico.

Occhi ametista. Brillavano di un viola particolarmente intenso sotto quel sole beffardo e, inconsciamente, il rosso si ritrovò ad arretrare sul marmo, pericolosamente vicino alla fine del bordo della fontana, sul quale era seduto.

Il moro sembrò notare subito il suo disagio, perché si fece immediatamente più scuro in volto.

«Tutto—bene? Ho... forse sbagliato persona?» azzardò, nervoso e Leo finalmente riprese a respirare – non era il ragazzo della festa di sua sorella, che idiota. Strinse i pugni e si intimò a suon di offese mentali di darsi una calmata, prima di rispondere al moro che, interdetto, aveva cominciato a guardarsi intorno con fare agitato.

«No, va... va tutto bene. Sono Leo Tsukinaga» si affrettò a recuperare, prima di alzarsi in piedi per presentarsi in modo dignitoso. Notò che Robin era alto una manciata di centimetri più di lui (non che fosse molto difficile, data la sua statura contenuta, ma...) «Insomma, conosco poche persone che potrebbero andarsene in giro con uno zaino come il mio» disse con un mezzo sorriso nervoso, in un blando tentativo di rompere il ghiaccio ma parve bastare: il giovane si sciolse in un mezzo sorriso più rilassato mentre guardava divertito lo zaino che Leo si stava mettendo sulle spalle.

«Indubbiamente, non passa inosservato». Dal suo modo forbito di parlare al telefono, Leo aveva pensato che si trattasse di un uomo di una certa età ma, adesso, non ci voleva molto a capire che Robin sembrava essere uscito da un video esplicativo di un corso di bon ton: era posato in ogni gesto, quasi fosse cresciuto sotto le direttive di una tutrice degna di una famiglia reale. Nonostante questo, però, sembrava un tipo affabile, a tratti un po' impacciato – anche in quel momento, in cui aveva teso la mano per stringergliela sembrava incerto, come se si aspettasse che Leo la rifiutasse.

«Sei straniero, per caso?» si incuriosì lo scrittore, prima di afferrargli la mano la mano e scuoterla appena. Gli occhi del ragazzo si illuminarono, forse finalmente in grado di allentare la tensione.

«In parte» rispose timidamente, prima di sciogliersi di nuovo in un sorriso sollevato. «Ma vivo qui da molto tempo ormai, almeno da quando avevo dodici anni. Il mio nome è—Robin. Robin Kurosawa».

Da scrittore di opere fantastiche quale era, Leo adorava le stranezze o le personalità particolari – era facile immaginare storie se davanti a sé aveva una persona dai tratti peculiari; in questo caso, Robin sembrava uscito da una storia romantica a lieto fine – un giovane ragazzo straniero, dai modi eleganti e gentili, impacciato nel rapportarsi agli altri. Sembrava già che si stesse scrivendo nella sua testa, quasi.

«Beh, Robin... Che ne dici di andarci a mangiare qualcosa da qualche parte e parlare dei nostri ricercati preferiti?»

 

Il locale a cui si fermarono, “The Sleepover”, era una simpatica via di mezzo tra un bar e un fast food: di per sé, c'erano pochi posti dove sedersi e, in generale, l'ambiente era piccolo e raccolto ma offriva del buonissimo caffè (in tutte le sue gustose varianti) e un'ottima scelta riguardo i dolci; inoltre, l'atmosfera “familiare” lo aveva reso uno dei posti preferiti da Leo quando si trovava in fase di stallo nella scrittura. Era un posto frequentato da ragazzi per lo più giovani, quasi tutti della sua età ma distava abbastanza dai poli universitari per non essere caotico – perfetto per sorseggiare qualcosa di caldo mentre, col notebook aperto, annotava idee e bozze per le sue storie.

Quel giorno era, ovviamente, diverso ma dato che offrivano anche un menù per il brunch, il rosso aveva pensato che si potesse adattare bene per un primo incontro di quel genere.

«È la prima volta che vengo qui» confessò Robin, non appena seduto al tavolo – sembrava non essere in grado di staccare gli occhi dalla grande lavagna posta sopra il bancone che elencava tutti i tipi di bevande disponibili e, soprattutto, la lunga lista di dolcetti da accompagnare ad esse. Aveva lo stesso entusiasmo di un bambino al luna-park. «Non vedo l'ora di assaggiare i loro muffin... Me ne hanno parlato molto bene!»

«Appassionato di dolci?» chiese Leo con genuina curiosità ma vennero interrotti per qualche minuto dalla cameriera che, gentilmente, porse loro due menù completi. «Spesso vengo qui con mia sorella—o, almeno, quando abbiamo un po' di tempo. Lei adora i loro pancakes».

Lo sguardo del moro sembrò addolcirsi. «Devi tenere molto a lei» osservò e Leo, come sempre quando parlava di Ruka, ridacchiò un po' imbarazzato ma anche con un certo orgoglio.

«Abbiamo... un bel rapporto, sì» minimizzò, mentre apriva il menù per decidersi ad ordinare qualcosa (anche se, lo sapeva, sarebbe ricaduto nella solita scelta: cappuccino e brioche salata).

Ancora una volta, come quando avevano parlato per telefono, Leo si ritrovò a stupirsi della facilità con cui riusciva a conversare con questo ragazzo: aveva un candore tutto suo che ben disponeva al dialogo, anche se sospettava ci fosse di più dietro questa facciata di ragazzino equilibrato.

Poco dopo, rimase ancora più sorpreso dalla quantità decisamente esagerata di dolci che il ragazzo da solo era riuscito ad ordinare: mentre elencava l'ordine alla cameriera, Leo si rese conto di aver perso il conto dopo due fette di velvet cake.

«Sei parecchio affamato, eh?» Non poté fare a meno di notare un improvviso e leggero rossore sugli zigomi di Robin, che improvvisamente abbassò lo sguardo verso il tovagliolo posto davanti a lui.

«Diciamo che... mangio molto, quando sono nervoso» mugugnò, a disagio, tanto che prese quasi ad agitarsi sulla sedia. Di certo, la fantasia del tovagliolo non doveva piacergli molto, perché prese a strapparlo fino a che, quando finalmente iniziò ad arrivare il loro ordine, non era ormai ridotto in brandelli. La cameriera non poté fare a meno di gettargli un'occhiata un po' irritata.

«Sei nervoso per... il Predestino?» azzardò Leo infine – in fondo, era per quello che avevano deciso di incontrarsi, per capire cosa stesse realmente succedendo nelle loro vite. Le chiacchiere amichevoli potevano aspettare – avevano bisogno di capire cosa i Dissidenti volessero da loro.

«In parte» ammise il moro, prendendo a mescolare lentamente la cioccolata calda che gli era appena stata servita. Corrucciò appena la fronte, un'espressione a malapena visibile sotto la frangia irregolare. «La mia famiglia non ha mai rispettato le regole del Predestino e... non credo che i miei genitori approverebbero se io decidessi di farlo».

Questa frase bastò per lasciare Leo completamente attonito – davvero esistevano persone che si rifiutavano di seguire il Predestino alla luce del sole? Dopo che in tutti quegli anni aveva sempre evitato domande di estranei al riguardo perché, lo sapeva, avrebbe finito col diventare centro di pettegolezzi e bisbigli? I pareri degli altri non lo avevano mai colpito molto a fondo, ma l'emarginazione continua riusciva a mettere alla prova persino i suoi nervi.

Che strana situazione, non riusciva neanche ad immaginarla... Non si stupiva che Robin avesse le idee confuse.

«Ma d'altra parte, non ho intenzione di vivere seguendo le loro stupide regole e voglio anche... mettere alla prova questa persona. Devo essere io a decidere se posso sacrificare quei legami per—essa».

Leo improvvisamente capì cosa il giovane misterioso, casualmente conosciuto durante una battaglia disperata, nascondeva davvero dentro di sé: un combattente. Il tono pacato della sua voce non placava il fuoco nelle sue parole e, quasi come se queste avessero risuonato col suo animo di condottiero, gli occhi viola sembrarono brillare di una decisione che, solo qualche attimo prima, avrebbe faticato ad immaginare.

Lo scrittore si ritrovò a sbattere le palpebre, rapito da tanta passione e per qualche minuto rimase in silenzio: era davvero così casuale che i Dissidenti li avessero messi in contatto? Ne dubitava, ora più che mai; la situazione era paradossalmente al tempo stesso simile e opposta: lui scappava dal Predestino per tenersi stretta l'unica cosa che amava di se stesso – il talento nello scrivere – mentre Robin lo affrontava prima di dire addio a coloro che fino a quel momento aveva rispettato e amato come sua famiglia. Erano entrambi egoisti al punto da rendere infelice un'altra persona – il loro Predestinato – pur di preservare non tanto loro stessi, ma ciò che non avevano intenzione di perdere.

Il moro si lasciò sfuggire un sospiro. «Per questo cerco i Dissidenti. Voglio sapere se posso... confrontarmi con il mio Predestino senza caderne per forza vittima, così da considerare con obiettività le cose. Ed è così che sono finito su quel sito».

Leo mandò giù il boccone della sua brioche salata, annuendo. «E poi è arrivato il messaggio con il mio numero» ricordò al posto del suo interlocutore e questo era tutto quello che avevano. Robin annuì, dopo aver fatto sparire il primo muffin al mirtillo.

«Ho passato giornate intere a cercare informazioni su di loro ma... non avevo mai avuto nessun riscontro prima—beh, di te» e il sorriso caldo che seguì quella constatazione per un attimo lasciò interdetto il rosso, che si sentì... in un certo senso colpito. Non avrebbe saputo dire in quale senso, però (e per uno scrittore del suo calibro, non era semplice rimanere senza parole per descrivere, in particolare descrivere delle emozioni). «So che sono un movimento che è apparso una ventina di anni fa e si schiera apertamente contro il Predestino, rifacendosi a antiche teorie sull'amore libero – teorie che sono stati loro a rimettere in circolo, tra l'altro». Era interessante osservarlo parlare: da una parte, c'era ancora il ragazzino nervoso che mangiava la seconda fetta di cheesecake che aveva ordinato, quasi fosse un calmante mentre, dall'altra, c'era lo sguardo serio e concentrato del cavaliere errante che aveva scoperto con malcelata sorpresa poco prima. Non faticava, adesso, ad immaginarlo come partecipante di una ribellione pacifica ma sentita – non un Robin Hood, come il suo nome avrebbe potuto suggerire; niente di così spavaldo ma piuttosto Little John: il fedele e mitico secondo in comando dell'astuto fuori legge, saggio nelle scelte ed abile consigliere.

Sorridere fu più naturale del previsto. «Più o meno le stesse cose che ho trovato io, insieme a... brutti episodi a cui sono associati» mormorò il rosso, sollevando gli occhi al cielo con aria scettica: era sicuro che la massa (soprattutto i più anziani, le generazioni precedenti alla loro) cercasse in ogni modo di dimostrare la colpevolezza di questi individui, come se si sentissero minacciati da un anonimo gruppo di rivoluzionari che, di fatto, faceva ben poco se non promuovere l'idea che il Predestino non fosse così necessario per l'essere umano.

«Oh, quelli» mormorò Robin, abbassando lo sguardo sui brownies, che aveva quasi finito. «Anche io ho... letto alcune cose, sì» ma era evidente come stesse cercando di non soffermarvisi – e come dargli torto.

L'episodio più preoccupante per cui l'opinione pubblica aveva (con prove labili, a parere di Leo) accusato i Dissidenti era stato il caso di un giovane che, un paio di anni prima, era morto suicida dopo aver tentato in ogni modo di allontanare la persona a cui il Predestino lo aveva legato. Dopo un improvviso boom mediatico, il caso era stato frettolosamente dimenticato, quasi la verità fosse diventata troppo scomoda da spiegare; per quello che Leo aveva letto online, la persona a cui il ragazzo era stato legato era una donna violenta, che non mancava di maltrattarlo e, dopo anni di percosse, la povera vittima aveva deciso di infliggerle la stessa tortura che aveva subito: non avere al proprio fianco l'anima gemella, ma piuttosto il dolore e, nel caso della donna, un vuoto non più colmabile.

Il Predestino non dava seconde possibilità: morta la tua anima gemella, eri condannato ad essere solo in un mondo già scritto. E perché i Dissidenti ne avevano colpa? Il ragazzo era stato plagiato, secondo la comunità. La ragazza non era stata violenta, a detta loro, ma piuttosto lui si era convinto che non fosse la sua amata e, nel tentativo di fuggire, si era tolto la vita.

Questi racconti, forse in realtà infondati, avevano ancora più alimentato la rabbia dello scrittore nei confronti di quel meccanismo che Madre Natura aveva ideato per far sì che l'umanità convivesse in pace; il risultato? Le guerre c'erano comunque, così come i criminali, i violenti ma spogliati della possibilità di amare chi volevano.

Aveva letto romanzi distopici con prospettive più allettanti.

«Però...» riprese Robin, strappandolo ancora una volta dai suoi pensieri e cogliendolo di sorpresa nel suo brusco riportarlo alla realtà. «Ho deciso comunque di—tentare. Insomma, se fossero davvero così... pericolosi, avrebbero organizzato cose peggiori, no... ?»

«Li considerano una setta» mugugnò Leo, prima di concedersi uno schiocco irritato di lingua. Una setta, certo, perché chi non poteva essere felice con quella vita già scritta? «Ma anche se fosse così, non mi importerebbe. Voglio solo... continuare a scrivere».

Quando tornò a guardare il suo giovane interlocutore, vi trovò uno sguardo indecifrabile, come se Robin stesse cercando di vedere oltre quel che stava dicendo; i suoi occhi viola lo fecero trasalire di nuovo, per un attimo fin quando Robin non fu il primo a distogliere lo sguardo. Lo vide inspirare profondamente, poi distendersi di nuovo in un sorriso.

«Mi rendo conto che forse è una domanda stupida, a questo punto, ma... Tu sei lo scrittore, vero? Quel Leo Tsukinaga». Considerando che ormai era inutile negarlo, il rosso annuì, improvvisamente di nuovo sulla difensiva – essere conosciuti non era affatto positivo, quando ti ritrovavi in situazioni così scomode. «Ho... un amico che ti segue assiduamente. Sono sicuro che lo sconvolgerei, se gli dicessi che sto progettando di fare this crazy thing con te».

Leo si lasciò sfuggire una risata, stavolta sinceramente divertita. «Credimi, se davvero legge i miei romanzi, non credo ne sarebbe così stupito». Gli occhi del ragazzo tornarono ad illuminarsi, ma ora di entusiasmo puro, genuino. Poi si lasciò andare ad una risata leggera, per cui si coprì la bocca (piena di briciole lasciate dai dolcetti che aveva mangiato fino a quel momento). Leo si rese conto che la sua voce aveva davvero un bel suono.

«Allora, cosa vogliamo fare?»

 

Passarono le seguenti quattro ore seduti a quello stesso tavolo a conversare, progettare, ipotizzare; Robin era sveglio e pieno di brio e ben presto Leo si accorse di come, seppur rimproverandolo di tanto in tanto sulle idee più azzardate («Non è il caso di mettere dei manifesti per farli uscire allo scoperto... !»), insieme riuscissero a concordare su molte cose e di quanto, di tanto in tanto, fosse divertente prenderlo in giro. Il tono sempre garbato di Robin ogni tanto si lasciava andare ad imprecazioni in un inglese perfetto, mormorate a bassa voce per non farsi sentire.

Alla fine, furono costretti a lasciare il locale solo perché era giunto l'orario di chiusura; di nuovo racchiusi nel delle loro giacche pesanti, i due si diressero verso la stazione dove si erano incontrati: Leo teneva in mano un blocchetto per gli appunti (che di solito usava per idee casuali e bozze per la scrittura – quando si ricordava di averlo con sé, almeno ed evitava quindi di scriversi cose sulle braccia) su cui avevano stilato una serie di spunti per provare a mettersi in contatto con i Dissidenti.

«La via più sicura credo sarebbe trovare qualcuno che ha già avuto modo di... conoscerli» stava ancora riflettendo il moro, le braccia conserte sul petto. «C'è una storia che gira, alla mia università...»

Robin gli aveva detto di frequentare l'università e, per essere precisi, la facoltà di economia. Non lo entusiasmava, aveva aggiunto, però era stata la scelta più scontata per, in futuro, ereditare la grande azienda dei suoi genitori (che, a quanto pareva, influenzavano davvero molto le sue decisioni...).

«Mh? Quella del vampiro?» chiese Leo, ricordando seppur vagamente che anche prima che lui concludesse i suoi studi aleggiava quella leggenda – un misterioso uomo affascinante che rendeva tutti “innamorati” (chi più, chi meno) di sé, facendosi beffe del Predestino e che, per questo, avevano chiamato il “Vampiro”. Certo, poi il pettegolezzo era degenerato in “dorme davvero in una bara”, “ha canini affilati e si sveglia solo di notte!”, “succhia il sangue, lo garantisco” e, considerando che Leo amava solo storie originali... Beh, quella alle sue orecchie era risultata un po' banale.

«Esatto, quella! Legendary!» esclamò il ragazzo, con gli occhi che brillavano ancora una volta, persino nel buio del tardo pomeriggio. A Leo scappò una leggera risata che, evidentemente, mise l'altro in imbarazzo, perché si schiarì prontamente la voce ed evitò accuratamente il suo sguardo. Lo scrittore aveva scoperto, nella loro lunga chiacchierata, che Robin aveva un debole per la mitologia e le figure fantastiche e, a detta sua, particolarmente per il ciclo arturiano: gli aveva rivelato che quella grande spilla dorata (la stessa che, quando avevano deciso di incontrarsi, gli aveva assicurato che avrebbe indossato per farsi riconoscere) rappresentava proprio la famosa spada della leggenda inglese, Excalibur. «Sì, insomma, ne... parlano molto, tra i corridoi. Potremmo scoprire chi è, che ne dici?»

Era strano perché, se fosse stato lo stesso identico Leo che aveva parlato con Shu qualche giorno prima, avrebbe sicuramente bocciato l'idea senza neanche rifletterci su, arrabbiandosi perché non avevano tempo – anzi, se possibile, più tempo passava e più temeva che non potessero tornare indietro, come se quella trappola avesse un conto alla rovescia con sé, quasi fosse una bomba.

Eppure Robin, con il suo entusiasmo genuino e la sua voglia di fare riusciva a rendere tutto meno pesante, più naturale; quindi si ritrovò ad annuire, anche se aveva la ferma intenzione di agire anche in un altro modo.

«Potrebbe essere un inizio, insieme a—questo» e indicò un nome sulla lista, una di quelle opzioni che Leo si era tenuto per le emergenze. E questa era un'emergenza in piena regola.

Il moro sollevò appena le sopracciglia, incerto. Non conosceva il nome scritto nella bella calligrafia dello scrittore, quindi non poteva pronunciarsi al riguardo: Leo gli aveva solo spiegato che era un suo amico e che lo aveva aiutato in altre, numerose occasioni apparentemente senza soluzione.

«Non mi hai ancora detto cosa potrebbe fare per... la nostra situazione» mormorò infatti, confuso.

Il sorriso di Leo assunse una nota furba, mentre lo sguardo si assottigliava con fare consapevole.

«Beh, diciamo che... Madara è un tuttofare».


 


Note: Quando sono riuscita ad iniziare questo capitolo, ho pensato "chissà come appare Leo agli occhi di Robin" e ho scritto tutto tenendomi su questa linea.
Come Rotina ha notato nella scorsa recensione, Leo è un po'... infantile. I suoi bisogni, i suoi sogni sembrano un po' quelli di un eterno Peter Pan; non è pronto ad affrontare una realtà che non gli piace e per quanto la sua infantilità sia in parte ciò che amo anche del Leo nel canon, qui ho voluto giocarci di più, sottolineando le sue differenze da Robin che, seppur in modo simile, ha un atteggiamento più adulto rispetto a quello che sta capitando ad entrambi. E' un narratore non sempre sincero e questo spero sia evidente già da ora ma, soprattutto, con lo scorrere dei prossimi capitoli; ho dato un altro piccolo assaggio della società del Predestino, dove la persona amata non è perfetta. Leo lo sa, lo disprezza e la addita nel momento in cui ne ha prova, eppure rifiuta il ragazzo della festa perché "perfetto". E' una spirale di incoerenza che lo attanaglia da sempre ma, per sbrogliarla, avrà bisogno di aiuto. Molto aiuto.
Anticipo che nel prossimo capitolo avrò finalmente l'occasione di presentare il resto dei Knights (ad eccezione di Izumi, come immaginerete) e Mao~ Fatemi sapere se il nostro piccolo Little John vi è piaciuto! <3

 

   
 
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