MI DEVI UN
APPUNTAMENTO
Vi siete mai chiesti fino a che punto
ci si possa spingere
per amore?
Fino a che punto sia possibile mandare a puttane la propria vita pur di
conquistare la persona che ami?
Prendiamo ad esempio Romeo e
Giulietta, uno più stupido
dell’altro. Erano finiti per perdere la vita entrambi pur di
poter stare l’uno
al fianco dell'altro.
Si erano tolti la vita gettandosi nell’oblio della morte
sperando e credendo di
potersi rivedere alla fine del tunnel della vita.
Fino a poco tempo fa pensavo che
fossero due cretini, la
realtà è che io, probabilmente, lo ero
più di loro.
Un emerito deficiente innamorato che
si era tolto la vita sperando di
poter
conquistare la donna dei suoi sogni.
Ebbene sì, mi chiamo Damon
Salvatore e sono morto.
Per mano
mia e volontariamente, tra l’altro.
Ma procediamo con ordine.
Elena è il nome della
ragazza che mi ha spinto a fare ciò
che ho fatto. Probabilmente, se venisse a scoprire i motivi che mi
hanno spinto
a farlo, comincerebbe ad urlarmi contro, con la sua voce poco
aggraziata,
quanto fossi cretino ed incosciente, cominciando una diatriba
interminabile che
mi avrebbe di sicuro fatto alzare gli occhi al cielo e che avrei voluto
terminare stampandole un dolce bacio sulle labbra per farla stare zitta
– ed
anche per il solo gusto di baciarla, lo ammetto.
Pur non avendo la voce più
aggraziata di questo Pianeta (in
modo particolare quando è incazzata o semplicemente quando
canticchia una
canzone che sta ascoltando con le sue immancabili cuffiette –
quante volte l’ho
sfottuta dicendole che assomigliava ad una cornacchia in calore), Elena
è
bella.
Bella sul serio.
A partire dai suoi occhi caldi da
cerbiatta, alle sue labbra
non troppo grandi ma che ti fanno venire voglia di morderle per sapere
che
gusto hanno, ai suoi capelli lunghissimi che non taglia da anni, fino
ad
arrivare ad i suoi piedi, che personalmente lei odia, dice che sono
troppo
grandi, anche se porta un normalissimo 39.
Eravamo amici sin
dall’infanzia e devo dire che questo è
stato il mio problema maggiore.
Sapevo tutto di lei, ogni suo singolo segreto, la sua passione per
l’horror, ed
in particolare per i vampiri, ogni
suo desidero o sogno, anche il più strano – una
volta mi disse di aver sognato di
essere la fatina dei denti e di essersi infilata nella mia stanza;
aveva messo
una mano sotto il cuscino e, dopo aver estratto due dentini (canini per la precisione –
pensai
amaramente), aveva infilato al di sotto di esso un anellino blu
lapislazzulo
con un simbolo quasi più grande dell’anello
stesso, una D gotica, mi pareva
avesse detto. Ora ne avevo la certezza.
Era
decisamente una D,
pensai rigirandomi tra le dita l’anello che una piccolissima
Elena Gilbert, tantissimi
anni prima, aveva sognato.
Vi starete di sicuro chiedendo: ma se sei morto, come riesci a rigirarti un anello
tra le mani?
Ebbene, se pazienterete ancora un
attimo saprò rispondervi
con precisione.
Il mio secondo grande problema con
Elena era che, dopo tanti
anni di migliore amicizia, ci eravamo allontanati.
Mi ero accorto, ad un certo punto, di
provare un sentimento
ben diverso dalla semplice amicizia nei suoi confronti.
E così, da grande egoista
quale che ero, un bel giorno,
durante la festa di fine anno, l’avevo baciata.
Avevamo ancora solo quindici anni, eravamo dei ragazzini, ma
soprattutto ...
lei era fidanzata.
Fidanzata con Mutt
Donovan, il capitano della squadra di basket della nostra scuola.
E quello era stato il suo primo
bacio.
Il suo primo
bacio.
Io ero stato
il suo
primo bacio.
Lo avevo capito bene che quello era
stato il suo primo
bacio, e non per via della evidente, iniziale, inesperienza con cui si
muovevano le sue labbra sulle mie, ma perché me lo aveva
urlato in faccia,
davanti a tutta la folla di ragazzi che cominciarono a fissarci come se
facessimo parte di uno squallido film da quattro soldi. Probabilmente
avrebbero
gradito anche dei pop-corn, se ne avessero avuti a disposizione.
Quel giorno me ne ritornai a casa umiliato, con una guancia dolorante – dovuto allo schiaffo ricevuto da Elena dopo la sua sfuriata – , con un livido violaceo che pulsava sotto l’occhio – avrei dovuto ringraziare Mutt per quello – ma soprattutto, con il cuore infranto.
Effettivamente me lo meritavo,
l’avevo presa alla sprovvista,
tirata per un braccio mentre sorseggiava il suo punch intenta a parlare
con le
sue amiche del cuore. Lo strattone le causò, oltre ad uno
spavento, soffocato
da un gemito appena accennato dalle sue labbra, anche qualche goccia di
punch,
vivacemente rosso, sulla manica del vestito, di un panna delicato.
L’avevo notata da lontano,
non si stava divertendo, ed io
avevo una fottutissima voglia di assaggiare le sue labbra per la prima
volta –
l’ho già detto che sono alquanto egoista?
– pur di farle tornare il sorriso
sulle labbra – e pur di uscire da quella che in molti
chiamano friendzone.
Eppure il sorriso non glielo avevo
fatto tornare,
tutt’altro. L’avevo fatta incazzare di brutto.
Quel giorno aveva deciso di accettare
la proposta di Matt di
fare coppia fissa. E questa cosa mi dava sui nervi. Lui non doveva
averla, lei
doveva essere soltanto mia.
Dovevo
fare
qualcosa, non potevo permettere che me la portasse via.
Eppure solo
tre giorni
prima avrei potuto fare in modo che tutto ciò non accadesse.
Riportai alla mente la mattina in cui
Elena si presentò
sotto casa mia, erano le cinque del mattino, ed aveva delle occhiaie
terribili.
Sicuramente non aveva dormito.
Dopo averla presa in giro per
l’aspetto terribilmente
trasandato – anche se restava comunque bellissima ai miei
occhi, ma questo
ovviamente non glielo avevo mai detto – e dopo averla
sgridata per essere
uscita di casa a piedi e da sola a quell’ora del mattino, la
invitai da
accomodarsi.
Lei rifiutò, restando in
piedi sul ciglio della porta ad
osservarmi. Aveva ancora il fiatone, aveva corso da casa sua per venire
da me.
E se la cosa, per un momento, mi fece gonfiare il petto di gioia, la
mia felicità
fuggì via com’era arrivata non appena
aprì bocca.
“Matt
mi ha chiesto di
fare coppia fissa” mi aveva detto. Ed in quel
momento mi sembrò che avesse
preso un rastrello e lo avesse trascinato sul mio cuore martoriandolo.
Probabilmente sarebbe stato meno doloroso.
“Cosa
vuoi da me Elena?”
le avevo chiesto sperando non scorgesse quanto quelle parole mi
avessero fatto male.
“Volevo
solo sapere
cosa ne pensi.” rispose arrossendo ed abbassando lo
sguardo. Probabilmente
non lo sapeva, ma quando arrossiva mi faceva perdere la testa.
In quel momento però per la testa avevo soltanto immagini di
Mutt.
Morto.
Fatto a pezzi dal sottoscritto.
“Cosa
dovrei pensare
scusa?”
“Non
lo so, insomma,
vorrei sapere se sei d’accordo …”
incalzò lei. Mi stava per caso
chiedendo il permesso? Questa cosa mi stava dando
sui nervi.
Le avrei voluto urlare: ovvio che non
sono d’accordo, ti amo da sempre, resta con me.
Ma quello che riuscii a dire in quel
momento, complice la
rabbia ed il fatto che non mi stesse guardando negli occhi –
se solo li avesse
alzati, anche per un piccolo secondo, sono sicuro che avrei ceduto
– le risposi
nel modo più stupido che potessi fare:
“Non
me ne frega
niente, per me puoi fare quello che vuoi. Ora se non ti dispiace vorrei
tornare
a dormire. Stammi bene Gilbert.” e proprio mentre
stava per alzare lo
sguardo – erano lacrime quelle che avevo visto di sfuggita
sulle sue guance? –
le sbattei la porta in faccia tornando a letto.
Apatia,
fu quello
il non sentimento che provai in
quel
momento.
Indifferenza fu ciò che
ci rivolgemmo
a vicenda fino al giorno del ballo, fino al giorno in cui si misero
insieme,
fino al giorno del bacio e dello schiaffo.
Dopodiché continuammo le
nostre vite, divisi, evitando di
scambiarci troppe parole, se non quando necessario.
Gli sguardi c’erano però. Quelli non erano svaniti. Ogni tanto mi ritrovavo a fissarla quando, persa nei suoi pensieri si rigirava una ciocca di capelli tra le dita, o quando i professori facevano qualcosa di stupido – il più delle volte in questi casi i nostri occhi si cercavano sorridenti, per poi ricordarsi della situazione complicata dei nostri cuori, tornando così ad essere spenti e distanti.
La fissavo anche quando prendeva quel
libro sui vampiri che
tanto adorava, le pagine ormai sciupate per le troppe volte che lo aveva tenuto in mano.
Spesso, prima del litigio, mi aveva
detto che sperava che un
giorno arrivasse un vampiro pallido – e che risplendeva alla
luce del sole,
ogni volta che lo diceva alzavo gli occhi al cielo – che la
portasse via
correndo più veloce del vento.
Era questa l’immagine del
suo principe azzurro. Non un uomo
dai capelli biondi e gli occhi blu su di uno stallone, ma un
succhia-sangue
pronto ad affondare i propri canini nel suo candido collo, pronto ad
ammazzarla.
Non ci trovavo niente di romantico in
questa visione, Elena
non è mai stata una ragazza conscia del pericolo. Sapevo
però che l’affascinava.
Ed una volta glielo avevo anche detto.
“…
solo un’ultima
cosa.” le dissi prendendola per un braccio
impedendole di scappare
nuovamente da me. Lei guardava le sue scarpe, rossa in viso e le guance
rosse
dalla rabbia. I capelli mori le svolazzavano per via della leggera
brezza
autunnale.
“Che
altro vuoi Damon?
“ la voce dura come mai lo era stata nei miei
confronti. Sapevo di aver
superato il limite, ma una volta oltrepassato quello, che male
c’era ad andare
ancora oltre?
“Non
puoi pensare sul
serio di stare insieme a quel damerino. Lui ha già in mente
tutto, ti vede già
in abito bianco camminare lungo una navata con il pancione; si immagina
già mentre
rientra a casa dal lavoro e tu ad accoglierlo con i capelli alzati ed
il
grembiule, con un cucchiaio impregnato di sugo in mano; ti vede
già mentre col
punto croce cuci le prime calze dei vostri bambini. E sono cose che, al
momento, a te non interessano. Sii sincera con te stessa. Ti immagini
nelle
vesti della bella mogliettina pronta a sfornare figli e a riscaldare il
letto
del proprio maritino?” non so esattamente da dove
mi fossero uscite quelle
parole, sapevo però che dovevo dirgliele e che lei aveva
bisogno di sentirle.
“Cosa
vuoi che ti dica
Damon?” mi rispose alzando finalmente lo sguardo.
Non lo avesse mai fatto.
I suoi bellissimi occhi color del cioccolato fiammeggiavano dopo aver
pronunciato quelle parole.
Le stesse parole che mi fecero sussultare. Sapevo che non erano parole
scelte a
caso.
Erano le stesse parole che le avevo riservato io, quella ormai lontana
mattina,
sulla soglia di casa mia.
“Voglio
che tu mi risponda.”
semplicemente.
“Da
come parli sembra
che tu sappia cosa in realtà io voglia dalla vita. Se tu hai
tutte le risposte,
perché non mi illumini?” mi umettai le
labbra pronto a dar voce alla mia
mente.
“Tu
vuoi sentirti
libera Elena, ma allo stesso tempo protetta.
Vuoi essere abbracciata forte, e vuoi piangere in
quell’abbraccio e sfogarti ma
non ti vuoi mai sentire soffocare.
Tu vuoi finire gli studi con una buona media, ma non ottima,
perché non ti
piace la perfezione, anche se dall’esterno fai pensare di
esserlo, perfetta. E
forse lo sei davvero.
Tu vuoi laurearti e diventare una bravissima scrittrice, viaggiare e
lasciarti
ispirare dai posti che hai visitato.
Vuoi avere
tante
storie da raccontare, una più interessante
dell’altra e mai cadere nel banale.
Infine
Elena, tu vuoi
un amore che ti consumi, vuoi passione, avventura, e anche un
po’ di
pericolo.
E sai
benissimo che
con Matt tutto ciò non lo potrai mai ottenere.”
finii il mio discorso osservandola
dritto negli occhi. Boccheggiava. Era rossa in viso e non
più per la rabbia,
sembrava stravolta.
Stravolta dalle mie parole.
Le lasciai il tempo di assimilare
tutto quanto. Sapevo di
averla sconvolta, non era da me parlare così tanto. Ma in
quel momento avevo un
gran bisogno di parlare con lei e, lo speravo nel profondo, anche di
chiarirmi.
La rivolevo nella mia vita.
Notai che qualcosa cambiò
nel suo sguardo. Ma non era nulla
di positivo, purtroppo.
“Queste
parole avrei
preferito sentirmele dire quella mattina Damon. Non ora, non adesso,
non quando
è troppo tardi!” non urlò,
sembrava calma, le sue nocche strette e pallide
dicevano però il contrario.
Addolcii il mio sguardo, sperando di
calmarla in qualche
modo. Non funzionò.
“Non
è mai troppo
tardi.”
“E’
tardi Damon. Tardi lo è
quando ci sono delle persone che
potrebbero soffrire. Ed io non voglio far soffrire Matt.”
“Qui
ci sono già due
persone che soffrono Elena. Ci vedi? Guardaci per un attimo e capirai
che siamo
noi le persone che soffrono.
Metteresti mai la tua felicità davanti a quella di qualcun
altro?”
“Solo
se quel qualcuno
se lo merita.”
“E
noi ce lo meritiamo
Elena? Meritiamo di essere felici?” incalzai. La
vidi riflettere per
qualche secondo. Aprì la bocca per poi richiuderla dopo
qualche secondo.
Dimmi ciò che stavi per dire, ti
scongiuro la pregai con gli occhi.
Ma lei parve ignorarmi.
Non con lo sguardo però.
Il suo sguardo non mentiva mai ed in quel momento mi stava dicendo: perdonami.
“Non
credo. Forse un
tempo sì.” Non la credetti. Le presi
entrambe le mani, schiudendole dal
pugno in cui le aveva tenute strette per tutto quel tempo. Notai che si
era
procurata dei solchi con le unghie per quanto le aveva tenute strette.
Lei
sussultò non appena le nostre pelli entrarono in contatto,
la stessa cosa fece
il mio cuore.
“Proviamoci
almeno.
Esci con me. Un appuntamento ti chiedo solo questo.”
Un sorriso ironico
comparve sul suo viso, mi sarei aspettato di tutto ma non questo.
Puntò per un
istante gli occhi sul suo immancabile libro, che nel frattempo era
rimasto
appoggiato sulla panchina alle sue spalle.
“D’accordo.”
disse
infine stringendo per un attimo le sue mani nelle mie. Il mio petto si
gonfiò
di nuovo di felicità.
“Però solo quando
diventerai un vampiro.” … e si
sgonfiò nuovamente come fosse un palloncino
che perdeva aria.
Alzai gli occhi al cielo sbuffando. Probabilmente aveva detto quelle
parole per
smorzare la tensione che si era creata.
Effettivamente eravamo molto vicini,
più di quanto lo
fossimo mai stati – tranne la volta che l’avevo
baciata – e, sicuramente, lei
non riusciva a reggere quella vicinanza.
“Elena
non è
divertente.”
“Lo
so è che … io …”
prese un bel respiro chiudendo per un attimo le palpebre. Quando le
riaprì
decise di porre fine al contatto tra le nostre mani.
Vuoto e Freddo,
ecco cosa sentivo in quel momento.
“Io
… io non riesco davvero a seguirti Damon. Non capisco cosa
vuoi, non capisco se
ci tieni o se ti comporti così solo per paura di perdere
qualcosa che un tempo
era di tua proprietà. E’ così Damon? Si
tratta di possessione vero? Dimmi se
sbaglio.” non ci vidi più, allungai le
braccia e strinsi le sue scuotendole
appena.
“Si
tratta di Amore, Elena. Quello con la A maiuscola. Non confonderlo con
nient’altro.” Glielo avevo confessato. Elena
io ti amo, non ne dubitare mai, gridavano il mio cervello ed
il mio cuore. Ma lei non parve sentirmi.
“Beh, può darsi che sia proprio questo il problema allora …” Vidi Elena allungare una mano verso il mio petto all’altezza del cuore, forarlo e tirarne fuori il mio organo vitale; dopodiché lo gettò ai suoi piedi calpestandolo con tanta veemenza.
Le mie braccia
caddero lungo i miei
fianchi, sentivo gli occhi, la testa ed il cuore stanchi. Stanchi di
aspettare.
Stanchi di sentirsi dire cattiverie.
Indietreggiai di un
passo.
“D-damon
no … non volevo dire questo. Sul serio, non
…”
“Lascia
stare Elena. Il problema si sta togliendo dalle palle,
tranquilla.”
________________________
Ci ho provato. Ho
provato a
togliermela dalla testa.
Ho fatto cose di cui mi pento, sono stato con diverse donne –
tutte diverse da
lei.
Ma non ci sono riuscito. Non sono riuscito a dimenticarla.
Dopo un paio di mesi
dalla nostra
conversazione ho scoperto che aveva fatto ciò che le avevo
consigliato di fare:
aveva lasciato il damerino e si stava informando sulle
Università che avrebbe
potuto frequentare alla fine degli studi – sua madre,
Miranda, mi aveva detto
che era davvero sorpresa di vederla così presa
dall’argomento Università,
nonostante mancasse più di un anno prima del conseguimento
del diploma.
In qualche modo la
nostra
conversazione l’aveva scossa, eppure non tornò mai
a cercarmi.
Finché un
giorno non la rividi; era
sola, molte delle sue amiche l’avevano abbandonata dopo che
aveva lasciato il
Capitano, schierandosi ovviamente con il piccolo bastardo.
Caroline e Bonnie
invece, le sue
amiche secolari, non erano in vista.
Elena portava le sue
fidate
cuffiette, dal movimento delle labbra stava sicuramente ascoltando gli Imagine Dragons, in mano il suo solito
libro.
E mentre le passavo
accanto la
notai alzare lo sguardo verso di me e mi sorrise.
Non lo faceva da secoli ormai. Non riuscivo neanche a credere che fosse
indirizzato a me quel sorriso.
Dopo aver controllato alle mie spalle – al che lei
alzò gli occhi al cielo –
ricambiai il suo sorriso ma proseguii comunque dritto.
Non mi fermai a
chiederle il perché
lo avesse fatto dopo così tanto tempo, tirai semplicemente
avanti, con il cuore
in agitazione.
Forse
non era tutto finito.
E ne ebbi la conferma quando la vidi sempre più spesso cercare il mio sguardo, sorridermi durante le lezioni e cercare la complicità che un tempo ci contraddistingueva.
Un giorno a mensa mi
ero finalmente
deciso di andare a parlarle, sapevo quanto lei fosse timida, di sicuro
non
avrebbe mai fatto il primo passo.
Ed io ero sempre
più convinto che
le cose si potessero aggiustare, che noi potessimo aggiustarci a
vicenda,
ritornare ad essere quelli di prima. Non volevo niente di
più e niente di meno.
Volevo che tornassimo
ad essere
Damon ed Elena, Elena e Damon, gli inseparabili.
Mi bastava tornare ad
essere amici,
l’importante era averla al mio fianco, nella mia vita.
Damon ed Elena senza
Elena e Damon
erano diventati le ombre di loro stessi ed io ne ero pienamente
consapevole,
volevo rimediare.
Così mi
alzai prendendo in mano il
vassoio su cui avevo riposto il mio cibo, pronto ad avvicinarmi al suo
tavolo,
in cui sedeva soltanto lei, denigrata dai suoi ex-falsi amici.
Lei non mi aveva
notato, mi dava le
spalle. Ma quando fui a pochi metri da lei la vidi alzarsi e correre ad
abbracciare un ragazzo.
Questo era pallido,
alto, magro ed
aveva i capelli bronzei sparati in aria.
Sembrava la brutta copia di Edward Cullen, l’unica cosa che
lo distingueva da
quest’ultimo, oltre all’aria da imbecille che ha
intenzione di tagliarsi le
vene perché la vita è
troppo dura per
essere vissuta con serenità, erano gli occhi verdi.
Sentii delle ragazzine sospirare adoranti alla vista del nuovo arrivato.
Non c'era niente di romantico nel loro abbraccio, ne ero consapevole, ciò non toglie che ne rimasi perturbato.
Gettai il vassoio a terra, facendo scivolare dal piattino di plastica la mia pizza, che sembrava anch’essa essere fatta di plastica, e me ne andai, incurante delle occhiate che mi lanciarono i miei compagni di liceo e, probabilmente, anche del suo sguardo. Anche se non ne ebbi mai la conferma perché non mi voltai.
_____________________________
Avevo bisogno di
prendere aria. Di
correre, di sentire il vento tra i capelli, sul viso. Avevo bisogno di
sentirmi
fresco e libero, libero da tutto.
E lo feci, corsi.
Corsi sin quando
non arrivai di fronte a casa mia.
Un uomo dai capelli
castani seduto
sul dondolo sotto il porticato.
Stefan.
Perché non aveva avvertito che sarebbe tornato?
“Ciao fratellino.” mi
squadrò alzandosi immediatamente, aspettando
che lo raggiungessi.
“Stefan, che ci fai tu qui? Pensavo che fossi al
college. E’ successo
qualcosa?” gli chiesi dopo avergli dato una pacca
fraterna sulla spalla.
Lui mi scrutò per alcuni secondi cercando di formulare le
parole più giuste per
dirmi ciò che avrebbe stravolto la mia vita in modo
irreparabile.
Vedendo che non aveva
intenzione di
aprire la bocca, afferrai le chiavi di casa ed aprii la porta.
“Mentre fai lavorare i cricetini io vado a prendermi
qualcosa di forte.
Perché non entri?”
Lo vidi tentennare sulla soglia della porta, un piede a mezz’aria come se volesse fare un passo in avanti ma una barriera invisibile non glielo permettesse.
Cosa
stava succedendo?
“Non posso farlo.” inarcai le
sopracciglia cercando di capirci
qualcosa di più, ma niente. Se non avesse parlato subito
giurai che l’avrei
preso a schiaffi. Mi stava davvero dando sui nervi.
“E ‘successa una cosa. So che non mi
crederai, ma ti dimostrerò che ciò
che sto per dirti è la pura realtà.”
i suoi occhi non sembravano prendermi
in giro, decisi di non farlo neppure io, sicuramente si trattava di
qualcosa di
davvero serio.
“Parla!” lo esortai e lui
cominciò a parlare.
“Un
vampiro?”
“Già.”
“Tu
sei un vampiro?”
“Esatto.”
“Un
vampiro vero?”
“Si
Damon, mi sembra di avertelo ripetuto almeno 27 volte.”
“Hai
anche i canini appuntiti?”
“Te
li ho mostrati Damon, quindi la risposta è
sì!”
“E
l’aglio? Ti puoi trasformare in un pipistrello? Aspetta che
ti scatto una
foto!” lo accecai con il flash della mia
fotocamera. Lo vidi sbattere le
palpebre più volte irritato.
“Ci
sei, assurdo, quindi non è vero che non comparite in foto.
Probabilmente anche
la leggenda degli specchi è falsa. Quella delle bare
invece?”
“Se
non decidi di starti zitto ti ci metto io in una bara Damon.”
“Deduco
quindi che la risposta sia negativa. Peccato, ho sempre desiderato
dormire in
una bara. “ mio fratello mi guardò
scioccato.
“In
realtà non è vero, ti stavo solo prendendo in
giro.”
“Sei
un deficiente!!” urlò spintonandomi.
Cavoli se era diventato forte! Un
tempo a mal la pena mi avrebbe spostato di un millimetro, invece ora mi
aveva
fatto indietreggiare di almeno un metro e mezzo, facendomi sbattere
contro il
tavolo alle mie spalle.
“Auch!”
“Fratello
scusami tanto! Purtroppo non so ancora controllare bene la mia
forza.”
“Non
preoccuparti, un giorno ricambierò con la stessa
moneta.”
“Che
cosa intendi?” mi chiese Stefan, ora
sull’attenti.
“Ti
sei trasformato per amore giusto?” lo vidi
socchiudere la palpebre
cercando di capire dove volessi arrivare con quel discorso.
“Si.”
rispose infine, rimanendo comunque sull’attenti.
“Bene.”
feci una pausa, realizzando solo in quel momento
ciò che stavo per
chiedergli.
“Voglio
che tu faccia lo stesso con me. Voglio che tu mi trasforma per lo
stesso
motivo.” e non avrei di sicuro avuto un no
come risposta.
Ci misi ben tre
giorni per riuscire
a convincere mio fratello a trasformarmi, alla fine però ci
ero riuscito.
Spesso Elena mi
parlava della
trasformazione della sua beniamina, Bella Swan, in vampira.
L’aveva descritta come una cosa davvero dolorosa, che era
durata ore, qualcosa
che induceva alla pazzia in alcuni casi, qualcosa che ti avrebbe
indotto a
chiedere al tuo carnefice di ucciderti piuttosto che farti sopportare
tutto
quello spasimo.
Io, invece, non
provai nulla.
Ciò che
l’autrice di quegli stupidi
libri non sapeva era che per diventare vampiro bastavano pochi secondi.
Ti bastava bere del
sangue di
vampiro ed infine morire.
Ero
morto.
Mio fratello mi aveva
spezzato il
collo pochi secondi dopo avermi fatto bere il suo sangue.
Non si era neanche accertato che fosse entrato nel mio organismo, aveva
semplicemente fatto pressione sul mio collo rompendo la vertebra
cervicale e
con sé anche il midollo osseo provocandomi
un’istantanea … morte.
La morte è
irreversibile.
Ed
io ero morto per amore.
Dovevo ammettere
però di essere
stato più furbo di Romeo e Giulietta. Loro non avevano
alcune certezze dopo la
morte, io invece ce l’avevo.
Sapevo che dopo
essere morto avrei
comunque riaperto gli occhi, sapevo che dopo essere morto avrei
comunque
continuato a vivere.
Non fu facile i primi
tempi.
Dovetti abituarmi
alla mia nuova
vita, nutrendomi di umani cercando di non ucciderli, cancellandogli la
memoria
e dicendogli di inventare qualche balla se qualcuno avesse fatto
domande sul
morso che gli avevo procurato da qualche parte sul loro corpo.
I miei sensi si erano
acutizzati.
Tutto era ampliato: la mia forza, la mia vista, la mia
velocità e, purtroppo,
anche i miei sentimenti.
Spesso sentivo
bruciarmi il petto,
e non perché avessi una qualche malattia – i
vampiri non possono ammalarsi –
semplicemente perché pensavo a lei,
al suo sorriso, ai suoi bellissimi occhi da cerbiatta che si
accendevano ogni
qual volta incontrasse il mio sguardo e mi mancava. Mi mancava
terribilmente.
Mi rigirai
l’anello che mi
permetteva di espormi ai raggi solari, senza bruciare vivo, tra le mani.
Il fuoco. Quello era
uno dei modi
per mettere fine alla vita di un vampiro.
Ero
diventato immortale, realizzai solo in quel momento, dopo un
mese e mezzo
da quando ero diventato un vampiro.
E
se … NO, non riuscivo neanche a pensare
all’idea che Elena non volesse più
stare con me.
L’avevo
letto nei suoi occhi, lei
mi rivoleva nella sua vita e così sarebbe stato.
Sarei stato al suo
fianco finché
non si fosse scocciata di me, un vampiro che non può
né morire né invecchiare.
Tremai
all’idea che in realtà io
non l’avessi mai capita, che non avessi mai inquadrato la mia Elena.
Sperai con tutto me
stesso che non
volesse per davvero diventare la casalinga disperata sforna-figli che
le avevo
descritto tempo addietro.
I figli erano una cosa che non potevo più darle, oramai.
Forse ero stato
troppo avventato.
Forse non avrei dovuto farmi trasformare così in fretta.
Forse … Forse … Forse NIENTE, oramai è
troppo tardi e non si vive di rimpianti.
Infondo, in parte, lo avevo fatto proprio per lei, per compiacerla.
Speravo di piacerle di più se avesse saputo che ero un
vampiro e non più uno
stupido ragazzino di 18 anni umano.
Per di più
stavo davvero amando
questa mia nuova natura ed il fatto di sentirmi invincibile, mi ci
stavo
abituando a questa nuova vita. Era come se fosse la cosa più
giusta per me.
No, non rimpiangevo
l’essere
diventato un dannato succhiasangue.
Mi alzai, decidendo
di andarmi a
fare una doccia.
Erano le cinque del
mattino e da
quando ero diventato un vampiro non avevo più degli orari.
La routine si era
spezzata:
mangiavo, dormivo e respiravo solo per il gusto di farlo, non per
necessità.
Stavo per entrare in
bagno quando
ad un tratto sentii un campanello suonare insistentemente.
Era già
successo in passato. Stesso
orario, stesso cielo nuvoloso e ad attendermi dietro la porta una Elena
trafelata dal sudore che respirava affannata con il dito premuto sul
campanello.
Stessa scena, e
stessa persona,
dato che dietro la porta c’era proprio lei ad attendermi. La mia Elena.
“Elena? Che
ci fai qui a
quest’ora?” cercai di restare il più
calmo possibile. Il suo profumo alla
vaniglia mi inondò le narici, lo stesso che usava sin da
quando era una bambina
e che io avevo sempre amato.
Notai una vena sul suo collo pulsarle per la forte corsa e resistetti
all’impulso
di sfiorarla con un dito – o ancor peggio, di affondarci
dentro i miei canini.
“Dove sei
stato per tutto questo
tempo?”
“Dovevo
risolvere delle faccende.”
“Che tipo
di faccende? C’entra per
caso una ragazza?”
“Si.”
le risposi laconico
avvertendo la sua gelosia. In fondo era la verità.
Un sorrisino mi
spuntò sul volto
quando la vidi abbassare lo sguardo verso le sue amate converse nere.
Rialzò
dopo alcuni secondi lo sguardo sul mio volto, senza però
fissarmi negli occhi. Deviò
su tutto senza mai incrociarli.
“Oh”
rispose infine stringendosi
nella giacca di pelle nera, per poi inserire le mani nelle tasche per
proteggerle dal freddo.
“Scusami se ti ho disturbato allora.” fece un passo
indietro senza però
voltarsi. Stava cercando qualcosa alle mie spalle o forse qualcuno.
Probabilmente si aspettava che apparisse all’improvviso
chissà quale donnaccia
pronta ad interromperci. Non sapeva quanto si sbagliasse.
“Che cosa
volevi Elena?” le
afferrai il polso quando la vidi fare un’ulteriore passo
indietro.
Non volevo che se ne
andasse. Non
di nuovo.
“Te.”
e quella fu proprio la
risposta che meno mi sarei aspettato da lei. Lei non era quella
impulsiva, lei
era quella che rifletteva almeno dieci volte di parlare, prima di dire
qualsiasi cosa. Non era proprio possibile che mi avesse appena detto di
volermi.
La guardai come se
avessi visto un
asino parlare. Così lei decise di rendermi le cose
più semplici e di chiarire
il significato della sua frase.
“Volevo te,
Damon.”
Volevo
te, Damon.
Volevo
te, Damon.
Volevo
te, Damon.
Volevo
te, Damon.
Volevo
te, Damon.
Stavo di sicuro
impazzendo.
Mi era quasi parso di sentire il mio cuore,
ormai fermo da più di un mese, ritornare a
battere.
E forse lo stava facendo sul serio o forse no, ma in quel momento non
ci stavo
capendo davvero più niente.
Non capivo niente,
eppure era stata
così chiara.
Ma era stata chiara
anche quando mi
aveva rifiutato più e più volte in passato, per
non parlare di quella volta che
aveva detto che il fatto che l’amassi era IL problema.
Ma che stavo
facendo?? Non avevo
fatto altro che aspettare questo momento per una vita intera ed invece
ora mi
stavo tirando indietro?
No, di sicuro non mi
stavo tirando
indietro, in quel momento mi sentivo l’uomo più
felice sulla terra ma ciò non
toglie che volessi delle spiegazioni.
“Perché?”
“Perché
mi manchi davvero tanto, mi
mancano i tuoi sorrisi stupidi ed anche quelli enigmatici, i nostri
sguardi complici, le tue battute, i
tuoi abbracci, le tue rassicurazioni, il tuo sarcasmo – anche
se di quello
potrei farne a meno, o forse no. Forse è proprio
ciò che mi manca di più di te
o forse e semplicemente … mi manchi tu. E ne vale la pena
Damon, ti giuro che noi ne valiamo la pena.”
ancora non ci
credevo. Mi presi delle ciocche di capelli tra le mani e tirai forte
provocandomi del dolore. Avevo bisogno di capire che fossi sveglio.
“Dove sei
stato per tutto questo
tempo?” ripetette con ormai le lacrime agli occhi. Sembrava
mi stesse dicendo Perché mi hai
abbandonata?
“Dovevo
risolvere delle faccende.
Ma mi sa che ho combinato un gran casino.” mi
guardò come se volesse provare a
leggermi dentro. Allungò le mani sulla mia testa e prese le
mie, costringendomi
e districare le mie dita dalle ciocche color corvino che, di sicuro,
ora
apparivano più disordinate che mai.
“Risolveremo
tutto. Insieme.”
“Abbiamo un
tempismo di merda,
Elena.”
“L’importante è ritrovarci. Sempre.” sciolsi le mani dalle sue e la accolsi in un abbraccio caloroso. A quel punto potevo dire con certezza che il mio cuore stava battendo ed anche tanto veloce.
Era lei che me lo
faceva battere,
Elena era il mio cuore e la pompa di benzina che alimentava il mio
essere.
Senza di lei sarei come un bell’involucro di una macchina che
non riesce a
partire perché privo di carburante.
“Non sai in
che guaio ti stai
cacciando Elena.” provai ad avvertirla. A metterla in
guardia, perché ero
diventato pericoloso. Ma sapevo benissimo che se non mi avesse
allontanato di
sicuro non sarei stato io a farlo. Dopotutto ero uno stupido egoista
innamorato.
“Mi
piacciono i guai. Infondo non
sono forse la ragazzina che vuole un
amore che la consumi, un amore passionale, avventuroso, e anche un
po’ pericoloso?”
sorrisi come un ebete per
poi
rendermi conto delle parole che aveva utilizzato. Ok, erano
più o meno le
stesse che avevo pronunciato io in passato ma c’era qualcosa
dietro quelle
parole. Mi stava dicendo che ero io la risposta alle sue richieste. Che
ero io
il soggetto del suo amore.
“Ragazzina,
attenta alle parole che
usi.” la rimproverai con un sorriso tirato allontanandola
leggermente in modo
da poterla guardare finalmente negli occhi.
Nei suoi leggevo
soltanto una
parola: Amore.
“Perché dovrei? Ti amo e non ho più intenzione di nasconderlo.” non la feci andare oltre. Con un piccolo – davvero misero – sforzo la sollevai facendola arrivare alla mia stessa altezza e poi la baciai.
All’inizio
fu un semplice
sfioramento di labbra, ci stavamo esplorando, ci stavamo conoscendo.
Alla fine
ci eravamo baciati solo una volta e non era di sicuro stata una bella
esperienza per lei. Dovevo rimediare. Cancellare per sempre quel
ricordo che,
di sicuro, l’aveva tormentata per molto tempo.
Inaspettatamente fu
lei ad
approfondire il bacio, facendomi sentire tutto il desiderio che provava
nei
miei confronti. Infilò le mani tra i miei capelli e strinse
forte le ciocche,
proprio come avevo fatto qualche minuto prima io. L’unica
differenza era che
prima era un gesto dettato dall’amore e dalla sorpresa, ora
invece era solo
amore.
Il mio cuore
impazzì dalla gioia e
dal sentimento che provavo verso quella ragazzina.
L’avrei
amata, sempre, e glielo
avrei dimostrato ogni singolo giorno. Che io venga dannato se dovessi
venire
meno a questa promessa.
Dopo un po’
ci staccammo, entrambi
con il fiatone, entrambi con il sorriso stampato sulle labbra.
Fronte contro fronte.
“Ti trovo
…” si fermò un attimo
stringendo gli occhi.
“Cosa??
Più bello? Più attraente?
Più affascinante?”
“…
più pallido.”
continuò lei, alzando infine gli occhi al cielo con fare
esasperato. Quanto mi erano mancati i nostri siparietti. Mi trovai a
riflettere
su ciò che mi aveva appena detto e dopo averle ridato un
bacio a stampo mi
allontanai da lei, dandole le spalle.
“Mi devi un appuntamento.” le
dissi, sorridendo , avviandomi verso
l’ingresso di casa.
“Come
scusa?” mi voltai verso di
lei, invitandola ad entrare con lo sguardo. Lei mi seguì con
uno sguardo
corrucciato.
“Per il
momento ricorda soltanto
che abbiamo un appuntamento in sospeso.” le strizzai
l’occhio.
Di sicuro non ci stava capendo niente.
Meglio così, per il
momento, almeno
per qualche ora, avevo intenzione di accantonare i problemi per poter
passare
un po’ di tempo con lei.
Ne avevamo molto da recuperare.
Così chiusi finalmente la porta di casa ed aprìi quella che ci avrebbe portato verso il nostro futuro.
Insieme.
Fine
_________________________________Angolino mio:
Ciao a tutti ragazzi =)
Ringrazio chiunque sia giunto fino alla fine della mia piccola storia e spero tanto che vi sia piaciuta.
Un bacio,
SweetD