II - Wolf in Sheep's clothing.
Un titolo a cui ambivano tutti gli Alpha del regno, e che solo lui, forestiero di Uril Gawin, era riuscito ad ottenere. Non importava che lui fosse il favorito della regina, un mago eccelso ed il compagno più ambito dalle femmine della razza. L’elfo esigeva vendetta, l’Alpha moriva dalla voglia di affondare in lei, custodirla gelosamente, averla sempre sotto il proprio sguardo ovunque andasse.
Si rifiutò di ammettere che quella notte, al Santuario, aveva notato l’assenza di un’adepta ancor prima di contare le donne nella sala principale. Era conscio del destino che l’attendeva una volta raggiunta Narawen: l’Omega, considerata una minaccia, avrebbe conosciuto Non reagiva all’inibitore e si era sottrattata al controllo della luna nuova, ed il prezzo per un simile affronto era la vita, forse con qualche tortura nel mezzo. Ripensò alle grida disperate dei disertori mentre spire di lava bucavano loro la pelle come vermi in una mela, dentro e fuori, Una voce dentro la testa prevaleva su tutte le altre: non lasciare che la prendano. Doveva rinnegare ciò che era per una mortale? No. Il Re aveva commesso lo stesso errore, secoli prima, infatuato di un’umana al punto da ingravidarla e donare al regno un erede imperfetto. Inutile avvalersi della scusa del Legame, poiché gli elfi non credevano nel destino e sapevano che non c’era nulla che la magia non potessere risolvere. Lasciavano quelle favole alle razze inferiori ed i loro déi immaginari, smancerie romantiche che poco c’entravano con il rapporto viscerale che un Alpha e un’Omega consumavano al primo Calore. Era la causa dell’attaccamento del Var’Celen alla ragazza dalla pelle scura. Una volta soppresso il bisogno con i giusti inibitori sarebbe tornata una semplice schiava senza poteri, buona solo per accendere candele al Santuario. E finché quei ragionamenti razionali si srotolavano nella sua mente, l’elfo si ritrovò con il viso premuto tra i capelli neri della prigioniera, Era passato troppo tempo dall’ultima volta in cui una femmina l’aveva accolto nel suo giaciglio, ma fino a quel momento non se n’era curato. Cosa doveva farne di lei? Darla in pasto alla corte della regina e guardare da lontano il suo declino? Ad ogni buon conto, per ora necessitava di un luogo dove sostare in attesa dell’alba, quando qualcuno avrebbe richiesto la sua presenza per spiegare i sopprusi al Santuario. I Beta che lo accompagnavano avevano assistito alla scena. L’Evren planò sul versante est delle montagne, mentre il cielo sfumava dalla tenebra ad un grigio pallido, Una spaccatura separava le alture, come se un gigante avesse scavato una via nella roccia a mani nude. Gli elfi non erano esattamente i benvenuti a Northpass. La fortezza rappresentava l’ultimo tentativo di resistenza dei mortali, nonché l’ingresso che avevano creato per scendere nel ventre della montagna stessa.
Passo dopo passo il viso mutava, perdendo i tratti affilati ed indurendo il profilo della mascella. Gli zigomi e la fronte ampi, una zazzera di capelli scuri, I soldati di ronda si limitarono a confiscare il pugnale che la ragazza teneva ancora in cintura, un ricordo della ferita ormai rimarginata a cui l’elfo non era particolarmente legato. “È malata?” chiese una guardia, sbirciando sotto la testa di lupo che copriva il capo di lei. Il Var’Celen dovette trattenersi dal ringhiare, e rispose in un perfetto dialetto del luogo che la febbre non l’aveva mai abbandonata negli ultimi giorni. “Ho bisogno di vedere un guaritore” supplicò, “deve essercene uno tra voi.” I soldati si scambiarono occhiate dubbiose. Così chiamavano la scalinata apparentemente infinita che conduceva alla fortezza, ora impraticabile a causa del ghiaccio che aveva divorato ogni fessura nella pietra. A corte si vociferava di un secondo ingresso attraverso i tunnel, ma non vi era tempo di cercarlo. Il soldato più loquace fece strada attraverso un accampamento rudimentale, difeso solo da palizzate di legno che qualsiasi Evren avrebbe potuto spazzare via con un colpo d’ala. L’ombra della fortezza gettava nell’oscurità l’insediamento umano alle sue pendici, casupole accatastate tra loro che parevano sbucate dalla roccia stessa, tanto erano grezze. Solo la milizia pattugliava la zona, ed il Var’Celen inalò il puzzo terribile di corpi sporchi, feci e chissà cos’altro che saliva dai camini accesi. Era giusto che vivessero così, rintanati come topi ad annegare nel loro liquame. Non vi era posto per certa feccia entro i confini di Narawen. “Svegliamo subito il guaritore. Puoi aspettare qui dentro” disse lo scarno umano che li aveva scortati, indicando l’ennesimo mucchio di sassi che i nativi chiamavano casa. “Ti ringrazio.” Non gli sfuggì l’occhiata che rivolse alla Sacerdotessa. Il Calore attirava attenzioni indesiderate perfino tra le classi di infimi Beta, dopotutto. Era solo quesitone di tempo prima che qualcuno iniziasse a tempestarlo di domande. L’elfo depose la fanciulla sul pavimento, accanto al fuoco, ed andò all’apertura che fungeva da finestra per osservare la situazione: Patetici animali. L’Alpha non era migliore in questo vista la fame che lo consumava dalla fatidica notte al Santuario, però si sentì comunque in diritto di avanzare pretese sul corpo dell’Omega. Era il consigliere reale, non un qualunque zotico voglioso di- “Oh, salve.” Il guaritore entrò titubante, ricoperto da strati su strati di pelli consumate e con la barba incrostata di brina. “Ecco, se posso azzardare... non credo sia febbre comune” balbettò, inginocchiandosi accanto a lei. Non si accorse dei movimenti del Var’Celen. Non si accorse che si stava portando alle sue spalle. “Vista l’età forse potrebbe essere il primo Calore. I sintomi sono gli stessi.” Indugiò per un istante di troppo sull’incavo dei seni, visibile attraverso la veste strappata, e fu il suo ultimo errore. Una mano invisibile lo afferrò per il collo, finché l’elfo mimava l’atto da poco distante senza toccarlo veramente. “Sei un guaritore perspicace” disse il suo assassino, gettandolo contro la parete come un fantoccio inanimato.
“Maestro” disse uno di loro, “verrete a visitare mia moglie, vero?” “Certo.” Il Var’Celen sorrise attraverso la folta barba bianca, mostrando una chiostra di denti marci. “Non appena mi sarò occupato della nostra ospite sarò subito da te.” ‹ Note dell'Autrice › Halcyon |