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Autore: Echocide    08/09/2017    2 recensioni
Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un giovane principe viveva in un castello splendente, benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il principe era viziato, egoista e cattivo. Accadde però che una notte di inverno una vecchia mendicante arrivò al castello e offrì al principe una rosa in cambio del riparo dal freddo pungente.
Lui, che provava repulsione per quella vecchia dal misero aspetto, rise del dono e la cacciò, ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la vera bellezza si trova nel cuore.
Il principe la respinse di nuovo e in quel momento la bruttezza della mendicante si dissolse ed apparve una bellissima fata.
Il principe si scusò, ma era troppo tardi, perché lei ormai aveva visto che non c'era amore nel suo cuore e per punirlo lo tramutò in una orrenda bestia e gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi abitanti.
Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta prima che fosse caduto l'ultimo petalo, l'incantesimo si sarebbe spezzato.
Con il passare degli anni il principe cadde in preda allo sconforto...
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Marinette Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.010 (Fidipù)
Note: E si riprende anche questa storia! Mi mancavano un po' le atmosfere delle storie del mercoledì che, eccezionalmente per questa settimana, sono diventate storie del venerdì e si riprende il giro con La bella e la bestia, il cui capitolo successivo sarà il 27 settembre; la prossima settimana invece vedrà l'aggiornamento La sirena.
Detto ciò, come sempre, vi ricordo la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri.
Ed io vi do appuntamento a domenica con l'aggiornamento di Scene e la seconda parte di Eroina.
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

 

Poteva una persona essere un pericolo per la propria esistenza?
Adrien aveva iniziato a porsi questo quesito da quando aveva conosciuto Marinette: non aveva molta dimestichezza con il genere umano, a conti fatti, era rinchiuso in quel maniero da quando era poco più che un ragazzino in procinto di entrare nella pubertà, ma era certo che nessuno avesse un istinto di sopravvivenza così irrisorio come quello della ragazza.
Un quesito che aveva trovato la sua massima conferma proprio in quel momento, mentre osservava le dense volute di fumo nero come la notte che si libravano dalla porta e dalle finestre dell’officina, regno indiscusso della giovane da quando aveva iniziato a vivere lì con tutti loro.
Adrien rimase fermo sul posto, quasi come se le sue gambe avessero messo radici oltre che ingranaggi e peluria, incerto su cosa fare e dove andare: tornare al castello e chiedere aiuto oppure gettarsi a capofitto nel pericolo e salvare la fanciulla in difficoltà?
Il dubbio svanì non appena vide Marinette uscire dal laboratorio e barcollando leggermente, tanto che si appoggiò allo stipite della porta; Adrien si mosse veloce, per quanto fosse possibile con due gambe di natura e altezza diverse, raggiungendo la ragazza e allungando il braccio meccanico, in modo che lei potesse usarlo come appoggio e le mani piccole si posarono subito sul suo avambraccio, sfiorando delicate gli ingranaggi che fungevano da sostituti di tendini e muscoli: «Cosa è successo?» domandò Adrien con premura, accogliendo il peso di Marinette completamente abbandonata contro di lui.
«Un incidente di percorso» riuscì a dire la ragazza fra i colpi di tosse, seguendo docilmente Adrien mentre la scortava poco distante, lontani da possibili pericoli e inalazioni potenzialmente velenose.
«Un incidente di percorso?» ripeté Adrien, scandendo bene ogni parola mentre lo sguardo celeste di Marinette si fissava su di lui e un sorriso dolce le piegava le labbra: «Che cosa stavi facendo?» domandò il giovane, alzando la testa e osservando l’officina che, ancora fumante, sembrava rimanere però in piedi.
«Un esperimento.»
«Un esperimento?»
«Devi ripetere ogni cosa che dico?» domandò Marinette con la voce sorridente, accentuando leggermente la presa sul braccio di Adrien e scuotendo la testa, senza allontanarsi da lui e trovando confortante la presenza di quello che, solo fino a pochi giorni prima, avrebbe definito mostro: «Comunque stavo provando a creare una macchina e, come al solito, ho fallito» mormorò, agitando la mano libera e voltandosi anche lei verso l’officina, sospirando lugubre: «Forse dovrei smettere…»
«Il mio mentore dice che la strada per il successo è lastricata dai fallimenti.»
«Il tuo mentore?»
Adrien annuì, chinando la testa mentre le labbra venivano tirate in un sorriso triste: «Anche lui è vittima della maledizione» mormorò, prendendo la mano di lei con la zampa, ben attento a non ferire la pelle nivea, e posandosela nell’incavo del gomito: «Non penso che l’hai incontrato, dato che è appeso nelle mie stanze: con un macabro senso dell’umorismo lo spirito l’ha trasformato in uno specchio, per riflettere ciò che aveva educato.»
Marinette rimase indietro, camminando lentamente al fianco di Adrien e osservando lo sguardo verde posarsi sul maniero poco distante: «A cosa serviva la macchina che stavi progettando?» domandò, scuotendo il capo e muovendo le orecchie feline e metalliche, quasi come se stesse captando qualcosa: «Per qualsiasi cosa di cui hai bisogno…»
«Per le pulizie» mormorò Marinette, guardando anche lei il castello, le cui candide mura erano soggiogate dalla vegetazione, libera di crescere senza nessuno che la domasse: «poco prima di partire da Parigi avevo progettato una macchina che potesse aiutare un mio amico: lui ha un negozio di barbiere ed io avevo pensato di dargli una mano, con una macchina che tagliasse e pettinasse.»
«Ma…»
«Ma cosa?»
«Sembra una storia dove c’è un ma.»
«Diciamo che ho decapitato il manichino che fungeva da esperimento.»
Adrien annuì, stringendo le labbra e alzando il mento, facendosi sfuggire una risata che mascherò con un colpo di tosse: «Beh, non tutte le ciambelle riescono con il buco. Questa è una massima di Tikki.»
«Usi sempre le massime dei tuoi servitori?»
«Penso di averle assimilate, vivendo con loro per tanto tempo e avendo solo la loro compagnia…»
«Strano che tu non abbia assimilato qualcosa da Plagg» commentò Marinette, pensando al candelabro dalla lingua lunga e le battutine piene di sensi, che sembrava divertirsi a mettere gli altri in imbarazzo.
«Sono stato selettivo» dichiarò Adrien, fermando e respirando a fondo, portandosi la zampa sulla gamba metallica e socchiudendo gli occhi: «Perdono, è complicato camminare per lungo tempo con questi affari.»
«Hai bisogno di manutenzione?»
«No, avrei bisogno che fossero almeno della stessa altezza» bofonchiò Adrien, guardandosi attorno e adocchiando una panchina di pietra, immersa nel verde di ciò che, un tempo, era stato uno dei vanti del castello: «Questo giardino era bellissimo un tempo» mormorò, indicando il sedile con un cenno del capo e osservando Marinette raggiungerlo velocemente e accomodarsi, lo sguardo celeste fisso su di lui finché non si accomodò al suo fianco: «Rose. Violette. Margherite. Orchidee. C’era ogni genere di fiore e il profumo…» si fermò, socchiudendo gli occhi e inspirando l’aria carica di odore d’erba: «Beh, era decisamente migliore: un bouquet delicato e inebriante.»
«Un bouquet delicato e inebriante» mormorò Marinette, tirando su le gambe e poggiando il mento sulle ginocchia coperte dalle impalpabili calze bianche, quasi dimentica della gonna corta che indossava e che si era tirata su, rivelando una buona porzione di cosce; Adrien si ritrovò a fissare quella parte di pelle, riscuotendosi e fissando avanti a sé con le mani strette sulle ginocchia e il respiro che si faceva pesante: «A Parigi penso che tutto quello che senti sia il fumo delle macchine e l’odore dei cavalli, magari agli Champs-Elysées…» si fermò, sorridendo appena: «Peccato che solo i ricchi e i nobili passino tanto tempo là.»
«Mentre tu?»
«Io cosa?»
«Tu come passavi il tempo a Parigi?»
Marinette sorrise, indicando con un gesto vago della mano l’officina poco distante e ancora fumante: «Pensavo fosse chiaro ormai» mormorò, le labbra piegate in un sorriso: «Il cruccio di mia madre e il divertimento di mio padre: ogni volta che torna da un viaggio mi porta dei pezzi nuovi o qualcosa da aggiustare e trasformare. L’ultima volta è stato un orologio, molto simile a Wayzz, e ho passato giornate intere a sistemarlo e renderlo qualcosa di più di quello che era.»
«E’ una bella passione.»
«E’ una passione non capita.»
«Perché dici così?»
«Perché la verità» mormorò Marinette, voltandosi nella direzione di Adrien e poggiando la guancia sulle ginocchia, osservandolo: «Mia madre ha sempre voluto che io fossi come le altre ragazze, mentre i conoscenti e la gente del quartiere dove vivo…» si fermò, inspirando e lasciando andare l’aria, notando come lo sguardo di lui si era posato nel suo e aspettava paziente che lei continuasse: «…beh, sono la strana del villaggio.»
«Mi dispiace» bisbigliò Adrien, tornando a fissare davanti a sé con un sorriso che gli illuminava il volto: «Parigi dev’essere terribile.»
«Oh, decisamente: piena di macchine, puzza e gente che guarda tutti dall’alto in basso.»
«Mh. Sento odore di esperienza diretta…»
«C’è questa ragazza, che è la figlia del sindaco, e…» Marinette strinse le labbra, stendendo le gambe davanti a sé: «Viziata, arrogante, insopportabile.»
«Mi ricorda qualcuno…»
Marinette aprì la bocca, incapace di dire alcunché e scattò in piedi, portandosi entrambe le mani alle labbra: «Perdonami» farfugliò contro le dita, osservando Adrien issarsi e allungare le mani verso di lei, prendendo le sue e abbassandole con gentilezza, mentre un sorriso gli piegava le labbra: «Non volevo…»
«Magari potremmo farle conoscere lo spirito.»
Marinette accolse quelle parole con un battito di ciglia, aprendo le labbra e sorridendo appena, rendendosi conto che Adrien aveva fatto una battuta: «Sarebbe meraviglioso» bisbigliò, socchiudendo le palpebre: «Pensi che sia possibile?»
«Magari attendiamo il prossimo temporale e diamo una festa?»
«Ci sto!»


«Baciala. Andiamo baciala» Plagg aprì i bracci, la bocca di metallo aperta in un’espressione scandalizzata mentre, assieme a parte della servitù, osservava l’incontro fra il loro padrone e Marinette: «Andiamo, Fu. Perché non la bacia?»
«Forse perché l’abbiamo educato a essere un cavaliere e non un cafone che infila le mani sotto le sottane di ogni fanciulla.»
«Ma quella non è una fanciulla qualsiasi!» sbottò il candelabro, indicando lo specchio e i due che parlavano: «E’ il suo vero amore, colei che spezzerà questa fottuta maledizione!»
«Plagg. Il linguaggio» Tikki sbuffò vapore in faccia all’altro, osservandolo poi allontanarsi e sistemarsi gli stoppini: «Non penso che Marinette apprezzerebbe un simile approccio.»
«Non abbiamo tanto tempo» borbottò Plagg, indicando un punto della camera ove, in una teca di cristallo, la rosa che lo spirito della natura aveva voluto donare ad Adrien tanti anni prima, era quasi sfiorito: «Manca poco e tutti i petali cadranno. Non abbiamo tempo per tutte queste moine! Deve passare all’azione!»
«Ma si rende conto di ciò che dice?» commentò Wayzz, osservando l’amico e seguendolo con lo sguardo mentre quest’ultimo iniziava a marciare avanti e indietro per il carrello con cui Tikki era solita spostarsi nel castello: «Mi sembra strano che non li abbia ancora legati a un letto insieme.»
«Buon Dio, Wayzz! Non dargli idee!»
«Perdono, Tikki» mormorò l’orologio, sistemandosi le lancette che si erano inceppate e osservando Plagg fermarsi, battendo i due stoppini che fungevano da mani assieme: «Oh signore, mi ha sentito.»
«Un incontro romantico!»
«Un incontro romantico?» ripeté Wayzz, non cogliendo il nesso fra le parole di Plagg e ciò che lui aveva appena detto: «Non comprendo cosa tu voglia dire…»
«Legarli a un letto assieme sarebbe troppo palese e il padrone si rifiuterebbe di fare alcunché, ma se noi organizziamo una serata romantica per loro due…» Plagg si fermò, schioccando le labbra di metallo: «La luce delle candele, del buon cibo, musica lenta e romantica, il favore delle tenebre» si fermò, annuendo alle sue stesse parole: «Magari mettiamo a lustro il padrone…»
«Potrebbe funzionare?»
«Potrebbe funzionare? Mio buon Wayzz, guarda» Plagg indicò lo specchio, dove ancora erano riflessi i due giovani: «Hanno solo bisogno di essere spinti l’uno nelle braccia dell’altra.»
«Per una volta concordo con Plagg» dichiarò Tikki, sbuffando vapore e saltellando sul posto: «Sarebbe qualcosa a cui il padrone non direbbe di no e, con la giusta atmosfera, possiamo spingere un po’ la situazione: è innegabile che c’è qualcosa fra i due, ogni giorno di più cresce e diventa palese…»
«Il padrone è innamorato» commentò Fu, rimasto in silenzio fino a quel momento: «Ed è innegabile che la ragazza prova qualcosa, è andata oltre l’aspetto fisico e ha visto ciò che noi tutti conosciamo, l’animo buono di un ragazzo che ha imparato dai propri errori. Dobbiamo solo spingerli…»
«Che il piano ‘Stia con noi’ abbia inizio, allora.»
«Plagg, che razza di nome…»
«L’ho letto in un libro!»


Chloé osservò la stoffa dorata che le fasciava il corpo, abbellita dal pizzo nero che enfatizzava lo scollo dell’ultimo acquisto: un capo sublime che solo qualcuno come lei poteva indossare; sorrise al proprio riflesso, spostando poi l’attenzione su quello della ragazza dietro di lei e che, in remissivo silenzio, stava attendendo: «Allora? Che cosa hai scoperto?» domandò senza neanche voltarsi e osservando Sabrina illuminarsi in volto, mentre iniziava a raccontare tutto quello che aveva scoperto, partendo dall’ultimo viaggio del signor Dupain verso Tours e dal fatto che non era ritornato, solo il carro con un invito era giunto a casa e Marinette era partita per andare dal genitore disperso.
Un viaggio a cui Sabine Dupain-Cheng si era opposta ma quella testarda di Marinette non aveva voluto sentire ragioni ed era partita, sparendo anche lei senza più notizie: «Quindi Marinette Dupain-Cheng è da qualche parte fra Parigi e Tours?» domandò Chloé, lisciandosi la gonna e aprendola in tutta la sua ampiezza, osservando con orgoglio il disegno floreale che vi era stato ricamato: prezioso filo nero che risaltava in quel mare dorato.
«Proprio così, Chloé.»
Chloé annuì, carezzando il corpetto dell’abito e tornando a fissare ancora una volta il proprio riflesso, piegando le labbra in un sorriso: «Sabrina, fai preparare la mia carrozza.»
«Dove vuoi andare, Chloé?»
«Da qualche parte fra Parigi e Tours.»

 

   
 
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