Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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L’ampia terrazza della torre si affacciava senza parapetto
sull’infinita distesa piatta e quasi immota del mare. Ovunque
lo
sguardo potesse posarsi non si intravedevano altro che mare e cielo,
due infiniti posti l’uno di fronte all’altro,
perfetti e complementari
nella loro sublime bellezza, si congiungevano in una linea indefinita
nel punto più lontano dell’orizzonte. Il
crepuscolo era al suo apice di
sanguigna lucentezza, quando il punto più basso del sole si
appresta a
scomparire dietro la linea dell’orizzonte. Ponente irradiava
gli ultimi
afflati della stella diurna, fendendo il cielo in spicole rossastre,
stemperanti in una sempre più vaga luminosità che
tingeva di rosa gli
stralci di nuvole che macchiavano la volta celeste. Solo un taglio di
sole si rifletteva luminoso e quasi più splendente nello
specchio
marino, mentre l’oscurità crescente ingoiava la
luce catturata
dall’acqua. Quasi nessun rumore poteva essere avvertito, se
non il
ritmico e continuo fluire delle onde che si frangevano sulle nascoste
spiagge pietrose. La pace e l’ armonia del mondo venivano a
celarsi in
quei pochi attimi di sublime e grandioso spettacolo della natura,
così
teso verso l’infinito da poter quasi atterrire
l’animo dell’uomo.
Osservò con le pupille socchiuse l’epilogo del
miracolo del vespro e ne
catturò l’immagine nella memoria, imprigionandola
in un passato di
limpido cristallo, conservandolo come memoria di divina e misteriosa
bellezza. Giaceva immobile al centro del balcone, seduto sulla tiepida
pietra a gambe incrociate. Chiuse gli occhi, sospirando. Il momento di
pura perfezione era passato e con esso il conforto e la
tranquillità
dell’animo che esso portava: già altri sentimenti,
legati a ben altri
ricordi, premevano per tornare vividi alla mente. Portò
automaticamente
la mano ad un sacchetto legato in vita e ne estrasse una foglia a
cinque punte di grandezza decrescente e dal colorito verde brillante,
allora grigiastro nell’oscurità che si addensava,
e se la cacciò in
bocca, masticandola lentamente. Non passò molto che gli
effetti del
vegetale cominciassero a fare effetto. I pensieri smisero di premere al
cervello uno dopo l’altro, disperdendosi in
un’intenzione vaga ed
indefinita, accantonati in qualche luogo recondito dell’io.
La mente fu
finalmente libera da ogni preoccupazione e non più velata da
ombra
alcuna, sembrava quasi che lo stesse spirito potesse elevarsi, ormai
non più represso dalle inutili zavorre di timori o futili
ragionamenti,
libero di inflazionarsi nell’ampia realtà che si
dispiegava di fronte
ai suoi occhi. Il corpo stesso non era più pesante prigione
dell’anima,
non lo costringeva più alle regole dure e crudeli della
realtà, ma si
transumanava in un qualcosa di più puro e trasparente,
conformandosi
alle leggi dell’immaginazione. Nulla contava più,
non esistevano più
legami e la coscienza stessa di sé si diluiva, tutto si
immergeva e si
fondeva nell’eternità e nell’infinito
che apparivano ora con chiarezza
alla mente, normalmente vincolata e imprigionata a tal punto da non
poter cogliere l’inconcepibile, che adesso si mostrava a
portata di
pensiero. La vista dell’anima vagava nell’infinito
e tutto apparve in
ogni cosa, riuscì a cogliere lo spettacolo
dell’esistenza
dall’infinitamente grande all’infinitamente
piccolo, colse l’intima
grandezza dell’universo e si spaventò di quanto
fugace e miserabile si
presentasse la vita umana, eppure unico vincolo tra
l’infinità divina e
quella del reale, unico soggetto degno capace di dare un senso a ogni
cosa. L’apoteosi della sua intuizione, che scorreva rapida e
semplice,
slegata da qualunque opposizione, lo fece rabbrividire, conferendogli
un senso di inaspettato piacere fisico, che per un attimo lo
riportò
alla realtà del proprio corpo. Fuggì nuovamente
da esso e per un mero
istante la sua essenza si avvicinò a quella divina. Si
allontanò
progressivamente dall’immagine di sé stesso seduto
innanzi al tramonto,
per poi ritrovarsi ad ammirare il ricordo di quel momento protetto in
puro cristallo. Fermò ogni sua cognizione a quel momento,
non esisteva
futuro o passato, ma un solo adesso, un solo ora e un solo ovunque.
Colse l’attimo, si rifugiò in esso, raccolse tutte
le possibili
percezioni, tutti i possibili sentimenti, tutte le visuali ed i punti
di vista, le vite e le morti, tutto ciò che era
l’infinito in quel
momento e se ne nutrì con piacere sfrenato, senza procedere
oltre,
poiché nessun mutamento o cambiamento avrebbe potuto
giovarlo, ma solo
annichilirlo. Era un dio e, in quell’attimo fu davvero
immortale. Poi
il tempo riprese a correre ed il cuore a battere e fu strappato dalla
sua visione con violenza, tanto che forse la sua stessa anima
provò
dolore, e riportato alla sua dolorosa realtà. Un cambiamento
repentino
e terribile che minacciò di annientarlo; e riaprì
gli occhi. L’effetto
lenitivo della droga sarebbe durato ancora abbastanza da evitare che la
sua mente potesse venire straziata dai pensieri che la tormentavano
come fantasmi inquieti, eppure adesso era anche pienamente cosciente,
era diviso tra i due mondi, quello del sogno e quello della
realtà e il
primo lo illudeva dalla tristezza del secondo.
[...]
Condios sapeva benissimo ciò che lo attendeva. Passarono
alcuni secondi
di immobile silenzio, poi si alzò stancamente e con passo
incerto
camminò fino al bordo del terrazzo.
Tirò un profondo sospiro: i fantasmi che lo tormentavano
avrebbero
presto ripreso il vigore necessario a spingerlo sul baratro della
follia. Presto avrebbero trovato il loro nutrimento nel sangue che si
apprestava a versare. Ancora una volta. Chissà se qualcosa
l’avrebbe
salvato sul precipizio come allora… Si lasciò
cadere in avanti, inerme,
ad occhi chiusi, scivolando nel vuoto.