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Autore: samv_s    09/09/2017    2 recensioni
"Con te, mi sento a casa."
3091 words||yoonmin
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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With You I Feel At Home.



Un pianto.
Nella sala parto numero 22, il 13 ottobre 1995, si sente un pianto. Finalmente.
La donna, stesa e stremata sul lettino della sala operatoria, sorride stanca a quello che è il suo primogenito: un fagotto di carne ancora macchiata di liquido, che stringe le palpebre e che piange. Le infermiere, che lo tengono avvolto in tovaglie sterilizzate, rivolgono espressioni felici alla giovane.
Qualche ora dopo, il nuovo arrivato è fra le braccia di sua madre: ha una tutina bianca ad avvolgergli la pelle lattea e delicata e non piange più. Anzi, i suoi occhioni color nocciola incontrano lo sguardo ricco di lacrime della donna che lo ha messo al mondo.
“Come vuole chiamarlo?” Chiede la dottoressa Choi, l’ostetrica che l’ha seguita durante il parto. La donna, mentre il suo bambino muove giocosamente i piedini, sorride.
“Park Jimin.” E la dottoressa trascrive.
 
Jimin ha circa sette mesi e mezzo – quasi otto – ma non emette suoni. Sua madre, preoccupata, si precipita dal suo pediatra per poter assicurarsi che non sia nulla di grave.
L’uomo che ha sempre visitato il suo bambino, però, quel giorno non c’è: pare abbia la febbre alta. A sostituirlo c’è un giovane, avrà all’incirca venticinque o ventisette anni, che rassicura la madre dicendo che è normale e che dovrà pazientare un po'.
“I bambini hanno i loro tempi.” Asserisce il giovane mentre carezza la testolina di Jimin.
La signora Park lo saluta, gli sorride ma non gli crede. Ritornerà quando il suo pediatra si sarà ripreso.
 
Passano circa due settimane da quella visita. Jimin continua a non parlare e la situazione sembra essere peggiorata: sorride spesso, ma non risponde quando sua madre o i suoi nonni lo richiamano a gran voce. Sua madre è sempre più preoccupata e quando, finalmente, il medico Kim ritorna al suo studio lei è lì con il suo bambino – entrambi avvolti in abitanti pesanti – e con gli occhi velati da una strana paura.
L’uomo cerca di rassicurarla, la fa accomodare nel suo studio e le chiede di spogliare Jimin. Il bambino, nel frattempo, non incrocia mai lo sguardo con il dottore e alza il capo solo dopo tre volte che il suo nome è stato pronunciato.
Alla fine, la sentenza non è delle migliori.
“Non ne sono sicuro, dobbiamo aspettare che passi più tempo. – inizia il dottor Lee, e la signora Park già si agita sulla sedia. – Ma penso che suo figlio soffra di autismo.” Conclude, e la giovane sente il pavimento sparire da sotto i suoi piedi.
Tra le sue braccia, Jimin sorride felice ignaro di ciò che lo attende.
 
Il tempo passa, e Jimin ora ha cinque anni.
La folta chioma nera gli ricade scomposta sulla fronte sudata, ma a lui piace così: sua madre nemmeno ci prova più a chiedergli di tagliarla, sa che quella sua testardaggine è dovuta alla malattia.
Perché da quella supposizione, Jimin non è affatto migliorato: è autistico a tutti gli effetti. Ama tenere le sue cose in un ordine maniacale, ha difficoltà nell’apprendere -  ma la sua insegnante di sostegno lo ama e lo aiuta con ogni mezzo a sua disposizione – e ultimamente ha questa fissa per i capelli.
A cinque anni, Jimin comunica con la madre come se ne avesse tre: frequenta una scuola pomeridiana per uso del linguaggio – la cosa strana è che gli piace anche – ma bisogna andarci con i piedi di piombo poiché si distrae facilmente.
A cinque anni, Jimin preferisce vedere il suo cartone animato preferito fino a tarda notte invece che uscire fuori e giocare con i suoi coetanei. Quei pochi bambini che ha come amici – quelli che non l’hanno guardato male dopo aver capito cosa ci fosse di diverso in lui – adesso sono tutti in vacanza.
Eppure, quando Jimin incurva le labbra all’insù mostrando i suoi dentini, sua madre non può che ricambiare e sentirsi grata.
Grata che Jimin abbia una forma lieve di autismo: che i suoi arti funzionino normalmente, che mangi regolarmente e che non abbia scatti di ira.
E più ci pensa, più ne è grata.
 
“Tesoro, non ce lo possiamo permettere.” La signora Park si porta le mani nei capelli scuri e tira qualche ciocca: suo padre – il nonno di Jimin – deve essersi sbagliato. O lei avrà fatto sicuramente male i conti.
Sono sicura che se accettassi quel terzo lavoro, potrei…
Ma l’uomo sulla settantina, che osserva Jimin ormai quindicenne, le posa una mano sulla spalla.
“Chohee, non pensarci nemmeno. Con tutto l’aiuto che lo Stato ci offre, non potremmo mai pagare quella cifra: è una truffa. Jimin frequenterà le superiori pubbliche, è un ragazzino estremamente capace e sappiamo avrà il suo professore di sostegno.” Conclude l’uomo, e la giovane sospira: sa che suo padre ha ragione – non riuscirebbe a pagare le rette scolastiche – e nonostante abbia fiducia in Jimin, non riesce ad essere pienamente tranquilla. Il suo sguardo si posa proprio sulla figura di quest’ultimo, che sta disegnando in religioso silenzio, i capelli – adesso più corti – gli incorniciano il volto paffutello.
Chohee sorride e sente quel peso sullo stomaco momentaneamente sparire.
 
La seconda settimana di marzo, quando in Corea del Sud le scuole riaprono, Jimin è davanti ai cancelli indossando la sua divisa (comprata un mese prima solo per abituarlo).
Sua madre, al suo fianco, allunga una mano e gli accarezza la guancia mentre sente il cuore battere all’impazzata nel petto. Jimin alza il capo, incrocia per una manciata di secondi lo sguardo della donna e poi si avvia verso il professore che lo sta aspettando sulle scale di entrata: non è la prima volta che si incontrano, e Jimin sorride appena riconoscendo il volto familiare.
Quando le figure di entrambi spariscono all’interno dell’edificio scolastico, la signora Park si lascia andare ad un pianto liberatorio.
Spera che tutto vada per il meglio.
 

***
 

“Ciao Suga!” Alcune ragazze passano affianco ad un giovane dal volto latteo e i capelli castano scuro. Il diretto interessato alza la mano a mo’ di saluto e accenna un sorriso cordiale alle tre studentesse, tra i corridoi della scuola vi è il solito trambusto di inizio anno.
Yoongi si gira a destra e sinistra. Molti sono i volti a lui familiari: ragazzi e ragazze che hanno frequentato le scuole medie con lui, che lo conosco ormai con il nome “Suga” e che lo hanno visto esibirsi con i suoi pezzi rap ogni sabato nel periodo di vacanze. Poi, quando la campanella segna l’inizio definitivo delle lezioni, Yoongi prende posto all’ultimo banco vicino alla finestra.
A poco a poco, i suoi nuovi compagni di classe – ne conosce cinque o sei – entrano e prendono posto anche loro. Solo un banco resta vuoto: l’ultimo vicino al muro. Lì, dove c’è maggiore spazio, è stato infatti ubicato un banchetto di dimensioni leggermente più grandi.
Il ragazzo inizia a chiedersi di chi sarà lo studente che lo occuperà, se è una persona che conosce o meno. E mentre la curiosità lo sta divorando, la porta dell’aula si spalanca rivelando due figure: ci sono un professore ed un ragazzino poco più basso di lui.
“Ragazzi, questo è Jimin. Frequenterà questa classe, siate tutti gentili con lui.” Spiega l’uomo che lo accompagna sorridendo al ragazzo, che però continua a tenere lo sguardo basso e a far ciondolare il capo. Gli altri studenti li guardano un po' spaesati, non recependo al volo. In ogni caso, sorridono tutti e annuiscono. Il professore, allora, decide di condurre Jimin al suo banco e lo fa accomodare in religioso silenzio.
Yoongi, durante tutto il tragitto, non riesce a staccare gli occhi di dosso a quel ragazzino.
 
I giorni passano e Jimin apprende lentamente. La scuola gli piace nonostante la fatica che impiega nel recepire quello che il suo giovane insegnate di sostegno gli spiega: i compagni sembrano cordiali, anche se lui preferisce rimanersene in disparte. O almeno ci prova.
L’unico che cerca in tutti i modi di avvicinarsi al giovane, è quel certo Min Yoongi che lo fissa spesso.
Gli altri studenti l’hanno capito, Jimin è autistico ed ha bisogno dei suoi spazi, e cercano in tutti i modi di aiutarlo senza essere troppo invadente. Ma il castano no, vuole a tutti i costi essergli amico.
Non sa né perché né quando ha preso questa decisione: ha solo iniziato a parlargli di più e a rimanere in classe con lui durante la pausa pranzo. Jimin dal canto suo, non ricambia spesso – ha capito che gli sguardi troppo intensi dell’altro lo mettono a disagio – ma con la testa china, perennemente ciondolante, sorride riordinando accuratamente le sue matite.
 
“Posso mangiare con te?” Chiede un giorno Yoongi, caricandosi di tutto il suo coraggio. Il professor Kim siede alla cattedra, li guarda di sottecchi e sorride intenerito, ma Jimin non presta attenzione alle parole dell’altro. Il castano sa che gli autistici non rispondono ai richiami – lo ha letto su internet – così si siede al suo fianco e lo richiama a gran voce. L’altro, alza finalmente il volto e lo osserva con un’espressione mista tra il sorpreso e l’infastidito: invadere la sua privacy, il suo spazio durante la pausa pranzo è un gesto coraggioso.
Ma il maggiore non demorde anzi, aspetta pazientemente che Jimin si abitui alla sua presenza. E ciò non è una cosa che avviene stesso quel giorno, ma Yoongi è già contento così.
 
E quando circa una settimana e mezza dopo Jimin risponde con un flebile “si” alla richiesta di poter mangiare con lui, Yoongi sente mille fuochi d’artificio scoppiargli nel petto. Prende allora posto, poggia il suo contenitore sul tavolo e ne estrae un primo tramezzino. Jimin, al suo fianco, lo osserva in religioso silenzio mentre continua ad allineare gli spicchi di mandarino che sua madre gli ha fatto trovare nel suo di contenitore.
La pausa pranzo passa in silenzio – il signor Kim siede sempre alla cattedra pronto ad intervenire nel caso ce ne fosse bisogno – ma a Yoongi va bene così.
 

***

 
Il semestre primaverile è quasi giunto al termine e al campus della Yonsei fa già più caldo del solito.
Yoongi e Jimin sono entrambi stesi sul letto, il condizionatore a palla e la tv accesa sul canale di cucina (Jimin adesso è in fissa con i piatti tipici coreani e su come prepararli). Il maggiore, invece, si sposta una ciocca di capelli – ora biondi - dietro all’orecchio ed osserva quello che è il suo migliore amico. Ancora stenta a crederci che stanno frequentando l’Università, assieme: ricorda ancora i giorni in cui i suoi genitori hanno faticato per convincere la signora Park; quello in cui lui e Jimin – anche se i test erano diversi – hanno dato il CSAT ed il fatidico giorno, poi, in cui si sono trasferiti ufficialmente al campus. Un sorriso soddisfatto non può che incurvargli le labbra.
Ogni giorno ripensa alle difficoltà che hanno passato insieme per arrivare fin lì, e non può che pensare al fatto che rifarebbe tutto di nuovo solo per Jimin.
 
“Tu cosa vorresti…fare!?” Yoongi cerca di mandare giù il groppo che ha in gola ed alza il capo incontrando gli sguardi esterrefatti della signora Park e dei coniugi Min: aveva il sentore che potesse essere una pessima idea, ma doveva rischiare.
“Con noi verrebbero anche gli aiutanti del campus, ho già chiesto se potevano aiutarmi durante quei giorni. Inoltre, ho trovato una casa anziché l’hotel affinché Jimin possa stare a suo agio: se lo portiamo in questi giorni, potrà anche abituarsi al nuovo ambiente prima delle due settimane della vera vacanza. Se non siete fiduciosi, Chohee potresti venire con noi.” Spiega il ragazzo ai tre adulti seduti di fronte a lui, gli occhi ricolmi di speranza.
Le vacanze sono ufficialmente arrivate e lui ha ricevuto la macchina che tanto adorava. E quando Jimin l’ha vista i suoi occhi si sono illuminati, come attraversati da una strana luce: e sa che quell’atteggiamento è tipico del ragazzo quando gli piace particolarmente qualcosa. Ed è da quella sera – dopo che ha riaccompagnato a casa Jimin – che ci pensa. Vorrebbe fare una vacanza con lui: vorrebbe far vedere al corvino il mare, fargli affondare le mani piccole e morbide nella sabbia e vorrebbe rimanere con lui a guardare le stelle. E da quel momento, Yoongi si è impegnato nel cercare di tutto: accompagnatori a disposizione di Jimin, l’alloggio ed anche i posti dove mangiare (ha anche organizzato un itinerario da seguire).
E adesso, seduto a quel tavolo, spera che i suoi genitori e la madre di Jimin accettino la sua proposta. Sa che il minore ne ha bisogno, che si merita di vivere quelle esperienze di svago come ogni ragazzo di vent’ anni.
“Io…io non lo so. Voi cosa ne dite?” Chiede titubante la madre del biondo, la mano destra che stringe quella del marito in cerca di conforto. Chohee osserva prima i signori Min e poi Yoongi: è così combattuta. Deve molto a quel ragazzino, è consapevole di quanto il giovane tenga a Jimin e sa anche che il suo bambino – se così può ancora chiamarlo data l’età – merita di scoprire il mondo. Di non rimanere bloccato a casa a causa della sua malattia.
Ed è forse proprio quel pensiero che la spinge ad annuire – a patto che le venga fatto una telefonata ogni ora – e a lasciare che la domenica suo figlio e il maggiore si rechino alla casa per far abituare il ragazzo.
La signora Park sa, inoltre, che Jimin merita un amore diverso da quello di una madre per il proprio figlio. Ed ha come il presentimento che Yoongi possa donare quel genere di affetto.
 
Il giorno della partenza vera e propria, è finalmente arrivato. La destinazione non dista molto da casa – due orette scarse di macchina – ma Yoongi freme all’idea.
Finalmente.
“Mi raccomando!” Urlano i suoi genitori e la signora Park prima di vedere effettivamente sparire la macchina dietro le fronde degli alberi che coprono la curva del vialetto.
Jimin siede al fianco dell’amico, il capo chino che ciondola appena. All’improvviso intona un motivetto – probabilmente una canzone che ha ascoltato giorni prima sempre seduto sul sedile di quella vettura, il biondo ha l’abitudine di accendere sempre la radio – e poi, rivolge il suo sguardo sorridendo all’amico. Gli occhi ridotti a due mezzelune, le guance paffute in risalto.
“Grazie.” Biascica sempre con quel suo tono infantile, e Yoongi costudisce quella parola come la più bella della sua intera vita.
 
Il giorno seguente al loro arrivo, meno stanchi e con la presenza dei due accompagnatori, – due ragazzi poco più grandi di loro che fanno parte dello staff del campus – Yoongi e Jimin si recano nel cuore della cittadina per poter girovagare tra le strade ricche di colori e profumi provenienti dalle bancarelle. Si fermano ad assaggiare spesso qualche prelibatezza preparata dalle ahjumma dal sorriso sempre cordiale, e fanno avanti e dietro da diversi negozi. Il biondo si accorge di come Jimin apprezzi tutto quello – anche se la folla lo infastidisce leggermente e tiene lo sguardo basso quando si avvicinano a qualche bancarella – e non può che sorridere soddisfatto.
Quando giunge la sera, i quattro ragazzi fanno ritorno alla casa: la stanchezza si fa sentire nell’esatto momento in cui si privano delle scarpe all’ingresso.
“Yoongi! – i due ragazzi dello staff richiamano il ragazzo. – Avevamo pensato di fare un bagno caldo a Jimin e poi di cucinare, ma ci siamo accorti che mancano delle cose per preparare la cena.” Il biondo ci pensa prima di sorridere ai due.
“Se volete, preparo io il bagno a Jimin. Non è la prima volta che lo aiuto a lavarsi, di sicuro sareste più bravi di me a cucinare.” Sentenzia e, dopo accenni di consenso non proprio sicuri dei due, vede i ragazzi rinfilarsi le scarpe e sparire dietro la porta di casa. Nel frattempo, il biondo si dirige in bagno per poter aprire l’acqua e lasciarla scorrere affinché raggiunga la giusta temperatura. Mentre la vasca si riempie, si sposta in camera per poter portare Jimin in bagno e aiutarlo a spogliarsi. E quando i suoi occhi si soffermando sulla pelle nivea e candida di Jimin, che sente quel tonfo al cuore.
Come sempre.
Il solo pensarci lo fa arrossire – perché diamine! Jimin è il suo migliore amico – ma ogni volta che il suo sguardo si posa sulla pelle del maggiore, Yoongi trattiene questa irrefrenabile voglia di poter posare il suo capo nell’incavo del collo di Jimin.
Ogni volta, pensa che quello potrebbe essere il suo luogo sicuro.
 
Quella è l’ultima sera delle loro due settimane di vacanze ed hanno deciso di passarla sulla spiaggia. Non vi è molta gente – per fortuna è un giovedì quindi non c’è il pienone del weekend – ed un leggero venticello scompiglia i capelli di entrambi. Ci sono solo Jimin, Yoongi ed un cielo blu con poche stelle ma ben visibili: il maggiore ha gentilmente chiesto ai due ragazzi dello staff di non rimanere con loro – dovrebbe essere grato ai suoi hyung per tutta la pazienza che hanno avuto in quelle due settimane – e ha promesso che avrebbe chiamato nel caso ce ne fosse stato bisogno.
“Mi piacciono.” Sussurra Jimin, gli occhi spalancati fissi ad osservare le stelle. Yoongi lo osserva come rapito: lo sguardo assorto e le labbra incurvate all’insù di Jimin gli fanno aumentare i battiti del cuore.
Più lo guarda e più si trova a pensare che sia la creatura più bella esistente sulla faccia della Terra. Ed è, forse, in quel preciso momento che realizza.
Jimin gli piace, ed anche tanto.
I minuti passano troppo lentamente per il maggiore, che sente il cuore accelerare la sua corsa e i palmi delle mani sudate. Non può essere, ed invece è proprio così: Jimin gli piace. Gli piace così tanto che farebbe di tutto pur di vederlo felice, e questa realtà lo impaurisce perché sa che non sarà mai ricambiato: Jimin sembra provare poche ma forti emozioni, ma tra queste vi è solo un profondo sentimento di affetto per le persone a lui care.
Dell’amore, neanche l’ombra.
 
Eppure, quando Jimin si gira e lascia la testa ciondolare prima a destra e poi a sinistra, Yoongi non può nemmeno lontanamente immaginare una vita senza quel ragazzo.
Quando Jimin si gira e gli sorride facendogli vedere il suo dente leggermente spezzato dopo una partita di pallone, Yoongi non può che sorride a sua volta ed avvicinarsi maggiormente al viso del minore.
Quando le sue labbra sfiorano quelle di Jimin in un bacio casto, Yoongi non riesce proprio a sentirsi in colpa per quel suo gesto.
E quando poi appoggia la testa nell’incavo del collo del corvino, Yoongi si sente finalmente al sicuro.
Finalmente a casa.







 

 

Spero che riconosciuta l'autrice, chiunque segua la mia storia non ci sia rimasto male nell'apprendere che questo non è un nuovo capitolo. Sappiate però, che ci sto lavorando per poterlo pubblicare entro domani (si spera!).
​Questa nasce come una vmin per una mia amica, ma riadattata prima di pubblicarla: rimango pur sempre una sostenitrice sfegata della yoonmin!
​Spero, quindi, vi sia piaciuta e fatemi sapere cosa ne pensate (le critiche sono ben accettate!).
​Scusatemi per eventuali errori.
​Bacioni, Sam.

   
 
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