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Autore: Luana89    09/09/2017    0 recensioni
«Perché?». Mi guardò dubbiosa.
«Perché cosa?»
«Perché rimani se odi l’idea di mostrarmi il tuo corpo?». Ero sinceramente curioso.
«Perché .. – una pausa, le sue dita sul gancio del reggiseno. Lo tolse – preferisco questo piuttosto che..»
«Piuttosto che?»
«Tornare in quella casa». Le dita sottili e dalle unghie corte e colorate sfilarono via le mutandine. Nuda e imperfetta.
«Lo preferisco anch’io». Continuò a fissarmi dubbiosa, non capiva se parlassi di lei o di me stesso. Non avrei comunque esaudito la sua curiosità. Per il momento. Le indicai il divano, la prima cosa che fece fu coprirsi con il lenzuolo.
«Come devo mettermi? Insomma c’è qualche posa precisa..?» quando era nervosa parlava velocemente, memorizzai anche quel dettaglio.
«In effetti si». Mi avvicinai a lei, la costrinsi a sedersi e piegare le ginocchia al petto, il lenzuolo cadde appena scoprendole un seno. Le braccia abbandonate mollemente, le dita che accarezzavano i piedi candidi, le spalle ricurve come se portasse addosso il peso del mondo e il viso chino e appena rivolto alla finestra.
«Questa non è una posa..»
«Lo è. E’ la tua». Mi guardò e stavolta ero sicuro avesse capito. Era così che la vedevo, un’anima stanca e ferita. Come me?
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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XII



Non riuscivo a credere ai miei occhi, era lì chinato sulla mia scrivania come se il tempo non fosse mai passato. Sbattei le palpebre provando a riprendermi dallo shock riservandogli la mia occhiata più fredda, ma questo sembrò solo divertirlo.
«La tua partner potrebbe prendersi una pausa?» Parlava a Lanny ma fissava me, sentii il mio collega sospirare nervoso evidentemente Aj non indisponeva solo me.
«Ho per caso scritto in fronte ‘’baby-sitter’’? Mi chiedi il permesso?» Aj sporse le labbra pensieroso, oscillando lievemente il capo come se fosse in difficoltà, sapevo che era tutta scena.
«Beh.. se in fronte avessi scritto ‘’baby-sitter’’ agevolerebbe i tuoi lavori sotto copertura, peccato si senta la puzza di sbirro a distanza, ecco perché i piccoli criminali scappano prima che tu possa prenderli». Mi alzai di scatto come se avessi le molle ai piedi, la sedia di Lanny si mosse irruentemente. Allargai le braccia fulminandoli con un’occhiata.
«Okay, piantatela. Esci di qui». Mi sorrise e il mio cuore fece una piccola capriola, mi diede le spalle muovendosi con la sua solita aria sicura senza curarsi se lo seguissi o meno, come se ne fosse già certo. Ignorai le domande negli occhi di Lanny sgusciando via prima che potesse espormele verbalmente e mettermi in una posizione scomoda.
Trovai Aj poggiato contro il muretto fuori la stazione, ebbi uno strisciante senso di disagio, ricordava quasi il nostro primo incontro. Pensavo di avere così tante cose da dirgli, ma quando me lo ritrovai di fronte i miei pensieri si ingarbugliarono e persero prima ancora che riuscissi a portarli fuori.
«Hope Kurtzman detective a Manhattan, questo si che è assurdo.» Le mani in tasca, gli occhi verdi e luminosi mi squadrarono da capo a piedi. Incrociai le braccia al petto con aria sostenuta.
«E tu? Chi sei tu, Alexander Junior Roosevelt?»
«Chi pensi io sia?» Sospirai seccamente.
«Non rispondere con altre domande.» Mossi un passo e un altro ancora.
«Siamo nel pieno di un interrogatorio?» Inarcò un sopracciglio senza muoversi dal proprio posto, come se non temesse la mia vicinanza.
«Sei venuto qui a che pro? Farti due risate alle mie spalle?» La mia voce perse la consueta calma.
«Sono venuto qui per te. Per vederti, e spiegarti.» Sorrisi sprezzante.
«Spiegare? Spiegare cosa? Il perché sei sparito da una camera d’ospedale senza più cercarmi?» Assottigliai lo sguardo deglutendo con fatica, le emozioni prendevano sempre il sopravvento con lui di fronte. Per la prima volta lo vidi fissarmi con una traccia di amarezza e ..rimpianto? Non riuscivo a qualificarlo, era tutto così assurdo, era finalmente lì potevo toccarlo soltanto allungando una mano. Non lo feci.
«Questa è una delle tante cose, si.» Incrociò le braccia al petto, l’aria prevenuta. Era ancora lo stesso.
«Magari non mi importa più saperlo, non ci hai pensato?» Feci una pausa tattica osservandolo, non si scompose. «Sto con una persona adesso sai? Lui non ha misteri, non sparisce senza spiegazioni, lui mi ama..»
Mi sorrise con così tanta ironia e divertimento che la mia voce si perse prima ancora di aver finito: «Non è divertente? Somiglia a una sorta di dejà-vu, quando ti incontro stai sempre con qualcuno, e alla fine preferisci me.» Si chinò dall’alto del suo metro e novanta, il solito sorriso beffardo.
«Le cose sono cambiate.» Sul serio? Sembrò pensare la stessa cosa mentre mi fissava scettico, alla fine raddrizzò la schiena umettandosi il labbro, ne seguii il movimento quasi affascinata.
«Credo mi sposerò entro la fine dell’anno.» Mossi un passo indietro come se mi avesse appena schiaffeggiata, fu un riflesso involontario della quale mi pentii.
«E sei qui per cosa? Darmi l’invito? Mi dispiace, ho un impegno quel giorno.» Lo rimbeccai acidamente e ottenni solo la tua risata di scherno.
«Diciamo che non ho ancora la cosa più importante: una donna. Ma credo che mia sorella stia già vagliando parecchie candidate, vuoi che ti aggiunga alla lista?» Le mie orecchie fischiarono, non sapevo per cosa essere più sconvolta.
«Hai una sorella?» Annuì seccamente.
«Ha undici anni più di me, te l’ho già detto: ci sono tante cose da chiarire.» Mi fissò e vidi la gravità dipinta sui suoi lineamenti.
«Speranza.. come hai fatto? Ho visto quel quadro ridotto a brandelli.» Un lampo di dolore passò ad alterare i lineamenti controllati del suo viso.
«Ti ho ridipinta.» Scossi il capo.
«Impossibile, era così preciso quel quadro, non avresti potuto..» mi si avvicinò.
«Eppure è così, senti Hope..» la sua mano toccò il mio braccio, mi scostai con troppa irruenza. Ero così sconvolta che persino un semplice tocco mi avrebbe fatto dissolvere lì all’istante. Lo ferii, i suoi occhi freddi ma non abbastanza da camuffarlo.
«Non mi farò prendere in giro ancora da te, lasciami in pace.» Mi allontanai in fretta senza più voltarmi, ad ogni respiro mi ripetevo di aver fatto la cosa giusta, di non aver sbagliato nulla. Ma se era così davvero, perché rischiavo di soffocare per le lacrime accumulate in gola?
 
***
 
«Odio i doppi turni.» Il sospiro di Lanny mi giunse attutito, seduta sul sedile del passeggero continuavo a fissare oltre il finestrino, provando a non farmi schiacciare dal senso di inadeguatezza che sentivo accumularsi dentro le mie ossa. Erano passati tre giorni, non avevo avuto più sue notizie e avevo evitato di raccontare tutto a Nicole. Non aveva quindi intenzione di cercarmi ancora? Mi diedi dell’imbecille per quel pensiero, a che gioco pensavo di giocare? Tocca e fuggi? Se avessi voluto davvero quelle risposte sarei rimasta con lui, invece ero fuggita come la peggiore delle codarde e la più stronza delle rancorose.
«Eccoli ancora, quei piccoli bastardi.» Mi voltai posando i miei occhi sul bordo della strada malandata, i due ragazzi intenti a parlottare tra loro. Sospirai stancamente facendo segno a Lanny di fermare l’auto cosa che fece scendendo subito dopo. Lo seguii spostando appena il giubbotto, lasciando che il distintivo spiccasse, come se le nostre facce non fossero abbastanza eloquenti.
«Okay bamboli, fermi lì e facce contro il muro dai.» Alzai appena la voce fissandoli beffarda, era già la seconda volta che fermavamo uno dei due per possesso di droga, ormai conosceva i suoi diritti meglio di noi poliziotti. Il piccolo pusher sbuffò rivolgendosi all’amico, disse qualcosa e per me fu abbastanza.
«NO.» Urlai nello stesso istante in cui si diedero alla fuga, maledetti bastardi. Mi dolevano le gambe, ero stanca e loro pensavano bene di distruggermi?
«VI CONVIENE FERMARVI CON LE BUONE.» La voce di Lanny mi arrivò vicinissima, mi voltai vedendolo alle mie calcagna, ebbi il tempo di voltarmi nuovamente per vedere uno dei due gettarmi addosso una schifosissima pattumiera, la evitai con un’imprecazione correndo ancora più veloce. Girarono a destra e io li seguii, la strada finiva con un’inferriata che gli stronzi stavano pensando bene di saltare, mi avventai sul primo sbattendolo contro le grate che produssero un rumore stridente.
«Fine della corsa Romeo.» Respirai profondamente fissando l’altro ragazzo già in manette, le misi al suo compare facendoli voltare, afferrandogli la borsa con uno strattone.
«Siete dei crampi in culo.» Fissai il più bassino con occhi risentiti aprendo la borsa, dentro vi era cocaina e anfetamina, abbastanza per farci un bel gruzzolo.
«E non hai visto i miei colleghi alla stazione, muovetevi.» Gli afferrai il gomito costringendolo a camminare.
«Non mi perquisisci, poliziotta? Inizia da qui.» Mosse oscenamente il bacino con una risata sguaiata, ero abituata alle battute sessiste. Il più alto dei due restò in stoico silenzio, sembrava nuovo del giro.
«Possesso illegale di droga e oltraggio a pubblico ufficiale, Lanny pensi che riusciamo a mandarlo in galera?» Lo sentii imprecare, l’umorismo gli era finito.
 
Seduti di fronte a me non sembravano in vena di collaborare, nonostante Paul – il pusher nano –  ormai fosse un veterano era l’altro a colpirmi. Aveva un qualcosa di familiare, forse gli occhi o i lineamenti così straordinariamente belli.
«La vendi con lui?» Mi fissò truce e io ebbi un mancamento, non era possibile.
«No, ero lì solo per acquistare qualche pasticca, stasera c’è una festa all’upper east side.» Annuii meditabonda, i figli di papà amavano viziarsi con quella merda. Il più basso non parlò. Un brusio si levò dalla sala, sollevai gli occhi e la mia mascella rischiò di cadere. Mi veniva incontro ma non mi fissava, neppure un piccolo saluto o un accenno, niente di niente mentre andava dritto verso il ragazzo alto e dall’aria familiare.
«Combinare guai sembra la tua vocazione.» Sorrise freddamente sollevandogli il mento con due dita, forse pensava l’avessimo picchiato. Il ragazzo scostò con uno schiaffo la sua mano.
«Dicono io abbia preso dal migliore.» Sorrise e io capii il perché mi suonava così familiare, era identico all’uomo in piedi accanto a se. Aj guardò Lanny.
«Ho pagato la cauzione, può andare suppongo, no?»
«A mio parere una notte in prigione non gli farebbe male, per niente.» Aj sorrise sprezzante sollevando quasi di peso il ragazzino.
«Lanny, il tuo parere è irrilevante persino a tua moglie. Chiediti il perché.» Non aspettò le imprecazioni dell’uomo, limitandosi a uscire. Non mi aveva fissata neppure una volta, come se fossi trasparente.
«Buon sangue non mente, maledetti bastardi.» Lanny gettò dei fascicoli a terra con rabbia.
«Chi era quel ragazzo?» Mi fissò con aria stanca, secondo il suo parere dovevo conoscere ogni riccone di NYC.
«Bryan Roosevelt, ovviamente. Il nipote di quel bastardo, il figlio di Kristine la primogenita della famiglia Roosevelt.»

 

AJ

 
In auto non volava una mosca, spinsi il piede sull’acceleratore e l’auto obbedì senza nessuno sforzo. Stringevo con le mani il volante provando a elaborare un discorso che sortisse un qualche tipo di effetto.
«Mamma lo sa?» Sorrisi ambiguamente.
«Lo saprà presto, e tu mio carissimo nipote sei nella merda.» Lo fissai eloquente e mi beccai una scrollata di spalle indolente. Doveva per forza somigliarmi così tanto? Era fastidioso.
«Non credo, se ne dimenticherà presto.» Lo guardai con commiserazione.
«E’ per questo? Pensi che combinando guai lei finisca col notarti? Bryan è tua madre, lei ti noterà sempre.» Kristine si occupava delle filiale estere dei nostri alberghi, sempre in viaggio e sempre concentratissima con la propria carriera, non era cambiata di una virgola negli anni.
«Tu dici? Tra una settimana è il mio compleanno, ha detto che non riuscirà a tornare dagli Emirati.» Strinse il pugno fissandomi rabbioso.
«Tua madre non è venuta a trovarmi nemmeno una volta in clinica, era sempre troppo impegnata e io pensavo mi odiasse.»
«Ed è così?» Il suo sguardo dolente mi ferì, sospirai scuotendo il capo.
«No. Mi ama moltissimo, lo vedo ogni volta che ci fissiamo, quando tornai qui otto anni fa mi disse: Ero sicura saresti tornato, ti aspetto da anni.» Il silenzio piombò nell’abitacolo.
«Io sono suo figlio, io ho diritti..» provò a protestare ma venne stoppato dalla mia risata.
«Hai molti diritti, ma non dubitare del suo amore. Ciò che fai lederà solo te stesso, la droga, le pessime compagnie ti ridurranno uno straccio. Vuoi diventare l’ombra di te stesso?»
«Tu non lo sei, hai vissuto una vita assurda eppure guardati.» Non seppi cosa rispondere, mi fissavo spesso e non riuscivo a vedere l’uomo grandioso che Bryan pensava di conoscere.
«Preferisco guardare te, sei molto più avvenente, mi hai soffiato il primato.» Ridemmo di gusto stemperando la tensione.
«Non credo, ho visto come ti guardava la poliziotta. Hai presente? Quella bella, coi capelli scuri..» non avevo bisogno di dettagliate descrizioni per ricordarla. Mi era costato uno sforzo disumano non fissarla e trascinarla ancora fuori da lì.
«Ah si? Allora dovrei proprio invitarla a uscire con me.»
«Mamma ti strapperà i coglioni se non prendi moglie, quindi si ti conviene trovarti qualcuno alla svelta, anche la poliziotta manesca.» Una smorfia alterò i lineamenti del mio viso, avere trent’anni era dura.
 
«Come sta andando la mostra?» Mi sedetti sulla poltrona, i piedi sopra la scrivania e lo sguardo fisso su alcuni registri.
«Più che bene, vogliono acquistare ‘’Speranza’’.» Sollevai gli occhi senza dire nulla reclinando appena il capo, lasciai cadere i registri sulla scrivania lasciando che producessero un rumore secco.
«Conosci già la mia risposta Kevin, perché quindi continui a chiedermelo?» Lo vidi sedersi di fronte a me, eravamo amici da una vita.
«Perché hanno offerto due milioni di dollari.» Sporsi le labbra pensieroso e alla fine sorrisi.
«Neppure ventimilioni basterebbero.»
«Neppure se fossi Picasso te ne offrirebbero tanti, stronzo arrogante.» Sollevai le mani in gesto di resa.
«Speranza non è in vendita, fine della discussione. Piuttosto come stanno procedendo i preparativi della festa?» Si sbottonò l’unico bottone della giacca sospirando.
«Bene, tua sorella mi snerva in video chat per avere sempre l’ultima parola sull’allestimento, e quel piccolo stronzetto di tuo nipote continua a scartare le proposte per il buffet. Alex, la tua famiglia mi snerva, ho bisogno di uno psichiatra.» Scoppiai a ridere accarezzandomi la guancia lievemente ispida.
«Troverò il modo di far tornare Kristine, Bryan ha bisogno di lei.»
«Saggia scelta, un’altra denuncia e le manette gliele salderanno ai polsi.» In effetti non aveva tutti i torti.
«Ha scelto già la mia accompagnatrice, vero?» Sollevai un sopracciglio e Kevin sbuffò, non era molto d’accordo con quella storia. Come biasimarlo? Chiunque avesse una relazione con me finiva con il soffrire, come Hope. Il suo ricordo mi mozzò il respiro.
«La figlia del senatore James, hai presente no? Devi solo scambiare tre parole con lei, piuttosto che due come col resto degli invitati.» Allargò le braccia indolente.
«Okay, facciamolo. Ah, devi spedire un invito per me.» Sorrisi ambiguamente e Kevin si mosse nervoso sulla sedia, si fidava poco e faceva quasi sempre bene.
 

Hope

 
Le chiavi tintinnarono tra le mie dita, aprii il portone entrando dentro l’androne illuminato e pulito dirigendomi come di consuetudine verso la cassetta delle lettere. Bollette, coupon, pubblicità e.. il cartoncino elegante scivolò lungo le mie dita, era lievemente ruvido al tatto. Non salii a casa aprendolo direttamente lì, e ciò che lessi provocò in me una vampata di rabbia mista a sorpresa. Una sorpresa fin troppo piacevole per i miei gusti. Girai il cartoncino e il suo numero di cellulare spiccava sul bordo marginalmente, sorrisi sprezzante componendo il numero.
 
– Sul serio?
– Bryan vuole ringraziarti per le adorabili ore insieme.
– Non verrò.
– Va benissimo.
– ….
– Volevi ti supplicassi per caso?
– Posso portare chi voglio?
– A dirla tutta no, ma se proprio ci tieni..
– Potrei tenerci, si.
– Hope.
– Non chiamarmi così.
– E’ il tuo nome.
– ….
– Sono riuscito a baciarti ad una festa con Juan a pochi metri. Puoi portare chiunque, lo sai che niente mi ferma.
–Tu.. TU SEI UN LURIDO.. PRONTO?? AJ?
 
Riattaccai spingendo più del dovuto contro lo schermo, avrei voluto romperlo in mille pezzi. Ma chi diamine si credeva di essere? Detestavo la tua arroganza. Qualcuno alle mie spalle respirò profondamente, mi venne la pelle d’oca e istintivamente mi bloccai.
«Hope..» avrei riconosciuto quella voce tra mille.
«Mamma..?» Mi voltai e il telefono cadde contro il pavimento. 

 
  
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