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Autore: LazySoul    09/09/2017    2 recensioni
Trama:
Diana ha 17 anni, è la secondogenita dell'Alpha ed è trattata da tutti come una bambina.
Nel tentativo di dimostrare di essere grande abbastanza per combattere e difendersi da sola, chiederà aiuto alla persona che più la confonde, suscitando in lei sentimenti contrastanti, Xavier O'Bryen.
Tra uno spasimante indesiderato, una migliore amica adorabilmente pazza e un assassino in circolazione, riuscirà Diana ad accettare i sentimenti che prova per Xavier?
Estratto:
«Sei giovane, ancora non hai imparato che spesso gli odori celano delle emozioni», spiegò, appoggiandosi al materasso con le mani e avvicinando il viso pericolosamente al mio: «E sai cosa mi sta urlando il tuo odore in questo preciso istante?», mi chiese, anche se era palese che non si aspettasse una risposta.
«Prendimi», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo V: Proprio un caro ragazzo

 


La pizza mi rimase sullo stomaco durante le due interminabili ore di spagnolo, minacciando ogni pochi secondi di percorrere al contrario il tragitto che l'avevo costretta a seguire solo pochi minuti prima.

Frida era preoccupata per la mia salute e ogni tanto mi appoggiava la mano sulla spalla e mi chiedeva come stessi, dato che mi vedeva pallida.

«Non bene», «Mi sento uno straccio», «Una favola» (con tono ironico, ovviamente), «Potrei vomitare da un momento all'altro», «Ho la nausea», erano le risposte più gettonate.

Ma malgrado la mia sofferenza non la lasciai annoiare durante la lezione e giocai a tris con lei per la maggior parte del tempo, ovviamente facemmo entrambe attenzione a non essere viste dalla Perez, altrimenti avrebbe iniziato uno dei suoi monologhi infiniti che iniziavano sempre con le sei parole magiche: «Pero chicos un poco de respeto...» e continuavano poi per almeno quindici minuti, durante i quali parte della classe proprio non la ascoltava, nell'altra metà c'era chi la ascoltava ma non era minimamente toccato emotivamente dalle sue parole e chi invece si sentiva in colpa subito dopo aver sentito la parola "respeto".

Dopo averci fatto un'ampia panoramica sugli scrittori della "Generación del '27", sciorinò i nomi dei poeti più importanti e ci chiese di scegliere un compagno con cui svolgere la ricerca, mentre lei scriveva i nomi su dei biglietti e ci faceva pescare a caso dal suo cappello di lana l'autore che avremmo dovuto approfondire.

Lasciai che fosse Frida a tentare la sorte, mentre io cercavo di sopravvivere al forte dolore allo stomaco.

L'autore che avremmo dovuto approfondire e presentare di fronte alla classe era Luis Cernuda, avevamo una settimana e mezza di tempo per preparare la ricerca e la completa disposizione della professoressa nel caso avessimo avuto bisogno di aiuto.

Prima che suonasse la campanella, mi misi d'accordo con Frida e decidemmo di vederci mercoledì pomeriggio dopo scuola e sabato, prima della festa di Paul Ling, per lavorare al progetto.

«Stammi bene, Diana», mi salutò Frida, quando uscimmo dall'aula, lei diretta al suo armadietto e io al mio.

«Cercherò di sopravvivere», la rassicurai, facendole ciao-ciao con la mano.

Posai i libri nel mio armadietto, controllando le lezioni che avrei avuto il giorno dopo e decidendo di portarmi a casa solo il libro di letteratura inglese; le pagine per la verifica del giorno dopo non si sarebbero studiate da sole, sfortunatamente.

«Hai una brutta cera», mi informò Sab, mentre uscivamo da scuola, dirette alla fermata dell'autobus.

«Tutta colpa della pizza, la cuoca ha provato ad avvelenarmi», mi lamentai, portandomi una mano allo stomaco che, imperterrito, continuava a emettere rumori imbarazzanti.

Oltre alla nausea, mi sentivo vagamente in colpa per non aver raggiunto Xavier in palestra, dopo le lezioni, come lui mi aveva chiesto. Una parte di me continuava a chiedersi cosa sarebbe accaduto se fossi andata, anche se non era difficile immaginarlo; per quanto cercassi in tutti i modi di impormi un minimo di contegno, non avevo mai provato una tale attrazione fisica nei confronti di un ragazzo e sapevo con assoluta certezza che trovarsi da sola con lui non avrebbe portato a nulla di buono.

Ero ovviamente una ragazza dotata di autocontrollo, ma tendevo a lasciarmi spesso trasportare dall'istinto senza pensare più di tanto alle conseguenze, quindi dovevo cercare di tenere le distanze da Xavier per il tempo necessario a schiarirmi le idee.

«Diana?», mi chiamò Isabel, passandomi una mano di fronte agli occhi: «Hai sentito quello che ti ho detto?»

Con le gote arrossate per l'imbarazzo, scossi la testa: «Scusa, Sab. Ero persa nei miei pensieri», ammisi, sistemandomi il cappello di lana in testa nel tentativo di non mostrarle troppo il rossore sul mio viso; Isabel era brava a leggermi nel pensiero, ci mancava solo che intuisse a cosa stessi pensando fino a cinque secondi prima.

«Ho detto», iniziò lei, con tono leggermente alterato (odiava non essere ascoltata): «che dovresti andare a casa e prepararti qualcosa di caldo, una bella tisana depurativa magari. Dovrebbe aiutarti a stare un po' meglio».

Annuii: «Hai ragione».

L'autobus spuntò all'orizzonte e tirai un involontario sospiro di sollievo, qualche minuto e sarei stata lontana dalla scuola, ma soprattutto lontana dalla palestra. Stavo fuggendo da Xavier, era imperdonabile la mia vigliaccheria, ma non ero nelle condizioni fisiche adeguate per poterlo affrontare, o almeno stavo provando a convincermene.

Una forte fitta allo stomaco mi fece storcere il naso e stringere le mani a pugno, con le unghie conficcate nella pelle dei palmi.

«Dio, Wood, hai un aspetto orribile», esclamò Francine, con una smorfia di disgusto sul volto: «Più del solito, intendo».

Sab si mise tra di noi, le braccia incrociate e uno sguardo di fuoco: «Non è corretto attaccare quando l'avversario non è in grado di difendersi».

La bionda sollevò un sopracciglio e sorrise malignamente: «Drake, sempre in mezzo, vedo, pronta a difendere le cause perse».

Per chi non conosceva Isabel e la difficile situazione con sua cugina, Ann, il commento di Francine sarebbe parso un po' scialbo, privo della cattiveria che ci si aspetterebbe dalla regina delle stronze, ma io sapevo perfettamente dove la bionda voleva andare a parare e non le avrei permesso di dire una parola di più.

«Oh, Francine, penso che tu abbia dimenticato uno dei tuoi calzini nello spogliatoio; ti sei dimenticata di imbottire una delle coppe del reggiseno», dissi con la mia voce da zombie, bassa e sofferente.

Venni premiata del mio sforzo dall'espressione sconvolta e imbarazzata della bionda che, con gli occhi sbarrati si controllò subito il petto, facendo ridere sotto i baffi Sab e un paio di persone intorno a noi che avevano origliato la nostra conversazione.

Per fortuna in quel momento l'autobus accostò di fronte a noi e, senza degnare Francine di un altro sguardo, salii con Isabel e mi sedetti accanto a lei nei nostri soliti posti.

«Non c'era bisogno che intervenissi, me la potevo cavare benissimo da sola», borbottò Sab, l'espressione corrucciata e le mani strette a pugno.

«Lo so, lo stesso vale per te», replicai, con un debole sorriso sulle labbra.

Isabel riuscì a tenermi il muso per poco più di dieci secondi, prima di rilassarsi contro il sedile e lanciarmi uno sguardo d'intesa, sostituito da uno colmo di preoccupazione: «Hai davvero una brutta cera».

Alzai gli occhi al cielo, e poi li chiusi: «Smettila di constatare l'ovvio».

Il resto del viaggio lo passammo in silenzio, Sab scese tre fermate prima di me, ma prima di andarsene mi fece promettere di non morire e di scriverle appena mi fossi sentita meglio, le promisi che avrei fatto il possibile e le augurai un buon pomeriggio.

Pimpante e allegro - troppo allegro per i miei gusti - arrivò mio fratello a prendere il posto di Isabel accanto a me.

«Sorellina, stai bene?», mi chiese, mentre si sfregava le mani per scaldarsele.

«Una meraviglia», gracchiai, le mani premute contro la pancia e gli occhi socchiusi per il dolore.

«Sei in quel periodo del mese?», mi chiese con un filo di voce e fare cospiratorio: «Questo spiegherebbe anche il tuo caratteraccio di ieri sera».

«Sono stata avvelenata dalla pizza della mensa», gli spiegai, sperando di zittirlo.

«La solita esagerata», sbuffò con un sorriso: «Allora, passato una piacevole giornata?»

Il suo sguardo ammiccante mi fece sentire ancora peggio; non riuscivo a capire dove volesse andare a parare.

«Direi di no, come puoi notare, sto male», mugugnai.

Kyle alzò gli occhi al cielo: «Certo. Oltre al male, ti sei divertita?»

«Sono andata a scuola, non a Disneyland», cercai di farlo ragionare, mentre ringraziavo la breve distanza che ci separava dalla nostra fermata: «Divertirsi non è tra le cose che solitamente ci si aspetta dalla scuola».

Mio fratello sbuffò: «Nemmeno durante l'ora di ginnastica?», mi chiese, ammiccando.

Ah, ora capivo dove voleva andare a parare.

Fu il mio turno di alzare gli occhi al cielo e sbuffare: «Ovvio, non mi sono mai divertita tanto», dissi in tono sarcastico, mentre mi alzavo e lo seguivo giù dall'autobus.

«Dovevi vedere come si sono illuminati gli occhi di O'Bryen quando gli è stato offerto il lavoro d'insegnante di ginnastica, sai, per mantenere le apparenze...»

«Immagino», gli diedi corda, sapendo perfettamente che smorzare il suo entusiasmo non sarebbe servito a niente.

«E ancora non sai la parte migliore», continuò lui, lanciandomi un'occhiata che mi fece sudare freddo; ero certa che qualsiasi cosa stesse per dire non mi sarebbe piaciuta affatto.

«Papà, per tenere d'occhio O'Bryen, gli ha permesso per un paio di giorni, giusto il tempo necessario per trovare una soluzione alternativa...»

Fu costretto a lasciare la frase in sospeso a causa del forte rombo di una moto che ci superava, fermandosi davanti al garage di casa nostra.

Quando il motociclista si tolse il casco, rimasi con un'espressione da pesce lesso a fissarlo.

«... a restare nella nostra camera degli ospiti».

Xavier O'Bryen mi fissava a pochi metri di distanza a cavallo di una moto nera sul cui serbatoio del carburante spiccava in bianco la scritta Ducati.

«Una Monster 797», disse mio fratello con tono sognante: «Ha promesso di farmela provare».

«Questa giornata non fa che migliorare», mi lamentai, con le guance arrossate dall'imbarazzo e dalla malattia.

Mentre ci avvicinavamo alla porta d'ingresso cercai in tutti i modi di non pensare alle frecciatine e alla conversazione che avevo avuto con Xavier quella mattina, concentrando tutta la mia attenzione sul dolore alla pancia.

«O'Bryen», lo salutò mio fratello, fermandosi accanto a lui e alla moto.

Io ebbi giusto la forza di alzare lo sguardo e constatare di essere al centro dell'attenzione con gli occhi di mio fratello e del suo nuovo "migliore amico per la pelle" puntati addosso. Feci ad entrambi un gesto veloce col capo e poi entrai in casa, dove il calore della stufa mi fece sentire istantaneamente meglio.

«Sta male?», sentii chiaramente la voce di Xavier chiedere e, chissà perché, la sua preoccupazione nei miei confronti mi rese un po' meno infastidita dalla sua presenza.

Non rimasi però a origliare, dirigendomi verso il salotto, dove trovai mia nonna intenta a guardare la sua telenovela preferita.

«Diana, hai un aspetto orribile», esclamò la nonna, vincendo il premio originalità della giornata, prima di alzarsi e venirmi incontro, accompagnandomi con apprensione fino al divano che aveva da poco abbandonato.

«Siediti qua», mi ordinò, sprimacciando per bene i cuscini: «Dove hai male?»

«Allo stomaco, il pranzo non vuole farsi digerire», mi lamentai.

Fu facile farle pena e convincerla a prepararmi una tisana calda, mentre mi lasciavo cadere a peso morto sul divano e speravo che la morte giungesse in fretta.

Forse stavo leggermente esagerando, certo, stavo male, ma sapevo che non sarei morta per un banale mal di pancia. Semplicemente mi piaceva fare un po' di scena e lasciarmi accudire dalla nonna.

«Ti preparo una calda tisana con salvia, miele e limone», mi annunciò la mia infermiera personale dalla cucina, mentre la sentivo riempire il pentolino d'acqua e metterlo sul fuoco.

«Ciao, nonna», entrò in scena mio fratello, abbandonando la giacca e la borsa di scuola sul tavolo del salotto.

«Ciao, Kyle, com'è andata a scuola?»

«Tutto bene», rispose lui, occupando il poco divano che avevo lasciato libero con la sua mole da gigante buono: «Diana, Diana», cantilenò: «A quando il funerale?»

Gli ringhiai debolmente contro, chiedendomi distrattamente dove fosse finito Xavier.

In quell'istante il rombo del motore della sua moto mi fece intuire che se ne fosse andato via.

«Sai, non vuole creare troppo disturbo e mi ha detto che ha già preso appuntamento con un paio di agenzie immobiliari per dare un'occhiata a qualche appartamento vicino alla scuola», disse mio fratello, leggendomi nella mente e facendomi andare a fuoco le guance. Questa sua mania di indovinare i miei pensieri doveva finire. Subito.

«Di chi stai parlando, Kyle?», chiese la nonna, comparendo con qualche foglia di salvia in mano.

«Xavier O'Bryen».

«Oh, quel caro ragazzo», esclamò la nonna, facendomi socchiudere con orrore le labbra: «É carino da parte sua preoccuparsi», lo elogiò lei, prima di scomparire nuovamente in cucina.

Non ci potevo credere. Aveva fatto il lavaggio del cervello anche alla nonna.

«Proprio un caro ragazzo», rincarò la dose Kyle, sporgendosi verso di me e ammiccando un'ultima volta, prima di alzarsi: «Vado a studiare», annunciò, scomparendo con la giacca e la borsa in corridoio.

Solo in quel momento mi ricordai del cappello e della giacca e decisi che era tempo di togliermeli e, dato che c'ero, decisi che avevo sopportato abbastanza la tortura del reggiseno per quel giorno, slacciandolo e abbandonando sulla sedia più vicina anche lui.

Dopo qualche minuto arrivò la nonna con una tazza fumante che diffondeva ovunque odore di salvia.

«Ecco qua, è bollente, fai attenzione», mi avvertì, porgendomi la tisana e accarezzandomi dolcemente la testa.

Dopo aver bevuto sentii il calore della bevanda scaldarmi il petto e lo stomaco piacevolmente.

«Grazie, nonna», le dissi, ricevendo in risposta un bacio sulla fronte.

Appena finii la tisana, appoggiai la tazza a terra accanto a me, chiusi gli occhi e, quasi istantaneamente, mi addormentai.

Quando mi svegliai mi resi immediatamente conto di non essere più in salotto, ma in camera mia; l'odore delle coperte e delle lenzuola del mio letto era inconfondibile. C'era qualcosa che stonava però, un'odore forte di sandalo che...

Sbarrai di colpo gli occhi, cercando comunque di mantenere il respiro regolare, così da non far capire a Xavier, che si trovava a pochi centimetri da me, seduto per terra, con la schiena appoggiata al comodino e lo sguardo che vagava per camera mia, che ero sveglia.

Venni però tradita dal mio cuore che, per la sorpresa, iniziò a battere ad un ritmo irregolare, attirando l'attenzione dell'ospite sgradito che infestava la mia camera.

«Diana», mi salutò, appoggiando la nuca al comodino, con gli occhi chiari puntati nei miei: «Ti senti meglio?»

Sì, mi sentivo meglio, il mal di pancia era scomparso, sostituito da un lieve mal di testa dovuto alla stanchezza e al desiderio di chiudere nuovamente gli occhi e non riaprirli per il resto delle mia vita.

«Cosa ci fai qui?», la mia voce gracchiante mi fece vergognare tremendamente, ma ormai era tardi, l'aveva sentita, non c'era più niente da fare.

«Ho pensato che saresti stata più comoda sul tuo letto», spiegò, passandosi distrattamente una mano tra i capelli scuri. Così facendo, mise in mostra, forse volontariamente, l'anellino dorato che aveva all'orecchio sinistro.

"Mi sembra giusto", pensai esasperata: "Non aveva abbastanza caratteristiche che lo rendevano incredibilmente attraente, mancava l'orecchino".

«Non hai risposto alla mia domanda», gli feci notare, con tono esasperato, mentre mi tiravo su a sedere e mi passavo le mani sul viso.

Lo sentii inspirare a fondo e poi trattenere il respiro.

Il suo strano comportamento mi fece aggrottare la fronte e voltare verso di lui, incuriosita.

Aveva le labbra socchiuse e umide, come se ci avesse appena passato sopra la lingua e gli occhi mi scrutavano intensamente.

«Sei brava a fingere indifferenza», mormorò, alzandosi in piedi con uno scatto elegante: «Peccato che il tuo odore ti tradisca».

Il mio viso andò a fuoco per l'imbarazzo, mentre mi chiedevo di cosa stesse parlando; cosa c'entrava il mio odore?

«Sei giovane, ancora non hai imparato che spesso gli odori celano delle emozioni», spiegò, appoggiandosi al materasso con le mani e avvicinando il viso pericolosamente al mio: «E sai cosa mi sta urlando il tuo odore in questo preciso istante?», mi chiese, anche se era palese che non si aspettasse una risposta.

«Prendimi», sussurrò ad un soffio dalle mie labbra, senza però dare segno di volersi avvicinare ulteriormente.

Era terribile. Non ci potevo credere, non ci volevo credere. Se lui capiva esattamente cosa provavo semplicemente dal mio odore ero spacciata; la mia maschera di indifferenza e freddezza non sarebbe servita a nulla.

«Tu sei pazzo», affermai, allontanandolo con uno spintone: «E un guardone», aggiunsi, considerando che era rimasto a guardarmi dormire per chissà quanto tempo.

Xavier rise, mettendo in mostra i denti bianchi e i canini particolarmente affilati: «Non ti preoccupare, non ho intenzione di toccarti, non vorrei rimanere senza mani».

Feci una smorfia alle sue parole, odiavo la sua arroganza e il modo neanche tanto velato con cui mi prendeva in giro.

«Saggia decisione», replicai, cercando di apparire sicura di me, anche se ero ancora sconvolta dalle sue parole: «Ora ti dispiacerebbe andartene? Ho un compito in classe domani».

Xavier sorrise: «Non ho intenzione di rubarti altro tempo», fece qualche passo verso la porta, poi si voltò un'ultima volta, osservandomi: «Volevo solo dirti un'ultima cosa: anche il tuo corpo ti tradisce, non solo il tuo odore».

Il secondo successivo era uscito e si era richiuso la porta alle spalle, lasciandomi finalmente sola.

Con la fronte aggrottata mi chiesi a cosa si riferisse e, guardandomi il petto, capii diventando paonazza. Attraverso il tessuto della felpa si intravedevano i miei capezzoli inturgiditi, e non per il freddo. Maledetta me e la mia pessima mania di togliermi il reggiseno appena tornata a casa.

Sbuffai, arrabbiata con me stessa e con il mondo intero.

Mi alzai e mi diressi verso il mio zaino che si trovava ai piedi del mio letto. Recuperai il cellulare; avevo una chiamata persa di Isabel e un paio di messaggi preoccupati sempre da parte sua.

Decisi che chiamarla era la soluzione più rapida e indolore.

«Grazie al cielo sei viva!», esclamò la mia amica dall'altra parte della cornetta. La sentivo parlare in modo strano e dedussi che stesse mangiando.

Lanciai una veloce occhiata all'orologio che avevo al polso, erano le cinque e un quarto del pomeriggio e ciò voleva dire che avevo dormito un'ora intera, invece di studiare.

"Magnifico, era semplicemente magnifico"

«Ciao, Sab, mi sono appena svegliata, è per questo che non ti ho chiamato prima», le spiegai, recuperando il libro di letteratura inglese e sedendomi sul letto.

«Il mal di pancia?», mi chiese, sgranocchiando quella che sembrava frutta secca; conoscendola erano arachidi.

«Mia nonna mi ha fatto una tisana miracolosa», le dissi, aprendo il libro e cercando le pagine da studiare.

«Tua nonna è un mito», esclamò, continuando a mangiare.

«É fastidioso sentirti sgranocchiare arachidi», dissi, esasperata dal suono nell'orecchio.

«Ehi, come fai a sapere che sono arachidi?», chiese sorpresa: «Va beh, non importa. Mangio perché è l'unico modo che ho per non udire i miei genitori provare la resistenza delle molle del letto nella camera accanto», spiegò con un tono di voce a dir poco schifato.

«Mettere le cuffie e ascoltare musica ad alto volume era troppo semplice?», le chiesi, sapendo perfettamente come si doveva sentire, anche io avevo avuto la sfortuna di svegliarmi nel cuore della notte e udire cose che avrei preferito non sentire. Forse cominciavo a capire il perché del mio fisico da eterna bambina; mi avevano bloccato la crescita.

«Ottimo suggerimento, grazie D. Ora, per quanto mi piacerebbe rimanere al telefono con te ancora un po', dovrei studiare per la verifica di domani e penso che tu dovresti fare lo stesso, quindi ti lascio, ciao!», mi salutò, proprio in quell'istante udii chiaramente qualcosa colpire ripetutamente il muro: «Non ci posso credere», gemette schifata Sab, prima che la comunicazione s'interrompesse.

Risi sonoramente, mentre posavo il cellulare e pensavo a quanto doveva essere imbarazzata in quel momento la mia povera migliore amica.

Presi un profondo respiro e fissai le pagine del libro di fronte a me, solo che non riuscivo a vedere le parole; scarabocchi neri in un mare bianco.

«Accidenti!», imprecai, mentre chiudevo gli occhi e cercavo di concentrarmi.

Fino a quel momento ero riuscita a ignorarlo, ma ora sembrava impossibile; il forte profumo di Xavier era ovunque e mi impediva di pensare a qualcosa che non fosse lui.

Il modo in cui aveva detto, poco prima, a pochi centimetri dal viso: «Prendimi», con quella sua voce roca e profonda, con una intensità negli occhi chiari che mi aveva fatto vacillare. Ancora non riuscivo a capire da dove avessi attinto la forza necessaria per allontanarlo da me.

Mi portai una mano al viso, sentendolo caldo per il rossore che aveva iniziato a colorarmi la pelle.

Cominciavo a temere che quella forte attrazione che sentivo tra di noi non se ne sarebbe andata facilmente. Certo, avevo intenzione di fare tutto ciò che era in mio potere per tenerlo a distanza, per mantenere la mia indipendenza e impedirgli di cambiarmi. Ma dubitavo potesse essere abbastanza.

E poi...

Il mio sguardo si posò sul libro di letteratura inglese, aperto di fronte a me.

Dovevo studiare e smetterla di pensare a lui.

Con un sospiro di rassegnazione mi alzai in piedi e afferrai lo zaino, dove misi il cellulare e il libro. Indossai una tuta comoda e la giacca, pronta a cercare nel bosco una radura tranquilla che non fosse impregnata dell'odore di sandalo, coriandolo e cannella di Xavier.

Uscii da camera mia e incrociai a metà strada mio fratello, diretto in cucina.

«Hey, sei sopravvissuta?», mi chiese, con tono sarcastico, mentre si legava i capelli in uno chignon disordinato.

«Non grazie a te», risposi, superandolo e dirigendomi verso la porta che dava sul retro della casa e il bosco.

«Dove vai?», mi chiese Kyle, facendosi come al solito i fatti suoi.

«Ho bisogno di prendere un po' d'aria, cercherò una radura tranquilla dove studiare», gli spiegai, indossando gli stivali di gomma.

«E ti sembra saggio? Vorrei ricordarti che c'è un lupo solitario che si aggira da queste parti».

La sua preoccupazione nei miei confronti non mi sorprese; eravamo fratelli, ci preoccupavamo l'uno dell'altra, anche se non ci piaceva renderlo troppo evidente e ci divertivamo a mascherare la preoccupazione con il sarcasmo.

«Non mi allontanerò troppo, lo prometto», lo rassicurai, alzando gli occhi al cielo con fare scocciato.

«Ho sentito te e Xavier parlare prima», disse, sgranocchiando delle arachidi.

Si doveva essere messo per forza d'accordo con Sab, quelle coincidenze erano troppo forzate.

Fermi tutti! Cosa aveva detto?

Alzai lo sguardo su di lui, incontrando i suoi occhi scuri e attenti, troppo attenti.

«Come scusa?», chiesi, fingendo di non aver sentito per guadagnare tempo e pensare a inventarmi qualcosa.

"Pensa, Diana, pensa".

«Ho detto», ripeté, le labbra sollevate in un sorriso furbo che mi gelò il sangue nelle vene: «che ho sentito te e Xavier parlare prima».

Allora avevo sentito bene, accidenti!

«Ah, sì?», fu tutto quello che riuscii a emettere, mentre recuperavo il mio cappello e il reggiseno che mi ero tolta prima di cadere addormentata. Xavier doveva averlo visto quando era venuto a prendermi per portarmi in camera. Merda. Perché capitavano tutte a me? Cosa avevo fatto di male?

«Sì», disse semplicemente mio fratello, mentre io ficcavo il reggiseno nello zaino e lo nascondevo alla vista di occhi indiscreti.

«Vuoi che ci parli io?», chiese Kyle, tirando indietro le spalle e mettendo ulteriormente in evidenza il suo metro e ottanta di statura.

Scoppiai a ridere, un po' per smorzare la tensione del momento, un po' perché era incredibilmente buffo con la maglietta di topolino che gli stava stretta, le calze pelose color malva della mamma che aveva palesemente rubato senza dirle nulla e il sacchetto delle arachidi stretto tra le mani, neanche fosse stato un tesoro prezioso.

Eravamo sicuri che un tipo del genere sarebbe stato in grado di guidare il branco?

«No, ma grazie per esserti offerto», gli dissi, rassicurandolo con un sorriso: «E tu? Sei sicuro che cadere tra le spire di Francine sia una mossa saggia?»

Kyle rischiò di strozzarsi con le arachidi.

«Sono in grado di gestirla da solo», borbottò, leccandosi le dita sporche di arachidi: «Dovresti smetterla di trattarla male, comunque, fa parte del branco, capisco che ci possano essere incomprensioni e scaramucce, ma quest'odio tra di voi è troppo».

Detto da Mr. Maglietta di Topolino suonava piuttosto assurdo, ma capivo perfettamente cosa intendeva.

«Potrei provarci, ma deve gettare l'ascia di guerra pure lei», ribattei, indossando il cappello di lana e aprendo la porta sul retro: «Torno presto, tu non strozzarti con le arachidi».

«Ci proverò», disse con la bocca piena.

Mentre camminavo verso il bosco non potei fare a meno di chiedermi come avessi fatto a ignorare la somiglianza, non solo caratteriale, ma anche di gusti, di mio fratello e la mia migliore amica.

Forse avrei dovuto svolgere il ruolo di Cupido, anche se non ero sicura che mi si addicesse, e provare a convincere Isabel che mio fratello sarebbe stato un partito di gran lunga migliore di Michel. L'idea non mi dispiaceva, avere Sab come cognata sarebbe stato di gran lunga meglio che avere Francine.

Trovai una radura tranquilla a cinque minuti da casa e decisi che era il luogo adatto in cui spremersi le meningi e studiare. Così mi sedetti a terra, ignorando l'erba umida e tirai fuori dallo zaino il libro di letteratura inglese, lo aprii e iniziai a leggerlo con attenzione, cercando di memorizzare le nozioni principali.

Rimasi abbastanza concentrata da capire quello che stavo leggendo per circa 30-40 minuti, un record personale, considerando il fatto che avevo sempre avuto una soglia dell'attenzione molto bassa. Quando mi resi conto che continuavo a leggere lo stesso paragrafo senza però capire nulla, chiusi un attimo gli occhi e mi massaggia le tempie con gli indici.

«Diana, ce la puoi fare», mi incoraggiai, prendendo un profondo respiro e aprendo gli occhi.

Fu in quel momento, mentre cercavo la mia concentrazione perduta, che si alzò il vento e sospinse da nord una brezza fredda che mi fece rabbrividire; una brezza che portò con sé un odore che mi fece alzare di scatto, dimentica del libro, del compito del giorno successivo e della promessa di non allontanarmi troppo che avevo fatto a mio fratello.

Oltre all'odore sentii chiaramente il suono di rami spezzati e di ringhi in lontananza.

Due lupi stavano combattendo.

Xavier aveva trovato l'assassino suo padre.




 

************
 

Ciao a tutti!

Questo capitolo è piuttosto denso di avvenimenti, me ne rendo conto, ma a quanto pare non sono in grado di scrivere capitoli noiosi; se non succede qualcosa non sono contenta.

E so anche che finisce in modo piuttosto brusco e, lo ammetto, l'ho fatto apposta perché volevo essere cattiva e creare un po' di suspence.

Spero che, malgrado tutto, il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di lasciarmi un commento per farmi sapere la vostra opinione ;)

Un bacio,

LazySoul

 
  
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