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Autore: Chainblack    10/09/2017    3 recensioni
In fuga dalla disperazione dilagante della Hope's Peak Academy, sedici talentuosi studenti vengono rapiti e rinchiusi in una località sconosciuta, costretti a partecipare ad un nuova edizione del Gioco al Massacro senza conoscerne il motivo.
Ciò che sanno è che, per scappare da lì, dovranno uccidere un compagno senza farsi scoprire.
Guardandosi le spalle e facendo di tutto per sopravvivere, i sedici ragazzi tenteranno di scoprire la verità sul loro imprigionamento sapendo che non tutti potrebbero giungere illesi fino alla fine.
Ambientata nell'universo narrativo di Danganronpa, questa storia si svolge tra i primi due capitoli della saga.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Il giorno successivo all'incontro di classe generale pareva essere iniziato con una nota positiva per la maggior parte della classe.
Dopo più di una settimana di silenzio, il piazzale si riempì nuovamente di voci e alcuni schiamazzi; che fosse segno di un tentativo da parte degli studenti di dimenticare gli avvenimenti delle scorse settimane o che fosse soltanto una mera parvenza di tranquillità, nessuno lo sapeva.
O, per meglio dire, era un quesito a cui nessuno voleva veramente trovare una risposta.
A differenza degli altri, però, vi era qualcuno che ancora non riusciva a digerire pienamente la situazione derivata dal processo.
Judith Flourish si ritrovò a fissare la propria immagine riflessa nello specchio della propria camera, in silenzio e senza muovere un muscolo.
Nemmeno lei sapeva cosa stesse effettivamente cercando nella se stessa speculare che la squadrava da oltre il vetro, ma il solo fatto di poter godere della compagnia del perfetto silenzio e di una sana solitudine la aiutava a fare chiarezza nella propria mente.
Poi, accadde l'inevitabile: lo stomaco di Judith emanò un gridolino di protesta.
L'avvocatessa sospirò, maledicendo il proprio prevedibile organismo.
Conosceva se stessa fin troppo bene per non sapere che non si trattava di appetito, ma molto semplicemente di fame nervosa.
L'accumularsi di problemi, lavoro, o anche semplicemente di stress le provocava un fastidioso senso di vuoto alla pancia.
In un normale stato mentale, Judith Flourish avrebbe semplicemente ignorato l'urgenza e resistito fino ad orario di pasto.
Ma quella, si ripeté più volte, non era affatto una situazione ordinaria.
Lo stomaco sporse un altro reclamo, e Judith capì che non vi era che una sola cosa da fare.
- Ho bisogno di uno snack... - mormorò a se stessa, alzandosi in piedi di scatto.
Raggiunse la porta della stanza in un baleno, ma esitò prima di aprirla.
La fece cigolare lentamente, aprendola, per poi controllare che non vi fosse nessuno all'esterno.
Il vociare di poco prima era lentamente svanito, e il piazzale si ritrovò nuovamente nel più totale silenzio.
Nonostante ciò, Judith si sentì come sollevata; non sentendosi incline ad incontrare nessuno, quel giorno, preferiva avere campo libero.
Percorse di fretta la strada fino al ristorante: il bisogno di uno spuntino si era fatto sempre più impellente.
Aprì la porta e ci si fiondò dentro, tirando lunghe boccate d'aria.
Grama sorpresa fu quella di scoprire che non era affatto l'unica presente.
La strategia basata sulla furtività della ragazza andò in frantumi quando incrociò lo sguardo con quello di Rickard Falls, situato appena oltre la prima fila di tavoli.
- Buongiorno! - la salutò lui.
- Ciao, Rickard - fece Judith, mascherando ogni possibile accezione di delusione - Cosa fai qui, tutto solo? -
- Mi era venuta un po' di fame, speravo di prendere qualcosa al volo dalla dispensa - ammise lui - Non ci vengo molto spesso, ma sono certo che debba esserci qualcosa di leggero adatto a me! -
Judith deglutì.
- Oh, un'idea carina...! A parlare di cibo mi hai fatto venire fame... - mentì spudoratamente lei.
- Ottimo! Unisciti a me, allora - la invitò - La dispensa è piuttosto grande; in due faremo meno fatica -
Judith sorrise, accettando l'offerta di buon grado, cosciente di aver preso due piccioni con una fava.
Superarono lentamente l'area dei tavoli; la porta della dispensa era nascosta in fondo al ristorante, dietro una parete.
La ragazza fissò il suolo per tutto il tempo, non sapendo davvero come continuare la conversazione.
Era raro che si trovasse a commiserare le proprie abilità di dialettica, da sempre fonte di personale orgoglio, ma quel periodo proprio non sembrava volgerle a favore.
- Va un po' meglio rispetto ai giorni scorsi, Judith? - 
Rickard la colse alla sprovvista con una domanda estremamente seria.
- Ah...! Sì, un po'... - abbozzò un sorriso falso - E' ancora difficile da accettare -
- Sì, lo è... -
Rickard Falls si massaggiò le fronte con aria stanca. Era la prima volta che Judith notava quel suo lato così empatico.
- Sai, ripenso ancora alle tue parole durante il processo - le raccontò lui - Quando afferrasti la mano di Hayley gridando che... che non era giusto -
- I-io... - arrossì lei - Il fatto è che... -
- Alt! Ferma! Non trovare giustificazioni - la rassicurò lui - Sappi che comprendo benissimo cosa provi. Che Hayley si sia trovata in quella situazione è semplicemente... ingiusto -
Lei annuì tristemente.
- Persone dotate di un grande talento sono costrette a metterlo in pratica per uccidere... - sospirò lei - Se solo Hayley avesse avuto la possibilità di vivere una vita normale, lontana da qui... -
- Questo vale per tutti noi, suppongo - asserì Rickard - Nessuno di noi si merita davvero tutto questo. Beh, "quasi" tutti, immagino... -
Judith colse al volo di cosa stava parlando.
- Intedi la talpa? -
- Il numero di persone si è ridotto ancora, ma non sappiamo niente di niente... - la sua voce parve più apprensiva del solito - Se davvero uno di noi è un traditore, sta facendo un ottimo lavoro... -
Lei scosse la testa.
- Vorrei davvero poter credere alla versione di Karol, che la faccenda della spia sia tutta una grossa farsa... - si rattristò Judith - Ma me ne convinco sempre meno -
- Beh, se proprio tu manchi di fede deve essere davvero grave! - Rickard tentò improvvisamente di buttarla sul ridere - Beh, per il momento non ci resta che continuare a cercare una via di fuga. Qualora ci fosse... -
- Se anche esistesse avremmo bisogno di cooperazione nel gruppo - lo corresse Judith - Ma abbiamo un discreto numero di lupi solitari -
- Beh, Michael è un caso a parte - annuì il doppiatore - Ma non credi che sia possibile tentare un approccio con Pearl e Xavier? -
Lei si bloccò per un momento impercettibile.
- G-già... è plausibile -
Rickard alzò entrambe le sopracciglia; sul suol volto si formò uno strano sorriso sospetto. Judith non mancò di notarlo.
- Ce l'hai ancora con lui, eh? -
- Co-come...? -
- Dai, Judy, abbiamo visto tutti quella piccola scenata, ieri sera - ridacchiò lui.
Judith si coprì le mani col volto.
- Speravo non fosse così evidente... - si morse il labbro.
- Beh, non devi vergognartene - il volto di Rickard si fece più serio - Chiunque si sarebbe sentito in difficoltà, al posto tuo. Xavier è stato molto severo, al processo -
- M-ma non è per quello! - esclamò Judith - Ho realizzato che Hayley era colpevole, ad un certo punto... ma non volevo trattarla come una bestia! Perché Xavier e  Michael non possono comprendere qualcosa di talmente basilare come il rapporto empatico!? Cioè, magari da Michael non mi aspetto granché, ma pensavo che Xavier fosse... diverso! -
Rickard Falls le passò la mano sulla spalla per darle conforto.
- Sono sicuro che Xavier non sia così tremendo come sembra. E' un lato di lui che salta fuori durante i processi - asserì - Credo che il suo vero obiettivo non sia crocifiggere gli imputati, ma arrivare alla verità. Se lo avessi visto nel momento in cui abbiamo trovato Elise... beh, forse ti saresti fatta un'idea diversa -
Judith sospirò di nuovo; stavolta si esibì in un sorriso più sincero.
- Credo che Xavier potrebbe imparare una cosetta o due da te su come si parla ad una ragazza - 
- Oh, ma io sono un maestro in quest'ambito! Non osare dubitarne! - fece finta di pavoneggiarsi - Ma adesso credo sia giunto il momento di mettere qualcosa sotto i denti. Ci stai? -
- Pienamente d'accordo! -
E, così dicendo, Rickard spostò la maniglia ed aprì la porta della dispensa.
Ciò che i due videro in quell'istante fu un qualcosa di inaspettato.
I loro occhi incrociarono quelli di Michael Schwarz, che pareva trovarsi lì già da parecchio tempo.
Il chimico si paralizzò come se avesse visto uno spettro o qualcosa di altrettanto spaventoso ed inenarrabile.
Il ragazzo aveva con sé un sacchetto riempito quasi interamente di provviste dalla dispensa, portandoselo dietro con un'aria quasi colpevole.
I tre rimasero in silenzio. Judith ebbe come l'impressione di aver sorpreso un ladro a rubare, talmente era alta la tensione.
- Michael? - domandò Rickard - Che stai facendo? -
- I-io!? Voi, semmai! - li additò lui - Sto semplicemente facendo scorte alimentari! -
- Scorte? - chiese la ragazza - Aspetta, vuoi dire che ti porti il cibo in camera? -
- Ovviamente sì! -
Rickard si voltò verso Judith come se avesse appena realizzato qualcosa di incredibile.
- Oh, in effetti mi ero chiesto quando e come mangiasse, dato che non lo si vede mai al ristorante! -
- Voi stupidi, prima o poi, finirete per scavarvi la tomba da soli! - li attaccò Michael - Mangiate il vostro cibo come se nulla fosse! E se ve lo avvelenassero!? -
- Santo cielo, Michael...! Devi sempre pensare agli esiti più macabri! -
- Beh, ovvio! Quattro persone sono morte! - osservò acidamente il chimico - E gli ingenui non faranno altro che far crescere quel numero! Io porto le mie provviste in camera mia, e mangio solo dopo averle analizzate almeno due volte da cima a fondo! -
Rickard scosse il capo.
- Una dedizione ammirevole... - biascicò - Non credi di esagerare? -
- Ne riparleremo quando il vostro vicino di tavolo stramazzerà al suolo! - ribatté lui - E ora fatemi passare, per cortesia! -
Detto ciò, i due si allontanarono dalla soglia della porta permettendo a Michael di uscire in tutta fretta.
Fu quando la sagoma dell'Ultimate Chemist scomparve verso l'esterno del ristorante che i due studenti rimasti si scambiarono un'ultima occhiata di intesa.
- Parlavamo di... com'era? "Rapporto empatico"? -
- Parlavamo di quanto non mi aspettassi niente da Michael, anche... -
I due annuirono, silenziosamente, accettando il fatto che vi erano cose che non potevano cambiare nemmeno volendolo.




Era passato ancora un altro giorno, stavolta in maniera più silenziosa.
Xavier Jefferson si alzò dal letto che aveva ancora sonno, e sbadigliando si trascinò verso l'armadio.
Gli ci vollero alcuni minuti prima di riprendere totalmente i sensi a causa del torpore della sonnolenza.
Passò circa un quarto d'ora in bagno e, una volta vestitosi completamente, fece per uscire dalla stanza.
Improvvisamente, qualcosa gli sembrò fuori posto.
Non di certo un dettaglio della stanza, sempre uguale fin dal suo primo giorno di prigionia, ma qualcosa nell'ambiente circostante.
Un silenzio che era nuovamente piombato sul piazzale, in contrasto con il vociare del giorno prima.
Istintivamente sbirciò all'esterno.
Notò come, quel giorno, la classe pareva essersi sparpagliata lungo la scuola quasi come se tutti gli altri fossero stati di comune accordo.
Normalmente c'era sempre qualcuno che bazzicava lungo i dormitori, fatta eccezione per Micheal e Karol; quest'ultimo, in particolare, aveva espresso di sentirsi a disagio da quelle parti per un motivo che non aveva voluto specificare.
L'area era completamente vuota e silenziosa; il primo pensiero di Xavier fu di controllare che non fossero tutti riuniti al ristorante, come ogni mattina.
Prima di lasciare definitivamente la stanza controllò l'orario: erano circa le undici.
Si grattò il capo, notando come ogni giorno si stava alzando sempre più tardi, segno inequivocabile che stava accumulando troppa stanchezza dalle innumerevoli notti insonni.
Passeggiò lungo il piazzale sbadigliando di nuovo. Vi trovò un che di rilassante in quell'ambiente privo di rumore, ma date le circostanze di certo non mancava un senso di inquietudine.
Poi, improvvisamente, mentre era intento a guardarsi attorno, la vista venne a mancargli.
Tutto fu nero, buio, inglobato dall'oscurità.
Xavier si fermò di scatto, col fiato mozzato.
Si stropicciò l'occhio buono: non era improvvisamente divenuto cieco.
Il profondo buio venne accompagnato da un rumore elettrico proveniente da chissà dove: era andata via la luce.
Rimase immobile, incapace di orientarsi o di definire anche solo un minimo dove stesse andando.
Un senso di angoscia lo pervase; oltre al cuore palpitante anche la mente cominciò a giocargli dei brutti tiri.
Si sentì come se stesse per essere aggredito da un momento all'altro, vittima di tutto quel buio e di chiunque si stesse nascondendo al suo interno.
Poi, così come se ne era andata, la luce tornò.
Xavier socchiuse l'occhio, abbagliato dalla luminosità delle lampadine inserite nel soffitto stesso.
Lo riaprì lentamente, accorgendosi di essere rimasto solo per tutto il tempo. 
Si sentì la fronte sudata e la mano tremante. Quando riprese cognizione di sé si rese conto che il black out non era durato che appena dieci secondi.
Il suo respiro tornò regolare dopo pochi attimi. Scrollatosi di dosso l'apprensione e la momentanea paura, decise di proseguire verso il ristorante.
Sembrò che Xavier avesse trovato un'altra cosa su cui investigare.
Arrivato al locale, aprì la porta e si accomodò all'interno.
Guardò davanti a sé, a destra e a sinistra. Fu solo in quel momento che notò la presenza di due altre persone.
In un tavolino in fondo, nell'angolo vicino al vano della cucina, Pearl ed Hillary erano sedute ed intente a fare qualcosa.
- Buongiorno... - le salutò lui.
- Ah, Xavier - Pearl fece un cenno - Ti sei svegliato ora? -
- Sì, ho accumulato stanchezza - sospirò lui - Piuttosto: avete notato il black out? -
- Fin troppo bene -
Xavier non comprese il significato di quella risposta fino a quando non si avvicinò al tavolo dove le due erano sedute.
Notò un dettaglio cruciale: Hillary stava perdendo del sangue dalla mano destra. Xavier esitò per un momento, colto di sorpresa.
Vi erano dei pezzi di vetro dall'aspetto tagliente sul pavimento. Uno era macchiato di rosso.
L'Ultimate Clockwork Artisan era ferma, gemendo sensibilmente, mentre Pearl le stava applicando una pomata.
- Cos'è successo? -
- C'è stato un sovraccarico, sembra - spiegò Pearl - Quando la corrente è andata via una delle lampadine è esplosa -
- Lo ho notato... - annuì lui - Hillary, stai bene? -
- S-sono inciampata al buio... - ammise con una punta di vergogna - Mi sono spaventata e ho perso l'equilibrio... sono atterrata con la mano sui vetri... -
Xavier storse il naso per un istante. Il solo pensiero gli provocò una scintilla di malessere.
- Deve aver fatto male... va meglio, adesso? -
- P-Pearl mi sta dando una mano... -
Il detective notò come la bionda stesse meticolosamente passando una sostanza trasparente lungo il taglio, che sembrava essere piuttosto largo.
Il palmo della mano di Hillary era squarciato da parte a parte, e alcuni fiotti continuavano a colare.
Pearl mantenne la calma e, dopo aver medicato e disinfettato tutto, avvolse la mano con una benda.
Il lavoro pareva compiuto.
- Così dovrebbe andare - annuì la ninja - Non usare troppo la mano destra, ok? -
- G-grazie... - arrossì vagamente Hillary.
Xavier alzò un sopracciglio, arcuandolo come a voler esprimere un senso di confusione.
La stessa Pearl che lo aveva minacciato di morte alcune settimane prima ora sembrava un qualcosa di molto simile ad una madre premurosa. Il volto della ragazza si allargò persino in quello che Xavier notò essere un sorriso affettuoso.
Incapace di carpire la vera natura della compagna, smise di farsi domande.
- Siete solo voi, qui? -
- Sì, gli altri sono in giro per la scuola - spiegò Pearl - Sembra che molti di loro volessero lavorare al progetto di Karol -
- Sembra che il Prof abbia fatto centro, per una volta, eh? -
Hillary gonfiò le gote.
- Xavier... guarda che Karol ce la sta mettendo tutta - lo rimproverò lei.
- Non volevo farne motivo di scherno, Hillary. Dico sul serio - affermò - E' un bene che la classe si sia tranquillizzata almeno un minimo. Avevo il timore che, dopo il caso di Hayley, sarebbe stato impossibile -
- E tu, Xavier? - chiese poi Pearl - Anche tu ti senti più a tuo "agio"? -
- Io... - esitò per un momento - Preferisco tenere alta la guardia -
- Come supponevo - 
Hillary avvertì una punta di tensione tra i due.
- Ragazzi? Va tutto bene...? -
- Alla perfezione, Hillary - le sorrise Pearl - Anzi, sai una cosa? Si dia il caso che anche io stia preparando qualcosa per il progetto del Prof -
Sia Xavier che Hillary la squadrarono, sgomenti.
- Tu? - fece Xavier - Sul serio? -
- Cosa accidenti vorresti dire con quel "Tu"? -
- D'accordo, sentiamo; di che si tratta? -
Pearl Crownglae incrociò le braccia.
- Semplice: cibo -
Nuovo momento di vaga perdizione.
- Cibo? Cucinerai? - chiese Hillary.
- Può non sembrarlo, ma sono un'ottima cuoca - Pearl ne fece motivo di vanto - E mi è stato riconosciuto spesso -
- Lo ammetto: non lo avrei mai pensato - ammise francamente Xavier.
- Non te ne faccio una colpa -
- E dimmi, cosa cucinerai? - si era accesa una scintilla negli occhi di Hillary. Lo stomaco sembrava essere un suo punto debole.
- E' una sorpresa - rispose lei, mettendo la compagna sulle spine.
- Provo ad indovinare: zuppa alle lacrime dei tuoi nemici - Xavier mostrò una smorfia provocatoria.
- Quello, o un risotto coi tuoi testicoli. Dipende da te - rispose lei con una flemma spaventosa.
Xavier fece istintivamente un passo indietro.
- Vada per la zuppa -
- Piuttosto, Xavier... sembri avere parecchio tempo libero - osservò Pearl - Che ne diresti di farmi una cortesia? -
Lui si grattò il collo nervosamente. Non aveva l'aria di essere qualcosa di piacevole.
- Sentiamo... -
- Non fare quella faccia, diamine! - sbottò lei - Volevo solo chiederti di andare in giro a dire gli altri che tra una mezz'oretta al massimo sarò pronto in tavola. Facile, no? -
- Mi sembra fattibile - osservò lui - Ma potrei metterci un po'; la scuola è enorme -
- No, niente del genere. Poco fa ho chiesto a Kevin di fare passaparola lungo il secondo piano. Tu dovresti occuparti solo del primo - spiegò Pearl - Da quelle parti dovrebbero esserci solo Vivian e June -
- Sembra facile - annuì lui - Dov'è l'inghippo? -
- Ricordi il risotto di poco fa? - gli rammentò lei con un'espressione preoccupante.
Xavier afferrò al volo l'antifona.
- Vado e torno... - sbuffò.
La vita del galoppino non gli era gradita, ma si trattava di una valida alternativa ad un destino ben più infausto.
Xavier Jefferson sparì tra i corridoi del primo piano borbottando tra sé di come il pericolo più allarmante di quel luogo pareva essere adornato con occhi di ghiaccio.



La strada per i laboratori artistici era, come previsto, completamente deserta.
Xavier lanciò occhiate ad ogni incrocio di corridoi nel tentativo di adocchiare qualcuno dei compagni, ma invano.
Passò appena sotto un orologio appeso al muro; mancava una ventina di minuti all'orario prefissato da Pearl.
Colto dall'istinto di sbrigarsi, il ragazzo si diresse verso il laboratorio di disegno e pittura, meta d'obbligo nella sua ricerca di Vivian Left.
Afferrò la maniglia e la girò; questa oppose resistenza. Era serrata dall'interno.
Xavier notò quel dettaglio. Non era quasi mai stato lì, ma non immaginava che Vivian avesse tra le sue abitudini quella di chiudersi dentro.
Bussò alla porta per tre volte.
- Vivian? Sei lì dentro? - la chiamò lui.
Passarono appena due secondi.
- Ah, si! Sono qui - rispose la voce dell'Ultimate Painter - Scusami, sono molto impegnata -
- Volevo solo dirti che tra una ventina di minuti si mangia. Pearl ha insistito - le disse - Ci raggiungi li? -
- Certo! Ho solo bisogno di un attimo per concludere qui - fece Vivian - Arrivo tra poco -
Xavier non sentì la necessità di insistere o di attendere oltre.
Girò i tacchi e iniziò a ripercorrere il sentiero al contrario.
Nella sua mente iniziarono a formarsi numerose immagini delle più svariate pietanze che riusciva ad immaginare, chiedendosi se tra esse vi fosse qualcosa di anche solo vagamente simile a ciò che Pearl intendeva propinare loro.
Ancora immerso nelle proprie considerazioni, si accorse di aver appena incrociato qualcuno in corridoio.
Fortuitamente, si trattava di June Harrier.
- Oh, proprio te cercavo -
Lei storse il naso.
- Me...? Cosa vuoi? -
- Pearl sta preparando da mangiare. Ci vuole al ristorante entro... un quarto d'ora, circa -
L'arciera non riuscì a non mostrarsi esterrefatta.
- Pearl? Pearl Crowngale si è messa a cucinare!? -
- Consideralo un piccolo miracolo del piano del Prof - Xavier fece spallucce - A quanto pare anche lei sa essere una donna, se ci si mette -
June abbassò lo sguardo, persa in chissà quali pensieri.
- Persino lei, eh...? - mormorò la ragazza.
- Come? - 
- Mah, non farci caso. E' una vecchia ferita - replicò lei, imbarazzata - Ho sempre voluto imparare a cucinare come si deve, ma sono negata ai fornelli -
Lui ne condivise la sorpresa.
- Voi ragazze continuate a stupirmi -
I due iniziarono ad incamminarsi verso il ristorante. June iniziò a vagare tra alcune lontane reminiscenze. 
- Sai, la mia famiglia è numerosa - raccontò lei, passeggiando - Siamo quattro fratelli, io sono la maggiore. Un po' la mamma del gruppo, diciamo così -
- Non me ne sorprendo. Tu e Vivian sembrate nate per quel ruolo -
Il volto di June espresse un parere differente.
- Magari... -
- Che vuoi dire? - chiese Xavier.
- Invidio l'autorevolezza di Vivian. Io riesco a farmi rispettare solo essendo severa... - sospirò - Non sono davvero tagliata per il mestiere -
Xavier sapeva che ripescare l'argomento sarebbe stato doloroso, ma lo ritenne comunque necessario.
- Refia ed Hayley sembravano rispettarti per ciò che sei -
June si morse il labbro inferiore. 
- Ora sono morte... gran bel lavoro che ho fatto, eh? -
- Se continui con questa "Sindrome di Karol" finirai esattamente come lui: a struggerti per qualcosa di inutilmente doloroso - 
June Harrier gli rivolse uno sguardo confuso.
- Sai, Xavier? Proprio da te non mi aspettavo tutta questa empatia e comprensione -
- Ah, no? -
- Per niente. Mi sembravi più il tipo freddo, insensibile e calcolatore - gli rivolse un sorriso - Sono contenta di essermi sbagliata -
Lui distolse lo sguardo.
- Non fraintendermi, continuo a sospettare di tutto e tutti... e a temere per la mia vita - ribatté - Ma... credo di riuscire a comprendervi meglio, dopo tutto questo tempo trascorso assieme -
- E la cosa è... positiva? -
Vi fu un momento di silenzio.
- Non lo so, June. Spero vivamente di non dovermene pentire... -
June deglutì. La conversazione era arrivata ad un vicolo cieco.
La ragazza si chiese se non ci fosse qualcos'altro a bloccare Xavier nel suo guscio di sospetto e dubbio, ma intuì che non era una barriera facilmente abbattibile.
Dopo pochi minuti di ulteriori riflessioni, i due era arrivati al ristorante.



La prima cosa che accolse Xavier al suo arrivo fu un profumo particolarmente invitante provenire dalla cucina.
Pearl ne uscì poco dopo reggendo un grosso pentolone con dei guanti da forno: una scena che non avrebbe dimenticato facilmente.
- Bene, tutti a tavola - ordinò la ninja.
- Ma manca ancora un sacco di gente...! - intervenne Hillary.
- Vorrà dire che attenderemo ancora un po', ma il piatto comincerà a freddarsi -
Nonostante la curiosità di scoprire cosa ci fosse all'interno del recipiente, i presenti ritennero fosse buona norma aspettare coloro che dovevano ancora arrivare.
L'odore di cibo si stava diffondendo rapidamente, rendendo l'attesa ancor più difficile da sopportare.
Bastò poco affinché Kevin Claythorne tornasse dalla propria missione con un volto che presagiva un risultato insoddisfacente.
- Siamo qui, scusate il ritardo...! - disse, accompagnato da Rickard e Pierce - Ho fatto il più in fretta possibile -
- Oh, c'è qualcosa di buono là sotto...! - il naso di Rickard aveva fiutato qualcosa.
- A lavare le mani, voi tre - imperò la bionda.
Corsero verso il lavandino più vicino e tornarono quasi seduta stante.
L'atmosfera si era finalmente rallegrata, e l'umore migliorò esponenzialmente nel momento in cui Pearl versò il contenuto della pentola nei rispettivi piatti.
Un risotto giallognolo e apparentemente speziato riempiva quasi tutta la pentola. Le porzioni erano volutamente abbondanti.
- Riso, eh? - commentò Xavier - Sembra cucinato a dovere -
- Ci lavoro da alcune ore. E' la mia specialità -
- Non credevo avessi il pallino per la cucina... - ammise June, notando come la pietanza avesse un aspetto che pareggiava il profumo.
- Saper cucinare è il primo passo per diventare autonomi - spiegò Pearl - E il sapere essere indipendenti è un qualcosa che mi è stato inculcato fin da piccola -
- E' d-davvero molto femminile... - mormorò distrattamente Pierce.
A quel commento talmente audace, l'intera sala ebbe il timore che Pearl volesse staccargli la testa a morsi.
Pierce stesso realizzò di aver pensato a voce alta qualcosa di vagamente scomodo, e tremò per un istante.
Pearl, però, sembrò non dare troppo peso alla cosa e continuò a servire i commensali. A Xavier sembrò quasi che avesse gradito.
- Bene, ditemi che ne pensate. Buon appetito - Pearl diede ufficialmente inizio al pranzo.
- Vogliamo cominciare anche se non siamo tutti...? - Hillary parve insistente su quel punto.
Xavier notò come, in effetti, mancavano diverse persone all'appello. Prime fra tutti, Judith e Karol. Che proprio loro fossero assenti era un qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.
- Non temere, c'è risotto in abbondanza - la rassicurò Pearl - Posso tenerglielo in caldo per dopo -
- Poi non è che saremo mai davvero "tutti" - osservò Rickard - Michael manca a prescindere -
Hillary annuì con poca convinzione, e si arrese alla propria fame.
Il pranzo proseguì silenziosamente, accompagnato solo dallo stridere delle stoviglie. 
Più di un complimento si levò dal tavolo, rendendo onore alle qualità gastronomiche inaspettatamente qualitative di Pearl Crowngale.
Passati circa venti minuti, avevano finito quasi tutti.
Pierce si era dovuto arrendere a tre quarti del piatto, dando prova del suo stomaco debole.
Dall'altro lato, invece, June provò un certo imbarazzo nell'essere stata la prima a concludere il pasto. 
C'era chi, invece, non era arrivato nemmeno a metà; una singola persona che non pareva essere dell'umore giusto.
Hillary rigirò il cucchiaio tra i chicchi di riso più volte, senza portarsene alla bocca nemmeno uno.
Ogni minuto, con cadenza precisa in maniera inquietante, sembrava porgere lo sguardo al piccolo orologio da polso che teneva sul braccio destro.
- Non hai fame, Hillary? - chiese Pearl.
La ragazzina scossa la testa.
- Scusami, non sono troppo in vena di mangiare... - fece in tono apologetico.
- Non devi scusarti. Ti conserverò una porzione per quanto ti sentirai invogliata -
Lei annuì debolmente.
Xavier sospirò. Sapeva che era giunto il momento di ficcare impropriamente il naso nelle faccende altrui.
Non che la cosa lo divertisse, ma gli sembrò necessario.
- Qualcosa non va, Hillary? - chiese lui.
- Co-come...? - l'Ultimate Clockwork Artisan venne colta alla sprovvista.
- Hai una brutta cera, tutto qui. Ti senti bene, o c'è qualcosa che ti turba? -
Hillary si rese conto che tutto il resto della classe la stava fissando.
- Vuoi dirci qualcosa, Hillary? - la incitò June.
- Non farti problemi, eh? Se possiamo aiutarti... - fece Rickard.
La piccola sospirò.
- Xavier, poco fa sei andato a chiamare Vivian. Giusto? -
Il detective aveva intuito già da tempo che si trattava di un argomento riguardante, in qualche modo, Left.
- Proprio così - rispose - Ha detto di essere impegnata nel concludere qualcosa, e che ci avrebbe raggiunto appena possibile -
Hillary guardò ancora una volta l'orologio.
- Vivian non ha mai fatto tardi per mangiare nemmeno una volta... - disse, osservando il ticchettio delle lancette.
Alcuni di loro deglutirono.
- F-forse si è immersa nel lavoro...? - propose Pierce - Anche io, spesso, perdo cognizione del tempo... -
- O magari si è appisolata...? - si chiese Rickard.
Hillary scosse la testa.
- E' sempre stata puntuale, ogni giorno... - ribadì.
- Ne sei certa? Parli come se la cronometrassi... - le domandò Kevin.
Hillary gli mostrò l'orologio, facendogli intuire che non era poi distante dalla verità.
- Sono un po'... fissata con gli orari - arrossì lei - Se non tengo conto delle tempistiche non... non mi sento tranquilla -
- Va bene, definiamola pure una semplice deformazione professionale - sorvolò Pearl - Credi ci sia motivo di preoccuparsi? -
- Io... io non... -
All'improvviso, si alzò in piedi.
- Scusatemi - disse loro - Voglio andare a controllare -
Un velo di inquietudine si sollevò sul gruppo.
Tutti abbassarono lo sguardo, comprendendo la sua apprensione e condividendola.
- Va bene, chiaro - annuì Xavier - Vengo con te. Voi altri aspettate qui. Non muovetevi -
- Sei... sicuro? - chiese Hillary.
- Non ti lascio andare in giro da sola -
Lei distolse lo sguardo, ringraziandolo in maniera impercettibilmente silenziosa.
- D'accordo, noi restiamo qui... - sospirò Pearl - Fate in fretta -
- Ci metteremo un attimo -
Xavier e Hillary uscirono dal ristorante e si avviarono verso i laboratori del primo piano.
In principio camminarono semplicemente a passo svelto, ma ben presto Hillary cominciò a prendere un'andatura sempre più rapida.
Bastò poco affinché Xavier la vide correre sfrenatamente verso la sala di pittura.
- Hillary, aspettami! - disse, invano. La ragazzina non lo stava ascoltando.
Ci misero la metà del tempo necessario per arrivare a destinazione; entrambi avevano il fiatone.
Hillary Dedalus si fiondò sulla maniglia della porta.
- Aspetta, è inutile...! - ansimò lui - E' chiusa a chiave, dobbiamo bus-... -
La frase gli morì in gola quando la mano dell'Ultimate Clockwork Artisan riuscì ad aprirle senza incontrare alcuna resistenza.
Hillary ebbe come un blocco improvviso. 
La porta era aperta, ma non spalancata. Per alcuni attimi, covò il desiderio di non scoprire che cosa ci fosse dietro di essa.
Avrebbe preferito andarsene, lasciare la questione in sospeso, senza doversi sottoporre allo stress derivante dalla preoccupazione.
Fu solo per dei secondi che durò tale inibizione.
Hillary prese coraggio e aprì la porta.
Non fece neanche un metro all'interno che indietreggiò, lanciando un assordante urlo di terrore.
Xavier si precipitò a sua volta verso di lei. Si bloccò a sua volta.
Afferrò le spalle di Hillary con entrambe le mani, facendo in modo che non cadesse all'indietro per lo spavento.
La scena era macabra come tutte le altre volte.
Il gigantesco tavolo marmoreo che ricopriva il centro della stanza aveva un lato ricoperto di schizzi di sangue colati verso il basso.
Appoggiato ad esso vi era Lawrence Grace, chino col capo verso il terreno come un burattino a cui i fili erano stati recisi.
Fermo, immobile, in una stasi che non faceva presagire niente di buono.
Xavier ed Hillary mossero alcuni passi verso di lui.
Il detective si chinò versò il pavimento, toccando il collo del compagno.
Una sensazione fredda e spaventosa venne avvertita dalle sua dita; scostò immediatamente la mano, facendo cenno ad Hillary di non avvicinarsi.
- Cristo... - mormorò - Non di nuovo... non così... non Lawrence... -
L'Ultimate Musician rimase seduto, impotente, sul luogo della propria morte; nient'altro che un corpo morto e inerte, non diverso dai manichini da allenamento disposti sul tavolo.
Un'altra perdita giunta all'improvviso. L'inesorabile diminuire del numero degli studenti sembrava non trovare pace.
Xavier strinse i pugni con forza, mordendosi la lingua.
- C-cosa f-facciamo...? - Hillary stava piangendo copiosamente - Che facciamo, Xavier...!? -
- Dobbiamo... - esitò lui - Ora n-noi dobbiamo... -
Si bloccò. Xavier Jefferson sentì la voce mancargli un'altra volta.
Aveva fatto il possibile per mantenere il sangue freddo e l'autocontrollo in modo da poter analizzare la situazione con cura e metodo.
Ma un altro dettagli aveva catturato l'attenzione del suo occhio; qualcosa di altrettanto tremendo e inquietante.
Un elemento di disturbo situato più in là; l'enorme tavolo di marmo, con la sua larghezza e altezza, copriva buona parte della stanza alla vista.
Uno schizzo di sangue piuttosto largo, ma in un punto dove non doveva essere: ben distante dal luogo in cui avevano rinvenuto Lawrence.
Oltre il tavolo, lungo la parete che fronteggiava l'ingresso, vi era una tela con sopra un magnifico dipinto. Su di esso, una lunga striscia di sangue secco si era impressa indelebilmente a rovinarne l'arrangiamento cromatico.
Xavier delgutì a fatica.
- Xavier...? Che ti succede!? Ti senti bene...!? -
Non rispose. Si limitò a fare il giro completo del tavolo, per trovare finalmente una risposta ai propri dubbi.
Ma non era quella che, nonostante si aspettasse, sperava di trovare.
Arrivato allo spigolo, le gambe quasi gli cedettero. 
Strinse i denti, soffocando una sonora imprecazione.
La mano destra gli andò a coprire la vista, tentando invano di scacciare quell'immagine orrenda dalla propria memoria.
Vivian Left era distesa sul pavimento, nascosta appena oltre il lato del tavolo, con la testa appoggiata in una pozzanghera del suo stesso sangue.
I suoi occhi erano chiusi e l'espressione serena, proprio come quella di Lawrence.
Il laboratorio di pittura era divenuto simile ad un obitorio.
Xavier Jefferson cercò in se stesso tutta la forza possibile per avvicinarsi e dare un'occhiata.
Realizzò solo dopo che vi era una necessità ancora più impellente; non doveva permettere che Hillary vedesse.
Nella sua mente si formò il pensiero di dover impedire a tutti i costi che la compagna assistesse a qualcosa del genere.
Si voltò di spalle, sperando con tutto se stesso di essere ancora in tempo. Pregò che Hillary fosse rimasta abbastanza paralizzata da Lawrence, tanto da non avere il coraggio di spingersi oltre.
Desiderio che, purtroppo non si realizzò.
Nel momento in cui si voltò, Hillary era al suo fianco: sul suo viso era ritratta la pura essenza della morte interiore.
Poi, urlò. 
Un urlo indicibile, qualcosa che rimbombò lungo tutto il primo piano.
Qualcosa che Xavier Jefferson non fu in grado di gestire.
Dovette attendere che il fiato in gola, oramai squarciata dal suo stesso gridare, le venisse a mancare. Hillary si afflosciò, perdendo quasi ogni energia.
Xavier attese diversi momenti; momenti che divennero minuti, minuti che sembrarono ore.
Recuperare freddezza e compostura era essenziale, ma si trattava di un'impresa non da poco.
Hillary aveva la testa appoggiata sulla sua spalla, piangendo ancora.
Ben presto, i due udirono rumori di passi avvicinarsi al laboratorio. Più di una persona stava venendo loro incontro.
Gli sembrò di distinguere la voce di Karol, ma la sua mente non distingueva più nulla.
Tutto ciò che riusciva a vedere erano Lawrence e Vivian.
Ogni fibra del suo cervello aveva scolpito quelle due scene nei traumi permanenti.
Si alzò lentamente, tenendo Hillary con sé, ancora tremando.
Tirò un lungo, lungo sospiro.
- Si ricomincia... -

 

   
 
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