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Autore: Vanya Imyarek    10/09/2017    9 recensioni
Italia, 2016 d.C: in una piccola cittadina di provincia, la sedicenne Corinna Saltieri scompare senza lasciare alcuna traccia di sé. Nello stesso giorno, si ritrova uno strano campo energetico nella città, che causa guasti e disguidi di lieve entità prima di sparire del tutto.
Tahuantinsuyu, 1594 f.A: dopo millenni di accordo e devozione, gli dei negano all'umanità la capacità di usare la loro magia, rifiutando di far sentire di nuovo la propria voce ai loro fedeli e sacerdoti. L'Impero deve riorganizzarsi da capo, imparando a usare il proprio ingegno sulla natura invece di richiedere la facoltà di esserne assecondati. Gli unici a saperne davvero il motivo sono la giovanissima coppia imperiale, un sacerdote straniero, e un albero.
Tahuantinsuyu, 1896 f.A: una giovane nobildonna, dopo aver infranto un'importante tabù in un'impeto di rabbia, scopre casualmente un manoscritto di cui tutti ignoravano l'esistenza, e si troverà alla ricerca di una storia un tempo fatta dimenticare.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Tahuantinsuyu'
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                                   CAPITOLO 7

DOVE  SI  APPRENDONO  SEGRETI  MILLENARI  E  CI  SI  INNAMORA  A  PRIMA  VISTA

 

 

 

 

 

                                                                  Dal Manoscritto di Simay

 

 

 

Non andai all’oreficeria di Sayre nei giorni seguenti: troppo in dubbio su come dovessi procedere in questo tentativo di conversione, o se addirittura mi fosse permesso di farlo e non dovessi lasciare il compito a un sacerdote più anziano ed esperto, avevo deciso di procedere solo nei momenti leciti in cui lui sarebbe passato a ritirare il materiale che gli spettava. Sarebbe dovuta passare una settimana, ma prima di allora, accadde un altro evento che mi fece del tutto passare di mente quella faccenda.

 Erano passati in tutto dieci giorni dal mio arrivo al Tempio della Terra: con un certo imbarazzo, mi stavo confermando come il primo della mia classe di novizi, quali che fossero gli argomenti e le competenze prese in esame. Io cercavo solo di onorare la dea, non di esaltarmi sopra tutti gli altri ragazzi; nondimeno, questi presero a isolarmi, indicandomi come una persona altezzosa e convinta di essere superiore a tutti. I miei tentativi di essere gentile per far svanire questa convinzione ottennero l’effetto opposto, facendomi contrassegnare come condiscendente.

 Il massimo che potevo fare era associarmi a Capac: in qualche modo – e lo ammiravo infinitamente per questo – quel ragazzo riusciva ad essere allo stesso tempo sia lo studente migliore della sua classe, sia ad essere ammirato e rispettato, quasi riverito, dagli altri ragazzi.

 Ma anche se con reputazioni diverse, eravamo lo stesso noti come i migliori delle rispettive classi; quindi, quando Waray ci convocò per un colloquio con Pacha, tutti conclusero che fosse per delle lodi o per parlare della nostra vera e propria consacrazione a sacerdoti. Nessuno ci fece domande in proposito, o almeno, a me non le fecero. Capac di sicuro non parlò, qualunque cosa gli abbiano chiesto.

 Comunque, per entrambi la convocazione fu inaspettata; io andai con una certa ansia, chiedendomi se avessi fatto qualcosa di sbagliato, ma se Capac era lì, evidentemente non poteva essere una punizione. Infatti lui era molto più tranquillo. Ma allora perché il Sommo Sacerdote avrebbe voluto richiedere la mia presenza?

 “Eccoli” disse Waray, appena entrammo nelle stanze private di Pacha. Erano incredibilmente semplici e spoglie, per appartenere a un uomo di simile posizione sociale, ma non facevano che sottolineare la sua umiltà.

 “Ottimo” ci sorrise il Sommo Sacerdote, invitandoci ad accomodarci su un paio di stuoie per terra. Sorrideva solo con le labbra, però: gli occhi avevano uno sguardo inquieto, fin nervoso. “Perdonatemi la convocazione poco ortodossa, ma la questione da discutere è delicata. Ne sono a conoscenza poche persone scelte, di cui io posso sapere i movimenti, e non intendo rischiare che qualcuno origli”

 Già l’esordio mi mise in allarme. Pacha era una persona così serena. Cosa poteva turbarlo, incitarlo a un simile livello di segretezza? Di sicuro la faccenda non riguardava me o Capac, non direttamente. C’era un problema grosso, e noi potevamo (dovevamo) fare qualcosa.

 “Voi siete gli studenti migliori delle rispettive classi, ma i vostri meriti non sono solo il talento accademico. Vi siete dimostrati giovani seri, responsabili e volenterosi, capaci di gestire situazioni per cui non avete ancora ricevuto un’educazione formale” Ci sorrise un po’ meno forzatamente, questa volta. “Capac, la tua consacrazione a sacerdote è ormai imminente, se sei ancora deciso a prendere i voti. Simay, tu sei agli esordi del noviziato, ma se prosegui come stai facendo ora, non vedo perché la tua nomina non debba avvenire entro sei mesi”

 “Il termine minimo ufficiale è un anno”

 “Quelli sono termini indicativi, Waray. Se un iniziato dovesse essere particolarmente promettente, la consacrazione avverrà qualora abbia sviluppato sufficiente competenza in tutti gli ambiti richiesti. Ma torniamo al discorso principale” Il suo viso era adesso completamente serio. “Voi rappresentate meglio di ogni altro, in questo momento, il futuro della nostra classe religiosa. Dovrete essere in grado di gestire tempi di crisi, e se i nostri sospetti trovassero conferma, ve ne sarebbe bisogno più che mai”

 “Eccellenza, noi siamo al vostro completo servizio” annunciò Capac, con voce forte e sicura. “Qualunque cosa voi ci vogliate chiedere”

 “Ma se posso permettermi, perché ora dovrebbero avvicinarsi tempi di crisi?” osservai. “I tributi sono regolari sia ai Templi che al palazzo, non mi è giunta notizia di sommosse o scontri, la guerra contro Yrchlle-“

 “Non è nulla che il nostro esercito non sia in grado di gestire” mi interruppe Pacha. “Io sto parlando di qualcosa di più antico e oscuro di queste vicende umane. Waray, qui, vi avrà raccontato del Terrore di Sulema, la dea folle che tentò il massacro dei Soqar, e venne per questo condannata e sconfitta dagli altri dei”

 Veramente no, ci aveva spiegato i miti che anche un sasso avrebbe potuto farlo meglio – cioè, aveva preferito concentrarsi sulla parte più pratica del culto, assumendo che avessimo conoscenze preesistenti delle storie degli dei; e aveva ragione, perché non stavo avendo alcun problema a seguire Pacha.

 “Sulema, come sapete, fu privata del suo stato divino da sua sorella Chicosi, messaggera degli spiriti” continuò lui. “Da dea, divenne una semplice umana. E a quel punto, i primi Soqar si vendicarono delle atrocità subite ad opera sua, sacrificandola al dio che era stato suo marito, Tumbe. Impossibile non saperlo, abbiamo grandi celebrazioni a memoria di quell’evento. Sulema dunque morì; ma che pensate sia stato della sua anima?”

 “Fu punita” tentò Capac. “Scagliata negli orrori della Notte, come l’anima di una qualsiasi peccatrice”

 “Sarebbe stato un destino perfetto per lei” convenne Pacha. “Ma gli dei non lo ritennero sufficiente. Questa è la parte segreta del mito, che solo pochissimi sanno: a Sulema non fu accordato accesso al mondo degli dei, neppure per esservi punita. Achemay, nella sua immensa saggezza, ritenne che la vita da umana fosse stata la punizione perfetta per la sua arrogante figlia. E così dispose: l’anima di Sulema non avrebbe mai trovato né la pace né il tormento dell’aldilà, ma avrebbe continuato a trasmigrare da un’incarnazione umana all’altra, costretta ad essere ciò che aveva tanto odiato fino alla fine dei tempi”

 Mi resi conto che il mio viso si era deformato in un’espressione di stolido stupore, con la bocca aperta, e mi ricomposi subito. Questa conoscenza … non avevo mai riflettuto su quale fosse stato il destino di Sulema l’Odiosa dopo il suo sacrificio, e il pensiero che la sua anima ancora calcasse la terra, seppur costretta in forma umana … mi riempiva di paura, semplicemente. Certo, l’antica dea doveva essere stata spogliata dei suoi poteri, o nulla le avrebbe impedito di scatenare un nuovo Terrore; ma se fosse stata innocua, Pacha non ci avrebbe convocati con un esordio su imminenti tempi di crisi.

“Questo non fu un segreto che gli dei rivelarono ai loro umili servi umani” continuò il sacerdote. “Ma fin dai tempi antichi, chi si consacrava al servizio divino, in qualsiasi parte di queste terre, iniziò a notare strani avvenimenti. Rivolte contro il clero, eresie, sollevamenti contro qualsiasi forma di autorità ed ordine l’essere umano avesse istituito per sé stesso. In questo, nulla sarebbe uscito dall’ordine del normale, sebbene indesiderabile e barbarico; ma in diverse di queste occasioni, si riscontrò che le figure più autorevoli del momento, quelle che avrebbero potuto riportare eretici e rivoltosi sulla retta via, con il perdono o con la sferza, quando non erano esiliati in seguito ad accuse di varia natura, incontravano la loro morte per fuoco”

 Il cuore mi balzò in gola, la pelle mi si accapponò, trattenni involontariamente il respiro senza osare interrompere per qualsiasi domanda.

 “È stato riscontrato che nei primi resoconti venivano classificate come morti accidentali: il fuoco, per quanto ora sia elemento dell’umanità, spesso non è altrettanto amico delle costruzioni. Ma come ho detto, si trovò un percorso, in queste vicende, che si ripeteva sempre uguale. Che fosse prima o durante lo scoppio dei conflitti, a questi capi venivano mosse accuse denigranti, che conducevano a un esilio disonorevole; ma se quest’uomo non accettava un simile destino e provava la sua innocenza, allora inevitabilmente scoppiava un incendio nella sua casa, in cui malgrado quante persone ci fossero, lui solo periva. Senza nessuna voce autorevole a dominare le folle impazzite, queste erano libere di rovesciare l’ordine politico e religioso, ergendosi a nuovi dominatori”

 “Quindi pensate che … dietro a tutti questi disastri … ci sia l’incarnazione umana di Sulema?”mi azzardai a chiedere.

 “Ne sono certo, figliolo. Queste sono conoscenze che i sacerdoti si tramandano da secoli, per mantenere una costante vigilanza sul corso della Storia e trovare le tracce di quest’essere corruttore. Stretto controllo su ogni sommossa o eresia, investigazioni approfondite sulle accuse di corruzione e incompetenza a importanti sacerdoti e funzionari: tutto pur di scoprire presto questo individuo, che arriva in un corpo sempre diverso, che può aver falsato una vita irreprensibile fino a quel momento, ma che custodisce in sé l’anima della più folle e crudele tra le dee. Noi ci riferiamo a quest’essere come all’Incendiario”

 “Quindi ci state dicendo che ciclicamente nasce una persona che ha in sé i ricordi della dea e presumibilmente anche delle sue incarnazioni precedenti, che ha un qualche grado di controllo sul fuoco, ma che ha deciso di agire in modo più sottile che come divinità, corrompendo gli esseri umani per far sì che siano essi stessi la causa della loro rovina” ricapitolò Capac.

 “Esattamente. Ciò non è avvenuto nel solo Tahuantinsuyu, anzi: messaggi da altri regni, vicini e lontani che siano, ci narrano di vicende simili. Non è sempre facile ottenere queste informazioni, perché un nuovo governo o un nuovo culto non vorrà ammettere di essersi affermato grazie a una potenza così oscura; ma la consapevolezza di questa minaccia è sufficiente da muovere alla ricerca anche i sacerdoti di altre città che venerano falsi dei. Nel corso degli anni, siamo riusciti a rinvenire una sorta di tracciato: lo spirito di Sulema di rado si reincarna due volte nello stesso luogo, e per molti secoli pare avere interrotto il suo ciclo, forse per continuarlo in luoghi a noi ignoti: ma negli ultimi duecento anni, nelle terre nostre vicine sono ricomparsi i segni del suo operato. Quello che temiamo, è che proseguendo su questo percorso, Tahuantinsuyu possa essere il prossimo luogo della sua incarnazione”

 Si schiarì la voce.

 “Noi dobbiamo essere pronti. Dobbiamo stare attenti e captare ogni segnale di sommossa, ogni vento di ribellione, e indagarlo per scoprire chi vi è dietro. Non dobbiamo avventarci ad accusare se un sacerdote o un funzionario viene imputato di qualche crimine infamante, ma dobbiamo fare di tutto per continuare le indagini, e accertare la sua colpevolezza o innocenza. Non dobbiamo lasciare il nostro Impero nelle mani di un mostro simile”

 Annuii. Non … non riuscivo quasi a pensare. Quelle informazioni che avevo ricevuto … erano quasi troppo, per me. Avevo bisogno di passare qualche momento in solitudine, per riflettere davvero su quello che avevo sentito.

 “Lo faremo senz’altro, Eccellenza” disse il mio compagno di studi.

 “Non dimenticate mai queste parole. Per tutto il resto della vostra vita, occhi e mente aperta contro il male dell’Incendiario” Per fortuna, Pacha ci licenziò subito dopo questo discorso, e feci per mollare senza troppa grazia Capac per andarmene a riflettere per conto mio, quando l’altro mi trattenne.

 “Simay. Quello che abbiamo sentito è gravissimo. Te ne rendi conto, vero?” annuii. Mi sentii un po’ imbarazzato, forse pensava che non fossi abbastanza maturo per affrontare la situazione. “Non possiamo lasciare nulla al caso, non possiamo prenderci rischi. Non possiamo svolgere indagini in solitario, per accertarci di non aver sbagliato: possiamo essere davvero efficaci solo se lavoreremo in gruppo. Per questo, promettimi che se avrei un indizio, o un semplice sospetto, su attività o identità di questo Incendiario, la prima cosa che farai sarà venirmelo a dire”

 Lo promisi, forse un po’ di fretta. Non che avessi pensato di fare il contrario del resto. E finalmente potei squagliarmela a pensare in santa pace.

 L’Impero in pericolo a causa di Sulema … avevo sempre pensato che la minaccia della dea folle fosse stata estinta all’alba dei tempi. E invece viveva ancora, sotto spoglie umane impossibili da identificare. Che potevo fare? Sarei stato in grado di far fronte a una minaccia simile?

 Dovevo: Pacha mi aveva stimati abbastanza da confidarmi quel segreto, non potevo assolutamente deluderlo. Avrei fatto tutto quello che mi aveva ordinato: attenzione costante agli eventi attorno a me, per trovare il minimo segno di quest’artefice di barbarie, riferimento immediato di tutti questi a Capac.

 Non avrei deluso il Sommo Sacerdote, non avrei deluso nessuno.

 

 

 

Choqo richiuse il manoscritto, rimanendo poi immobile per alcuni istanti. Non era quello che si sarebbe aspettata di leggere.

 Per la Vita, che cos’era quella storia? Nessuno aveva mai menzionato un Incendiario, si vedeva che quella parte dei miti era conosciuta solo ai sacerdoti dell’antica religione, perché lei l’aveva imparata insieme a Simay! E … la crisi religiosa, coincidente pressappoco con il periodo in cui Simay e Corinna erano saliti al trono. Culminata con il Silenzio, l’abbandono del mondo da parte degli dei, e sedata dagli Imperatori della Vita, a seguito di cui si era instaurato il culto, fino ad allora eretico, che faceva capo a Malitzin. Non sembrava precisamente il tipo di situazione che Pacha aveva descritto?

 L’Incendiario c’entrava qualcosa, con tutte quelle faccende.

 Ma Simay, ora così deciso a proteggere il culto della sua dea e a non deludere i superiori, e Corinna, ora una schiava ignara di tutte quelle storie, che ruolo vi avevano avuto?

 A proposito di quest’ultima: aveva interrotto la lettura a metà frase, la volta precedente. Pareva che non avrebbe imparato presto cosa accidenti fosse una Datrice di Morte, dunque valeva finire quella parte e togliersi il pensiero.

 

 

                                                                 Dal Manoscritto di Corinna

 

L’ultimo dei gruppi con cui venni in contatto nei miei primi giorni da schiava fu quello degli artigiani, presso cui, come ho già menzionato, le dame mi spedivano a fare ordinazioni o a ritirare quelle già pronte, e nel loro caso, di incontri degli di nota – e che nota – ce ne sono solo due.

 Il primo fu causato da una brutta tosse che Uyella, la figlia di Tabllay, si era buscata: rifiutava di perdersi un solo minuto della presenza dell’Imperatrice solo per i costanti accessi di tosse e il catarro, ma al contempo si rendeva conto che questi due dettagli non la rendevano una visione particolarmente attraente. Soluzione?

 “Tu! Va’ nell’erboristeria e portami qualcosa!”

 Non reagii. Nessuna delle altre cinque schiave lì presenti lo fece. Ecco una delle poche cose su cui potevo concordare con le mie colleghe: qualcuna di quelle dame aveva davvero bisogno di imparare a parlarci con i nomi propri.

 “Qorina! Sei stupida? Va’ in farmacia ti ho detto!”

 ‘Qorina’ ero io. A quanto pareva, il mio nome suonava simile a uno tipico di quelle parti, e se il mio interlocutore non aveva abbastanza interesse per me da ricordarselo, spesso usava la forma alternativa. In un primo momento avevo ribattuto, o mi ero rifiutata di obbedire se non chiamata con il nome corretto; qualche schiaffo di Dylla aveva rettificato la situazione.

 “Perdonate la mia incapacità di leggere nel pensiero e capire chi fosse ‘tu’, mia signora” sfoderai dunque il mio sarcasmo, e coraggiosamente me la filai prima che qualcuno potesse dirmi nulla.

 Fino a quel momento l’unica bottega del cortile degli artigiani che avevo visitato era stata quella del fabbro, perché una delle dame voleva che riferissi le lamentele che a lei erano state riferite da suo marito riguardo a una spada corta dall’elsa troppo pesante, e avevo dovuto passare mezz’ora a sentire i piagnistei di quell’omaccione su come tutti gli mettessero tanta pressione prima di potergli cavare la promessa che avrebbe riequilibrato la spada. L’erboristeria era dall’altro lato del cortile, e non avevo mai parlato con nessuno di quelli che ci lavoravano, ma speravo che fossero un po’ più vivaci.

Procedetti, scostai la tenda dell’ingresso, e fui prontamente investita da una fiammata.

 Cacciai un urlo e indietreggiai, mentre qualcuno all’interno sbraitava “Chi è quel cretino che ha lasciato lì quella roba?”

 Non mi si era appiccato il fuoco da nessuna parte, urgeva andare a controllare cosa stesse succedendo. Dovetti schiacciarmi contro la parete: dalla parte opposta, da alcuni vetri di fiale rotte e rimasugli di sostanze strane si levavano alte fiamme bluastre, che una ragazza bassa e rotondetta di circa la mia età stava cercando di domare, mentre un tizio riccamente vestito le sbraitava contro a distanza di sicurezza.

“Perdonatemi, mio signore!” stava dicendo la ragazza. “Ma vi consiglio di muovervi con più cautela, qui ci sono sostanze pericolose –“

“E sono stato io a mettercele? NO! Siete voi i mentecatti che lavorano qui! Siete voi quelli che piazzano sostanze combustibili dove chiunque le può urtare!”

 “Scusatemi se mi permetto, ma eravate stato avvertito di non avvicinarvi –“

 “E credi che non capiti a nessuno di perdere l’equilibrio? Queste idiozie sono da evitare a prescindere!”

“E quindi tu hai causato l’incendio, e te ne stai fermo a urlarle contro lì mentre lei cerca di domarlo?!” questa volta fui io a sbraitare.

 “Che stai dicendo, schiava? Qui non puoi parlare se non sono io a dirti di farlo! Fa’ quello che è il tuo dovere, piuttosto, e spegni quell’incendio!”

 “Perfetto!” gli urlai di rimando.

 Ora che la indosso abitualmente, so che la lana è piuttosto resistente agli strappi, anche quella fine; perciò non ho idea di che razza di forza io abbia dovuto usare per strappare un pezzo al ricco abito di quel tizio e usarlo per soffocare le fiamme, premendo bene finché non ebbero più ossigeno per alimentarsi, strinandomi le mani e imprecando tutto il tempo. Devo essere stata davvero arrabbiata, e a tutt’oggi, non mi pento delle mie azioni.

 Capisco che quell’erboristeria non era stata proprio attentissima nelle norme di sicurezza, ma che ‘perdita dell’equilibrio’ doveva aver avuto quell’idiota per causare una simile distruzione di ampolle? E poi quel suo modo di rifiutarsi di prendersi le sue responsabilità, schiacciarsi contro la parete a urlare contro a quella poveretta che stava cercando di spegnere il fuoco, senza muovere un dito per aiutarla, solo perché era di una classe sociale inferiore … mi mandava in bestia, dannazione. Odiavo i tipi come lui.

 L’incendio fu dunque domato con successo; e una volta che io non fui più prossima a una fonte ignea, fui prontamente afferrata e scaraventata a terra.

“Che cazzo hai fatto!” sbraitò l’uomo, mentre la ragazza mi guardava a occhi sgranati. “Ora mi dovrete ripagare la tunica! Perché non hai usato i tuoi, di vestiti, se volevi spegnere il fuoco?!”

 “Perché così ti avrei permesso di contribuire, anche se eri troppo vigliacco per avvicinarti” sbottai. “E per la tunica? Parlane con la mia padrona, se tanto ci tieni”

 “Intendi lei?” indicò la ragazza, prima di rivolgersi a lei. “Voglio parlare con tuo padre!”

 “Non è una nostra schiava” rispose la ragazza, con un filo di voce.

 Il tizio si bloccò del tutto. “No?”

 “Ero qui per una commissione. La mia padrona è l’Imperatrice Llyra. Parlane con lei se tanto ci tieni”

 A giudicare dalla faccia, più di tanto non ci teneva adesso.

 “Avrai delle conseguenze, scarto respirante” mi promise comunque, prima di uscire in tutta fretta. Tra parentesi, non ebbi alcuna conseguenza: o il tizio aveva deciso che la faccenda era troppo triviale per portarla davanti alla sovrana, o quest’ultima aveva capito la situazione meglio di lui.

 La ragazza comunque corse ad aiutarmi a rialzarmi. “Come … come hai …” balbettò, guardandomi come se fossi appena arrivata da un altro mondo. Chissà perché, stava iniziando a diventare un comportamento comune.

 “Come ho affrontato quello? Era un imbecille. Se lo meritava”

“Ma no, la colpa era mia” si affrettò a spiegare lei. “Avrei dovuto mettere le ampolle in un altro posto …”

 “E non l’hai avvertito che non andavano toccate?”

 “Sì, ma avrei dovuto prevedere che avrebbe perso l’equilibrio …”

 La guardai con occhi sgranati, e scoppiai a ridere. Sul serio, provai anche a trattenermi, ma proprio non ci riuscii.

 La ragazza mi guardò confusa. “Ho detto qualcosa che non va …?”

 Ehi, ma questa era la prima persona a preoccuparsi della mia opinione da quando avevo messo piede in questo nuovo mondo. Mi stette allo stesso tempo un po’ più simpatica, e un po’ più antipatica, perché mi rendevo perfettamente conto che questo non era che un sintomo da Sindrome dello Zerbino acuta.

 “Stai scherzando, vero? Come diavolo facevi a prevedere che quel tizio era così sfigato che non sapeva nemmeno stare in piedi da sé?!” la ripresi. “E poi, hai visto come non ti ha aiutata? Ha fatto lui il casino, volontariamente o meno, e se ne è stato appiccicato alla parete a urlarti contro mentre tu te la vedevi con il fuoco. Bel comportamento da stronzo!”

 “Ma bisogna portare rispetto” obiettò lei.

 “A chi? A lui? Perché? Cos’ha fatto per meritarselo?”

 “Bisogna comportarsi così …” replicò lei, ma potevo percepirne l’incertezza. Per la miseria, fino a quel giorno non aveva posto in discussione perché bisognasse portar rispetto agli altri, specie se erano imbecilli? Esisteva un limite all’imbranataggine umana?

“È un nobile, è di classe superiore alla mia”

“E fregatene!” ribattei. “È nato in un’altra classe per puro caso, non è diverso da te! Anzi, se è un nobile, tanto più un motivo per mandarlo a quel paese!”

 La ragazza mi fissò a bocca aperta. “Ma questo atteggiamento non ti mette nei guai con i tuoi padroni?”

 Io scrollai le spalle. “Me ne frego”

 Non era proprio verissimo, ma questo la ragazza non aveva bisogno di saperlo. Lei mi sorrise, adeguatamente impressionata. “Sei davvero coraggiosa. Come ti chiami?”

 “Corinna”

 “Io sono Alasu Yzdai, felice di conoscerti”

 Era la prima volta che qualcuno mi diceva così in quel mondo, e invece di storcere il naso al mio comportamento ribelle, ne era ammirato. La ragazza mi fu davvero molto più simpatica.

 “Ma ti chiedo scusa, di cosa avevi bisogno?”

“Una delle gran dame nell’altro cortile ha la tosse ed esige un rimedio”

 “Subito. È allergica a qualcosa?”

 “Non me l’ha detto, quelle tizie sono convinte che io sappia leggere nel pensiero”

 “Ma …! Lasciamo perdere. Chi è quella donna?”

 “Uyella”

 “Ah, sì! So cosa le serve”

 “Una purga?”

Alasu mi parve quasi sul punto di ridere. “No! … Cioè, certe volte sarei tentata di darle un calmante di nascosto, ma …”

 La tenda si spostò e la ragazza tacque di colpo.

 “Alasu!” strillò un uomo. “Che cosa è successo?”

 Il padre di Alasu, dedussi dagli abiti tipici degli artigiani e da quello che aveva detto il nobilastro di prima.

 “Che cos’è successo qui?!”

 Alasu abbassò gli occhi a terra. “C’è stato un problema con le ampolle …”

 “Hai accusato un nobile di aver provocato l’incendio!”

 “Ehi, lei l’aveva avvisato che le ampolle non andavano toccate! Che responsabilità ha lei di come si muovono gli altri?”

 Il farmacista mi fulminò con lo sguardo e mi indicò. “Alasu, ecco come sono le giovani di basso livello e male educate: aggressive e irrispettose. Mi rifiuto che tu diventi una di loro! Vieni nel retrobottega, dobbiamo parlare”

 “Prima posso finire di preparare l’ordinazione …?”

 “Sì, quello sì. Ma poi non voglio sentire scuse”

 Be’, quello spiegava molte cose. Ad esempio, che Alasu era ancora molto bambina, di testa. Lei si affrettò a mescolare vari intrugli, e infine mi porse il risultato in una boccetta.

 “Raccomandale di masticarlo lentamente. E mi dispiace averti trattenuta tanto a lungo”

 “Eh, è stata una buona pausa, dai. E non dare peso a quello che ti dice tuo padre. I genitori sono convinti di essere la bocca della verità, ma dimostra solo quanto siano pieni di sé”

 Non ho idea di come sia andato davvero il colloquio di Alasu con suo padre. Però io ero contenta. Finalmente ero riuscita a parlare con qualcuno che invece di rovesciarmi addosso critiche per il mio comportamento ribelle, strillarmi ordini e rifilarmi ceffoni, sembrava adeguatamente impressionato.

 Da allora, trovai sempre molto piacevoli le visite alla farmacia.

 

“Seriamente, sono almeno due settimane che quell’anello dovrebbe essere pronto, e ancora Sayre non ha mandato nessuno a consegnarlo! Cosa passa in testa a quell’uomo? Anzi … Corinna! Vai alla bottega dell’orafo, e indaga sullo stato del mio anello!”

 Come si dice da quelle che erano le mie parti, mi levo il cappello di fronte a questa gran signora, che non solo si era ricordata che gli schiavi non erano magici esseri telepatici, ma si era pure ricordata il mio nome giusto. Non ebbi quindi nessuna replica sarcastica a quest’ordine, mi limitai ad alzarmi e a marciare verso il Cortile degli Artigiani senza dire una parola.

 Trovai l’oreficeria accanto alla bottega del fabbro: mentre dalla seconda proveniva un gran chiasso di metallo battuto, dalla prima uscivano solo leggeri picchiettii metallici. Scostai la tenda, e mi ritrovai in un ambiente incredibilmente buio, illuminato solo da una fornace dalle braci morenti contro una parete e una lampada appoggiata a un tavolo in legno. Un uomo era seduto al tavolo, intento a picchiettare una placca d’oro con una specie di martelletto. Chino com’era, i capelli gli ricadevano davanti al viso, impedendomi di distinguerne i lineamenti.

 “Ehi, mio signore” gracchiò una voce femminile piuttosto rauca. “È arrivata una nuova cliente”

 L’uomo non reagì, restando chino sul suo lavoro.

 “Perdonatelo” riprese la voce di prima. “È tanto concentrato che nemmeno ci sente. Secondo me fa finta per darsi l’aria da grande artista”

 Ritenni la proprietaria della voce abbastanza simpatica da mettermi a cercarla con lo sguardo: in un angolo, individuai la ragazzina bionda che avevo già intravisto un paio di volte in giro per il cortile. Avevo sempre pensato che fosse piuttosto brutta: la sua faccia era come se qualcuno avesse preso un pezzo di legno e ci avesse inciso un volto umano alla meno peggio. Il fatto di non essere l’unica schiava sulla faccia di quella terra ad essere sarcastica verso il suo padrone mi confortò, comunque.

 “Se mi dici cosa vuoi ordinare, lo segno da qualche parte finché la grande opera del giorno non è terminata”

 “Non devo ordinare niente. La signora – lettore, non mi ricordo più come si chiamasse quella donna, perdonami! – vuole sapere le sorti dell’anello che avreste dovuto consegnarle due settimane fa”

 “Ah. Non ne ho la più pallida idea. Mio signore!”

 “Aspetta un attimo, finisco questo …” mugugnò l’uomo. Dalla voce, sembrava piuttosto giovane. Magari era l’apprendista, invece dell’orafo vero e proprio?

 Comunque, sia a me che alla sua schiava toccò di restarcene lì impalate, in attesa che finisse qualunque cosa dovesse fare. Un anello per domarli e nel buio incatenarli … no, perdonami, temo che nessuno coglierà mai questo riferimento.

 Finalmente il sommo artista si degnò di smettere di picchiettare, e mise da parte la lastra d’oro. Marciò verso le finestre e tirò le tende, permettendo finalmente a un po’ di luce di entrare nella stanzetta.

“Scusa per-“

 “Oh, di nulla! Anzi, grazie della munifica concessio …ne …” dovetti sforzarmi per portare a termine la frase nel necessario tono sarcastico, perché la luce mi permetteva finalmente di vedere l’orafo in faccia. Era semplicemente il giovane più bello che avessi mai visto.

 Non sembrava molto più vecchio di me, probabilmente attorno ai vent’anni. Aveva i lineamenti piuttosto fini rispetto alla gente del luogo, con gli zigomi alti, e occhi neri, piuttosto allungati, dallo sguardo incredibilmente intenso. Portava i capelli leggermente più corti di quella che pareva essere l’usanza del luogo per gli uomini, ed erano piuttosto arruffati. Aveva anche un gran bel fisico – non so di preciso quanto lavoro di forza gli orafi debbano fare nel loro lavoro, ma da quel punto di vista non c’era proprio niente da ridire. L’unico dettaglio vagamente stonato erano le labbra, stranamente sottili, ma il difetto era più che trascurabile in un volto così splendido.

 Il cuore mi si trasferì dalla gabbia toracica alla base della gola, rendendomi difficile l’articolazione di suoni concreti; e questo prontamente mi fece infuriare con me stessa. Io non ero una di quelle oche che avevano in testa solo i ragazzi! Proprio no! Non importava quanto impossibilmente figo fosse questo qui, io non mi sarei messa a sbavare o a balbettare o a dargli un qualsiasi altro trattamento preferenziale, anzi! Avevo una reputazione (veramente no) da mantenere.

 “Di nulla, di nulla” rispose lui sfacciatamente. “L’anello di (nome dama), hai detto?”

 “Sì. Dice che avreste dovuto portarglielo due settimane fa. Cos’è, sei rimasto a lavorare tutto il tempo su quella placca lì?” questa presa in giro parve scadente pure a me, ma non avevo il cervello in pieno funzionamento, lì.

 “No, quello è un progetto più recente” lui ignorò completamente il mio sarcasmo, controllando invece un taccuino logoro, prima di buttarlo via con uno sbuffo esasperato. “Credo che il ritardo abbia piuttosto a che fare con il fatto che quando mi ha commissionato il gioiello e le ho detto entro quanto sarebbe stato pronto, l’onorevole signora mi ha detto che avrebbe mandato qualcuno a prenderlo”

 Uh, sì, in effetti suonava come qualcosa che quella donna avrebbe potuto fare. Ma se gliel’avessi data vinta, avrebbe capito che mi piaceva? Meglio non rischiare.

“E in tutto questo tempo nessuno ha pensato che si fosse dimenticata? O vi pesava troppo il culo ad andarglielo a chiedere di persona?”

 “Le sei molto leale” notò lui, avvicinandosi a una specie di credenza colma di scatoline. “Ma è la prima volta che ti vedo. Sei entrata al suo servizio da poco tempo o sbaglio?”

 “Io sono un’ancella dell’Imperatrice, non sua” replicai.

 “Ah? Allora la tua lealtà si fa ancora più sorprendente” frugò all’interno del mobile. “O eri solo dell’umore di insultare qualcuno?” alzò le mani al cielo per la frustrazione. “Linca! Si può sapere dov’è l’anello di (dama)?”

 “Mio signore, ho seri dubbi che vi ricordereste dove avete messo la vostra testa, se non ci fossi io! … E comunque vi ho già detto che non ne ho la più pallida idea”

 “Vai a dirlo alle guardie, così possono star sicure che non farò mai nulla che meriti la decapitazione. Ma non lo tieni tu l’inventario?”

 “Se qualcuno non avesse passato gli ultimi giorni a spedirmi in giro a fare trentamila cose mentre lui stava tranquillo qui a sfornare nuovi gioielli a ripetizione, magari avrei trovato il tempo di aggiornarlo! In ogni caso, gli anelli di solito non sono nell’anta in basso?”

 “È vero, hai ragione …” l’orafo aprì l’ultima anta del suo mobile. Vi si riversarono fuori un’infinità di scatoline, effettivamente abbastanza piccole da contenere un anello.

“Oh. Scusami, ragazza … come ti chiami?”

Borbottai il mio nome.

 “Strana variazione, di che provincia sei?”

 “Fatti gli affari tuoi”

 “Propongo un accordo: io mi faccio gli affari miei, e in cambio tu mi aiuti a ritrovare la scatola giusta”

 “Stai fresco. Tieni in ordine la tua roba” Non ero certo la persona più adatta a fare quella predica, ma non avevo intenzione di mostrarmi minimamente arrendevole con lui. ‘Dimostri un po’ di gentilezza a un ragazzo, e lui chissà cosa si mette in testa’, pensavo.

“Il tuo desiderio di impartirmi una giusta lezione è ammirevole!” replicò lui, con un gran sorriso. Un meraviglioso sorriso – eh no, dovevo restare concentrata sul guardarlo male! “Un desiderio tanto intenso, che immagino sarai disposta ad aspettare tutto il tempo che io e Linca cerchiamo la scatola giusta. Ci metteremo un po’, senza nessuno ad aiutarci, ma immagino che la signora che ti ha mandata qui non sarebbe molto contenta del tuo ritorno a mani vuote. Accomodati pure contro quella parete, non ci sono sgabelli qui”

 Ci riflettei. La dama si sarebbe davvero arrabbiata, se fossi tornata senza anello? Probabilmente mi avrebbe accusata di essere pigra, ma non era che me ne fregasse granché della sua opinione. Cosa avrebbe pensato questo qui? Mi aveva involontariamente passato una scusa per aiutarlo senza sembrare una delle ochette servizievoli che sicuramente gli morivano a dietro … e l’idea di scambiare qualche altra parola con lui non mi dispiaceva, affatto. Ma gli avrei messo in chiaro chi comandava.

 “E va bene” sbuffai, sedendomi accanto al mucchio di scatoline in cui lui e la sua schiava stavano già rovistando. “Da cosa la riconosco quella stupida scatola?”

 “Molto generoso da parte tua, Corinna! È la numero quarantasette, lo troverai inciso sul fondo”

 Eh? Ma io sarei stata in grado di decifrare i numeri di questo posto? Energia ci aveva pensato? Pace, al limite mi sarei finta analfabeta, sapevo che andava di gran moda nell’antichità. No, non ce n’era bisogno, bisognava riconoscere all’elemento che era stato previdente …

 “Io comunque sono Sayre Tupachi” si presentò lui.

 “E chi te l’ha chiesto?”

 “È una formula di presentazione tipica da queste parti. Da dove vieni tu non si usa dire il proprio nome quando ci si presenta?”

 “Intendo dire che non me ne fregava proprio niente di te o del tuo nome. E comunque sbaglio, o anche tu non sei di qui?”

 “Esprimi un sentire un po’ contraddittorio. Comunque hai ragione, sono della provincia di Alaya, come la maggior parte degli orafi, del resto”

 Non ero arrossita quando mi aveva fatto notare la contraddizione, vero? Vero?

“La tua provenienza invece è avvolta nel mistero. D’accordo, non insisto. Almeno sei riuscita ad ambientarti bene, qui al palazzo?”

 “Oh, sì, davvero! Sono una schiava, mi tocca scorrazzare per tutto il giorno agli ordini di donne viziate e piene di soldi, tutti quelli cui posso parlare sono zerbini intenti a leccare i piedi ai padroni, sta andando davvero benissimo!” ribattei sarcastica.

 Sayre era la prima persona in diversi giorni che cercava di informarsi sul mio benessere, ma probabilmente era solo un tentativo di fare conversazione durante una ricerca noiosa, e poi non avevo nessuna voglia di fare la carina e dare la stereotipata risposta che mi trovavo benissimo. Volevo dimostrargli che ero una da dire quello che pensava, anche quando non era una bella cosa. Santa pace, quanto potevo essere palese?

 Sayre infatti mi indirizzò un sorriso comprensivo – molto carino …- e mi posò una mano su una spalla. Ebbi la sensazione che il mio cuore si fosse spostato a fare capriole all’interno della gola.

 “Ti capisco. Perdere la libertà non è piacevole di suo, se poi si finisce in un pessimo ambiente …”

 “Non mi serve la tua compassione!” sbottai, scansandogli la mano.

 “E allora perché ti sei lamentata?”

 Lo fulminai con lo sguardo. “Io non frigno. Stavo solo descrivendo le cose così come sono!”

 “Ma sbaglio o, se mi fossi dimostrato freddo verso le tue sofferenze, mi avresti mandato a quel paese?”

 Mi immaginai la situazione … sarei rimasta piuttosto urtata, in effetti – no, l’opinione di questo tizio non mi interessava! Non importava quanto bello fosse, o quanto sembrasse fastidiosamente intuitivo, non mi sarei fatta ferire da un ragazzo!

 La conclusione pratica di queste risoluzioni fu un grugnito da parte mia, perché davvero non mi veniva una risposta. Sentii una risatina. Dannazione, non gli avevo dimostrato che aveva torto!

 “Su questa situazione non c’è niente da commentare. Io ho detto le cose come stanno, poi chissenefrega di cosa ne pensi tu” la risposta ‘adeguata’ mi venne a scoppio ritardato.

 “E allora perché ti sei tanto inalberata quando ho cercato di –“

 “Trovata!” annunciò Linca. “Probabilmente perché ero l’unica che stava davvero cercando”

 “Si può lavorare anche mentre si chiacchiera, Linca. Mi risulta che tu lo sappia molto bene, visto che di solito non stai mai zitta”

 “Si può fare, ma è un’arte riservata a pochi. A voi no di sicuro, mio signore, visto che avete passato in rassegna dieci scatole”

 “Sei sprecata a lavorare per me, dovrei venderti a un esattore delle tasse. Comunque” prese la scatolina che la sua schiava gli porgeva e me la consegnò. “Ecco qui l’anello. Puoi porgere le nostre scuse alla signora, quando glielo porterai? Il ritardo non è colpa nostra, ma alla nobildonna non farà piacere saperlo”

 “Che vigliacco” commentai, iniziando ad avviarmi verso l’uscita.

 “Cara Corinna, se non vuoi far capire che sei attratta da qualcuno, ti consiglio di cambiare tattica. La finta aggressività funziona solo se usata in misura corretta, e la tua era esagerata al punto della parodia –“

 Trovai un grave peccato che all’ingresso della sua bottega ci fosse una tenda invece di una porta come si usava nel mio mondo. Sbattergliene una in faccia sarebbe stato molto più soddisfacente del semplice tirare violentemente quello stupido tessuto.

 

 

 

 

 

GLOSSARIO (e qualche trivia):

Mekilo: essere simile a uno scoiattolo, solo molto più grande, con zampe molto più lunghe e la coda in fiamme. Essendo un animale legato al fuoco, non è considerato sacro a nessun dio, ma sfruttabile da tutto il genere umano. Viene usato soprattutto per trasportare merci e persone.

Occlo: bovino ricoperto di squame e con protuberanze lunghe e sottili, simili a serpenti che stanno al posto delle corna e da cui esce fuoco. Anch’esso animale legato al fuoco, ma per la sua pericolosità e la capacità di controllare i loro getti di fuoco sono quasi esclusivamente cavalcature da battaglia.

Kutluqun: capre anfibie con alghe al posto della pelliccia. Sono considerate sacre al dio Tumbe, e per questo, per allevarle o catturarne di selvatiche, è necessaria l’autorizzazione di un sacerdote di quel dio.

Lymplis: pesci volanti, con le pinne coperte di piume. Sono sacri alla dea Chicosi, dunque è necessaria l’autorizzazione di un suo sacerdote per possederne uno. Malgrado ciò, sono popolari come animali da compagnia presso la nobiltà.

Kyllu: uccelli simili a cigni, fluorescenti. Sono sacri al dio Achemay, e allevati solo all’interno del palazzo imperiale. Il loro piumaggio è usato per decorare le corone dei sovrani.

 

Shillqui: piante in cui scorre un liquido per aspetto e consistenza simile al miele, che causa a tutto l’albero di agitarsi violentemente. Se bevuto, questo liquido dà gli stessi effetti agi esseri umani, ma è difficilissimo metterci le mani sopra. Pianta sacra a Pachtu, i suoi sacerdoti ne devono bere la linfa durante le cerimonie.

Likri: fiori simili a gigli rossi, dalle temperature bollenti, che esalano un fumo sottile. Se tuffati in acqua gelida e canditi, sono considerati ottimi per la pasticceria, ed essendo legati al fuoco, l’unico limite al coglierli è potersi permettere buoni guanti protettivi.

 

Qillori: cristalli di colore azzurro chiaro, molto usati in oreficeria.

Achemairi: cristalli di colore dorato, anch’essi comuni per l’oreficeria.

 

Notte: entità primordiale da cui tutto il mondo ha avuto origine.

Achemay: dio del sole, entità più importante del pantheon Soqar.

Achesay: dea della terra.

Chicosi: dea dell’aria.

Tumbe: dio del mare, dei fiumi e dei laghi.

Sulema: dea del fuoco.

Pachtu: dio dei fulmini e della vita.

Qisna: dea della morte e delle paludi.

Supay: esseri più collegati al folklore che alla religione vera e propria, sono creature della Notte, incaricati di torturare le anime dei peccatori che lì vengono gettate.

 

 

 

 

 

Ladies & Gentlemen,

dopo qualche secolo, ecco il nuovo aggiornamento. Come potete vedere sopra, dietro grande richiesta di parecchia gente che per i miei tentativi di realismo si ritrovava a non capirci più niente, è stato introdotto il glossario, che d’ora in avanti sarà aggiunto alla fine di ogni capitolo con una spiegazione su tutti gli elementi di Tahuantinsuyu fino a quel momento menzionati, con l’eccezione di quelli che in un modo o nell’altro potrebbero essere uno spoiler. Ringrazio tutti quelli che mi hanno fatto notare il problema, i vostri commenti mi sono sempre utili.

Passando al capitolo, ci ritroviamo Simay alle prese con rivelazioni bomba che mettono in discussione il modo in cui fino a quel momento aveva visto il mondo, e Corinna che si confronta con qualcosa di anche peggiore, le cotte adolescenziali. Scherzi a parte, cosa ne pensate della prima parte, e dei collegamenti trovati da Choqo? E cosa ne pensate adesso di Sayre, visto con gli occhi di un’altra persona? E quali sono le vostre impressioni sulla new entry Alasu?

Grazie per aver letto, e un altro grazie se vorrete lasciare una recensione!

  
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