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Autore: Estethell    10/09/2017    3 recensioni
Grazie a una promozione, il soldato nazista (non per scelta) Ludwig viene inviato nel campo di concentramento prussiano come co-amministratore di suo fratello, il feroce Gilbert.
Contemporaneamente nel campo arrivano dei prigionieri che vengono subito smistati nei vari blocchi dormitorio-fabbrica. Il blocco H3T4-L14, sopranominato hetalia, è amministrato direttamente da Gilbert ed è il luogo peggiore di tutto il campo. In poco tempo vi si ritroveranno prigionieri di vari paesi, tra cui un dissidente politico e filo-russo lituano, un polacco che aiutava gli ebrei a fuggire dai rastrellamenti tedeschi, un ex soldato volontario francese, una spia canadese e un partigiano italiano.
Ludwig cercherà in ogni modo di aiutare i poveri malcapitati del blocco H3T4-L14 a sfuggire dalla violenza del fratello, sviluppando sentimenti nuovi e complessi per il dolce e ingenuo italiano, mentre Gilbert scoprirà grazie a un timido canadese che l'amore vince su ogni cosa, anche sulla violenza.
Principalmente Gerita e Prucan, Fruk sullo sfondo, qualche accenno di Rusliet.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Francis cercò per l’ennesima volta di svegliare Feliciano scuotendolo violentemente, senza alcun successo. Il ragazzo dormiva beatamente perso in chissà quale sogno mentre un po’ di saliva gli colava dalla bocca. Inutile era urlargli nell’orecchio e colpirlo, sembrava quasi morto. Nemmeno l’intervento di Matthew riuscì a cambiare la situazione, non che Francis si aspettasse chissà che cosa, il grazioso canadese non sembrava proprio il tipo da riuscire a farsi valere.

Gli schiamazzi attirarono l’attenzione dei due fratelli tedeschi che iniziarono ad osservare insistentemente la scena.

“E’ di nuovo quello sporco maccherone a creare problemi! Questa volta glie ne darò così tante da lasciarlo davvero morto a terra!” Esclamò Gilbert agguantando il suo manganello, ma fu prontamente fermato dal fratello.

“Occupati degli altri, questa sciocchezza la risolvo io. Credo debba iniziare a guadagnarmi il rispetto e il timore dei prigionieri”

Gilbert sorrise e annuì alle parole del fratello per poi uscire per abbaiare altri ordini ai detenuti sparpagliati nello spiazzale antistante al dormitorio. Ludwig lo guardò per qualche istante, poi si diresse verso la fonte di tutto quel chiasso. Nella sua mente il tedesco si complimentò con sé stesso per aver salvato nuovamente quel ragazzo da morte certa.

“Deve avere qualche santo lassù che lo protegge in continuazione” Pensò mentre si avvicinava alla sua cuccetta.

Francis e un timido ragazzo biondo sbiancarono quando lo videro e aumentarono i suoi sforzi per svegliare l’italiano ma non ci riuscirono nuovamente. Ludwig li guardò dritto negli occhi con uno sguardo di ghiaccio, poi spostò il suo sguardo sulla figura stesa sulla paglia.
Con un cenno fece capire ai due ragazzi di lasciarlo solo con l’italiano. Francis cercò di protestare ma uno sguardo agghiacciante lo fece desistere e, preso per il gomito l’altro ragazzo, uscirono frettolosamente fuori guardando più volte nella loro direzione.

Una volta rimasti soli Ludwig si concentrò sul ragazzo che ancora dormiva beatamente. Il suo sguardo si soffermò sul groviglio di capelli castani che cadevano morbidi sulla paglia e sul volto, e sul bizzarro ciuffetto arricciato che si allungava su un lato della testa. Quel ricciolo sembrava così morbido da tentare Ludwig di toccarlo e tirarlo.
Lo sguardo poi si spostò sulle sue labbra rosee e morbide. Ludwig non riusciva a capire perché ma si sentì fortemente tentato di accarezzarle con un dito per sentire la loro morbidezza al tatto.
Infine il tedesco fissò la figura del corpo seminascosto sotto la sottile coperta. Subito il ricordo della notte precedente e soprattutto di quello che aveva fatto si insinuò nella sua mente facendolo arrossire violentemente.

Distolse velocemente lo sguardo e si tolse il cappello lisciandosi i capelli impomatati con una mano guantata cercando di calmarsi.
Doveva agire in fretta altrimenti suo fratello si sarebbe insospettito. Essendo fervente cristiano e nazista, non avrebbe minimamente accettato anche solo di ascoltare i problemi che Ludwig stava affrontando in quel momento. Lo avrebbe sicuramente bollato come persona moralmente scorretta e deviata e lo avrebbe rispedito a casa supplicando il padre di farlo visitare da un medico e di mantenere il segreto per non gettare l’intera famiglia nella vergogna più totale… perché dopo la scorsa sera Ludwig aveva capito di provare una sorta di sentimento omosessuale nei confronti di quel ragazzo.

Ma non era questo il momento di pensarci. Rimettendosi il cappello, Ludwig afferrò una spalla del ragazzo e lo scosse violentemente come avevano fatto prima Francis e l’altro detenuto. L’italiano fu sballottato duramente, ma nemmeno questo riuscì a svegliarlo. Temendo che arrivasse Gilbert e di non poter difendere più il ragazzo dalla sua violenza, il tedesco afferrò con entrambe le mani un braccio dell’italiano e lo tirò fuori dalla cuccetta con violenza facendolo cadere a terra.

Il colpo fece svegliare di soprassalto il ragazzo che si guardò in giro con uno sguardo assonnato e confuso, finché non vide il giovane tedesco. Subito il ragazzo bruno si alzò da terra e si appiattì al muro tra le cuccette spaventato a morte.

“Ve… v-ve…” Balbettò in preda al panico.

“Come ti chiami?”

“…”

Feliciano non riusciva a risponde per il terrore. Era sempre stato molto pigro nello svegliarsi, una brutta abitudine che condivideva con il fratello e che spesso creava problemi nel gruppo partigiano in cui operavano, ma in quel luogo poteva realmente rischiare la pelle per il suo stupido vizio.

Ludwig fece un passo in avanti terrorizzando a morte il ragazzo. Voleva assolutamente sapere il suo nome, voleva conoscere tutto di lui, voleva potergli parlare per tutto il tempo, ma doveva fare un passo alla volta. Un soldato nazista non doveva fraternizzare con un prigioniero.

“Il tuo nome!” Scandì con voce forte marcando il suo accento tedesco.

Feliciano per poco non si bagnò i pantaloni per la paura. Il suo cuore batteva a mille e pensava seriamente che quell’adone paradisiaco sarebbe stato l’ultima cosa che avrebbe visto in vita sua.
Balbettando riuscì a tirare fuori dalla sua gola il suo nome e gli sembrò che il tedesco lo pronunciasse più volte sottovoce come se lo stesse masticando con la bocca per renderlo un suono familiare.

Delle grida da fuori l’edificio destarono il tedesco dal suo torpore e, dopo aver risposto ad esse, fece cenno a Feliciano di uscire fuori. Il ragazzo afferrò le scarpe che si trovavano ai piedi della cuccetta e corse velocemente fuori, rivelandosi un ottimo scattista.

Ludwig rimase a fissarlo mentre percorreva in pochi istanti il corridoio del dormitorio per poi scomparire nello spiazzale illuminato confondendosi con gli altri detenuti.
Il tedesco sentiva una sorta di calore nel petto, un’altra sensazione strana e sconosciuta, ma si decise ad ignorarla mentre raggiungeva gli altri all’aperto.

 

L’edificio che ospitava la fabbrica L14 era piuttosto alto e malridotto, saturo di odore di metallo fuso e con il pavimento di terra battuta sporco di trucioli di metallo. I macchinari che servivano per la fonditura e la lavorazione della materia prima si trovavano esattamente nel centro dello stabile. Il calore in quel luogo era tale da fare impallidire l’inferno stesso.

Quando Feliciano entrò nello stabile Gilbert aveva costretto a suon di calci e manganellate gli altri detenuti a iniziare il lavoro quotidiano. Un gruppo di persone erano addette al recupero della materia prima da un grosso cumulo di detriti posto all’esterno dello stabile e al trasporto fino alla fornace dove un altro gruppo, senza alcuna protezione addosso, si occupava della fonditura. Il metallo sciolto colava poi in alcuni stampi che venivano calati in acqua da un terzo gruppo di uomini che avevano il compito di raffreddare il metallo che ormai aveva assunto la forma di un ingranaggio e di trasportarlo in un angolo dell’edificio dove venivano accatastati.

A prima vista quei grossi ingranaggi sembravano del tutto inutili, ma da quando il campo aveva aperto le sue porte ogni fabbrica del blocco produceva ingranaggi di varie grandezze che venivano poi inviati direttamente nelle fabbriche di assemblaggio di veicoli bellici a Berlino.

L’unica persona che mancava nei vari gruppi era Francis che era stato spedito da Gilbert con un forte calcio sul fondoschiena nelle cucine con il compito di preparare il rancio del giorno al dormitorio intero.
Nel campo di concentramento prussiano ai prigionieri veniva concesso un pasto al giorno qualora avessero svolto bene il loro lavoro, che spesso consisteva in una zuppa acquosa e poco consistente che li lasciava più affamati che mai accompagnata a un tozzo piuttosto duro di pane. Le guardie invece avevano diritto a un lauto pranzo consumato nella loro mensa personale, seguito da un’abbondante cena serale.

Nel vedere l’italiano correre nello stabile senza scarpe Gilbert lo raggiunse con poche falcate e lo colpì con il suo manganello.

“Cosa diavolo stai facendo, pezzente? Mettiti subito le scarpe e vai a trasportare le pietre alla fornace, sporco maccherone!”

Feliciano piagnucolò qualcosa mentre si metteva le scarpe tutte bucherellate, poi scappò vicino il ragazzo polacco che stava uscendo in quel momento per andare a prendere le pietre da trasportare alla fornace.
Tutto doveva essere perfetto per Gilbert, soprattutto pulito e ordinato, e funzionante. Tutti gli uomini che controllava dovevano lavorare sodo per produrre ingranaggi e tenere alto il nome del campo nelle parti alte del governo tedesco.
Gilbert ci teneva così tanto da accettare di sacrificare dei poveri innocenti pur di risultare perfetto.
Nella fabbrica lo raggiunse anche Ludwig che sembrava perso nei suoi pensieri come la sera prima.

“Guarda fratellino, guarda quant’è perfetta e impressionante la nostra organizzazione. Questi miserabili hanno trovato uno scopo nella loro vita finalmente!”

Gilbert sembrava veramente convinto di quello che diceva, ed era così preso dalla sua perfezione da non accorgersi che il fratello non aveva sentito nemmeno una parola del suo discorso. Era impegnato invece a ripetere in modo quasi impercettibile e insistentemente una parola che rotolava tra i denti come se stesse recitando un rosario.

La perfezione tanto amata di Gilbert fu rovinata improvvisamente da un rumore sordo e da un flebile lamento. Gli occhi rosso fuoco dell’albino subito guizzarono verso la parte sinistra dell’edificio, dove gli ingranaggi appena completati venivano accatastati pronti per essere spediti. Il suo sguardo si fermò su un ragazzo gracilino nonostante l’altezza che accucciato vicino a un ingranaggio posato a terra cercava inutilmente di sollevarlo, bloccando e deviando la fila di lavoro che si era formata.

Con grosse falcate, mentre il suo volto diventava rosso per la rabbia, Gilbert si diresse verso il ragazzo biondo, quasi investendolo.

“Cosa cazzo stai facendo, piccolo merdoso stronzo?! Muoviti a raccogliere quell’ingranaggio e a tornare a lavorare!”

Le sue grida si sparsero per tutto l’edificio bloccando all’istante tutti i lavoratori che si girarono a guardare nella sua direzione curiosi e impauriti.
Matthew cercò inutilmente di alzare l’ingranaggio ma l’oggetto non si mosse di un millimetro da terra.

“Io… io non ci riesco… è troppo pesante per me!” Piagnucolò nello sforzo.

Gilbert non ci vide più dalla rabbia. La sua adorata e tanto sofferta perfezione stava per essere irrimediabilmente rovinata da quel miserabile individuo dal disgustoso accento inglese che continuava ad esistere soltanto per un suo capriccio. Senza pensarci due volte l’albino afferrò per il collo il povero ragazzo e sfoggiando una forza fuori dal comune, dovuta agli anni di allenamento per rendere perfetti i suoi muscoli, glielo strinse soffocandolo.

Matthew cominciò ad annaspare mentre con le mani cercava di divincolarsi dalla presa del tedesco, ma non vedendo bene a causa degli occhiali che gli erano stati tolti il giorno prima, non riuscì a colpirlo né tantomeno ad appendersi al suo corpo.

“Kesesese, ma a chi stai mirando, eh fallito?” Schernì Gilbert ridendo di gusto mentre stringeva la presa sul pallido collo del ragazzo.

“Uc… Oc… Occhi-ali…” Riuscì a sputare Matthew mentre si aggrappava con tutte le sue forze alle braccia di Gilbert cercando di respirare un po’ d’aria.

“Occhiali? A che ti servono gli occhiali se stai per morire?”

Detto questo Gilbert mollò la presa con una mano e la sollevò a pugno pronto per calarla con forza sul povero malcapitato.
Nell’edificio era calato un silenzio quasi sacro. Gli altri detenuti rimasero a guardare sconvolti sentendosi disgustati e impotenti allo stesso tempo. Il volto di Feliks assunse una smorfia di disperazione nel vedere che un altro detenuto del suo dormitorio stava per morire per un motivo futile e assurdo. Al suo fianco Feliciano tremava come una foglia e singhiozzava in silenzio mentre le lacrime gli bagnavano il volto.
Dalla fornace Toris guardava paralizzato la scena. Nemmeno il giorno prima aveva concluso che il canadese non sarebbe sopravvissuto a lungo, ma non avrebbe mai pensato di vederlo morire così presto e per un motivo così stupido.
Semplicemente non era pronto per vedere morire nessuno.

Alle urla disumane Ludwig uscì dalla sua trance notando finalmente cosa stava succedendo a pochi metri di distanza da sé. Vedere il fratello piegato sul ragazzo indifeso pronto a massacrarlo di pugni lo lasciò con un fortissimo senso di nausea mentre l’adrenalina montava. Doveva salvare quel ragazzo dalla violenza del fratello, esattamente come aveva fatto poco tempo prima con Feliciano, doveva assolutamente farlo. Pensando a ciò fece uno scatto in direzione del fratello per poi fermarsi qualche istante dopo, sconvolto.
Non aveva fatto in tempo.

 


Gilbert rideva come in indemoniato mentre guardava il volto del ragazzo rosso e sofferente. Con la sua morte la sua perfezione sarebbe stata salva. Gilbert era pronto a sacrificare chiunque pur di preservarla. Avrebbe colpito così forte quella feccia da renderlo irriconoscibile anche a sua madre, non importa se avrebbe tolto forza lavoro nella fabbrica, un individuo tanto inutile era solo un peso per essa.

Stava per avventarsi sul ragazzo con foga quando il suo braccio si fermò a metà strada, come se una mano invisibile lo avesse trattenuto con forza.
Gilbert rimane impietrito a guardare il volto del canadese ormai allo stremo.
Matthew era diventato completamente rosso, quasi viola, per la mancanza d’aria e dalla sua bocca colava un rivolo di saliva che cadeva sulla mano dell’albino che gli stringeva il collo. Ma quello che più di tutto pietrificò il tedesco fu il suo sguardo. Gli occhi del ragazzo, grandi e d’un incredibile violetto, lo fissavano socchiusi per lo sforzo e colmi di lacrime che scendevano sulle sue guance. Nel suo sguardo Gilbert non leggeva né odio né rancore né nessun altro sentimento negativo nei suoi confronti ma solo tanta disperazione e tristezza.

L’albino cercò di dire qualcosa ma lo sguardo ipnotico del ragazzo ormai quasi svenuto gli risucchiava l’intera facoltà del pensiero, e forse quasi l’anima. Raccogliendo tutta la sua forza di volontà Gilbert riuscì a deviare il suo sguardo da quello del ragazzo. Ancora scioccato da quello che aveva provato, gettò il ragazzo a terra lasciando la presa sul suo collo e alzandosi. Subito Matthew si portò le mani al collo respirando rumorosamente a pieni polmoni, tossendo insistentemente. Gilbert lo osservò per qualche istante rimanendo in piedi di fronte a lui, poi si guardò intorno. L’intera fabbrica aveva puntati i suoi occhi su di lui. I prigionieri erano rimasti a bocca aperta a fissarlo increduli mentre Ludwig lo guardava come se indossasse un vestito da donna.

Cercando di scrollarsi di dosso l’immenso disagio che lo stava assalendo, abbaiò ai prigionieri di rimettersi a lavoro, poi si rivolse al canadese intimandolo di cambiare posto con qualcuno della fornace. Infine, rosso in volto più per altro che per la rabbia, girò i tacchi su sé stesso e quasi corse fuori dall’edificio senza nemmeno girarsi verso il fratello che lo seguiva con lo sguardo.

 

“Cosa cazzo è successo?”

Questo fu il primo pensiero di Gilbert quando, uscito dalla fabbrica, si rifugiò dentro l’edificio dove si trovavano le docce comuni, a quell’ora deserto.
Appena entrato, subito si appoggiò con le mani a una parete, fissando sconvolto a terra. In nemmeno un minuto era successo l’incredibile, ma cosa ancora più incredibile era che non era riuscito a picchiare quel ragazzo.
No, era più corretto dire “non aveva voluto”!

Gilbert scosse la testa e tornò a guardare a terra con gli occhi sgranati. Mai nella sua carriera di amministratore del campo gli era successa una cosa simile. Non si era mai fatto scrupoli a picchiare, vessare, torturare, ferire o in casi estremi mutilare i prigionieri qualora ne avesse avuto bisogno o voglia, ma questa volta semplicemente non vi era riuscito.

Probabilmente il motivo era il canadese stesso. Gilbert non aveva mai preso in simpatia nessun prigioniero da quanto lavorava lì, ma riconosceva quando qualcuno lavorava sodo e bene o quando qualcuno era oggettivamente di bell’aspetto. Quel canadese, se non fosse stato inglese, sarebbe potuto essere un perfetto ariano in quanto rispettava la maggior parte dei canoni dell’ideologia tedesca.

Il problema però era soltanto uno: la sua bellezza non era oggettiva per Gilbert.
L’albino infatti non era stato particolarmente colpito dal bell’aspetto del ragazzo quanto dal suo volto e soprattutto dai suoi occhi e dalle sensazioni che aveva provato nel guardarli. Occhi grandi, d’un colore mai visto prima, innocenti e allo stesso tempo saggi e profondi, carichi di pazienza e dolcezza. Uno sguardo che per la prima volta nella vita di Gilbert non lo guardava con odio, disprezzo e disgusto.

Gilbert sapeva bene di essere diverso da tutti gli altri, e soprattutto di essere estremamente fortunato. La sua caratteristica principale, l’albinismo, lo aveva costretto a una vita di forti sofferenze a livello sociale dove tutti, adulti, bambini, parenti, insegnanti, semplici passanti che lo incrociavano per strada, lo fissavano come se fosse un mostro, lo additavano come diverso e lo isolavano. Gilbert aveva dovuto combattere contro la solitudine e contro il disprezzo per tutta la sua vita, rimboccandosi le maniche nel cercare di farsi riconoscere almeno i propri sforzi, cercando di essere il migliore in tutto per essere finalmente visto come una persona normale e di valore. E accidenti ci era riuscito, era diventato davvero impressionante, ma nonostante ciò la gente lo guardava ancora con disprezzo, disgusto e ora anche con invidia.
Gilbert era consapevole anche che la maggior parte della sua fortuna derivava dalla sua famiglia altolocata ed era questo il principale motivo per cui non si trovava in quel campo come prigioniero al posto di amministratore.
Lui si divertiva a rendere la vita dei prigionieri un inferno per cercare di esorcizzare la sua sofferenza facendo del male agli altri, soprattutto a quelli che lo odiavano più di qualsiasi altra cosa.
Non era colpa sua se era nato in quel modo, non era colpa sua se era diverso da tutti gli altri, non voleva esserlo e avrebbe fatto di tutto per proteggere tutto quello che aveva faticosamente conquistato fino al quel momento.

Ma quello sguardo… quello sguardo privo di negatività, privo di odio e rancore, carico solo di tristezza, disperazione e quasi compassione lo aveva destabilizzato nel profondo. Quel ragazzo non lo odiava, non pensava fosse diverso o che fosse un mostro, aveva anzi quasi pietà della sua condizione, e soprattutto non lo giudicava. Guardandolo, per la prima volta nella sua vita Gilbert si sentì visto per ciò che era e non per ciò che appariva, per un ragazzo che usava la violenza per nascondere la sua grandissima sofferenza interiore e per cercare di alleviarla, non per uno scherzo della natura feroce e senza scrupoli.

Ed era proprio questo che creava in Gilbert tanta confusione, il fatto che appena visto quello sguardo il suo io interiore si era rifiutato categoricamente di far del male a quel ragazzo, di distruggere a suon di pugni la sua innocenza e compassione.
Con un’epifania degna dei personaggi dei romanzi di Joyce, Gilbert realizzò che non voleva per nessuna ragione al mondo essere odiato da quel canadese, ma anzi voleva assolutamente continuare a essere guardato in quel modo tutto il tempo, proteggerlo da ogni minaccia che poteva ledere la sua innocenza, tenerlo stretto a per sé in modo quasi possessivo, nutrendosi della sua presenza e della sua semplicità come se potessero curare in modo definitivo le profonde cicatrici del suo cuore.

Con orrore si allontanò dalla parete passandosi la mano sul volto sudato mentre fissava insistentemente la porta dell’edificio. Un conto era pensare che una persona fosse di bell’aspetto in modo oggettivo, un altro era pensare che quella persona non solo fosse bella ma essere anche interessato al suo aspetto interiore. Gilbert deglutì a fatica.
Aveva appena capito di avere degli interessi particolari per un ragazzo, una persona del suo stesso sesso, interessi che non aveva mai avuto prima di allora e che disprezzava con ogni fibra del suo corpo.

“Impossibile! Io… io non posso essere interessato a un uomo! Io….”

Le relazioni tra uomini erano severamente vietate e punite dall’ideologia nazista e lui era cresciuto facendo proprio questo valore. Era impossibile che avesse interessi per altri uomini, anche perché ne aveva visti tanti in ogni modo possibile e non avevano avuto nessun effetto su di lui, e poi in gioventù aveva avuto diverse cotte per delle ragazze.

“Devo essermi rincretinito tutt’un tratto! Probabilmente è colpa della stanchezza” Ridacchiò tra sé per cercare di sdrammatizzare il tutto, ma nel profondo della sua anima sentiva una vocina che urlava “bugiardo”.

Senza indugiare oltre uscì dall’edificio e si diresse verso i dormitori delle guardie deciso a impiegare tutto il tempo che serviva in preghiera davanti il crocifisso che aveva appeso nella sua stanza per cercare di trovare una risposta ai suoi problemi.


Note dell'Autore
Ed ecco finalmente un nuovo capitolo. Mi hanno fatto notare che i capitoli precedenti erano un tantino corti, perciò iniziando da questo pubblicherò capitoli più lunghi :D
Lo so, lo so, ho trattato malissimo Canada e me ne pento, ma da adesso in poi andrà meglio, giuro. 
Inoltre abbiamo scoperto anche un lato nascosto di Gilbert che inizierà ad emergere sempre più!!
Canada è così tenero, piace a tutti :3
   
 
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