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Autore: mistero    10/09/2017    0 recensioni
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Tra le Alpi svizzere sorge l’Albion College, una scuola speciale in cui non si entra per merito, ma per diritti ereditari. In quel luogo remoto, al centro di un’Europa multiculturale sospesa tra mito e realtà, Ariadne Penfelen e il professor Rudolph Tristan stanno per incontrare il loro destino.
«Volevo solo fare qualcosa per lei».
«Ha già fatto qualcosa per me» disse l'uomo a fatica, con una strana voce roca.
Ari represse un brivido d'incoscienza prima di sussurrare: «E se non mi sembrasse abbastanza?»
Tristan la osservava con uno sguardo sfuocato.
«C'è un'altra cosa che-» rispose poi d'impulso con quella stessa voce, afferrando la sua mano e abbassandosi ginocchioni in modo da porre il viso all'altezza del suo.
«Di' il mio nome».
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tristan accartocciò l'ennesimo foglio coperto di calcoli e lo buttò con violenza davanti a sé.
Poi respirò, si alzò, recuperò la carta e la gettò nell'apposito cestino mentre si risedeva.
Non c'era nulla da fare. Nemmeno il lavoro lo distraeva.
Non si era sentito così male neanche quando Isabel l'aveva lasciato.
Era come se avesse perso l'equilibrio.
Risentiva la voce soffice di Ariadne Penfelen che pronunciava il suo nome, quel nome di battesimo che non usava mai nessuno, nemmeno gli amici.
Rivedeva gli occhi chiari guardarlo per una volta non come una funzione tutt'al più temuta, non come un automa insensibile, ma come un semplice uomo.
Aveva dimenticato cosa volesse dire essere compresi in uno sguardo che non ha pregiudizi o aspettative e adesso non poteva più farne a meno.
Gli mancavano le mattine ad ascoltarla suonare, gli mancavano le loro serate di lavoro silenzioso e discussioni accese. Gli mancava bere il tè con lei accanto.
Gli mancava lei.
E gli mancava per tutte le ragioni sbagliate.
La sua rivelazione al vetriolo l'aveva lasciato a bocca aperta, doveva ammetterlo.
Per quanto si sforzasse di avere il controllo di una situazione, quando ci si metteva di mezzo il cuore c'era sempre, sempre un dettaglio in grado di alterare l'intero sistema. Era stato così con i suoi genitori, era stato così con sua moglie. E adesso lei.
Si era dato dell'idiota, aveva meditato sull'amarezza della sorte, si era chiesto per la prima volta nella sua vita se davvero l'attivazione del loro patrimonio genetico avrebbe portato a un destino inevitabile. Ma no. Si rifiutava di crederlo.
L'attivazione comportava dei poteri superiori a quelli dell'uomo medio e percezione di emozioni legate a una vita precedente, forse.
Ma ognuno si costruiva la propria strada. Lui non le stava lontano per paura di un mitico e tragico futuro, non era così codardo. Le stava lontano perché lei gli aveva chiesto di fare così.
E la verità era che non gli mancava solo lo splendore di Isotta La Bionda, come Ariadne aveva insinuato perché senz'altro lo pensava solo in relazione al Tristano perduto nel mito; questo avrebbe paradossalmente reso tutto più facile, più accettabile.
Invece eccolo lì ad essere disgustato da se stesso perché soffriva la perdita di una ragazza così enormemente più giovane che avrebbe dovuto essere per lui poco più di un nome su un registro.
Per Dio, non aveva mai nemmeno concepito di trovare più o meno simpatici i suoi allievi e questo, questo! Era inadatto, era imperdonabile.
Eppure rimpiangeva di aver perso gli ultimi mesi che avrebbe potuto passarle accanto grazie a qualche ragazzetto imbecille che sicuramente le aveva spifferato la favola dei cavalieri di re Artù per fare colpo.
C'era di mezzo la Confraternita del Ferro, c'avrebbe giurato. Stava succedendo qualcosa di strano all'interno di quello che sarebbe dovuto essere un normale club studentesco di scherma.
E, adesso che non aveva più lei a riempire le sue ore, una parte del suo tempo sarebbe stata dedicata a scoprire cosa stavano combinando quei ragazzi.
A impedire, se possibile, che qualcuno si facesse male.

Ariadne si guardò intorno. Erano passate quasi tre settimane e lei stava da cani.
Line si era preoccupata, le aveva chiesto a più riprese se fosse successo qualcosa con il misterioso ragazzo e Ari non aveva avuto neanche la forza di rassicurarla con convinzione.
Aveva promesso sia a Mark che a Tristan di mantenere il segreto e non poteva aprirsi nemmeno con Caroline.
Stava male. Faceva fatica a ricordare cos'era stata prima di quei tre mesi. La ricerca di una soluzione al mistero delle guarigioni aveva assorbito tutte le sue energie razionali non impegnate con il diploma, e Tristan si era preso il resto. Adesso aveva perso entrambe le cose e si sentiva girare a vuoto.
Cosa pensava prima, cosa desiderava? Diplomarsi con onore e diventare medico?
L'Albion non le sembrava più lo stesso, adesso che conosceva la verità. C'erano molte cose della scuola che non aveva mai approvato, ma adesso, adesso che sapeva... vedere i borsisti e gli atteggiamenti discriminatiori di alcuni regolari la faceva soffrire ancora di più.
Come era possibile che la Tavola Rotonda fosse diventata così?
Quanto all'idea di diventare medico, dopo tutta quella faccenda le sembrava colma di un'ironia talmente agrodolce da fargliela detestare.
Durante le lezioni di matematica teneva gli occhi puntati sul banco ed evitava il più possibile di intervenire. Il professore le sembrava gelido e indifferente come sempre. Si chiedeva se stesse ancora lavorando ai calcoli che avevano cominciato assieme.
A lei restava solo la musica. Il brivido dorato, l'attivazione, non era più tornata e Ariadne non sapeva se esserne infelice o sollevata. Andava comunque a suonare quanto più poteva e spesso si scopriva a desiderare che Tristan ignorasse la sua preghiera e comparisse contro la luce della porta con il suo tweed e la sua aria accigliata.
Ma lo conosceva troppo bene: sapeva che avrebbe rispettato la richiesta come un giuramento di sangue.
Quando pensava a questo e ricordava la loro ultima conversazione non poteva fare a meno di piangere. In quelle occasioni si avvicinava alla sottile bifora e guardava fuori, con una mezza speranza di vederlo nel cortile, o, come adesso, si sedeva al suo pianoforte e ne sfiorava i tasti con una mano sola, senza star dietro ad una melodia.

Seguiva il filo dei suoi pensieri quando entrò Mark.
La vide con le lacrime agli occhi e coprì in un attimo la distanza che li separava.
«Ehi, Ari, che succede?»
Lei lo guardò sperduta per un attimo, notò che le sue pupille erano di nuovo troppo larghe, e poi scoppiò in un pianto a dirotto, troppo stanca per opporsi, lasciandosi abbracciare e nascondendo il viso bagnato nell'incavo della spalla di Mark.
Quando si fu un po' calmata si staccò da lui gli disse solo: «Grazie».
Lui rispose: «Ehi, io sono qui. Anche se non vuoi dirmi perché piangi se hai bisogno mi prendo cura di te»,
«Tu invece come stai?»
Mark sembrò a disagio. «Sto bene, ma-»
«Ma?»
Lui scrollò le spalle. «Niente, solo che nell'ultimo periodo il jumper mi sembra...»
«Cosa?» lo pressò Ariadne.
«Ma niente, mi sembra che mi faccia qualche effetto strano. Il cuore...»
«Mark, voi la dovete smettere con quella roba».
Lui la guardò con qualcosa di simile alla commiserazione.
«Non puoi capire, Ari. Quando l'hai provato non puoi più farne a meno».
«E se invece ci fosse un modo per farne a meno?»
«Non c'è, ti dico. Quando conosci la tua vera natura non puoi più sentirti vivo senza. Te l'ho detto, se non l'hai provato non capisci».
«Io invece credo di capire».
Mark la guardò con un sorrisetto. «Cosa intendi?»
Ariadne esitò per un attimo. Aveva promesso a Rud- aveva promesso a Tristan di non parlarne mai con nessuno. Ma se avesse potuto togliere da un giro pericoloso degli allievi della scuola anche lui avrebbe dovuto approvare, no?
Valeva la pena rompere una promessa per cercare di migliorare una vita?
Ariadne prese la sua decisione.
«Ti ricordi il giorno in cui io stavo suonando e tu sei magicamente guarito?»
«Me lo ricorderò finché campo, piccola» le rispose ammiccando Mark.
Lei rimase seria e proseguì. «Non è stato il...»
«Il jumper?»
«Il jumper, o come si chiama, a guarirti quel giorno. Sono stata io».
«Tu? Ma cosa-»
«Ascolta, ho scoperto che esistono dei suoni che possono provocare un'attivazione temporanea. Quel giorno ho suonato la sequenza giusta per caso. Ho attivato il mio cavaliere, che era un guaritore, e ti ho guarito senza rendermene conto. Sto provando a ricostruire la melodia giusta da mesi... se la trovassi basterebbe che tu la ascoltassi per attivarti. Non dovresti più prendere quella roba».
Mark la scrutò e poi rispose, cauto: «Ari, sarebbe incredibile, però... sei sicura che sia andata così? Perdonami, ma mi sembra un teoria un po' fantasiosa».
«Non credi che quel giorno io mi possa essere attivata? Non credi che dopo che tu me ne hai parlato io possa aver capito che la sensazione che avevo avuto non poteva essere altro che la mia attivazione?»
«Io perché allora non ho sentito niente a parte la guarigione?»
«Forse perché eri già attivato con il jumper».
«...forse. Mi piacerebbe crederti, Ari, davvero, ma... non abbiamo prove».
«Mi sono autoguarita in un'altra occasione. Un piccolo taglio. L'ha notato anche Line e lei non sapeva cosa potesse significare. E poi...»
Esitò e guardò Mark. Non sembrava ancora convinto.
«E poi ho chiesto a Tristan un parere. Ha fatto delle ricerche ed è sicuro che io abbia ragione». «Tristan? Gli hai detto che io ti ho detto-»
«No, stai tranquillo. È solo che per un po' ho... lavorato con lui sulla formula che potrebbe condurre alle note. Mi ha dato un grossa mano».
«Ma se ti tratta peggio che tutti gli altri! Non ci posso credere che ti ha aiutato».
«Ti assicuro, è vero, mi ha aiutata».
Mark passò il dito sulla cassa un po' impolverata del pianoforte.
«Be', pignolo com'è, se lui ha detto che è possibile...»
«Ne è convinto, Mark» insistette Ariadne. «Tu promettimi che smetterete con quel jumper e io ti giuro che mi rimetto a lavorare sulla formula».
«Perché, ti eri interrotta?»
Ebbe un'intuizione e i suoi occhi mandarono un lampo. «Aspetta, aspetta, è per questo che piangevi, non è vero? È stato mio zio? Ti ha detto qualche carognata come al suo solito, qualcosa che ti ha scoraggiata e ti ha fatto perdere le speranze? Ti ha insultata?»
«No, no,» rispose allarmata Ari, «lascialo fuori, lui non centra niente, ho fatto tutto da sola, ero a un punto morto e-»
«Sì, certo. Ci credo proprio che non ha a che fare con questa storia, quello stronzo-»
«Non insultarlo».
Ariadne non riuscì a trattenersi e Mark la guardò spiazzato.
«Che, lo difendi? Tanto lo so che qualcosa di male te lo ha detto, ho visto come ti tratta. È solo un bastardo inacidito, un signor nessuno che si diverte ad umiliare noi ragazzi perché sa che abbiamo davanti un grande avvenire, quando lui invece...»
«Smettila. Guarda che la sua prima preoccupazione è proteggere tutti noi».
«Come no, proteggere» ghignò sprezzante Mark. «Ma se non sa nemmeno difendere la sua famiglia! L'unica cosa positiva di lui era sua moglie, e se l'è fatta scappare entro un paio d'anni.»
Ariadne smise quasi di respirare. «Vuoi dire che non-»
Riuscì a trattenersi dal fare domande all'ultimo istante, ma Mark aveva notato il suo sguardo.
Forse era il jumper ad amplificare la sua intuizione, forse erano i ricordi ancestrali del suo cavaliere, quello stesso Marco di Cornovaglia che era stato marito di Isotta la Bionda e che Isotta non aveva mai amato, preferendogli il giovane nipote. L'ironia macabra del destino che aveva invertito i loro ruoli era grottesca.
«Ti ha fatto qualcosa».
«No, Mark, ti dico-»
«Se ti ha toccata lo ammazzo».
Ariadne ansimò; Mark aveva attorno a sé un'aura di violenza palpabile che cresceva secondo dopo secondo.
«Come puoi pensare una cosa del genere?» gli disse in tono conciliante, cercando di dominare la propria rabbia e farlo calmare. «Lo conosci, lo sai che non lo farebbe mai. È un brav'uomo, Mark, un uomo perbene, un uomo onorev-»
«E tu smettila di difenderlo!» gridò lui con quanto fiato aveva in corpo.
Poi si toccò il braccio sinistro e riprese fiato, parlando lentamente.
«Va bene, ho capito. Non t'ha fatto niente. Ma non mi piace che tu gli stia vicina. Lascia perdere 'sta storia della musica. Oppure provaci e lavoraci da sola. Ma sei la mia fidanzata: voglio sapere che non passi del tempo con nessun uomo tranne me».
Ariadne avrebbe voluto schiaffeggiarlo e deriderlo per quell'affermazione medievale. Avrebbe voluto rispondergli che lei avrebbe passato il suo tempo con chi preferiva, fidanzata o non fidanzata. Avrebbe voluto sottolineare che non era una proprietà. Avrebbe voluto dirgli che un uomo -no, un ragazzino capace di un'affermazione del genere non avrebbe dovuto nemmeno osare pronunciarlo il nome di Tristan, figuriamoci permettersi d'insultarlo.
Ma era preoccupata dall'aggressività che emanava a ondate dal corpo di Mark e si disse che in ogni caso non l'avrebbe visto comunque, il suo Tristan.
«Non ho nessuna intenzione di passare del tempo con lui».
Mark continuava ad essere scuro in viso, ma sembrava esser stato tranquillizzato dalla sua affermazione.
«Ok. Rimaniamo così allora».
La tirò a sé e la baciò rapidamente sulle labbra. Poi, senza più dire una parola, uscì.
Ari gli corse dietro e urlò dalla porta: «Non ne parlerai con nessuno, vero?», ma in risposta ottenne solo un braccio alzato in segno di saluto.
  
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