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Autore: Sacapuntas    10/09/2017    0 recensioni
Sin dal giorno in cui il suo sangue si è mescolato agli scoppiettanti carboni ardenti, Eric Coulter ha la reputazione di essere il ragazzo più spietato, rude, indifferente e gelido della suo nuova Fazione. La sua fama lo precede, ma la cosa non sembra disturbarlo minimamente, e si gode i suoi vantaggi da Capofazione in completa solitudine. Ma a volte basta solo una parola di troppo, un profumo particolare e due grandi occhi ambrati per stravolgere e riprogrammare la mente di qualcuno.
Sentitevi liberi di aprire, leggere e, se la storia vi appassiona, lasciare una recensione, mi renderebbe davvero felice!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 16 - L'esca





Le parole scritte sul foglio di carta che stringo fra le mani si confondono sotto ai miei stessi occhi, rendendomene quasi impossibile lettura. Ho in mano il documento che potrebbe significare la fine della vita di Jonathan, e all'inizio ero così convinto di volerlo consegnare a Max che l'idea di ripensarci un istante non mi ha neanche sfiorato l'anticamera del cervello. Ora, invece, non sono più sicuro di voler ripetere lo stesso errore due volte. Sto ancora affrontando le conseguenze dell'accusa contro Amar, non posso permettermi di aggiungere un altro peso al fardello.
Nascondo di nuovo il documento fra il materasso e la rete del letto, e mi siedo sul bordo ad aspettare che Elizabeth ritorni dalle sue Simulazioni giornaliere, i gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate fra di esse.

Il caldo sole del primo pomeriggio proietta lame di luce che entrano dalla finestra dell'appartamento, ed io riesco a vedere l'agile pulviscolo che danza leggiadro fra i fasci luminosi. Lascio che la luce riscaldi la parte destra del mio viso per qualche secondo, ad occhi chiusi, godendomi il suo tepore e la sensazione di tranquillità e pace che mi trasmette.
Mi alzo, e con una falcata raggiungo l'infisso vicino, appoggiando gli avambracci sul davanzale e dando un'occhiata all'esterno. Nonostante la Residenza sia stata costruita parzialmente sotto terra, alcune stanze si trovano più il altro rispetto ad essa, ad esempio l'appartamento di Quattro e il mio.
Ho chiesto esplicitamente una stanza al di sopra dei tunnel, in modo da potermi godere paesaggi stupendi come quello della città illuminata dal mite sole primaverile... E, be', certo, per saltare fuori dalla finestra in caso di emergenza.

L'aria è fresca e decido di restare senza maglietta, finchè sono nel mio appartamento, non potrei sopportare l'indossare una giacca di lana o una maglietta aderente in una giornata come questa. Ammesso che me ne sia rimasta qualcuna, dal momento che Elizabeth sembra essersi appropriata del mio vestiaro e non pare aver intenzione di rendermelo.
Mi guardo allo specchio appeso alla parete opposta a quella del letto, e mi sorprendo a sorridere. Cerco di far sparire quell'espressione ebete dalle labbra, ma non ci riesco: il pensiero di quella piccola Candida mi fa sempre questo effetto.
Faccio scivolare lo sguardo su ciò che è riflesso alle mie spalle, ovvero il letto -sopra il quale arde il dipido delle fiamme Intrepide- e il comodino. Qualcosa, su di esso, emana un chiaro bagliore.
Aggrotto la fronte, mentre mi volto dando le spalle all'Eric riflesso nello specchio, quello che sorride come un ragazzino quando pensa alla fidanzata.

Quando mi avvicino al comodino, mi accorgo che il bagliore proviene dalla luce solare riflessa sul coltellino ripiegato di Elizabeth, che evidentemente ha dimenticato in stanza l'ultima volta che è stata qui. Ovvero stanotte.
Stanotte è stata diversa dalle altre. Sapevamo che potevamo essere molto più tranquilli, che ci eravamo entrambi tolti parte di un grande peso dalla testa e dal cuore. Potevamo baciarci e accarezzarci senza sentirci in colpa e senza sentirci in dovere di dare spiegazioni a qualcuno.
Infilo il coltellino in tasca anteriore dei pantaloni e mi stendo sul letto, guardando il soffitto finchè, una ventina di minuti più tardi, non arriva Elizabeth con in mano una mela. Chiude la porta, dando solo una mandata.

Mi alzo per andarle incontro, ma lei si irrigidisce e non accenna a muoversi. Mi fermo di colpo, temendo che sia successo qualcosa con le Simulazioni, forse non le ha passate stavolta, forse ha avuto una ricaduta.
Quando, però, vedo che i suoi grandi occhi ambrati non si incontrano con i miei neanche per sbaglio, mi rendo conto troppo tardi di non avere una maglietta indosso, e che il suo sguardo è incollato al mio fisico illuminato dalla calda luce del sole.
Non riesco a trattenere una debole risata, quando vedo che lei si accorge delle sue guance in fiamme e cerca di ricomporsi, invano, tentando di guardare qualcos'altro nella stanza. Ma mi pare di capire che, ai suoi occhi, non ci sia nulla più importante di me, in questo momento. Ed il pensiero mi fa sentire strano.

Elizabeth si avvicina, lanciando la mela sul letto ed entrando nella pozza di luce disegnata sul pavimento di legno. Si morde distrattamente l'interno della guancia, lasciandolo subito andare per alzare lo sguardo su di me e sussurrare, con un filo di voce:
"Posso...? Voglio dire... Ti darebbe fastidio se...?" muove senza convinzione le mani verso di me, ma le ritira quasi immediatamente.
Io, invece, le afferro di nuovo, e la guardo attentamente mentre le appoggio delicatamente prima all'altezza delle clavicole, poi scendendo verso il petto. Le sue pupille si dilatano, ingoiando quasi interamente l'oro delle iridi con la loro oscurità. Quando muovo le sue mani sul mio addome, indurito dal duro allenamento Intrepido, le lascio andare i polsi, rimanendo soddisfatto quando noto che i suoi palmi rimangono lì dove li avevo guidati io.

"Sei bellissimo." dice sorridendo imbarazzata, mentre la vermiglia timidezza le incendia le guance. Dopo pochi istanti, Elizabeth muove lentamente le mani, esplorando con curiosità ogni mio centimetro di pelle e ripetendo a bassa voce vari complimenti, come un timido mantra.
Alza lo sguardo, e i suoi occhi incontrano i miei, e così fanno immediatamente le nostre labbra, che si cercano e si desiderano disperatamente.
Faccio scivolare una mano sotto la sua maglietta, sfiorandole le scapole tatuate da quel disegno tanto pericoloso quanto affascinante. Le afferro i fianchi, forse con eccessivo impeto, ma il desiderio di sentire la sua pelle che preme contro le mie dita è troppo forte, ed io dovrei controllarmi.
Ma non ci riesco.
Non con lei.

La sollevo e la faccio stendere sul letto, senza interrompere il nostro bacio disperato che sa di sole di primo pomeriggio e polvere. Mi sarei aspettato una reazione allarmata, forse anche un rimprovero, invece Elizabeth mi afferra la nuca e mi tira ancora di più verso di sè, come se quei pochi millimetri che separano i nostri corpi fossero una distanza infinita.
Afferro i lembi della sua maglietta -in realtà, è una delle mie magliette, ma non mi importa molto al momento- e azzardo a dare un leggero morso alla striscia di pelle che sto scoprendo. Elizabeth geme, ed io sento che perderò il controllo da un momento all'altro, perciò la avverto.
"Se vuoi che mi fermi, dillo ora." la guardo dal basso, sperando ardentemente in un suo rifiuto. Invece lei rimane ferma un istante, poi si mette a sedere amareggiata sul letto, ed io faccio lo stesso proprio di fianco a lei. Mi mordo il labbro, e mi maledico di averle proposto una cosa simile. 
"Purtroppo, non sono venuta qui solo per ricevere questo tipo di attenzioni." inaspettatamente, Elizabeth mi afferra e mi spinge sul letto, mettendosi a cavalcioni su di me.

Mi dà un ultimo, lungo bacio, dopodichè sospira, non sapendo da dove cominciare a parlare. La vedo che apre la bocca e poi la richiude, si mette a sedere su di me per poi gesticolare a vuoto, fa espressioni affrante, come se le costasse la vita proferire parola.
"Sto cercando di trovare il modo giusto per dirtelo... Vedi..." si blocca, e riformula la frase, senza successo. Alla fine, prende un profondo respiro e inchioda i suoi occhi del colore del tramonto sui miei, azzurri come il cielo primaverile. "Samuel ti vuole parlare." dice, tutto d'un fiato, con voce fredda come quella di una macchina.

"Samuel." ripeto io, in un misto fra incredulità e fastidio.
"Sì, hai presente? Il Candido al quale ho definitivamente spezzato il cuore, quello che hai sempre..."
"Sì, ho capito di chi stai parlando."
"Bene. Ti vuole parlare."
"Di cosa?"
"Secondo te?" rotea gli occhi al cielo, e si punta un dito davanti alla faccia. "Della principessa contesa."

"Io non ti contendo con nessuno." mormoro minaccioso, come se davanti avessi Samuel e mi stessi rivolgendo proprio a lui, non alla mia ragazza.
"Ma cosa hai capito? Io parlavo di te, sei tu la principessa per la quale io e Samuel ci dobbiamo battere." segue un lungo silenzio, io la guardo sinceramente confuso. "È sarcasmo! Ovvio che stavamo parlando di me!"
"Non ho nulla da dirgli."
"Lui sì."
"E cosa ti fa pensare che io ci andrò, principessa?" le accarezzo una gamba, e lei rabbrividisce.
"Perchè... Te lo sto chiedendo io." la sua voce trema leggermente mentre la mia mano si sposta sul suo interno coscia. "Eric... È una cosa seria... Ascoltami."

"Ti sto ascoltando."
"Quindi ci andrai?" posa una mano sulla mia, fermando la corsa delle mie dita sul tessuto dei suoi jeans. "È importante, per me."
Sospiro, abbandonando la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi per non vedere il suo sguardo implorante. Ovvio che non ci voglio parlare, con Samuel, cosa diavolo vuole dirmi di tanto importante da mandare addirittura Elizabeth a chiedermelo? E soprattutto, cosa vuole che io gli dica?
Vorrà forse minacciarmi, dicendo che io non sono il ragazzo giusto per lei? Probabile. Ma avrebbe ragione? Probabile anche quello.
"Non sono mai felice, ed io voglio esserlo." aveva detto la ragazza, sotto gli effetti dell'alcool. E poi, i giorni seguenti: "Eric è la mia famiglia... Mi rende felice.".
Dunque, se quelle parole sono venute fuori proprio dalla Candida -e quindi si presuppone siano sincere-, cosa mai vorrà da me quello stupido Candido che non ha ancora superato la sua piccola ed adorabile delusione amorosa?

"E va bene." borbotto, guadagnandomi uno splendido sorriso da parte di Elizabeth. "E comunque, anche io dovrei parlarti di una cosa."
"E sarebbe?" si sposta da sopra di me e si stende al mio fianco. La sua chioma si sparpaglia sul cuscino, formando un'informe massa bruna di capelli che hanno quel tanto particolare profumo, grazie al quale potrei riconoscere Elizabeth ovunque.
"Ho parlato con Max, riguardo alla situazione di Daniel, senza specificare nulla, ovviamente. Dice che è possibile cambiare Fazione solo e soltanto se il Consiglio lo approva. L'assemblea si riunirà domani, dal momento che vi dovranno partecipare soltanto i Capifazione, e non tutti i residenti. Ma, capisci, non penso accetteranno l'idea di un Trasfazione di quell'età." le accarezzo la guancia, sperando che non ci rimanga troppo male.
"È perfetto!" esclama lei, invece, stampandomi un bacio sulle labbra.

"Non penso tu abbia capito, serve il consenso di tutti i..."
"Be', mio padre lavora nel Governo al fianco di Jack Kang, e il padre di Alice è uno stretto amico di Johanna, che non è esattamente la leader dei Pacifici, se vogliamo dirla tutta... Non saranno Capifazione, certamente, ma avranno una grossa influenza sulla decisione. Sappiamo tutti che gli Abneganti non dicono di no a nessuno, troppo egoista esprimere un dissenzo, vero? L'unico problema potrebbe essere Jeanine, non sarebbe vista sotto una buona luce se un membro della sua Fazione se ne andasse insoddisfatto dagli Eruditi. E per quanto riguarda gli Intrepidi..." poggia una mano sul mio addome e si sporge per mordermi il labbro inferiore. "...C'è il mio Capofazione preferito che appoggerà la mia causa."
"Dove posso incontrare Samuel?" le chiedo, afferrandole la mano. "Perchè se continui così, finirò per dimenticarmelo."
"Ti aspetta nel dormitorio, ora che gli altri sono impegnati con le Simulazioni."
"Immagino che non debba perdere tempo, allora." dico mentre mi alzo dal letto sconfortato: avrei voluto passare più tempo con Elizabeth.

Mi infilo una maglietta a maniche corte, sebbene so perfettamente che fuori da questo appartamento, nei tunnel della Residenza, l'aria è fresca e umida, e probabilmente avrò freddo.
"Cosa dovrei fare, io?" chiede Elizabeth alle mie spalle, ed io, dal riflesso dello specchio davanti a me, vedo che si è appena alzata per venire vicino a me.
"Cosa intendi dire?" aggrotto la fronte, il lembo della maglietta ancora stretto fra le dita. "Non dirmi che tu non vieni."
"Ovvio che non vengo, Samuel mi ha detto che vuole parlarti da solo."
"Dev'essere proprio una cosa seria, allora." mormoro, alzando gli occhi al cielo, spazzolando la maglietta da qualche residuo di polvere o gesso. "Puoi restare qui, se vuoi, ma penso che dovrò spiegare la tua assenza al tuo innamorato."
"Digli quello che ti pare, non mi importa di quello che dice la gente." pronuncia questa frase velocemente, voltandosi verso la finestra alle sue spalle.

Rimango con la mano sulla maniglia della porta dell'appartamento, tamburellando le dita sull'ottone. Rielaboro le sue parole, lentamente, come farebbe una macchina abituata ad un procedimento simile. Come farebbe Elizabeth.
"Hai appena mentito." la mia affermazione sembra più una domanda, e provoca in Elizabeth un sospiro infastidito.
"Lo sai che era una bugia." incrocia le braccia sul petto, voltandosi di lato per sbirciare il suo riflesso nello specchio. "Le hai viste le mie Simulazioni, dopotutto."

                                                                                                 ***

Il dormitorio è anche più freddo dell'ultima volta, ed io sto cominciando a pentirmi amaramente di non aver portato una felpa con me, invece di uscire dall'appartamento con una leggera maglietta nera a maniche corte.
Le luci al neon azzure, montate sul soffito ad intervalli regolari, creano ombre sinistre sulle colonne, che proiettano le loro lunge sagome scure sul pavimento di pietra, ricoperto da uno spesso strato di polvere e gesso caduto dalle pareti. In questa enorme stanza tutto sembra essere immobile, anche le lenzuola dei letti degli iniziati, che pare si siano congelate sui materassi, aggrovigliate nelle posizioni più strane e scomode.
Man mano che avanzo, piccole nuvolette di terra si alzano dal pavimento in corrispondenza dei miei passi. Ma, in questa mastodontica sala, c'è solo una cosa che sembra avere vita: la sagoma di un ragazzo alto e dalle spalle larghe coperte da una pesante giacca nera di cuoio, con le braccia incrociate sul petto e il piede destro che batte nervosamente sulla pietra.

Quando il Candido si volta, i suoi capelli corti e leggermente ricci -di un particolare colore che varia dal nero al biondo cenere scuro, a seconda della luce- ondeggiano appena percettibilmente sulla sua testa, dandogli un'aria quasi infantile. Però, quando il suo sguardo, caldo e stranamente penetrante, si posa sul mio, freddo almeno quanto questa stanza -se non di più-, mi sento pervaso da una sensazione di malessere che mi suggerisce di dargli le spalle e uscire dal dormitorio.
Sono poche le volte che fronteggio qualcuno della mia stessa altezza: Quattro è qualche centimetro più basso rispetto a me, Max non è uno degli uomini più alti che conosca, ed Elizabeth -la persona con la quale passo più tempo in assoluto- mi arriva appena alle spalle. Samuel, invece, è un ragazzo muscoloso di circa un metro e ottantacinque di altezza.
Quando mi trovo di fronte a lui, incrocio le braccia al petto, imitando la sua fastidiosa posizione che lascia quasi intendere un segno di sfida. Non sono sicuro che dovrei dire qualcosa, in questo momento, quindi mi limito a fissare il Candido, squadrandolo dalla testa ai piedi. Ha gli occhi molto più scuri rispetto a quelli di Elizabeth, quasi neri, e le sopracciglia lunghe e chiare, le labbra sottili scorticate ed uno strano tono di voce, acuto ma in qualche modo minaccioso.

"Non pensavo che saresti venuto davvero." dice infine, facendomi distogliere l'attenzione dai suoi tratti morbidi che a volte ricordano quelli di un bambino.
"Eppure l'ho fatto." rispondo, alzando un sopracciglio. Lui fa lo stesso. "Perchè so perfettamente di cosa mi vuoi parlare, o meglio, di chi."
"Elizabeth." la mascella di Samuel è attraversata da uno spasmo, e il ragazzo ride senza divertimento. "Sai Eric, è da quando se entrato che mi sto chiedendo se posso o non posso dirti un certo tipo di cose. Però ora te le dico comunque, perchè... Perchè, vedi, ora che sei davanti a me non posso farne a meno." sorride, un sorriso maligno, affilato, come quelli che ogni tanto Elizabeth dedica alla gente che le dà sui nervi.

"È dalla prima volta che ti ho visto sul cornicione che sapevo che io e te non saremo mai andati d'accordo. Tu hai questo modo di godere del terrore e del dolore degli altri che è così contro i miei ideali che io... Io non posso fare altro che odiarti con tutto me stesso. Se qualcuno mi mettesse in mano una pistola e mi chiedesse di scegliere fra il salvare te o Jonathan, sappi che non ci penserei due volte prima di sparare a te... più e più volte." lascia cadere le braccia lungo i fianchi, e mi guarda con i suoi occhi scuri che, con le luci al neon azzurre del dormitorio, hanno ora un aspetto minaccioso.
"Io e te abbiamo sempre avuto questo feeling, dico bene, Remak?"
"E nonostante ciò," continua lui, come se la mia ironia non l'avesse toccato. "Sento che odiarti sarebbe profondante sbagliato, perchè io vedo come lei... Io mi accorgo di certe cose, e so riconoscere quando qualcuno è felice." Samuel non mi guarda negli occhi mentre pronuncia queste parole, fissando piuttosto il muro di pietra alla sua destra.

"E con qualcuno intendi Elizabeth." la mia assomiglia più ad una domanda, che ad una constatazione piuttosto ovvia.
"Tu non... Non sai che ha... Merda." sussurra l'imprecazione come se si stesse confrontando con sua madre. L'idea mi diverte abbastanza da far sì che un sorriso abbozzato mi si formi sul viso. "Quello che sto cercando di dire è che Elizabeth non ha avuto una famiglia modello, la sua infanzia non è stata una delle migliori e... Be', non so se sono proprio io la persona giusta per..."
"So già tutto, Candido." sospiro infastidito, e lui alza lo sguardo su di me, confuso e forse anche ferito.
"Chi te l'ha detto?" chiede basito, spalancando gli occhi ma mantenendo ancora un minimo di compostezza di fronte ad un suo superiore.
"Sai com'è, qui nella Residenza, tutti sanno tutto, ad un certo punto." alzo gli occhi al soffitto, dando un tono di impazienza alla mia voce che fa ammutolire Samuel per un paio di secondi.
All'improvviso, i suoi occhi si illuminano.

"Stai facendo del sarcasmo."
"Sei perspicace."
"L'hai imparato da Elizabeth, non è vero?" la sua voce si addolcisce. Il Candido si appoggia ad una colonna con una spalla, le braccia di nuovo incrociate al petto, lo sguardo che scruta con attenzione i più piccoli dettagli del pavimento polveroso. Rispondo solo con cenno della testa ed una breve risata, che assomiglia più ad un respiro stanco che ad una vera e propria manifestazione di divertimento. "Sembra che passiate molto tempo insieme."

"Potrei essere simpatico anche senza il suo aiuto, sai." dico senza convinzione o malizia, provocando stranamente una risata genuina nel Candido di fronte a me.
"Eri quasi divertente, per un istante." mormora esausto. Alza gli occhi stanchi, posandoli su di me come se gli costasse fatica. "Ti ho fatto venire qui per un motivo." dice infine.
"E sarebbe?"
"Nonostante io non riesca a guardarti per più di un istante senza volerti prendere a schiaffi, voglio che tu sappia che proverò a sopportarti. Per la felicità di Elizabeth, preciso. Vedo i suoi sguardi assenti ogni tanto, l'espressione sognatrice che ha quando è in disparte, quindi sempre. Penso che ci tenga molto a te. Ed io voglio che sia così per sempre, non mi importa che il ragazzo che la rende tanto spensierata non sia io." pronuncia l'ultima frase con fatica, e la sua voce si spezza verso la fine.

"Lo apprezzo." mi limito a rispondere, rimuginando compiaciuto sulle parole del Candido. Una cosa ci accomuna: entrambi vogliamo vedere la stessa ragazza felice.
"Oh, basta con il sarcasmo."
"No, dico sul serio." alzo gli occhi su di lui, interrompendolo forse in modo troppo brusco. "Capisco cosa vuoi dire. La conosci da quando eravate piccoli e vuoi solamente il bene per lei, tanto quanto lo voglio io. E questo lo apprezzo."
Il Candido sorride, sinceramente soddisfatto dalla mia risposta, ed ha un viso così rilassato che sembra esser tornato bambino per un istante. Poi, però, la sua voce -ora stranamente profonda- mi distoglie dai miei pensieri.
"Vorrei chiederti un'ultima cosa, poi sei libero di andartene, se vuoi."
Non ricevendo altra risposta se non un battito curioso di ciglia, continua, lentamente, come se quella domanda gli stesse infiggendo del male fisico.

"Tu ed Elizabeth avete mai... Voglio dire... L'hai mai, come dire... Siete mai stati... "
"...A letto insieme?" concludo per lui, mentre l'imbarazzo mi tinge il viso di rosso. Ringrazio la fredda luce morta del dormitorio che rende questo particolare meno evidente. "No, Candido, mai." guardo da un'altra parte, fingendo indifferenza.
Il ragazzo sembra tirare un sospiro di sollievo nella penombra, mentre si posa una mano sul cuore come se avesse evitato l'infarto.
"Scusa, era solo una... Una curiosità." fa un gesto rapido con la mano, come a scacciare il pensiero.
"Posso andare, ora?" mormoro, passandomi esausto una mano sul viso, coprendomi per qualche istante la vista del Candido impaziente. Quando rialzo lo sguardo, i suoi occhi -ora privi di quell'arroganza di poco prima- sono fissi su di me, tremolanti.
"Certo." risponde, con un tono di voce talmente dispiaciuto da farmi pensare che si stia prendendo gioco di me.

Quando gli do le spalle per dirigermi all'uscita, il Candido sembra balbettare qualcosa, prima di formulare una frase di senso compiuto.
"Ehi, Eric." sento la sua mano sulla spalla che mi costringe a fermarmi. Di istinto -un riflesso incondizionato dovuto ad anni di assenza di contatti fisici- mi scanso e lo fronteggio, fissandolo così intensamente da pietrificarlo all'istante. "Scusami." farfuglia "Volevo solo chiederti se abbiamo bisogno davvero di essere ostili nei confronti di entrambi. Intendo dire, potremmo anche... Sì, insomma, essere..."
"...amici?" pronuncio quella parola in preda alla confusione. "Candido, hai appena detto che mi hai odiato sin dal primo giorno, cosa di fa pensare che dopo oggi mi comporterò da amico nei tuoi confronti?"
"Perchè Elizabeth ti renderà una persona migliore." spiega, con la timida e sottile voce di un bambino che afferma un'ovvietà.

Non rispondo, mi limito a scrutare ogni piccolo spasmo che hanno le sue mani quando lo fisso intensamente, come i suoi occhi guizzano da una parte all'altra del mio corpo, quasi fosse spaventato dalla mia imponente presenza.
Non lo dirò mai ad alta voce, tantomeno davanti a Samuel, ma il Candido ha ragione: Elizabeth mi renderà una persona migliore e, anzi, ha già fatto molto più di quanto io non mi sarei mai aspettato la prima volta che l'ho vista su quel cornicione.
Me la ricordo, il primo giorno, come il vento non osasse scombinare i suoi lunghi capelli bruni, e come i suoi enormi occhi da felino studiassero attentamente l'ambiente a lei circostante. Chissà che impressione ha avuto di me, allora. Poi, quando mi era passata accanto, silenziosa e sciolta come un serpente, il suo profumo -pungente tanto quanto le sue parole- mi aveva immediatamente colpito. Non avrei mai immaginato, allora, mentre la guardavo saltare oltre il cornicione, che più in là avrei riconosciuto il suo profumo anche nei più fetenti tunnel della Residenza, e che l'avrei collegato alla felicità.

"Posso provare a tollerarti." alzo lo sguardo su Samuel. "Ma faremo molta strada, prima di diventare... amici."
"È già un inizio." sorride lui, ancora leggermente intimorito dalla mia presenza. La sua ostilità di poco prima è completamente svantita nel nulla.

***

Entro nell'appartamento dedicando ad Elizabeth, seduta sul letto a gambe incrociate, solo una breve occhiata, prima di mettermi alla ricerca di una giacca sotto la montagna di vestiti ammassati sulla sedia. La ragazza, prima impegnata a raccogliersi i capelli in una treccia, alza lo sguardo quasi allarmata, mentre la curiosità le attraversa le iridi e le accende di una luce anche più forte di quella che entra dalla finestra della stanza.
"Ci hai parlato?" chiede, mettendosi a carponi sul letto, protendendosi oltre il bordo come se potesse aiutarla a sentire meglio una mia potenziale risposta.
"No, abbiamo fatto teneramente a pugni." anche se le sto dando le spalle e quindi non mi può vedere, mi sento quasi in colpa per aver roteato gli occhi al soffitto.
"Stai facendo del sarcasmo con me, Eric? Le parole sono il mio campo, non il tuo. E questo è un argomento serio."
"Tu vuoi fare un discorso serio? Mi era sembrato di capire che tu comunicassi solo con le battute."
"Eric!" aggrotta la fronte, e si rimette seduta sul letto. Mi volto verso di lei, infilandomi la prima giacca che ho trovato fra le mie robe e sistemandomela sulle spalle.

"Sì, ci ho parlato." apro leggermente le braccia, tormentato dalla sua insistenza. Pensavo che questa cosa riguardasse solo me e il Candido.
"E...?"
"E vuole che io e lui diventiamo..."
"Non dirlo."
"...amici." alzo un sopracciglio, divertito ma anche leggermente contrariato dalla richiesta di Samuel.
"Dio..." si lascia cadere sul letto, ridendo come se le avessi raccontato una barzelletta.
"Sei sicura che Samuel nutra dei confronti per te e non per me?" farfuglio, mentre la affianco sul materasso "Sai, non sarebbe il primo ragazzo gay Intrepido che conosco, sono abbastanza aperto su questo genere di argomenti."
"Ma smettila." ride lei, stampandomi un bacio sulla guancia. Un gesto così dolce, quasi innocente, che non esito a spostarmi su di lei, le sue gambe incrociate dietro la mia schiena, e ricambiare con un bacio sulle labbra, più intenso, più intimo, decisamente meno pudico.

All'improvviso, Elizabeth ride, nascondendo il viso nell'incavo fra il mio collo e la mia spalla. Mi stacco da lei quanto basta per guardarla negli occhi e rivolgere l'espressione più confusa che abbia mai avuto sul volto. Elizabeth ride poco, specialmente quando è in presenza di qualcuno che non conosce, e coglierla in un atteggiamento così spensierato e rilassato mi fa venir voglia di baciarla di nuovo.
"Mi hai fatto ricordare una cosa." spiega lei, abbandonando un braccio sopra la sua testa, l'altro poggiato sul suo ventre. "Ed è molto divertente, a parer mio."
"Tu ti sei messa a ridere quando Vivienne si è spezzata una gamba durante l'allenamento. La linea di confine fra ilarità e crudeltà è parecchio sottile." rispondo "E tu l'hai superata parecchie volte."
"Ma questa farebbe ridere anche te. Anche se non so se la vuoi sapere."
"Dimmelo."
"Bene. Fammi spazio."

Ci mettiamo a sedere sul letto, uno di fronte all'altro, e lei appoggia una mano sul mio ginocchio. Per i primi istanti non riesce a dire nulla, in quanto le risate soffocano le sue parole. Quando finalmente raddrizza la schiena, assumendo una finta posizione altezzosa, sorride e dice:
"Diciamo che ho scoperto che c'è effettivamente un ragazzo gay, nella Residenza. E non parlo di Quattro."
"Quattro è gay?" sgrano gli occhi, incapace di riconoscere quell'informazione come vera.
"Ovvio che no! Però lo sospettavo fortemente, all'inizio, pensavo lo sospettassi anche tu, per questo ho preferito smentirlo prima di cominciare."
"E allora di chi stiamo parlando?"

Elizabeth sorride maliziosa prima di fissare i suoi occhi divertiti su di me. "Jonathan." scandisce ogni sillaba, attorcigliando la lingua ad ogni singola lettera di quel nome a me ormai così familiare.
"No." sussurro incredulo, poi mi ricompongo: sembriamo due ragazzine che spettegolano sull'ultimo scoop della scuola.
"Oh, sì invece! Ma non è questa la parte divertente." si morde un labbro per fermare le risate, mentre mi guarda con quei suoi occhi che brillano di allegria.

Elizabeth si scioglie la treccia con un gesto deciso della mano, lasciando che i lunghi capelli si liberino dalla loro prigionia e ricadano ribelli sulle spalle e sul viso. Se li sistema distrattamente, passandoci le dita sottili, ed il risultato finale mi lascia mozzafiato. È semplicemente la ragazza più bella sul quale i miei occhi abbiano mai posato la loro fredda attenzione. Ha un aspetto così selvaggio, quasi aggressivo, con quel suo sguardo tagliente e luminoso e le labbra curvate in un mezzo sorriso affilato come quello di un pericoloso animale cacciatore.
Chiudo la bocca, per non sembrare un completo imbecille.

"La parte divertente..." continua lei, e sospetto che abbia colto il mio più completo stupore davanti alla sua regale bellezza. "...È che a Jonathan piaci tu."
"Come diavolo...?" balbetto io, dopo due o tre secondi di silenzio totale.
"Come faccio a saperlo? Oh, andiamo, chiunque si sarebbe accorto delle occhiate che ti lancia in mensa. Ti mangia con lo sguardo." posa gli occhi sul mio collo, poi sulle spalle e sul petto, coperti dalla giacca che ora, sotto il suo sguardo, mi sembra soltato un indumento in più che farebbe meglio a non esserci. "E con buone ragioni." aggiunge dopo, a voce più bassa e profonda.

"Ti prego, non..."
"Oppure come ti fissava alla fine degli allenamenti, mentre noi uscivamo dalla palestra, quando ti toglievi la maglietta pensando che fossero ormai tutti fuori."
"E tu come fai a sapere che ero solito togliermi la maglietta?"
"Perchè ti mangiavo con lo sguardo anch'io, chiaramente, a volte mi comporto come un umano, sai. Ma il fatto è che una volta ho colto Jonathan mentre ti fissava alla fine degli allenamenti. Penso che abbia capito che io avevo capito e che dunque sapevo. Pensi che mi odi solo perchè l'ho provocato sin dal primo giorno? O perchè gli ho rotto un dito? Conosco il suo segreto, Eric, il suo più grande segreto."
"E ora lo conosco anche io." mormoro, più a me stesso che ad Elizabeth.
"E adesso lo conosci anche tu." ripete lei, stampandomi un sonoro bacio sulle labbra.

Una volta mi sono chiesto se fossi gay, perchè avevo sedici anni e ancora non avevo mai trovato una ragazza che mi piacesse in quel modo. Ma d'altro canto, non ricordo di aver mai provato attrazione fisica per i ragazzi. Poi, però, quando sono entrato negli Intrepidi, ho avuto la certezza di non essere gay, specialmente dopo la prima volta che sono stato a letto con una ragazza della quale non riesco ancora a ricordare il nome. Probabilmente ero ubriaco.
Ora so come attirare Jonathan, dargli l'ultima possibilità di lasciare perdere Elizabeth per sempre, di smettere di assillarla, di infastidirla. Di smetterla di essere nel suo Scenario ogni singola volta.
Devo parlare con l'Intrepido di questa situazione, a qualsiasi costo, e sono sicuro che abboccherà.
Anche perchè l'esca sarò proprio io.
   
 
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