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Autore: Stregatta_Khan88    10/09/2017    0 recensioni
Dopo un mese, Diana e Chef Russel si incontrano nella splendida Roma: lei decisa a portare avanti il suo progetto letterario; lui convinto di volerla aiutare... Ma quando due poli opposti si attraggono e due arti diverse trovano tante similitudini tra loro, è difficile fermare un fuoco che divampa
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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"Ho voglia de rivederti..." citava l'sms che Diana ricevette quella mattina, poco dopo essersi alzata ed aver raggiunto Jayne e Valeria al solito bar del centro. La Primavera era arrivata, portando nuove luci, il clima più temperato e... l'ora legale.

Diana preferiva sempre l'autunno e l'inverno, le troppe ore di luce la decontravano dalle sue produzioni romanzesche. Ma anche quei messaggi facevano la loro parte: era trascorso un mese dalla convention, da quando lei e Gabrio si erano salutati e promessi di rivedersi a Roma, ma in quei giorni non avevano mai smesso di sentirsi, tra una pausa e l'altra dai loro impegni.

Per convincere i genitori a lasciarla andare a Roma da sola, aveva dovuto farli parlare in Skype con Gabrio, costretto a spiegare la situazione e l'obbiettivo di Diana di redigere un racconto su di lui, ambientato nella capitale.

A volte mamma e papà erano troppo apprensivi con lei, sempre ad ipotizzare le peggiori catastrofi e nonostante i suoi vent'anni. Diana non pensava mai a cosa sarebbe potuto succedere, non era da lei fare progetti futuri, viveva la giornata e basta anche se... Ogni tanto il ricordo di ciò che era successo, la sera prima dell'evento di gala, tornava a bussarle alla mente.

Che momento eccitante.

Che uomo romantico e passionale insieme, nascosto dietro quell'apparenza da individuo rude e coatto, un'immagine televisiva che celava la persona che era. Dietro la maschera di Chef Russel c'era il volto di Gabrio.

"Ho voglia de rivederti..." rilesse liberando un sospiro trasognante, scordandosi per alcuni istanti la presenza delle due amiche che la studiarono attente poi, scambiandosi un'occhiata, risero, ma Diana non se ne accorse, rispondendo solo a quel messaggio:

"Buongiorno, anch'io voglio rivederti presto".

Inviò e guardò Jayne e Valeria che sorridevano con fare sornione. Arrossendo ed abbassando il capo, disse trattarsi solo del messaggio del buongiorno.

La tempestarono di domande sul suo umore, le chiesero se avesse preso tutto l'occorrente, senza dimenticare nulla. L'avrebbero portata loro a Milano, il giorno dopo, dove la "Freccia Rossa" l'attendeva. Il biglietto, pre-acquistato due settimane prima, era pronto alla timbratura.

«Ho preso tutto, non sono sprovveduta! Sembrate mia madre, Santo cielo».

«Intimo sexy» puntualizzò Valeria.

«E poi dite di non farvi diventare zie» si lagnò Diana accarezzando Chicca, che dalle braccia di Jayne puntava il muso verso di lei.

«È al pari dello spazzolino» ammiccò Jayne.

Il cellulare di Diana ricevette un altro messaggio. Lesse spalancando gli occhi con un gridolino che soffocò con una mano. Citava:

"Riccetta de mare ".

Rise scuotendo il capo ironicamente.

Dopo la mattinata passata con le ragazze, Diana trascorse la giornata ad ultimare i preparativi per il viaggio. Nel trolley aveva messo il necessario per lavarsi e cambiarsi, due paia di scarpe eleganti, un paio di stivali e due paia da ginnastica, l'abito da sera della serata di gala, due gonne, felpe, magliette e camicie, shorts, jeans, trucchi, K-way, intimi di ogni genere e colore, particolare che aveva ben nascosto alle due amiche.

Nel fedele zainetto avrebbe tenuto il portafogli con documenti e denaro, i biglietti del treno, la brochure di prenotazione dell'albergo, non lontano dalla stazione Termini e neppure dal Colosseo, un quattro stelle ad un prezzo economico che le fece ripetere per giorni in continuazione:

«Grazie "Booking" per l'offerta».

Ovviamente non mancavano l'iPod, cinque biro e due block notes per gli appunti. Ci voleva soltantanto un libro da leggere, per quanto non sapesse se di tempo per leggere ne avrebbe avuto. Sospirando si sedette alla scrivania della sua camera, occhieggiando ancora il trolley.

«C'è tutto» si disse.

Vide Romina accedere a Facebook, di ritorno dal lavoro. Diana la salutò subito, mandandole un messaggio di testo. In tutta risposta, l'amica avviò la videochiamata. Non appena la sua immagine apparve, Diana la vide scaraventarsi letteralmente in avanti, verso la webcam, sbraitando:

«I nipotini, Diana, i nipotini!».

«Mi sembra che tutte vogliate che torni da Roma gravida. Rilassatevi, su, vado per lavoro».

«Lavoro, come no» cantinellò Romina. «Dopo quel che è successo con il signor Rossato, altro che lavoro, sis, vivrai un gran bel sogno romano».

«Non è necessario torni ingravidata».

«Cotta al punto giusto sì, però! Sempre che quel diavolo di Chef non ti cannibalizzi prima».

«Cannibalizzare è un'azione di marketing, comunque» polemizzò Diana, fissata da Romina con sguardo assente, come se una palla di fieno passare nel suo cervello.

Si grattò il capo perplessa e fece la spallucce:

«Comunque ti auguro di riuscire a redigere il romanzo che tanto sogni e che il tuo soggiorno nella capitale, con Chef Russel, sia una bella esperienza».

«Grazie Romy, inutile dire che sono emozionatissima, ma sento sarà una magnifica esperienza, che non può mancare nella mia vita, soprattutto per la mia carriera».

«Assolutamente sì! Poi sarai col tuo Chef...».

Quel tono di voce provocante fece intuire a Diana che stava per scatenarsi la tempesta ormonale di Romina, pronta ad esprimersi con le solite affermazioni sconcie.

Le lasciò fare: aveva i pensieri altrove e non fece molto caso ai racconti erotici di Romina, inventati al momento, dove paragonava “l'arte del cucinare l'anguilla” con “l'arte dello Chef di usare l'anguilla”.

«A Roma ti chiamerò» promise Diana.

«Sì, ma se non riuscirai ti capirò» le strizzò l'occhio con il suo sorrisino astuto.

 

Jayne e Valeria rimasero con Diana fino al binario di partenza. Durante il viaggio da Sarnico a Milano non fecero altro che parlare della giornata che le due ragazze avevano deciso di trascorrere in città, tra musei e negozi.

Prima di salire sul treno, Diana salutò con degli abbracci stretti, stretti le amiche, che ricambiarono con pacche d'incoraggiamento e baci sulle guance. Jayne le tenne le mani sulle spalle, guardandola negli occhi con un velo di commozione. Disse:

«Divertiti ed abbi cura di te».

«Ehi, non sto mica andando in guerra» ridacchiò Diana. «E non me ne vado per sempre».

«La tua vita potrebbe cambiare».

«E ci auguriamo sia così» specificò Valeria abbracciandola di nuovo, sussurrando tra i suoi capelli: «Fatti sentire quando arrivi a Roma».

«Lo farò» assicurò Diana salendo sul treno. Cercò il suo posto prenotato accanto al finestrino. Le due amiche la guardarono e lei sorrise, notandole sinceramente commosse dalla sua partenza, tanto erano abituate a stare insieme: sempre loro tre, quasi ogni giorno e quello era uno dei rari viaggi che faceva da sola. Le venne un improvviso groppo in gola.

Alle dieci e mezza puntuali la "Freccia Rossa" si mosse, iniziando lentamente a lasciare il binario.

Diana salutò Jayne e Valeria con la mano e loro, ricambiando, seguirono il treno cercando di mantenersi sempre di fronte al finestrino dell'amica, ma più il treno acclerava, più loro si allontanavano, finchè non furono costrette a fermarsi. La "Freccia Rossa" continuò la sua corsa sempre più veloce.

Ogni volta che Diana partiva per un viaggio si ritrovava sempre a dover lottare contro un senso di pesantezza che la opprimeva sul petto, togliendole il respiro. Rimase seduta contro lo schienale del treno ad occhi chiusi: bruciavano, quasi scoppiava a piangere pensando alla sua casa, ai suoi genitori, le sue amiche, ma era normale: sola aveva viaggiato molto poco in vent'anni di vita.

Respirò a fondo.

Si disse di non avere paura, perchè giunta a Roma non sarebbe stata sola: era partita per il suo lavoro ma, un pò, aveva accettato anche per ribellione e... forse anche per amore?

Mirò la pianura attraverso la quale il treno correva, pensando a Russel e la voglia di rivederlo le strappò un sospiro. Prese il cellulare nello zainetto e gli scrisse:

"Sono partita da Milano! Arriverò alle 13".

Tolse il block notes dallo zainetto ed afferrò a caso una delle biro, lo aprì sugli svariati appunti scritti, cancellati, corretti più e più volte e si soffermò a leggere l'introduzione del primo capitolo, lo stesso pezzo che anche Russel aveva letto. Diana lo aveva imparato a memoria a furia di rileggerlo:

 

Ho conosciuto uno Chef e me ne sono innamorata... Me ne sono innamorata perchè è un tipo che adora le sfide, ma odia stare troppo alle regole. Mi sono innamorata di uno Chef del quale racconterò la sua storia in questo libro, uno Chef che seguirei da Roma a Bankok, che maschera il suo animo dietro le tenebre del suo sguardo. Chi è? Be', lui si chiama Chef Rubio e vederlo in tv non mi bastava più...”.

 

Strinse la penna tra i denti, fissando per un po' il portachiavi a forma di gatto rosso che penzolava dal suo trolley.

L'inizio del romanzo aveva le caratteristiche del diario, breve, spiccio e diretto. Come genere di lettura non era proprio il suo preferito, ritenendolo troppo breve e scarno, ma era convinta della teoria appresa da Stefania: era lei ad avere in potere di creare il genere, perciò avrebbe sputato lacrime e sangue su quelle pagine, pur di creare un libro degno del termine “romanzo”.

Lesse il messaggio di Russel che aveva appena ricevuto, dalla tonalità un po' fredda e distaccata, che la spinse a storcere la bocca:

Chiamami quando scendi dal treno”.

Non le piacque molto come risposta, le provocò una certa ansia, avendolo sentito un po' irritato. Chiuse il block notes e lo rimise nello zaino, osservando l'ambiente che si susseguiva rapido.

Il groppo alla gola tornò e di scrivere non se ne parlò più, allora. In generale ogni cosa la stava facendo agitare troppo, per concentrarsi sulla scrittura. Il tono dell'sms aveva solo peggiorato la situazione, ma non avrebbe saputo dire qual'era la principale causa dei mille e più pensieri, senza contorno, che si profilavano nella sua mente.

Rivedere Gabrio, probabilmente.

Il ritornare in quella grande città

Magari c'entrava quel senso di vuoto provocato dall'allontanamento da casa, dalla famiglia, dalle amiche.

O semplicemente, quel messaggio era il granello oscuro in quella giornata?

Sospirò mentre il sole, abbagliandola dal finestrino del treno, si faceva sempre più caldo, man mano che il viaggio procedeva. Ritenne assurdo venir travolta dalle riflessioni così pesantemente da non reggere neppure il peso del viaggio. Sembrava non finire mai.

Era esattamente 574 chilometri quelli che la “Freccia Rossa” doveva percorrere, tre ore rinchiusa in una specie di tubo col muso da arpia e le ruote di ferro, che correva incredibilmente veloce, ma non abbastanza da mettere a tacere quella sensazione di movimento allo stomaco, che ricordava un gruppo di piccoli draghetti borbottanti.

Probabilmente erano solo falene o, peggio, poteva trattarsi della colazione che tentava di arrampicarsi su per la sua gola a causa dell'agitazione, ma, riflettendo, era più logico c'entrasse il senso di vertigine provocato dallo scorrere rapido dell'ambiente esterno.

Smise di guardare, tirando la tendina ed accucciandosi sul sedile più composta ad occhi chiusi, assopendosi fortunatamente un po'.

Aprì gli occhi ad una fermata: dalla stazione si vedeva un'enorme cupola di mattoni, della quale Diana ricordava le foto sui libri di storia dell'arte. Non erano semplici mattoni. Dalla stazione si riusciva a vedere una scorcio della città.

«Santa Maria del Fiore» mormorò, «Sono già a Firenze. Chef, sto arrivando».

   
 
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