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Autore: ZARANDO    10/09/2017    0 recensioni
Uscì da casa, chiudendo poi il cancelletto a chiave. Infilò nelle orecchie gli auricolari dell’mp3, cominciando una corsetta leggera verso i campi sportivi. Aveva ricevuto un messaggio di Reiko nella notte in cui lei si scusava per le illazioni dette nel pomeriggio. Ma, ancora una volta, Yoshi aveva semplicemente letto la mail senza digitare alcuna risposta.
Forse sbagliava a comportarsi così ma era stanco di dover ogni volta risolvere e poi attendere un nuovo litigio.
Era quello che mal sopportava delle relazioni e Kasumi lo sapeva.
Si vedevano quando volevano, si divertivano e di discorsi seri o impegnati ne facevano ben pochi. Perché le ragazze non potevano essere tutte cosi?
Invece Reiko, forse perché molto presa, sembrava gelosa, piena di insicurezze e con voglia di un rapporto serio.
Ma per Yoshi Reiko aveva ormai perso gran parte del proprio fascino. Come una conquista già effettuata, un indumento usato, un giocattolo rotto da qualcuno.
Si allontanò dalla strada, prendendo delle scalinate di cemento che portavano sopra ad un argine. Sebbene facesse molto freddo, grazie alla maglietta termica che indossava sotto la tuta, riusciva a non percepire alcun fastidio.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Alzarsi presto non è mai stato il mio forte. 
Il sapore forte di quello che aveva bevuto la sera prima ancora gli gravava in gola. Si mise a sedere sul letto, notando la confusione che regnava un po’ ovunque nella propria stanza; dal pavimento al letto tutto sembrava essere stato messo a soqquadro da ladri alla ricerca di qualcosa di valore. In realtà era una settimana che evitava di mettere in ordine i propri vestiti lasciandoli sparsi a raccogliere polvere. 
Si passò una mano sul viso, incrociando il proprio sguardo nello specchio che faceva capolino da un’anta dell’armadio aperto. Occhiaie profonde accompagnavano il naso piatto e labbra carnose ormai incolori. 
Sospirò, grattandosi i capelli tagliati corti da poco. Aveva quasi fatto rasare i lati, tenendo decolorato una fascia centrale, per poter esibire gli ultimi piercing che adornavano le sue orecchie. Radici scure già facevano capolino dal color platino, ricordandogli di essere nato giapponese.
“Sei sveglio?” una voce che conosceva come le proprie tasche si fece sentire dalla porta semiaperta. 
Akito entrò in quella camera avvolta ancora nella penombra nonostante fosse mezzogiorno, poggiando ai piedi dell’altro una pila di magliette appena stirate. Suo fratello gemello condivideva con lui gli stessi tratti, sebbene mantenesse un colore di capelli naturale ed un taglio scalato ad incorniciargli il volto, abbastanza lunghi, scalati, secondo il dictat di un cantante pop in testa a tutte le classifiche del momento.
“Yoshi, tra poco è ora di pranzo.” Akito lo reguardì, lasciandolo nuovamente solo.
Yoshiyuki si ritrovò a riflettere sul suo clone. A quanto ne sapeva, la sua carriera brillante lo aveva portato a farsi eleggere rappresentante degli studenti della sua scuola; si immaginò quanto potesse essere frustrante per dei genitori avere un figlio perfetto e un altro che veniva sospeso per possesso di droga. Se non avesse avuto un termine di paragone così, probabilmente avrebbe potuto vivere tranquillo, si disse.
Frequentando una scuola professionale sperava di trovare lavoro appena possibile. Voglia di studiare ce n’era veramente poca.
Si trascinò in salotto, arrancando per il corridoio della zona notte. Scese le scale dal parquet lucido che lo avrebbero portato in cucina. 
“Akito, volevo farti i complimenti per essere stato eletto rappresentante degli studenti anche quest’anno.” disse Akira, il padre dei due gemelli, mentre Akito pranzava seduto a tavola.
L’uomo invece era seduto in poltrona, rivolto al televisore fisso su un telegiornale che trasmetteva immagini di città lontane colpite da un nubifragio. Per non dare le spalle ai figli, si girò di scatto, facendo ruotare la seduta sul perno e continuando il monologo. “Invece tu, Yoshi..”
A Yoshiyuki venne la pelle d’oca. Di solito preferiva ascoltare gli elogi al fratello, piuttosto che essere al centro dell’attenzione. Tutto ciò non presagiva nulla di buono, pensò.
“..volevamo annunciarti una cosa fa-vo-lo-sa!” finì la madre, poggiando sul tavolo la ciotola colma di riso per il figlio appena svegliatosi.
In coro, quasi canzonandolo, terminarono il discorso: “Da lunedì sarai nella stessa scuola di Akito.”
Ecco, lo sapevo. 
“Cosa!?” si risvegliò Akito dal sorseggiare la zuppa calda che stava finendo.
“Il liceo di Akito ha accettato il tuo trasferimento..”  iniziò la madre, rivolgendosi a Yoshiyuki, ancora in piedi in mezzo alla stanza. “Avevamo pensato che..”
Senza parole, Yoshi fissava la madre gongolante d’orgoglio. Perché?
“..il tuo scarso rendimento fosse dovuto alla qualità degli insegnanti della tua attuale scuola, che non è proprio eccelsa..”
“Ma io sto bene dove sto.” mugugnò Yoshi, sorridendo appena. “Per di più non voglio nemmeno..”
“E non avete mai preso in considerazione che forse è lui a non essere in grado di studiare?” si intromise Akito, sbattendo la ciotola vuota sul tavolo. “Cosa pensate, che come per magia si rivelerà bravo quanto me solo perché avrà i miei stessi insegnanti?”
“Grazie eh..” bofonchiò Yoshi, prendendo posto e agguantando con le bacchette un mucchietto di riso caldo fumante. 
“Lo speriamo, Akito.” sentenziò il padre. “Dovresti essere felice per tuo fratello. Verrà a scuola con te, dove tu sei rispettato e conosciuto.”
Fantastico. 
“Potrai aiutarlo a inserirsi, a prendere mano con lo studio, le lezioni, i corsi..”
Proprio quello che volevo.
“Gli farai da mentore, aiutandolo a passare l’anno.”
Mi hanno buttato nella fossa dei leoni.
“E in più potrete rafforzare il vostro rapporto!” si inserì la madre.
Lo capì incrociando lo sguardo di Akito, così pieno d’odio che avrebbe potuto morire fulminato dai suoi occhi.
Sarebbe stato un anno difficile.

Il liceo che frequentava Akito si trovava a qualche centinaio di metri dalla stazione della metropolitana del loro quartiere. Usciti da casa nostra, bisognava passare tre incroci, svoltare a sinistra, superare in ordine una panetteria, uno di quei famosi coffee bar italiani, un paio di edifici pieni di uffici per poi trovarsi di fronte al parco che conduceva all’entrata della scuola. Al contrario, per andare a lezione, Yoshi doveva prendere il bus la cui fermata stava a dieci minuti in bici da casa, attraversare tutta la città e poi percorrere ancora un paio di isolati a piedi per raggiungere la mia scuola. Dal punto di vista logistico, era davvero una pacchia.
Dal punto di vista umano, sorvoliamo. 
I due fratelli svoltarono all’interno del giardino, camminando all’unisono verso l’edificio. Sebbene la divisa non fosse obbligatoria, il codice scolastico consigliava di vestirsi in maniera adeguata. In altre parole, erano comunque obbligati a indossare un’uniforme. Cosicché Yoshiyuki, dopo anni di libertà, si ritrovò ad indossare una camicia bianca a maniche lunghe abbinata a un pantalone blu che gli conferivano la stessa identica aria da studente modello del fratello. Questo se non avesse avuto i capelli giallo paglierino, i piercing alle orecchie e le sopracciglia rasate. E a questo suo particolare aspetto doveva i continui sguardi che lo mettevano a disagio.
Nell’istituto che aveva frequentato fino al giorno prima, non c’erano regole riguardo il vestiario o la pettinatura. La scuola di Akito, invece, essendo una delle più rinomate del Toshima-ku , non era uno di quei licei privati dove l’etichetta è d’obbligo ma non lasciava nemmeno molta libertà. Erano permessi i colori naturali dei capelli (nonostante vi fosse comunque una certa tolleranza data la moda diffusa, specie tra le ragazze, di schiarirsi la chioma) ma non tagli particolari che potessero dare un’aria trasandata agli alunni. Piercing e tatuaggi erano permessi, ma non dovevano essere visibili, né spuntare magari dalla manica o dal colletto della camicia. Erano tollerate tuttavia scarpe da ginnastica (purché non di colori fluorescenti), sciarpe (tra cui al momento la più gettonata era in check  Burberry), cravatte, guanti e quant’altro potesse non turbare la quiete scolastica. Le ragazze dovevano indossare la gonna ma, fortunatamente, non vi era, come in altre scuole del paese, la misurazione della lunghezza all’inizio dell’anno scolastico. Erano tollerati sia scaldamuscoli che calzettoni, ma le scarpe, in questo caso, dovevano essere di stampo classico, non stringate e opportunamente lucidate. I colori dell’uniforme potevano variare sui vari toni del blu, del nero e del grigio. Bandito fu il marrone, ormai passato di moda. La scuola non forniva gli indumenti da indossare ma consigliava dei negozi della zona specializzati nelle uniformi scolastiche, a cui veniva consegnata una lista di possibili combinazioni. Un costo in più per le famiglie, ma la sicurezza di non vedere il proprio figlio accomunato a certi studenti che sembravano andare a scuola in pigiama. 
Studenti come Yoshiyuki, che di solito indossava tute da ginnastica oversize, canotte e cappellini con la visiera per andare a lezione. Un ragazzino che imitava semplicemente ciò che vedeva indossare ai suoi beniamini in tv, cantanti di colore d’oltreoceano. Per lui era qualcosa di più in quanto i due gemelli nacquero a Cleveland, in Ohio; vivendo in America la prima parte della loro infanzia, in entrambi era rimasta una sorta di nostalgia.
Yoshi si sentiva intrappolato in quegli abiti, accomunato a persone con cui non aveva nulla da spartire.
Osservava le ragazze che li sorpassavano in bicicletta, dirette anche loro a scuola: felici, ridacchiavano tra loro, lo zaino carico di sogni e libri. Lui aveva già deciso la sua strada. Non avrebbe studiato a lungo, ma si sarebbe trovato qualche lavoro part time, magari come aiuto meccanico, magazziniere, ragazzo delle pizze, fattorino, e poi via, verso la carriera brillante di cantautore che lo attendeva. Doveva solo trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Idee chiare, insomma.
Camminava stando qualche metro dietro al fratello, sperando di non incontrare nessuno della sua vecchia scuola.
Sua madre l’aveva obbligato a lasciarsi confiscare le sigarette, e continuava a sbuffare ad ogni passo. Gli mancavano tra le dita, per cui si era ficcato le mani in tasca, stringendosi nelle spalle. Così facendo, spingendo con forza le nocche all’interno delle tasche, cercava anche di far scendere i pantaloni che sentiva troppo alti in vita e sul cavallo. Maledetta cintura, pensò. 
La giornata era tersa, le nuvole lasciavano pieno spazio al sole che, nonostante gli alberi del viale, riusciva a scaldare benissimo chi passeggiava sotto le loro fronde. 
“Lo dico per te, meno mi stai addosso meglio sarà per tutti e due..” Akito proruppe, riportando Yoshi al mondo terreno. “Ti devo solo accompagnare in presidenza per firmare le ultime carte, poi in classe e chi s’è visto s’è visto, ok?”
Più che una domanda suonava come un ordine. 
“Logico.” chiuse il discorso Yoshiyuki, sospirando. 
Nemmeno lui aveva voglia di approfondire il loro rapporto solo perché costretti a studiare nello stesso edificio.
Non voleva averci nulla a che fare. Non sapeva se Akito avesse una compagnia, una ragazza, dei conoscenti o chissà cos’altro. Lo presumeva, ma non ci dava peso. Solo per il fatto di dover vedere ogni giorno qualcuno con la sua stessa faccia, le sue stesse mani, i suoi stessi modi, aveva vissuto male fino alle scuole superiori. Infatti erano stati nella stessa scuola fino a quel momento, quando i genitori capirono finalmente che, forse, i loro figli erano due persone distinte con due obiettivi diversi. Akito optò per un liceo che gli avrebbe potuto dare ottime chance di entrare nelle migliori università del Giappone, mentre Yoshi scelse un istituto professionale che lo avrebbe inserito direttamente nel mondo del lavoro. Tuttavia, i genitori avevano pensato bene di reinvestire proprio nel figlio considerato “ribelle” a detta di tutti. 
Quello stesso figlio che era cresciuto in maniera autonoma, rispondendo ormai a qualsiasi domanda con dei monosillabi interpretabili in molteplici modi. Si era chiuso in sé stesso tra le mura di casa, lasciandosi libero appena varcata la soglia. 
“Eccoci qui.”
Akito si fece strada tra la folla, fermandosi di fianco il portone aperto dell’edificio. All’interno si apriva un largo corridoio, teatro di un via vai enorme di persone. Alcune urtarono Yoshiyuki accidentalmente, che stava impalato a guardare la scuola. Il fratello gli fece cenno di avvicinarsi, impaziente di liberarsi in fretta dell’impiccio. Entrò, continuando a guardarsi in giro. C’era molta confusione, un vociare continuo, che talvolta si fermava in alcuni punti al passaggio del biondo. Vide alcune ragazze, intente poco prima a parlare tra loro, indicarlo e ridacchiare, coprendosi la bocca con le mani. Una arrossì, forse facendo un apprezzamento nei suoi riguardi. Di certo la somiglianza con il loro rappresentante degli studenti deve lasciare un po’ straniti, pensò Yoshiyuki. Si chiese persino se Akito avesse mai detto a qualcuno dell’esistenza di un suo gemello. 
“Ce n’è di gente, cavolo..” esordì, avvicinandosi al fratello, che proseguiva per la strada.
“Siamo cinque sezioni, per un totale di una quindicina di classi..” gli spiegò, assicurandosi meglio lo zaino sulle spalle. “..circa trecento alunni.”
Proseguirono per il corridoio, passando oltre a un bancone lungo, dove sedeva una signora che borbottava con dei ragazzi. Sventolavano delle giustificazioni, a loro dire firmate dai genitori.
“Quella è la segreteria.” indicò Akito. “Per qualsiasi problema basta che ti rivolgi al front office..”
Si aprì dinanzi a loro una grande stanza, con delle vetrate che davano sul giardino. C’erano delle poltroncine sul lato opposto, proprio in parte alla porta della segreteria, che guardavano alle aiuole in fiore appena fuori. La struttura era a ferro di cavallo, al cui centro stava l’aula d’attesa, e sulle cui estremità si aprivano le porte delle aule di studio. Da ambo i lati poi vi erano le scale che portavano ai piani superiori.
“Al piano terra trovi perciò le aule del primo anno, la segreteria e la presidenza.” sorpassarono la stanza illuminata dalle grandi finestre, andando al lato opposto della segreteria. “Se vuoi siediti pure qui, faccio in un attimo..”
Yoshiyuki si sedette su una poltroncina, leggendo il cartello sopra la porta che indicava la presidenza, mentre Akito si mise a cercare qualcosa nello zaino.
“Devo chiedere al preside il tuo libretto, i tuoi testi per oggi e poi ti porto nella tua classe..” gli spiegò, sfogliando un’agenda in pelle marrone. “Aspettami qui, faccio subito.”
Yoshi annuì, mentre Akito bussò ad una porta, attendendo riscontro. Appena scomparve dentro, il biondo sospirò. 
Si alzò in piedi, lasciando lo zaino del fratello ed il proprio incustoditi, appoggiati alle sedute. 
Sperava di trovare qualcuno a cui poter scroccare qualche sigaretta, ma il caos generale di qualche minuto prima era ormai sparito. Dovevano essere iniziate le lezioni, quindi i corridoi prima gremiti ora erano deserti. Probabilmente non aveva nemmeno sentito la campanella perché troppo concentrato a capire come fosse strutturata la scuola. Si incamminò per il corridoio su cui dava l’ufficio del preside, passando dinanzi alle aule da cui provenivano le voci degli insegnanti. In fondo vide l’uscita di sicurezza che dava sul giardino, da cui intravedeva i parcheggi delle biciclette. Preferì salire le scale lì di fianco, curioso di esplorare la sua nuova scuola. Dopotutto qualsiasi cosa andava bene piuttosto che stare seduti ad aspettare. Dalle finestre sulle scale intravide il campo da basket che stava nel bel mezzo del giardino, e più in fondo notò una struttura distaccata dall’edificio scolastico. Probabilmente quella è la palestra, intuì.
Fece gli ultimi gradini due per volta, arrivando al primo piano. 
“Buongiorno Mifune!” Tre ragazze dai capelli lunghi e anonimi, lo salutarono in coro.
“’Giorno..” rispose Yoshi, abbozzando mezzo sorriso. 
“Cos’hai fatto.. ai capelli?” proruppe la ragazza con la treccia, evidentemente imbarazzata. Le restanti lo guardavano ammirate, dalla chioma insolita alla punta dei piedi, scambiandosi occhiatine perplesse.
“Ah..” il biondo, capendo che lo avevano scambiato per Akito, sospirò, scuotendo la testa. “Sentite, non sono affari vostri quindi andate a rompere da qualche altra parte, ok?”
Sorprese della risposta scortese e quindi inaspettata da parte del loro beneamato rappresentante studentesco, volsero i tacchi, bisbigliando tra loro. Si diressero verso la parte opposta del corridoio, non staccandogli gli occhi di dosso. 
Vide il cartello appeso al muro che indicava i bagni e decise di andare a risolvere alcuni bisogni impellenti.

Si sciacquò le mani, schiacciando poi il bottone sul macchinario appeso al muro da cui poi proruppe vapore caldo per asciugarsele. Diede un’occhiata al proprio riflesso allo specchio. L’aspetto semi-ordinario che aveva lo demoralizzò, borbottando contro sua madre. 
“EHI!” 
Si volse di scatto, trovandosi di fronte due ragazze alte, una delle quali portava un collarino borchiato legato al collo. Pensò che fosse strano anche il loro trucco molto pesante, date tutte le regole che Akito gli aveva elencato la sera prima riguardo l’etichetta scolastica. La ragazza col collarino inoltre aveva un caschetto biondo platino che la rendeva ben poco adatta alla divisa che stava indossando.
“Mifune?” le due ragazze si guardarono allibite. 
“No guarda, Bond, James Bond..” sbuffò Yoshi, davvero stanco di essere scambiato nuovamente per il fratello. Tutti questi malintesi lasciavano presagire un anno pieno di prese in giro, beffe e scherzi a cui ormai si era disabituato. Da piccolo li aveva sopportati, li aveva perdonati, ma ora che era cresciuto, e che aveva fatto di tutto per differenziarsi dal fratello, non aveva più la pazienza di un tempo.
Le canzonò, mandando la biondina su tutte le furie. “Fai meno lo spaccone, Mifune!” lo spinse contro il lavabo, facendo notare a Yoshi quanto fosse più alta di lui. 
“Se no cosa mi fai?” sorrise, guardandola dal basso. Attirarono la sua attenzione le unghie lunghe e laccate di nero della ragazza.
“Dovresti portarci più rispetto..” si intromise l’altra, poggiando una mano sulla spalla dell’amica per calmarla e allontanarla da Yoshi.
“E perché mai?” 
“Qualcuno ha pagato qualcun altro per sistemare un altro ancora..” rispose sorniona la ragazza con i capelli raccolti in uno chignon morbido, alimentando la curiosità di Yoshiyuki.
Se lo avevano scambiato per Akito, voleva dire che suo fratello era in affari con le due ragazze che, osservandole bene, parevano provenire più dalla scuola di Yoshi che da un liceo di alto livello.
“Diecimila yen  per mandare all’ospedale Sota della 2-2 !” alzò la voce la biondina, sbattendo il pugno contro la porta di un cesso. 
“E chi è?” sfuggì a Yoshi, ridacchiando della scena che due ragazze avessero picchiato un ragazzo al posto di suo fratello.
“Ma hai il cervello che dorme?” ringhiò sempre la bionda, furiosa. “O ci stai prendendo in giro?”
Yoshiyuki sorrise, scostandosi dalle due e andando verso la porta. “Grazie delle informazioni..”
La ragazza più calma delle due gli fece un cenno, scuotendo la testa, compatendolo. Sarà stato anche il ragazzo con i voti migliori di tutto l’istituto, ma aveva davvero poca memoria, pensò.
Stava poi per chiedere loro come mai, essendo due ragazze, fossero nel bagno degli uomini ma si interruppe, quando vide la bionda aprire con un calcio una porta e tirar fuori un ragazzo impaurito per un orecchio. 
“Ciao Mifune.” chiuse il discorso la ragazza coi capelli raccolti, come per invitarlo ad andarsene.
Non era certo affare suo e per uno sconosciuto non avrebbe mosso un dito se c’era la anche solo remota possibilità di farsi male. Prese la porta ed uscì, tornando a sorridere quando l’idea del fratello ricattato comparve nella sua testa. Non era poi così perfetto come dicevano. E anche piuttosto vigliacco. E chissà il perché.
Anche non volendo, i fatti di cui era venuto a conoscenza gli solleticavano la curiosità perché rivelavano un aspetto inedito del suo gemello che, a suo parere, lo rendeva più simile a lui. La sua perfezione era dunque di facciata? Nascondeva in effetti un aspetto più interessante, più insolito.
Yoshiyuki si diresse verso la prima aula, appena fuori dai bagni, leggendo il numero. Se le aule del primo anno erano tutte al piano terra, forse quelle del secondo e del terzo erano al primo piano e all’ultimo le restanti, pensò. Voleva scoprire interamente la faccenda, perché voleva vedere la faccia del ragazzo che Akito temeva tanto da dover pagare qualcuno per sistemarlo al posto suo. 
Trovò l’aula una decina di minuti dopo, proprio quando la campanella che segnava il passaggio all’ora successiva suonò, facendo scattare un andirivieni di gente impressionante. Le porte delle aule parevano essersi aperte in contemporanea, vomitando fuori alunni in tutte le direzioni. Afferrò con decisione un ragazzo che usciva dall’aula 2 del terzo anno, tanto che quest’ultimo lo guardò malissimo, riconoscendolo poi in Mifune e quindi calmandosi.
“Sota, dici?” 
“Si, quante volte devo ripetertelo?” Yoshi era impaziente di conoscere il “famoso” Sota, magari per carpire qualche segreto del fratello e poterlo finalmente rendere umano agli occhi di tutti. 
Il ragazzo si sottrasse alla presa del biondo, tornando dentro l’aula. Lo vide avvicinarsi ad un gruppetto di ragazze indaffarate a pulire la lavagna per il professore dell’ora successiva. Yoshi cercò di sporgersi per vedere meglio l’interno della stanza, quando un altro ragazzo lo spinse in malo modo per passare e lo distrasse dai suoi pensieri. 
“Spostati.” disse, colpendolo con la propria spalla sulla sua, molto probabilmente non solo per farsi strada.
Deve essere una testa calda, pensò Yoshiyuki, maledicendolo e massaggiandosi il braccio dolorante.
“Cosa vuoi?” si trovò di fronte una ragazza dai lineamenti occidentali; occhi grandi, castani, una bocca a cuore e zigomi alti, incorniciati dai capelli mossi chiari. 
“Tu, cosa vuoi?” sbuffò Yoshi. Un’altra che rompe, pensò, sempre più stanco dell’atteggiamento di tutti dentro quella scuola. “Ci conosciamo?” continuò, sfrontato.
“Sei tu che..”
“Senti, vai a chiamarmi Sota.” la interruppe, indicandole la direzione con fare altezzoso. “Così tolgo definitivamente il disturbo..”
“Sono io Sota, stupido!” reagì lei, alzando la voce in modo che risuonasse in tutto il corridoio gremito di persone.
“Tu?” Yoshi era allibito. “Una ragazza?” Sota era una ragazza? Akito aveva paura di una ragazza?
“E’ da anni che ci conosciamo!” continuò Sota, sistemandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. “Solo adesso te ne sei accorto?”
Yoshiyuki stava per ribattere, per spiegare l’accaduto, che lui non era quel Mifune, non era lui che l’aveva fatta picchiare dalle due teppiste.
Dopotutto, era una ragazza. E persino per uno come lui era inammissibile fare del male a una donna.
“Congratulazioni per la tua elezione!” esordì invece lei, con tono canzonatorio. “Ringrazia quelle del quinto anno, altrimenti a quest’ora sarei io la rappresentante!”
Il tono della sua voce rimaneva alto, mettendolo a disagio. Una conversazione un po’ troppo personale che stava attirando l’attenzione di tutti, a quanto pareva. Stava dando spettacolo, ed era appena arrivato da un paio di ore!
“Un mese di convalescenza.. e lo so che ci sei tu dietro tutto ciò..” sibilò.
Comparve in quell’istante il professore di turno, sorridendo ad ogni studente e pregandoli di rientrare in classe. Yoshi, messo alle strette, approfittò del suo arrivo per allontanarsi da quella ragazza e da quella classe.
Mentre ripercorreva le scale, correndo a più non posso, si sentiva colpevole malgrado non centrasse con quella storia del pestaggio. L’idea che quella ragazza avesse provato una cosa simile, a causa di suo fratello, gli faceva ribollire il sangue dalla rabbia. 
Ed ora aveva capito anche il motivo per cui Akito aveva agito così. Sota doveva essere la sua principale rivale nelle elezioni per il comando della scuola. Una cosa assurda, decisamente.
“Ehi Yoshi.” Akito lo fermò quando era sugli ultimi gradini della scala. “Dove cavolo sei andato?”
“Da nessuna parte..” trattenne il nervoso, chiudendo forte i pugni. Avrebbe voluto scuoterlo, colpirlo, fargli provare ciò che aveva inflitto a Sota. Come aveva potuto? Una ragazza trattata così.
“Ti ho cercato dappertutto, sai?” Akito parlava mentre sistemava il contenuto della sua agenda. Ne trasse fuori un libretto scolastico nuovo di zecca, la copertina rigida lucida che splendeva sotto i neon. “Questo è il tuo libretto scolastico, non perderlo.”
Glielo consegnò, e Yoshi poté rimirare i suoi dati trascritti all’interno della prima pagina. La sua faccia beota lo fissava dalla fototessera applicata. 
“Dovresti andare nella tua classe ora.” aggiunse Akito.
Yoshi annuì, infilandosi nella tasca dei pantaloni il libretto.
“Attento a non rovinarlo..” lo rimproverò, passandogli lo zaino. 
“Ah.. qual è la mia classe?” chiese Yoshi, ignorando il gemello che si stava allontanando in direzione della segreteria.
“La 3-2. La trovi al piano superiore, la prima porta appena salite le scale.” 
Oh merda.

La classe seguiva la lezione di matematica mentre il professore trascriveva delle formule alla lavagna, spiegando dei teoremi particolarmente complessi.
Un ragazzo dai capelli castani, dall’aspetto curato e per bene, seduto in seconda fila, si volse verso Sota, la ragazza dai tratti somatici occidentali.
“Ma cosa voleva Akito?” le chiese, giocattolando con l’astuccio della ragazza.
Lei lo ignorò, spostando le penne dal suo raggio d’azione e cercando di seguire la lezione.
“Non so se hai notato anche il suo nuovo taglio di capelli..” ridacchiò, seguito a ruota da metà della classe.
Il professore sbatté il registro di classe sulla cattedra, per richiamare all’ordine gli studenti. Chiese silenzio, e si diresse poi alla porta scorrevole, facendo entrare Yoshiyuki che aveva bussato durante lo scompiglio in classe.
“Bentornato..” sussurrò qualcuno in fondo all’aula, suscitando nuovamente l’ilarità generale.
Il professore tossì sonoramente e poi prese la parola, per farli tacere. 
“Ragazzi.. lui è Yoshiyuki Mifune, il vostro nuovo compagno di classe.” Yoshi, sospirando, andò alla lavagna a scrivere il proprio nome e cognome, mentre tutti tenevano incollati gli occhi alla sua schiena. Finito l’ultimo ideogramma, si rivolse nuovamente alla classe, ora a bocca aperta, e si inchinò.
“Come avrete intuito, è il fratello gemello del nostro caro rappresentante degli studenti, Akito.” continuò il professore. E poi, rivolto al biondo: “Siete proprio due gocce d’acqua..”.
Yoshiyuki sorrise a stento, sperando che la presentazione fosse finita. 
Un brusio si diffuse tra i banchi, tutti che commentavano il suo aspetto, lui, suo fratello. Era per questo che aveva scelto una scuola diversa, lontana da casa, lontana da Akito. E ora invece..
“Vai pure a sederti laggiù, in quarta fila..” il professore, forse intuendo il suo disagio, chiuse il momento di imbarazzo e gli indicò un banco libero dietro una ragazza dai lunghi capelli scuri che portava un cerchiello rosa ad adornarle la chioma.
Yoshi per arrivarci dovette anche passare accanto al posto di Sota, e incrociò lo sguardo di lei che, rossa in volto, distolse subito gli occhi: la ragazza infatti si sentiva in colpa per averlo attaccato, poco prima, senza motivo.
Yoshiyuki, traendo un sospiro di sollievo dal non essere più al centro dell’attenzione, si sedette, notando comunque come tutti continuassero a osservarlo. Che sensazione sgradevole, pensò, mentre si sistemava il ciuffo a coprirgli l’occhio sinistro. 
Le due ore di lezione passarono in fretta, anche perché Yoshi di matematica capiva poco o nulla, e, dalla cattedra, l’ultima fila di banchi era praticamente invisibile. 
Appena il professore si alzò dalla sedia, raccogliendo i compiti per casa degli alunni da correggere, si fece avanti il ragazzo che sedeva davanti a Sota, quello che aveva canzonato Yoshiyuki per i capelli.
“Piacere, Honda Keichiro.” gli porse la mano. 
Yoshi accennò un sorriso, stringendogliela. Lo osservò bene: aveva un taglio di capelli ordinato, pulito, con la riga in parte e da un color nocciola appena più chiaro del suo colore naturale. La sua camicia era stirata in modo impeccabile, chiusa fino all’ultimo bottone del colletto, conferendogli un aspetto inamidato. Keichiro poi gli sorrise apertamente, presentandosi: “Sono un grande amico di Akito, ma non mi aveva mai detto di avere un gemello..”
“Ah.. beh..” Yoshi avrebbe voluto spiegare come stavano le cose. Che anche per lui avere un gemello era una scocciatura, un peso, un..
“Kei.” si avvicinò il ragazzo che aveva spinto Yoshi sulla porta dell’aula. 
Yoshi si sarebbe aspettato delle scuse, invece il ragazzo lo ignorò totalmente. 
“Lui è Takeshi.” glielo presentò Keichiro, prendendolo per le spalle. “E’ un po’ timido..”
“Ma quando mai!” sbottò il ragazzo in questione, liberandosi dalla presa di Keichiro. Aveva i capelli ossigenati, con un taglio a spazzola molto corto, una carnagione leggermente ambrata e le orecchie piene di piercing. Yoshiyuki, istintivamente, lo sentì molto vicino a sé, in quanto gli ricordava la compagnia di amici che aveva nell’altra scuola, un po’ simili al suo stile. 
Yoshi gli tese la mano, fissandolo negli occhi. Takeshi gliela strinse, rimanendo in silenzio. Aveva i polsini della camicia slacciati, così Yoshi, da seduto, intravide sul polso destro far capolino un tatuaggio tribale o qualcosa di simile. 
“Takeshi Fujimoto.” lo distrasse il ragazzo, dicendo il suo nome per intero. 
“Certo che vi somigliate davvero..” si intromise Keichiro, affascinato dal viso di Yoshi. “Credevo davvero che Akito si fosse colorato i capelli o roba simile..”
Yoshi sorrise a stento, alzandosi in piedi per sgranchirsi le gambe. Era solo la millesima volta che qualcuno notava la loro “straordinaria” somiglianza.
“Fujimoto..” Forse per il taglio, il modo di fare schivo o a pelle, il ragazzo abbronzato lo sentiva più nelle sue corde. O forse perché dalla sua bocca non era ancora uscito il nome di suo fratello.
“Dimmi.” Fujimoto gli stava dando la schiena in quanto era chinato a cercare qualcosa nelle tasche del giubbotto. Qualcosa che sembrava non trovare.
“..è vero che Akito ce l’ha a morte con quella?” Yoshi indicò Sota, che usciva dall’aula in compagnia della ragazza col cerchietto. 
Fujimoto annuì, aggiungendo poi: “Entrambi ambivano a diventare rappresentante scolastico.. ma lei è stata ricoverata in ospedale ed ha saltato proprio il periodo delle elezioni. Non ha potuto candidarsi e quindi è stato eletto Akito.” 
Non aggiunse altro, ma guardò Keichiro di sottecchi. Voleva far capire a Yoshi che tutti sapevano del pestaggio e del fatto che ci fosse Akito dietro. Ma nessuno poteva o voleva parlarne chiaramente.
“Mifune..” Keichiro attirò la sua attenzione. “Sono stato parecchie volte a casa tua e di Akito, ma com’è che non ti ho mai visto?”
Yoshi odiava dover spiegare che, ormai, tutti facevano finta che lui non esistesse. E che, in fondo, era quello a cui ambiva da quando aveva ricordi. 
“Frequentavo una scuola professionale lontano da qui..” sospirò, seccato dal dover spiegare la sua situazione. “Siccome prevedeva anche un laboratorio pomeridiano cercavo di stare più possibile a scuola, per imparare al meglio. Anche perché non mi piace molto l’aria che tira a casa mia..”
Fujimoto trovò finalmente il pacchetto di sigarette che stava cercando da tempo. 
“Ti scoccia se finiamo in terrazzo il racconto della tua triste infanzia, Mifune?”  chiese, indicando la porta con un cenno del capo. 

“Quindi.. i tuoi ti hanno fatto cambiare scuola anche se tu non volevi?” Keichiro si aprì il primo bottone della camicia, dato che, sul terrazzo all’ultimo piano, il sole picchiava forte. Era appoggiato con la schiena alla ringhiera, mentre Yoshi, in parte, era piegato sui gomiti a guardare il panorama da lassù.
Non che non volessi.. è che sono troppo pigro per reagire, avrebbe voluto rispondere.
“Diciamo che sono preoccupati per il mio futuro.” Akito così brillante, io così.. così. “Forse sono troppo diverso da Akito, ecco.”
Fujimoto rimaneva in silenzio, fumando e ascoltando i due chiacchierare. Ogni tanto prendeva la sigaretta dalle labbra tra le dita, per espirare a fondo. 
“Vuoi?” Passò la sigaretta accesa a Yoshi, per un tiro. 
“Grazie..” avidamente, Yoshiyuki la prese tra le dita e inspirò a pieni polmoni, bruciandone metà. 
“Quindi.. non hai un bel rapporto con Akito?” chiese Keichiro, sedendosi a terra.
“Non c’è alcun tipo di rapporto. E nessuno di noi due lo vuole!” ridacchiò Yoshiyuki, espirando il fumo acre.
Fujimoto sorrise, aggiungendo “Ti capisco! Con mia sorella è un po’ simile..”
“Hai una sorella?” chiese Yoshi, chiedendosi come potesse essere.
Takeshi annuì, infilandosi il pacchetto di sigarette richiuso in tasca. “Non farti illusioni..” rise, intuendo i pensieri di Yoshiyuki “E’ un armadio a tre ante, una specie di pugile obeso con il seno, per dirti..”
Scoppiarono a ridere tutti e tre, quasi fino alle lacrime. 
“Però, siccome è più grande ed anche lei ha studiato qui, mi conoscono un po’ tutti a scuola..” aggiunse Takeshi, dirigendosi verso l’ingresso della scalinata che riportava dentro l’edificio. Yoshi lo seguì giù per le scale, notando la schiena del ragazzo che poteva passare per quella di un nuotatore. Il colore ambrato della sua carnagione probabilmente era dovuto agli allenamenti continui all’aperto in piscina, pensò Yoshiyuki. “Comunque se vuoi oggi pomeriggio c’è una partita di calcio in palestra..”
Arrivarono al piano della loro classe, e Takeshi, prima di entrare in classe, si fermò fuori con Yoshiyuki, lasciando entrare Keichiro per primo.
“Dicevo, se oggi pomeriggio non hai niente da fare, potresti rimanere a vedere la partita dell’ultimo anno.” spiegò Fujimoto, tirando fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Guardò l’ora, attendendo la risposta di Yoshiyuki.
“Ok..”
“La fanno qui in palestra, così..” sospirò, decidendosi di aprire il cellulare a guscio, pigiando poi un paio di tasti. “..ti ambienti.”
Yoshi rimase perplesso, ma, facendo spallucce, disse che andava bene.
“Dammi la tua mail, così se mi capita di passare dalle tue parti ti chiamo.” 
Yoshiyuki sorrise, capendo che c’era stato immediato feeling anche dalla controparte, come se, nonostante il brusco inizio, si fossero capiti subito, al primo sguardo.

Terminato l’orario scolastico, l’intera classe in fretta e furia si preparò ad uscire.
Solamente Yoshi si trattenne in classe, a colloquio con l’insegnante di inglese dell’ultima ora. Gli aveva preparato un test di verifica delle sue conoscenze per determinare il suo livello e vedere se avesse avuto bisogno di un eventuale corso di recupero pomeridiano. La professoressa stava terminando di leggere gli ultimi stralci del compito, annuendo ad ogni rigo analizzato. Era una giovane insegnante, dalla parlantina veloce e acuta, che riscuoteva consensi in ogni classe, perché sapeva comportarsi in maniera meno rigida rispetto agli altri insegnanti. 
“Sei davvero portato..” accennò, sorridendogli. Yoshi le stava di fronte, in attesa del responso. Aveva sempre ottenuto il massimo in inglese al suo vecchio istituto, l’unica materia che apprezzasse per davvero. “Anche qui..” segnò un punto preciso dei quiz con la punta della penna rossa. “..pensavo non avresti capito questa forma grammaticale, dato che è materia del prossimo anno..”
Trasse un sospiro di sollievo, constatando che l’insegnante era piacevolmente sorpresa del suo risultato. Per lui, per il suo sogno un giorno di sfondare, l’inglese era l’unica cosa necessaria. Se fosse diventato una star, gli sarebbe piaciuto volgersi anche al panorama musicale internazionale, traducendo i propri testi in lingua straniera e cantandoli in modo perfetto, per non venir subito etichettato come un asiatico incapace di parlare inglese. Lo slang era la sua passione e internet il modo per venire a conoscenza degli ultimi vocaboli coniati. Il fatto che fosse nato in America poi, lo vedeva come un incentivo a tornare, un giorno, nella sua madre patria.
 “Diciamo che mi piace molto.” spiegò Yoshi, vedendo Sota uscire per ultima dalla classe. La ragazza si fermò sulla porta, come in attesa; ma appena i loro sguardi si incrociarono, uscì.
“Ottimo lavoro, Mifune.” la professoressa aprì una cartellina dove infilò il compito di verifica del ragazzo. “Sono molto felice tu sia entrato nella mia classe.”
Si alzò in piedi, e il ragazzo si protrasse in un inchino, tenendo le braccia distese lungo i fianchi.
“Spero avrai intenzione di diventare il mio pupillo..” sorrise lei, riponendo i libri e il registro di classe all’interno di una borsa in pelle rigida verde scuro. “..perché credo che potrei investire su di te per quanto riguarda eventuali speech  o servizi di tutor agli studenti meno portati. Cosa ne pensi?”
Yoshiyuki, sorridendole di rimando, poiché era una sensazione strana sentire qualcuno fare degli apprezzamenti su di lui, rispose che ne sarebbe stato lieto. Gli insegnanti dell’altro istituto lo reputavano un ragazzo dotato ma poco volenteroso, a cui interessava fare il minimo indispensabile per non venire bocciato. A questo si sommava la sua scarsa propensione al rispetto delle regole, le ripetute assenze ingiustificate, i ritardi e il carattere particolare. Tuttavia, nonostante ottenesse sempre il massimo in alcune materie, nessuno aveva mai pensato fosse farina del suo sacco, ma piuttosto il risultato di qualche furberia o imbroglio. 
Per lui fare da tutor o qualsiasi altra cosa gli venisse richiesta dall’insegnante di inglese andava bene poiché lo vedeva come un modo per averla dalla sua parte, ottenere un buon voto in lingua straniera e migliorare il proprio inglese, che riteneva basilare per il suo futuro.
Salutò la professoressa, dirigendosi fuori dall’aula. Ad attenderlo in corridoio c’era Fujimoto, intento a scrivere sul cellulare. Stava appoggiato al muro con la schiena, gli occhi fissi sul piccolo schermo illuminato. 
“Finito?” chiese, appena sentì Yoshiyuki avvicinarsi.
Yoshi si fermò di colpo, appena mise a fuoco il volto del ragazzo di fronte a sé.
“Ah, questo..” Takeshi si indicò il viso, ridendo. 
“Ma..” balbettò l’altro, osservandogli l’occhio destro che pareva vitreo. Era di un grigio sfocato, sfumato, la pupilla della grandezza di una capocchia di spillo. “E’ una lente a contatto?”
Fujimoto si infilò in tasca dei pantaloni il giubbotto, scuotendo la testa. “No, no.. è una cosa congenita.”
Iniziarono ad incamminarsi verso le scale, diretti al piano inferiore.
“Ho un occhio chiaro e siccome è una cosa un po’ particolare, quando sono a scuola lo copro con una lente a contatto scura..” spiegò Takeshi, scendendo i gradini in velocità. “Solo che appena posso la tolgo dato che mi da fastidio.. E’ una scocciatura, ecco.”
Yoshiyuki pensò alle facce strane che facevano le persone quando lo incrociavano per strada e pensò all’ulteriore spavento che avrebbe provocato se, da un giorno all’altro, si fosse ritrovato un occhio grigio. 
“Ha il suo fascino comunque..” ridacchiò Fujimoto, tenendo aperta una delle due porte finestre che davano sul giardino. “Rimorchio moltissimo!”
Yoshiyuki trattenne a stento le risate, percorrendo il prato che lo divideva dal campo da basket. Sentì di colpo la differenza tra la temperatura esterna, calda e umida, e l’aria condizionata che imperversava nella scuola. 
“Questo è il nostro campo da basket..” fece da cicerone Takeshi, cambiando discorso. “L’edificio in fondo è la palestra.. se giri a sinistra trovi invece le nostre piscine coperte con gli spogliatoi, oltre la fila di alberi..” indicò un punto indefinito, nascosto all’ombra. “Abbiamo anche quelle all’aperto, che personalmente preferisco..”
“Fai parte della squadra di nuoto?” Yoshi osservò la pelle abbronzata del collo di Takeshi, un po’ inusuale dato che erano appena ad aprile.
“Si, mi alleno due volte la settimana..” continuarono a camminare sotto il sole del pomeriggio, diretti alla palestra. “Anni fa mi allenavo molto di più, ma da quest’anno devo pensare anche agli esami di ammissione all’università.. si sommano un po’ di cose.”
Università? Yoshiyuki lo squadrò, pensando fosse strano che un ragazzo esteriormente così simile a lui potesse ambire a qualche università particolare. 
“Qui pensate davvero tutti a studiare! Ora capisco mio fratello..” sfuggì a Yoshi, sospirando. 
Fujimoto lo colpì piano al braccio col pugno chiuso, offeso. “Non paragonarmi a quello lì..”
I due scoppiarono a ridere, entrando nella palestra gremita di gente. Si sentivano scarpe da ginnastica stridere sul parquet lucido e i fischi dell’arbitro, coronati dalle urla dei tifosi, raccolti sugli spalti. I giocatori, divisi in due squadre, si differenziavano per le casacche di due colori diversi, blu o arancione.
Takeshi fece segno a Yoshiyuki di salire sugli spalti, verso i finestroni semiaperti a ridosso del soffitto. 
“Da lì vedremo meglio.” consigliò, salutando un paio di ragazzi che erano seduti sulle panchine nell’area di gioco, in attesa di poter entrare a giocare. 
Si sedettero sugli ultimi gradoni, e Fujimoto iniziò a indicargli i vari giocatori, descrivendone il profilo e spiegandogli a quale classe appartenessero. 
Siccome non erano cose che potessero svegliare il suo interesse, Yoshiyuki si perse a guardare gli spettatori, cercando di trovare qualcuno che conosceva. Riconobbe, verso la fine degli spalti, vicino all’uscita di sicurezza, Sota e le due ragazze che aveva incontrato in bagno la mattina. Si preoccupò vedendole insieme e notò che la bionda delle teppiste continuava a spingere Sota contro il muro, tenendola per una spalla. 
Yoshi si alzò in piedi di scatto e, ignorando Fujimoto che gli chiedeva dove stesse andando, si diresse in direzione della fanciulla in difficoltà. Non sopportava che, per colpa di suo fratello, quella poveretta venisse di nuovo malmenata, ma soprattutto non per un motivo così stupido come le elezioni scolastiche. 
“Sei già tornata?” la ragazza col chignon ridacchiava istericamente, mentre la bionda continuava a tenere ferma Sota contro la parete. “Dovevamo dartene di più!”
Reiko le mandò al diavolo, scatenando l’ira della ragazza con i capelli platinati. “Ma chi ti credi di essere?!”
In quel mentre, Yoshiyuki si intromise tra le ragazze, stringendo con forza il braccio della bionda. 
“E questo?” accennò una delle due, mentre tutte lo fissavano allibite. 
“Lasciatela in pace..” Yoshi scostò il braccio della bionda lontano da Sota, mentre questa non spiccicava parola, fissandolo con odio. 
“Mifune, la tinta per capelli ti è entrata nel cervello?” sbraitò la bionda, liberandosi dalla presa di Yoshiyuki.
Molto probabilmente non sapevano ancora del fatto dei gemelli, quindi ne approfittò, prendendo Sota per il polso e tirandola a sé. “Devo.. parlarle.”
Le due ragazze alte lo guardarono trascinare Sota in direzione dell’uscita di sicurezza e spingerla poi oltre la porta. Desistettero, sbuffando che se non fosse arrivato Akito probabilmente avrebbero potuto finire il lavoro in pace.
Usciti sulle scale antincendio, i passi che risuonavano sull’acciaio, Yoshiyuki incalzò Sota, che gli dava le spalle: “La prossima volta.. cerca di ignorarle e vattene, prima ancora che ti possano rivolgere la parola..”
“So benissimo cavarmela da sola.” ribatté lei, facendo per scendere le scale. 
“Scusa tanto se ti ho salvato eh..” Yoshiyuki sospirò, pensando che le donne fossero davvero un mistero. Almeno per lui. “La prossima volta lascio che ti picchino, ok?”
“Nessuno ti ha chiesto niente!”  Reiko si volse, il volto rosso di rabbia. 
“Ehi, non serve arrabbiarsi!” Yoshi si spazientì, sbottando “Ho solo cercato di aiutarti!”
La ragazza si buttò sul biondo, colpendolo al petto con le mani. “Fatti gli affari tuoi!” scandì bene le parole, come per cercare di imprimerle bene nella memoria del ragazzo.
“Accidenti..” sfuggì a Yoshi che, bloccandole i polsi, poté poi osservare i lineamenti delicati di Reiko da vicino. Le sue labbra erano carnose, rosse che sembravano disegnate sul suo viso. Il naso pronunciato, svettava su una pelle bianca che profumava di buono. “..sei carina.”
Rimasero entrambi a fissarsi, le guance che assumevano sempre più i toni caldi del fuoco.
“Io ti uccido..” sibilò Sota, rossa dalla vergogna, volgendo lo sguardo in basso, verso la punta delle proprie scarpe.
“Scherzavo..” Yoshiyuki capì all’istante di essere andato un po’ oltre, e cercò invano di recuperare la faccia. Allentò la presa sulla ragazza, quando uscì sul pianerottolo il suo gemello.
Akito, comparso sulla soglia, dapprima rimase sorpreso nel vedere il fratello avvinghiato alla ragazza. Poi, con fare deciso, fece tre passi nella loro direzione e, con forza, spinse Reiko lontano da Yoshiyuki, scaraventandola a terra.
Yoshiyuki notò quanto fosse agitato e si sorprese nel sentirlo quindi parlare con tono pacato. 
“Ecco perché non volevo che tu venissi in questa scuola..” 
Yoshi vide Sota tirarsi in piedi e mettersi a posto l’orlo della gonna, pulendolo dalla polvere col palmo della mano. 
“Mifune..” accennò, richiamando l’attenzione di entrambi i ragazzi che rispondevano a quel nome.
“Non ti intromettere, per piacere..” Akito la liquidò, non degnandola di uno sguardo.
La ragazza fece per ribattere ma si morse le labbra, fermandosi. Preferì prendere la porta e tornare all’interno della palestra, lasciando soli i due.
“Yoshi, questo è il mio territorio..” sentenziò Akito, indicando l’edificio alle sue spalle. “..e qui, tu sei solo d’impiccio.”
Il fratello reagì subito, alzando la voce: “E sai quanto me ne può fregare!”
Yoshiyuki, d’un tratto, intuì che forse Akito aveva frainteso la situazione. La sua reazione, le sue parole.. sembrava quasi che fosse interessato a Sota, pensò. Com’era uscito tranquillo e poi, infuriato, li aveva divisi. 
“Che non ti veda ancora ronzarle attorno..” aggiunse Akito, rivelando senza timore al gemello il suo interesse per la ragazza. “Capito?”
Yoshi avrebbe voluto spiegargli che aveva semplicemente aiutato Sota, che le aveva fatto solo un complimento e quella addirittura si era arrabbiata. “Senti, io non..” abbozzò, fermandosi quando si trovò il dito di Akito dinanzi al naso. Glielo appoggiò sulla punta, premendo. 
“Lei è mia, e com’è vero il mondo non me la farò portare via da nessuno..” ammise Akito, scuro in volto. “Specialmente non da te, Yoshi.”

Yoshiyuki, dopo essersi fumato una sigaretta per schiarirsi le idee, tornò in palestra, con l’intento di voler vedere la fine della partita e poi tornarsene a casa dopo una giornata così piena. 
“Mifune..” si sentì chiamare e vide Sota aspettarlo dove aveva lasciato Fujimoto, ora volatilizzatosi. Appoggiò la mano di fianco a sé, sul gradone, come per invitarlo a sedersi. Yoshiyuki, accomodandosi, come d’istinto, diede un’occhiata attorno per vedere se nelle vicinanze ci fosse stato suo fratello. 
“Volevo.. ringraziarti.” disse lei, tornando a concentrarsi sulla partita. O fingendosi comunque interessata a ciò che accadeva in campo. “E anche scusarmi.”
“Tranquilla..” La osservava di profilo, non riuscendo a staccare gli occhi da quel viso così particolare.
“Scusami se mi sono comportata male, anche stamattina.” continuò lei, tormentandosi le pellicine attorno alle unghie. “Ti avevo scambiato per Akito e, come avrai capito, non scorre buon sangue tra di noi.”
Nella mente di Yoshi tornarono a galleggiare le parole di Akito, la sua confessione. Se era tanto interessato.. cosa lo tratteneva dal dichiararsi apertamente? E se ne era così perso, perché farle del male? Perché permettere che le venisse fatto del male?
Avrebbe voluto chiederle di più, ma intuiva che doveva essere doloroso ricordare certi momenti. Così, dirottò il discorso su altri argomenti.
“Come mai hai questa faccia?” la domanda diretta, senza tatto, che gli uscì dalla bocca lasciò Sota di sasso.
Yoshiyuki cercò di riformularla in maniera più cortese, comprendendo di aver fatto un’altra gaffe.
“Mio padre è straniero, tutto qui.” concluse lei, passandosi una mano tra i lunghi capelli mossi. 
Non aggiunse nazionalità né tantomeno il motivo per cui portasse un cognome giapponese e il ragazzo preferì non indagare. 
“Scusami Sota, se non sono in grado di parlare con le ragazze..” ridacchiò Yoshi, cercando di stemperare i toni della conversazione. 
“Mi fa piacere se parliamo, invece.” rispose lei, sorridendo. “Mi trattano tutti come una bestia rara da quando sono tornata dall’ospedale. Quindi ultimamente non ho tante occasioni di fare conversazione..”
“Mettersi contro mio fratello non deve essere facile..” ripensò al carattere difficile di Akito, che probabilmente tiranneggiava a scuola quanto lo faceva tra le mura domestiche. 
Lei annuì, riprendendo “Ci credevo tanto in quel posto da rappresentante..” sospirò, stirando le pieghe della gonna con una mano. “Ho lavorato tanto per farmi accettare, per farmi delle amicizie solide, per essere tra le più brave a scuola, impegnandomi in un sacco di campagne che ora mi chiedo.. se ne sia valsa la pena.”
Si morse le labbra, sospirando. “Mi viene da ridere perché sto parlando di queste cose proprio con te che sei suo fratello!”
L’arbitro fischiò un fallo, tra le urla della folla, contraria al calcio di punizione assegnato. 
“Non siamo la stessa persona quindi stai tranquilla.” 
“E’ incredibile quanto siate diversi.” disse lei, volgendosi finalmente a guardarlo negli occhi che fino a prima aveva lasciato vagare per la palestra. Yoshi ebbe l’impulso di afferrarle il viso e chiederle di ripeterlo almeno altre cento volte, affinché il suono di quelle parole non si cancellasse dalla sua memoria.
“Grazie.” sorrise invece, preferendo un approccio più delicato. 
“Poi con quei capelli..” rise Sota, mentre Yoshi si sistemava il ciuffo a coprirgli il lato sinistro del viso. La ragazza osservava le orecchie di Yoshiyuki piene di piercing di dimensioni, forme e colori differenti. 
“Nella mia vecchia scuola non c’erano regole sull’abbigliamento o la pettinatura quindi per me è tutto nuovo..” spiegò Yoshi “Ho potuto fare quello che volevo, per me è strano vedere tutti vestiti uguali.”
“Ti ci abituerai..” 
“E poi anche Fujimoto ha i capelli biondi..” protestò Yoshiyuki.
“Ma lui fa parte del club di nuoto, perciò usa il cloro come scusa alla sua decolorazione..” spiegò lei, passandosi una mano sui capelli e spostandoseli tutti su una spalla sola. Lasciò scoperto il lato del viso rivolto a Mifune, continuando a spiegare come in realtà venivano lette le regole della scuola. “Lo sanno tutti che se li è tinti apposta, ma sia il collegio didattico che i professori fingono sia colpa dell’acqua delle vasche.. dopotutto è uno dei migliori nelle competizioni, quindi perché sospenderlo da scuola per un simile motivo? Sarebbe una perdita incredibile per il nome dell’istituto..”
Yoshiyuki comprese che il regolamento scolastico veniva davvero interpretato solo come mero inchiostro su carta. 
“Tu comunque puoi ritenerti fortunato.. essendo fratello del rappresentante degli studenti godi dell’immunità.” riprese lei.”Akito è uno studente modello per quanto riguarda studio, sport, disciplina..” elencò i pregi di Akito contandoli con le dita. “..carisma, successo con le ragazze, spirito di organizzazione.”
“Non mi piace l'idea di vivere di luce riflessa..”
“Diciamo che dal mio punto di vista vivi di merda riflessa.” concluse lei, scoppiando poi a ridere, seguita a ruota dal biondo. 
“Sotto sotto hai un bel caratterino allora..” esordì Yoshi.
“Se non lo avessi sarei solo una delle tante galline qui dentro.” ribatté lei, guardando un punto preciso della palestra, dove si stavano radunando delle ragazze. Stavano festeggiando un paio di giocatori che, a partita finita, stavano per lasciare il campo. “Anche se finora mi ha portato solo guai.”
E Yoshiyuki pensò fosse proprio quello il motivo per cui a suo fratello piaceva quella ragazza. Gli venne in mente che anche lui si era espresso sull’aspetto di Sota e si morse le labbra per esserselo lasciato sfuggire. Fare un apprezzamento del genere ad una ragazza così poteva venire intuito come una presa in giro. Il suo corpo, così diverso da quello delle ragazze giapponesi, doveva esserle già valso in passato qualche brutta esperienza. Lo somigliare ad una straniera ma essere giapponese, andare in una scuola di periferia con regole così severe, anche se di facciata, non doveva essere stato facile. Forse per questo Sota si era impegnata a fondo per le elezioni, ingoiando maldicenze e scherzi, facendosi rispettare giorno dopo giorno: se fosse infine divenuta rappresentante, avrebbe fatto capire che era davvero una di loro. Anzi, la migliore di tutti loro.
“Reiko!” si avvicinò una ragazza dai lunghi capelli neri, con un cerchiello rosa per tenerli a posto. Lanciò un’occhiataccia a Yoshiyuki, squadrandolo da testa a piedi, intimorita. “Ciao Mifune..”
Yoshiyuki la riconobbe come una sua compagna di classe e ricambiò il saluto. Si ricordò di averla intravista tra tutti quegli sguardi inebetiti a fissarlo, mentre si presentava stando alla cattedra.
“Credo non vi siate presentati quindi..” Sota si intromise, vedendo l’imbarazzo dell’amica. “..lei è Natsumi.”
Terminati i convenevoli, Reiko si allontanò con Natsumi, salutando il biondo che, vedendola andare via, avrebbe voluto seguirla. 

Quella sera Yoshiyuki uscì di casa, diretto dalla ragazza che nell’ultimo periodo era stata ben disposta a frequentarlo. Non poteva considerarla la sua fidanzata in quanto la loro era una relazione basata esclusivamente sul divertimento. Uscivano assieme, in gruppo con altri amici comuni, e si comportavano come una coppia qualunque, meno che impegnarsi in modo serio nel loro rapporto. Non provavano sentimenti forti, assoluti ma solo semplice attrazione; passionale, certo, ma pur sempre attrazione per qualcosa di tangibile. Era stato una sorta di colpo di fulmine avvenuto anni prima, accentuato dall’alcool che entrambi avevano ingerito, dalla foga del voler scoprire cosa volessero dire certe cose. 
Si trovò fermo ad un passaggio pedonale, aspettando che il semaforo diventasse verde per poter attraversare la strada. Le auto sfrecciavano dinanzi a Yoshi, disegnando sagome con i fasci di luce dei fanali. Si accese una sigaretta sapendo bene che quell’incrocio era di un’attesa immane.
Si mise a riflettere sulla giornata trascorsa nella nuova scuola. Stava pensando che forse due persone interessanti le aveva trovate ed era un bottino niente male per essere stato il primo giorno. Inoltre aveva scoperto di essere ben sopra la media per quanto riguardava la conoscenza della lingua inglese e..
“Ehi!” vide un braccio passargli davanti agli occhi, una mano poi a coprirli. 
“Indovina chi sono!” disse nuovamente la voce alle sue spalle, scoppiando a ridere poi.
“Lascialo in pace, dai..” proruppe un’altra persona, che liberò Yoshi dell’impiccio.
Erano Takeshi Fujimoto e Keichiro Honda, assieme poi ad altri tre ragazzi che Mifune non conosceva. 
“Perdona Kei..” sorrise Takeshi, raccogliendo da terra la sigaretta ancora accesa che era scivolata dalle labbra di Yoshi per lo spavento. “E’ un cretino delle volte.”
“Che ci fai per strada tutto solo?” domandò Keichiro, ignorando l’altro.
“Stavo andando da.. una persona.” Yoshi vide Fujimoto rubargli il mozzicone acceso per finirselo lui, facendo finta di niente.
“E’ questo il gemello di Mifune?” si intromise un ragazzo alto dai capelli rasati, gli occhi torvi e le labbra carnose.
“Lui è Koba..” sbuffò Keichiro, presentandolo a Yoshiyuki.
“Viene pure lui?” domandò Koba a Fujimoto, distraendo il biondo dai suoi pensieri.
“Se ha voglia..” rispose lui, con poco interesse. 
Yoshi notò l’atteggiamento scostante di Fujimoto, ricomparso nuovamente. Dopo l’invito a vedere la partita in palestra aveva infatti pensato che il biondo lo avrebbe contattato ma a quanto pareva era uscito dimenticandosi di chiamare anche Yoshi. O forse apposta. Dopotutto lo aveva ignorato per andare dietro a Sota.
“Hai voglia di venire in un locale?” gli chiese Keichiro.
“Ha detto che deve andare da una persona.” precisò Takeshi, buttando a terra quello che rimaneva della sigaretta e calpestandolo. La spalmò sul marciapiede per bene, osservando le briciole di tabacco spargersi a macchia.
Keichiro guardò deluso Yoshiyuki, alzando le spalle come per far capire che gli dispiaceva.
“Andrà da Sota..” sussurrò Takeshi forte appena perché Yoshi sentisse, allontanandosi a passi svelti dietro agli altri tre ragazzi che stavano attraversando la strada.
Yoshiyuki li guardò arrivare dall’altra parte, mentre Keichiro lo aspettava, stando al suo fianco.
Se per una volta avesse tirato buca alla sua pseudo fidanzata, non sarebbe crollato il mondo, pensò.
“Vengo anch’io.” annunciò Yoshi, innervosito dalla frecciatina che Fujimoto gli aveva lanciato.
“Sono felice tu venga, Akito non esce mai!” disse Keichiro, appena raggiunsero il restante gruppo.
“I bravi ragazzi a quest’ora dormono già, Kei.” aggiunse Takeshi.

Era una sottospecie di girl’s bar, dove uomini d’affari e impiegati si ritrovavano nello stesso posto accomunati dal desiderio di raccontare la propria giornata a qualche bella ragazza. Se poi la ragazza, dal semplice chiacchierare, avesse voluto spingersi oltre, nessuno glielo avrebbe impedito. Tuttavia la musica era piacevole, i costi degli alcolici moderati e Koba, a quanto pareva, era molto conosciuto. Durante il week end, infatti, faceva il pierre per i ristoranti di okonomiyaki  della zona: si appostava ad un incrocio pedonale e, a qualsiasi persona che transitasse nelle sue vicinanze, proponeva il menu della sera con buoni omaggio. Per cui conosceva bene il mondo della notte e tutti i suoi abitanti. Queste le ragioni per cui decisero di recarsi là.
“Anche se sono minorenne mi trattano tutti bene..” spiegò, sorseggiando un liquido ambrato dal bicchiere. “Sanno che se vedo qualcosa di strano mi faccio i fatti miei.”
Yoshiyuki in posti del genere non vi era mai entrato: al massimo in dei club, quando riusciva ad ottenere qualche riduzione. Le sale videogiochi erano il suo territorio, anche se solitamente preferiva girovagare per la città senza meta, solo per stare in compagnia dei suoi amici.
Amici che, saputa la notizia del suo trasferimento  definitivo in un’altra scuola, si erano prodigati a sparire nel nulla. 
Sospirò sonoramente, pensando se avesse fatto davvero bene a non passare la serata dalla sua fiamma.
Ubriacarsi è carino quando si è depressi, pensò. Ma la giornata era volta bene, quindi non aveva motivo per farlo, si disse. Poggiò sul tavolino tra i divanetti il bibitone verde fluorescente che aveva preso, un intruglio a base di menta e gin che avrebbe potuto far resuscitare i morti.
Non li conosceva bene, perciò i discorsi che affrontavano inevitabilmente lo escludevano. Poteva solo annuire o fingere di capire a cosa si stessero riferendo, mugugnando sottovoce.
Si era seduto di fianco a Keichiro che, nonostante avesse ammesso subito la sua grande amicizia con Akito, trovava abbastanza simpatico. Forse un po’ appiccicoso, ma simpatico. Era lui che gli aveva consigliato cosa prendere, evitandogli la scocciatura di leggere il listino. Yoshiyuki sperò solo in qualcosa di non molto costoso.
Fujimoto invece era impegnato a fumare la dodicesima sigaretta della serata, come se gareggiasse contro sé stesso per riempire solo con i suoi mozziconi il posacenere. Dato che nel locale faceva molto caldo, si era tolto la camicia che indossava, rimanendo con una canottiera bianca e i jeans appositamente strappati, dando l’idea di un giovane muratore californiano. 
Keichiro si alzò per andare al bagno, facendo spostare Yoshi e scuotendolo dai suoi pensieri. 
Gli altri tre si erano alzati da un pezzo, chi per rimorchiare un paio di donzelle sedute al bancone, chi per ordinare un altro giro di bibite.
Calò nuovamente il silenzio, anche perché né Takeshi né Yoshiyuki avevano intenzione di iniziare un discorso.
Poi a Mifune vennero in mente le sue parole di un’ora prima.
“Fortuna che Honda non ha sentito quello che hai detto.” proruppe Yoshi, cercando nella tasca della felpa il pacchetto di sigarette. Vedere l’altro che fumava di continuo gli aveva acceso la voglia.
“Cosa?” Takeshi lo guardò con fare annoiato, come se non lo avesse sentito. 
“Che andavo da Sota.” Non trovò le sigarette, quindi si arrese. Probabilmente le aveva lasciate a casa.
“Ah. E perché mai?” reagì scocciato di Takeshi. 
“Sarebbe andato a dirlo a mio fratello.. che mi avrebbe fatto mille domande, dato che Sota, secondo lui, è “roba sua”.”  
Fujimoto alzò un sopracciglio, con l’espressione interessata. “Al gelido Akito piace la scontrosa Sota?”
Yoshi scoppiò a ridere, intuendo il sarcasmo di Takeshi.
“Credo che gli interessi solo sessualmente.” precisò Yoshi. “Da quel poco che mi ha detto, mi sono fatto quest’idea.”
“Ah, l’ultima di una lunga lista di sue prede.” sorrise Takeshi, rimirandosi le unghie. “Comunque spero ti passi come idea, perché a quanto ne so non è mai stata con nessuno.”
“A quanto ne sai tu però..”
Takeshi gli sorrise beffardo, facendogli comprendere benissimo cosa stesse pensando. 
“Comunque non mi interessa nulla, né di Akito né di Sota.” si corresse Yoshi, riafferrando con fermezza il suo bicchiere. Non capiva suo fratello e, sebbene lo detestasse, era tremendamente curioso. Come lo era di quella ragazza.
“Beh..” Takeshi si spostò, avvicinandosi di posto in posto a Yoshiyuki. E, a voce bassa, per non farsi sentire, gli disse nell’orecchio: “..nel caso non fosse vero, Kei ne sa molto più di me. Specie su Akito.”
Parlare con lui sarebbe come rivelare ad Akito che sto indagando sul suo conto, pensò.
“Ah, Fujimoto.” sentì sotto il naso l’odore dolciastro della vodka che Takeshi aveva ordinato, sintomo che forse ne aveva bevuta troppa. 
Quest’ultimo faticò a metterlo a fuoco, stravaccato sul divanetto. “Dimmi.”
Yoshiyuki avrebbe voluto scusarsi per averlo lasciato solo in palestra, il motivo per cui, secondo lui, Fujimoto lo aveva bellamente ignorato per tutta la serata. In verità, sebbene un po’ introverso, quel ragazzo gli ispirava fiducia. Era del tutto diverso dal resto degli studenti che aveva visto; e per di più, con quel suo modo di scrutare le persone, sembrava saperle leggere dentro. 
“Un giorno vengo a vedere quando ti alleni.” sviò il discorso, tenendo fede al suo orgoglio.
“Nessun problema.” rispose lui, sollevandosi appena un po’ la canottiera dal petto sudato. “Comunque non mi sono offeso, se era questo che volevi dirmi.”
Mifune divenne di tutti i colori, bevendo a grandi sorsi il miscuglio che profumava di menta piperita. Gli andò di traverso e cominciò a tossire sonoramente, tanto che Takeshi prese a battergli la mano sulla schiena, ridendo come un matto.
“Se non ti piace non serve che ti sforzi!” lo canzonò Keichiro, sopraggiungendo. Anche Koba e gli altri due ragazzi tornarono al divanetto, avendo sentito Yoshiyuki fare confusione.
“Mi muore Mifune!” piagnucolò Takeshi, scompigliando i capelli di Yoshiyuki. 
“Ecco, Takeshi ha trovato un nuovo giocattolo!” rise Koba, indicando i due. 
“Eh sì, l’ho visto io per primo!” Fujimoto scosse la testa, alzandosi per avvicinarsi a Koba e tirargli affettuosamente un debole pugno alla spalla. 
 “E vi somigliate, pure..” aggiunse quello tra i due con il velo di barba, che lo faceva sembrare il più vecchio tra tutti, mentre Takeshi, dirigendosi al bancone, gli passò affianco.
Yoshiyuki, tornando a respirare, aveva sentito la conversazione e rimase stupito dell’affermazione del biondo. Se prima lo aveva ignorato, facendo capire a tutti che era stato Keichiro a volerlo far uscire con loro, ora sbandierava a pieni polmoni che si divertiva con Mifune. 
L’unico che non pareva divertirsi era Honda, che se ne stava impalato a fissare Takeshi aprire il portafoglio e offrire a tutti la bella serata, tra le proteste di Koba che cercava di corrompere la cameriera per non farle accettare i soldi del biondo. Yoshi lo vide mordersi le labbra nervosamente, concentrato. 

“Grazie per avermi offerto.” 
“A buon rendere.” 
Takeshi aveva accompagnato Yoshiyuki a casa, poiché abitava a qualche isolato da laggiù. Avevano preso la stessa metro, accorgendosi quando erano ormai a metà strada di essere nella stessa carrozza. Si erano tutti salutati all’ingresso della stazione di Ikebukuro Ovest, diretti ognuno a casa propria.
“La prossima volta che esci mandami una mail per davvero.” il tono serio di Yoshi fece sorridere Takeshi.
“”Uscite”, devi dire “quando uscite”.” ridacchiò. “Eravamo in cinque, stasera, oltre a te. Ricordi?”
Mifune si mise a trafficare con le chiavi per aprire il cancello che dava sul giardino della piccola bivilla. 
“E comunque credevo preferissi vedere qualcun’altra, sinceramente.” aggiunse poi, tornando sull’argomento Sota. “Sembra ti piaccia.”
“Carina è carina, ma ha un caratterino..” riuscì ad aprire il cancello ma rimase comunque sull’uscio, preferendo terminare di parlare con Takeshi. E poi, passata una certa ora, per lui era comunque difficile prendere sonno. 
“Io guardo solo l’aspetto fisico, tanto devo solo farci sesso.” ammise Takeshi, cercando di trattenere uno sbadiglio. 
Sicuramente aveva successo, pensò Yoshiyuki. Era alto poco più di lui, il viso affilato, le braccia magre ma muscolose, dove sul polso troneggiava un tatuaggio tribale che ricordava un serpente, le spalle proporzionate, il corpo ben allenato che si intravedeva anche da sotto la divisa. Inoltre era famoso a scuola per le gare di nuoto e a quanto pareva la popolarità dava davvero molto credito. Forse era più probabile che una come Sota si perdesse per lui che per Akito.
“Devi essere uno sciupa femmine..” lo prese in giro Yoshi.
“Non mi lamento, ma Sota non mi interessa proprio.” proseguì Takeshi. “La lascio a te ben volentieri!”
“Non la voglio, sono già impegnato.” Yoshiyuki si sorprese per le parole che aveva pronunciato lui stesso. Aveva appena ammesso a sé stesso di sentirsi occupato. 
“Meglio, no?” 
Yoshiyuki annuì, poco convinto. Forse era il parlare con Fujimoto di certe cose che lo aveva innervosito, e si era protetto rispondendo a quel modo.
“Anche a me piace una ragazza..” Fujimoto si grattò i capelli corti che aveva sulla nuca, nervosamente. “Ma è strana, prima vuole stare con me, poi corre dietro a tuo fratello..”
Un’altra? Ma è davvero così popolare?
“Poi quando vede che esco con gli amici si ingelosisce, non mi parla più..” sbottò Fujimoto. “Solo lei può essere libera? Le donne non le capisco proprio..”
Sospirarono entrambi, all’unisono.
“Anche i ragazzi sono strani.” venne in mente a Yoshi ciò che aveva notato in Keichiro poco prima. “Honda sembrava scosso stasera, ad un certo punto.”
“Ignoralo.” disse Takeshi, risoluto. “E non ti fidare.”
“Perché è amico di Akito?”
“Appunto.” Takeshi guardò l’ora sul cellulare, come per far capire a Yoshi che aveva fretta di andarsene. Ora. “Qualsiasi cosa ti dica di me..”
Era la prima volta che sentiva Takeshi parlare di Keichiro. Per di più sembravano così affiatati, amici. Aveva creduto fin da quando li aveva visti per la prima volta che fossero quei rari casi di amicizia che parte dall’infanzia e arriva sino alla vecchiaia. Si cresce assieme, si è diversi ma ci si completa, ci si aiuta in tutto, come fratelli.
“..è una bugia.” 
“Fujimoto..”
Takeshi si aspettava qualche altra domanda scomoda, ma ormai era pronto a tutto. Yoshi era davvero curioso. Si convinceva di vivere bene da solo, ma per ogni persona che fosse a lui affine avrebbe distrutto il mondo.
“Vai tranquillo, mi fido solo di te.”
Fujimoto si sentì sollevato, e gli porse la mano, sorridendo. “Piacere, Takeshi.”
Non capiva il senso di ripresentarsi, ma forse era un modo per scusarsi di come lo aveva trattato durante la mattinata, pensò Yoshiyuki. Quando si era presentato controvoglia, obbligato da Honda. Gliela strinse di rimando, sentendosi poi afferrare e tirare verso Fujimoto, che lo avvolse in un abbraccio fraterno.
Forse l’affetto che non aveva mai provato per Akito iniziava a formarsi nel rapporto con questo ragazzo appena conosciuto? Certo faceva bene sentirsi abbracciare senza doppi fini, solo per condividere un momento di serenità. 
Non si poteva dire di Fujimoto che fosse un ragazzo affettuoso. Pareva avere una visione distorta dell’amore, basata unicamente sul mero rapporto sessuale, senza obblighi o responsabilità. La ragazza che gli piaceva forse era solo un trofeo da sottrarre ad Akito, il capo assoluto della scuola. 
Invece sembrava alla ricerca dell’amico perfetto, del fratello mai avuto, del compagno di sventura.
E Yoshi, nel nuovo ambiente, tra tutte le persone che aveva incrociato, lo aveva scelto come amico.
Entrò in casa con mille pensieri nella testa, facendo piano per non svegliare i genitori che, probabilmente, dormivano nella grossa già da un po’. Erano le tre di notte e l’indomani avrebbe dovuto svegliarsi alle otto in punto per andare a scuola. Evitò di accendere la luce e chiuse la porta lentamente, cercando di non far rumore. Girò le chiavi nella toppa, attento a non far tintinnare il portachiavi. 
Di colpo si accese la luce dell’ingresso, nemmeno il tempo di togliersi le scarpe e indossare le ciabatte. 
“Ciao.” Akito era disteso sul divano del salotto, con addosso solo una canotta e un paio di pantaloncini, a fissare lo schermo acceso del televisore che dava un film senza sonoro. Molto probabilmente lo aveva sentito tornare e aveva abbassato il volume apposta per origliare ciò che si dicevano Yoshi e Fujimoto in giardino.
“Ciao.” Yoshiyuki si tolse la felpa, il fresco dell’aria aperta aveva lasciato spazio alla calura umida dell’interno di casa. 
“Certo che con Fujimoto ti sei proprio ambientato..” ridacchiò Akito, sprimacciando il cuscino che teneva sotto la testa. Dal divano, oltre lo schienale che dava sull’ingresso, poteva scorgere Yoshi che si toglieva felpa e scarpe.
“Beh.. non è male come tipo.” rispose, poco convinto dell’interesse del fratello.
“Già, non male davvero..” Akito si mise seduto, appoggiando il braccio sullo schienale del divano. “Il tipo che io definisco pezzo di merda.”
Ecco, appunto, pensò Yoshiyuki. 
“Non mi va che frequenti certa gente..” 
Avrebbe voluto dirgli che era uscito anche con Keichiro, ma preferì evitare. “Senti, sono cavoli miei con chi sto..” rispose. “E’ sempre stato così, non rompere.”
 “No, caro!” si alterò Akito, dando l’impressione al fratello di voler scavalcare il divano per balzargli alla gola. “Tu sei mio fratello e se la tua condotta non è delle migliori ne potrei risentire anch’io, sai?!”
“Ma ti calmi?!” i due gemelli ormai urlavano in soggiorno, il divano solo a dividerli, ignorando il resto.
Akito tacque, guardando il pavimento con aria bastonata.
“Non me ne frega niente della tua reputazione, delle tue amichette, tantomeno delle tue compagnie!” spiegò Yoshiyuki, calmandosi. “Perciò vorrei che tu facessi lo stesso con me.”
“Lei.. non è una mia amichetta.” la voce di Akito sembrava uscire da un automa, tanto era atona.
“Ma hai ascoltato quello che ti ho detto?” Yoshi era stanco di dover finire sempre a parlare di Sota; da quando era entrato in quella scuola, non aveva passato un minuto senza sentirla tirare in ballo.
“Non è la mia amichetta!” 
“Fottiti allora!”
Yoshiyuki fece per dargli le spalle, quando Akito lo prese per la maglietta. Si era alzato in ginocchio stando sul divano, afferrandolo saldamente per l’orlo della t-shirt. 
“Tu non la conosci.. non sai quanto è forte e presuntuosa.. ma anche gentile..” Akito ripensava a quando aveva visto il suo gemello avvinghiato a lei. E poi, sugli spalti, che la vedeva sorridere a Yoshi. E parlare, parlare e ridere assieme. “Allora perché, se sa essere così dolce con i suoi amici.. perché con me non si comporta così?! Perché con me non ha più voluto avere a che fare?”
Yoshi lo guardava allibito, mentre gli strattonava la maglietta, contorcendosi da un dolore che proveniva dal cuore. “Cosa vuoi che ne sappia..” provò a farlo ragionare.
“Mentre con te..” ad Akito salì nuovamente la rabbia in corpo, pensando che non aveva mai visto Reiko abbandonarsi così al primo ragazzo incontrato. Yoshiyuki aveva rotto tutte le sue barriere, semplicemente guardandola. “Cos’hai tu che io non ho?!”

“La faccia è uguale.. il fisico lo stesso.. gli occhi, le mani, tutto è uguale!”
Quante volte ho pensato la stessa cosa.

“Perché? Perché a te parla?!”

Akito si lasciò scivolare sul divano, mollando la presa, coprendosi il viso con le mani, per non far vedere al fratello che aveva cominciato a piangere. 
Yoshi fece per toccargli la testa per consolarlo, ma si fermò con la mano a mezz’aria.
“Non so perché. Ma mi dispiace.”



  
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