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Autore: Echocide    11/09/2017    2 recensioni
Una piccola raccolta di missing moments dedicata alla serie 'Quantum Universe'.
01. Come Adrien e Rafael si conobbero...
A pelle, sentiva proprio che quella sarebbe stata una persona da tenere alla larga: troppo sicuro di sé, troppo sfrontato, troppo…tutto.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quantum Universe'
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Titolo: Scene
Personaggi: Un po' tutti
Genere: slice of life, generale
Rating: G
Avvertimenti: oneshot, what if...?, raccolta
Wordcount: 1.653 (Fidipù)
Note: Salve a tutti! Dopo tanto tempo, si ritorna anche con Scene e si conclude il duo di capitoli dedicato a Sarah: sinceramente, ho sempre pensato che lei fosse molto legata al padre morto e che, la figura del genitore, in qualche modo l'abbia influenzata sia caratterialmente - una personalità votata a fare il bene, a seguire la missione data. A fare la differenza, in qualche modo - e nella decisione di diventare Bee, tutto ciò che vedrete in questo capitolo, tutto ciò che viene scaturito da una semplice espressione verbale.
Detto ciò non vi dico nient'altro e passo alle classiche informazioni di rito: vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli e vi do appuntamento, con Scene, al 24 settembre.
E infine vi ringrazio tantissimo tutti per il fatto che leggete, commentate e inserite le mie storie in una delle vostre liste.
Grazie mille!

 

Lasciò cadere lo zaino vicino alla porta d’ingresso, ascoltando il rumore sordo dei libri che si riverberò per tutto l’appartamento vuoto: Sarah rimase immobile sul posto, aspettando che qualche altro suono accompagnasse quello che aveva provocato lei, ma nulla successe.
Fece un passo, avanzando nel piccolo corridoio che portava alla zona notte dell’appartamento e su cui si affacciavano le porte della cucina e del bagno: una casa minuscola, soprattutto se paragonata a quella in cui lei e sua madre vivevano prima.
Prima che la loro vita cambiasse.
Prima che lui le lasciasse.
Si fermò a pochi passi dalla porta della cucina, alzando la testa e socchiudendo gli occhi, inspirando profondamente e sentendo la gola stretta e pesante, il cuore che batteva e ogni pulsazione era una stillata: andava avanti, continuava una vita che aveva in parte costruito e che ancora doveva protendere verso il futuro, ma lui non c’era più.
Lui che le sorrideva, che l’accoglieva quando tornava da scuola e il turno al lavoro gli consentiva di arrivare prima di tutti.
Lui e i suoi finti occhiali da intellettuale.
Lui e i tentativi falliti come cuoco.
Lui e le risate, i continui incitamenti e la certezza che lei sarebbe diventata qualcosa.
Inspirò profondamente, ascoltando il suo sospiro tremulo nel silenzio della casa, e socchiuse gli occhi, iniziando mentalmente a elencare tutto ciò che avrebbe dovuto fare: doveva ritirare il bucato, poi finire la relazione per la professoressa di letteratura e…
Cos’altro c’era nella lista che aveva fatto quella mattina?
C’era anche qualcosa che riguardava Alex, ora che ci faceva caso.
Doveva accompagnarlo a prendersi un nuovo videogioco, se non ricordava male.
Si portò le dita al setto nasale, chiudendo gli occhi e respirando, mentre ripeteva la lista e muoveva le labbra senza emettere alcun suono, totalmente concentrata sul compito di memoria che non si accorse, in un primo momento, dei rumori che giungevano dall’esterno; fu solo quando un boato, attutito dalle finestre e dalle pareti della casa, le giunse alle orecchie che si riscosse.
Sobbalzò, voltandosi e fissando le finestre della cucina come se da un momento all’altro qualcosa sarebbe dovuto apparire.
Un nuovo colpo e lo scoppio di qualcosa, unito alle grida di persone, la riscosse e si fiondò al vetro, appiattendosi contro di questo e cercando di vedere la strada sottostante: tre figure nere risaltavano contro l’asfalto, figure ben note a chiunque vivesse a New York, muovendosi all’unisono e marciando decise, distruggendo tutto ciò che avevano a portata di mano.
Sarah indietreggiò, cozzando contro il tavolino e aggrappandosi a questo, mentre il respiro diventava accelerato e seguiva l’aumento dei battiti del cuore; si guardò attorno, aprendo e chiudendo le labbra, inghiottendo l’aria e non sapendo cosa fare: era al sicuro lì? Doveva uscire e andare il più lontano possibile?
Sua madre?
Era ancora all’ospedale oppure già sulla via di ritorno?
Alex?
Il resto della famiglia Simmons?
Cosa doveva fare? Chi doveva chiamare?
Sentì le gambe tremare e quasi cedette al peso del proprio corpo, stringendo maggiormente il legno del tavolo, usandolo come supporto.
Inspirò, lasciando andare subito l’aria, e strinse le labbra, facendo un passo e poi un secondo, lasciando andare la presa sul legno e correndo verso la camera, ipotizzando il percorso che avrebbero preso i tre guerrieri neri.
Entrò nella stanza, superando velocemente il caos di libri e coperte che c’era per terra e calamitandosi sulla finestra, avvicinandosi e osservando la strada sottostante, quasi come se tutto fosse a rallentatore: l’avanzata dei tre, l’auto che giungeva dalla parte opposta e che veniva scagliata lontano, abbattendosi contro un’abitazione poco distante.
Si portò le mani alla bocca, scuotendo il capo e facendo un passo indietro, sentendo le gambe cederle e ritrovandosi seduta per terra, lo sguardo sgranato e rivolto verso la finestra da cui, in quel momento, vedeva semplicemente il cielo terso e che tendeva a imbrunirsi, mentre i rumori della distruzione le giungevano alle orecchie, assieme a quello lontano delle sirene.
Le forze dell’ordine.
Qualcuno che poteva fermarli.
Inspirò lentamente, il respiro che tremava fra i denti, e lo sguardo si spostò sulla scrivania, quasi catturato da un piccolo cofanetto nero che stonava con la familiarità degli altri oggetti della camera; gattonò vicino, osservando da vicino quella novità che non aveva mai visto in vita sua: non era suo, non era di sua madre, non era di nessuno che abitasse lì.
Era estraneo.
Lo prese in mano, studiando il legno nero come la pece e il simbolo rosso che era stato intagliato sul coperchio, rigirandoselo fra le dita per studiarlo meglio e indugiando poi sul meccanismo di apertura, indecisa se aprire o meno: in fondo che male poteva fare aprire un piccolo cofanetto sconosciuto?
Inspirò profondamente, facendo scattare la chiusa e aprendo appena il coperchio, osservando a bocca aperta il pettinino dorato che era stato posato su un panno rosso all’interno, prima che qualcosa di luminoso non la prese alla sprovvista: lanciò il tutto, incurante di dove sarebbe caduto, e urlò.
La voce usciva dalla sua gola, le corde vocali le facevano male, mentre davanti ai suoi occhi uno strano essere dall’aspetto simile a un’ape si formava e apriva gli occhioni blu scuro, quasi fosse stato addormentato fino a quel momento: «Ciao!» esclamò l’essere, aprendo le zampette e facendo vibrare le ali.
Sarah rimase a bocca aperta, silenziosa per un minuto, prima di tornare a urlare nuovamente e indietreggiare mentre l’essere – l’ape? Poteva essere quella cosa un’ape – la fissava con una luce rassegnata nello sguardo: «Facciamo che aspetto che ti calmi, d’accordo?» le domandò, rimanendo ferma sul posto, incurante delle urla della ragazza e dei rumori che provenivano dall’esterno.
Sarah continuò a urlare, fino a quando non rimase senza voce, portandosi le mani alla gola e tossendo un poco: «Sei calma, adesso?»
«Chi sei? Anzi no, cosa sei? Che cosa?»
«Io sono Mikko e sono un kwami» dichiarò il piccolo essere, volteggiando su se stessa: «Sono uno spirito legato al gioiello che era all’interno del cofanetto che hai aperto, per la precisione è il Miraculous dell’Ape.»
«Cosa sei tu?»
«Una kwami.»
«Quindi tu sei un kwami» mormorò Sarah, annuendo con la testa e indietreggiando: «E cosa diavolo è un kwami?»
«Questo è complicato da spiegare e, se devo dirla tutta, nemmeno io so precisamente la risposta: uno spirito è la definizione che meglio si avvicina.»
«Sono impazzita» mormorò Sarah, portandosi le mani al volto e fissando la kwami attraverso le dita: «Stare troppo tempo con Alex mi ha fatto impazzire, perché questa è una cosa da Alex: spiriti, gioielli…» si fermò, allargando le braccia e negando con la testa: «Adesso mi dici che questo Miracolo mi farà diventare qualcosa, vero?»
«Miraculous» la corresse la kwami, annuendo con il capino giallo: «E sì, se indosserai il mio Miraculous e accetterai il ruolo che avrai nella storia, io ti donerò dei poteri.»
«Ecco, appunto. Una cosa da Alex.»
Mikko sorrise appena, voltandosi verso la finestra e fluttuando un poco più avanti, in modo da osservare ciò che stava succedendo nella strada: «Avrai bisogno del mio aiuto se vuoi fermare tutto questo» mormorò, mentre l’attenzione era rivolta ai tre guerrieri neri e alle forze dell’ordine che, inutilmente, stavano cercando di fermarli.
«Fermare questo? Io non voglio farlo.»
«Sei stata scelta.»
«Scelta per cosa? Io sono semplicemente…» Sarah si fermò, scuotendo la testa aprendo le braccia e lasciandole cadere lungo ai fianchi: «Sarah.»
«Sei qualcosa di più, perché sei stata scelta dal Gran Guardiano, colui che custodisce i Miraculous in tempo di pace e li dona a coloro che vengono prescelti in tempi bui» Mikko si fermò, voltandosi verso la strada e scuotendo il capino: «E questo è sicuramente un tempo buio, Sarah.»
«Io non…»
«Sei stata scelta, Sarah.»
«Io non voglio essere scelta.»
«Sarah, questo è qualcosa che solamente tu puoi fare» mormorò Mikko, fluttuando verso di lei: «Sei l’unica che può indossare il pettinino e usare i miei poteri. Solo tu puoi fare la differenza, Sarah.»
La ragazza fissò lo strano spirito, avvicinandosi alla scrivania e osservando il cofanetto che aveva gettato: il pettinino era fuoriuscito e toccava con le punte il legno chiaro del tavolo: «Mio padre diceva sempre che siamo venuti al mondo con uno scopo» bisbigliò, allungando timidamente la mano e carezzando il monile: «Che ognuno di noi fa la differenza. Anche minima, ma la fa. Basta una piccola azione e puoi cambiare il mondo…»
«E’ un uomo saggio.»
«E’ morto» bisbigliò la ragazza, chinando la testa e stringendo le dita attorno al pettinino: «Un incidente nella metropolitana: poteva salvarsi ma una donna era rimasta intrappolata e lui…»
«Lui ha fatto la differenza.»
Sarah annuì, socchiudendo gli occhi e sentendo una lacrima formarsi e scivolare lungo la guancia: si portò una mano al volto, carezzandola e asciugandola: «Lui avrebbe subito accettato tutto questo» bisbigliò, portandosi al volto il pettinino e studiandolo, osservando la figura dell’ape che lo decorava, e annuendo: «Lui non avrebbe pensato, l’avrebbe fatto e basta.»
Si fermò, studiando il monile e annuendo con la testa.
Annuendo al ricordo di lui, annuendo a tutto ciò che aveva fatto e a quello che lei stava per fare.
Sarebbe stato fiero della decisione che aveva preso?
Sarebbe stato fiero di lei?
Sì. Lo sapeva.
Il suo cuore lo sapeva.
«Che cosa devo fare?»
«Cosa?»
Sarah si voltò, mostrando il pettinino allo spirito e sorridendole appena: «Hai detto che sono l’unica che può usarlo, no? Che cosa devo fare?»
Mikko sorrise, annuendo con la testa e volando verso di lei: «Devi indossarlo e poi dire ‘Mikko, trasformami’» dichiarò, seguendola mentre la ragazza si avvicinava allo specchio, rimanendo in silenzio, mentre l’altra si legava i capelli biondi in una coda e sistemava il pettinino, in modo da tenere il tutto fermo.
Sarah osservò il proprio riflesso, annuendo alla se stessa che ricambiava lo sguardo, decisa per la prima volta dopo molto tempo, pronta a fare la differenza che tanto aveva segnato la vita del padre: «Mikko, trasformami.»
 

 

 

   
 
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