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Autore: Dave Coraan    11/09/2017    1 recensioni
Un piccolo alieno finisce in un pianeta inesplorato.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ALTRI POSSIBILI MONDI
 
L’astronave atterrò delicatamente e senza il minimo intoppo. Il colore e la forma ricordavano molto una palla appallottolata di carta stagnola. D’un tratto l’entrata della navicella cominciò ad aprirsi a mo’ di ponte levatoio, formando una rampa che arrivava sino al terreno. Un piccolo omuncolo, con una piccola tuta da astronauta e un grande casco, discese dal veicolo.
«Un piccolo passo per me, un enorme passo per i Penkins!» Esclamò tutto contento il piccolo esploratore.
Si dà il caso che i Penkins fossero una piccola razza, di un piccolo pianeta, in un piccolo sistema solare, in una piccola galassia; insomma il detto: “Un ago in un pagliaio” rende chiare le idee.
Il piccolo esploratore, memore dei suoi precedenti sbarchi, aveva scelto come luogo di atterraggio una piccola radura. L’erba, color viola frizzante, era molto più dura di quella cui il giovane Penkin era solito calpestare; i suoi piedi, che reggevano tutto il suo piccolo ma modesto peso, non riuscivano nemmeno a piegare il più piccolo degli steli. Il risultato fu che a ogni passo pareva di camminare su un pavimento ricoperto di tanti giocattoli appuntiti, ma non sarebbe di certo stato questo a fermare il nostro piccolo alieno.
 La piccola radura era delimitata a nord da una grossa parete scoscesa e tutto intorno cominciava una fittissima foresta. La parete sembrava completamente fatta d’oro, per via del colore della roccia, un giallo intenso come il sole in una calda giornata d’estate; Fortuna che il piccolo esploratore non era né un Penkin avido né disonesto, infatti si dà il caso che fosse a conoscenza proprio di un pianeta dove gli abitanti, molto avidi, erano disposti a fare qualunque cosa per avere anche solo un piccolo pezzetto d’oro. La foresta invece era composta principalmente da alberi con il fusto privo di ramificazioni e alto fino quasi a toccare il cielo, o almeno così pareva al giovane Penkin che era abituato al suo piccolo pianeta dove gli alberi erano grossi come piante; sulla sommità del fusto vi era adagiata una corona di grandi foglie pennate del colore dell’avorio. Il piccolo esploratore rimase quasi ammaliato da quel paesaggio, ma poi memore della sua missione recuperò lo stretto indispensabile dalla navicella e si addentrò nel fitto della foresta.
La foresta era ricca di vita e di colori, tutti differenti fra loro. La prima creatura in cui il giovane Penkin si imbatté gli ricordò molto il tarmodonte per forme e colori. Per quelli che se lo stessero chiedendo il tarmodonte, o Tarmydontius communys per i più letterati, è una specie di ippopotamo color lime che ama tanto scavare nella terra, e ama stare in luoghi caldi e asciutti; ma basta divagare, quello che si trovava ora davanti non era un tarmodonte, ma bensì una creatura originaria di quel pianeta. Cercando di evitare qualsiasi rumore superfluo, estrasse delicatamente dallo zaino, che portava alle spalle, la sua fidata macchina imprimi-immagini; con essa scattò qualche immagine della creatura.
«Fantastica! Dovrei dargli un nome? Ma sì, ti chiamerò Extrarmodonte!» Esclamò compiaciuto, poi proseguì per la sua strada.
Di lì a poco incontrò altre mirabolanti creature: per primo un curioso uccello simile ad un pinguino, solo che al contrario del nostro le sue ali erano molto più sviluppate e gli consentivano di volare; inoltre il manto leopardato e i denti aguzzi, che fuoriuscivano dal becco anch’esso aguzzo, conferivano all’uccello un’aria minacciosa, quasi letale. Inutile dire che il nostro piccolo esploratore scattò diverse immagini stando a debita distanza. Successivamente fu il turno di uno struzzo. Voi probabilmente non lo saprete, ma esiste un curioso aneddoto nel profondo dello spazio che riguarda gli struzzi, infatti si dice che essi siano in grado di adattarsi a qualsiasi condizione di vita, e quindi per i più esperti esploratori incontrare uno struzzo in un nuovo pianeta risulta ordinario, quasi come una riconferma del fatto che quel pianeta ospiti la vita.
Una volta superato lo struzzo, il piccolo alieno si ritrovò solo per chilometri e chilometri con compagno il triste e raggelante silenzio. Più il tempo passava, più il piccolo cuore del nostro alieno batteva forte. Ormai cominciava a vedere ombre dietro ogni albero o cespuglio; persino alcune piante per via della forma e del gioco di luci e ombre gli facevano balenare in mente sinistri sorrisi e pericoli incombenti. D’un tratto un rumore come di ferro che stride attirò la sua attenzione da ovest. Con il cuore in gola prese coraggio e si diresse titubante verso l’origine del suono, pronto a scappare al primo accenno di pericolo. Più si avvicinava più il rumore diventava forte, ormai era quasi al limite della sopportazione quando, davanti a lui, si palesò un immenso fiume serpeggiante che divideva in due la foresta. Lo strano suono che sentiva, ormai completamente assordante, proveniva proprio dallo scorrere dell’acqua. La rivelazione lo tranquillizzò e lo divertì allo stesso tempo.
«Mai fidarsi ciecamente dei propri sensi in un luogo completamente sconosciuto!» Si ammonì.
L’acqua era di un bizzarro color rosa shocking, quasi ipnotizzante. Il nostro piccolo esploratore era decisamente curioso di assaggiarla, ma non poteva rischiare di togliersi il casco. Non aveva modo di sapere se quell’aria fosse respirabile anche per lui, così proseguì lasciandosi il fiume alle spalle.
Non troppo lontano dal fiume il terreno incominciò a diventare ripido. Ben presto salire diventò faticoso e alquanto doloroso, per via della durezza dell’erba. Il giovane alieno però non si fece scoraggiare e un passo per volta risalì tutta la collina.
«Wow!»
La vista che gli si parò davanti fu da quasi togliere il fiato. L’altro lato della collina dava su un precipizio che limitava la visuale all’orizzonte. Il sole, ormai al tramonto, tingeva il cielo limpido di un’arancione intenso; uno stormo di pinguini-leopardo, difficilmente distinguibili per via del manto, volavano fieri in direzione del sole.
Dopo aver scattato qualche immagine al paesaggio, più per suo uso personale che per la ricerca, si diresse verso il limitare del precipizio, curioso di vedere cosa si trovasse sul fondo. Più si avvicinava più cose vedeva: dapprima comparvero vari alberi sparsi; poi gli alberi andarono a formare una foresta; da quella foresta comparve un fiume che divideva la foresta verticalmente; infine il fondo del precipizio. Quello che vide lo lasciò senza parole. Sul fondo del dirupo non vi era altri che una piccola radura e la sua amata navicella spaziale. Il piccolo esploratore aveva fatto il giro dell’intero e ancor più piccolo pianeta.
Con un sorriso più che soddisfatto sulle labbra, il piccolo Esploratore prese la rincorsa e si gettò giù dal precipizio. Il suo piccolo corpo sembrò quasi fluttuare nell’aria. La leggera forza di gravità del pianeta gli permise di scendere dolcemente, come una piuma spostata dal vento. Toccato il suolo volse un’ultima volta lo sguardo verso la foresta. Chissà quante creature erano sfuggite al suo sguardo. Chissà quali altre meraviglie nascondeva quel pianeta che risultava essere ancora più piccolo del piccolo pianeta dei Penkins. Ahimè! Sapeva che quelle domande non avrebbero mai avuto risposta, il tempo a sua disposizione era ormai scaduto, l’universo era vasto e chissà ancora quanti altri possibili mondi erano lì in attesa di essere esplorati.  
 
 
   
 
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