Gabriele non le stava simpatico, assolutamente no. Anzi,
Lidia era piuttosto sicura di odiarlo, o qualcosa del genere. Come avrebbe mai
potuto lei che aveva sempre detestato quelli che, come lui, s’atteggiavano a re
del mondo solo e solamente perché la sorte era stata benevola andare d’accordo
con il principe di questi elementi? Lo odiava, Dio se lo odiava, lui e quel suo
sproloquiare senza senso, lui e quel sorrisetto irritante di chi ha il mondo
sulle palme delle mani. Lui e la sua convinzione d’essere il migliore in ogni
cosa facesse o il suo ansioso ed ossessivo bisogno di divenirlo se, in caso
contrario, non lo fosse stato. Gabriele era irritante, svogliato eppure un
maledetto gradino sopra di lei. Dio se lo odiava. C’erano giorni, o serate, più
nello specifico, quando se ne stava stesa al buio cercando un sonno che si
divertiva a farsi rincorrere, in cui Lidia soppesava l’idea fargli il culo, il
giorno seguente: cosa ci sarebbe mai voluto? Nascosto dai vestiti di marca, dai
soldi e dal suo grado in realtà non c’era che un ragazzino spaurito che della
vita vera sapeva poco o niente, di questo Lidia era convinta. Solo un pallido
individuo come tanti altri alla ricerca dell’adrenalina e della trasgressione
che si divertiva con il sangue e le vite altrui.
Lo odiava, Dio se lo odiava, e odiava non potergli fare alcun tiro mancino, ma
soprattutto odiava dovergli dire sempre di sì.
Era a causa sua se adesso si ritrovava in una maledetta sauna quando avrebbe
potuto essere a casa a godersi una bella tazza di tè con la sua fidata biro blu
cercando l'ispirazione per una poesia.
Si porta una mano alla fronte sudata, teme di sentirsi male, ma di certo non
dirà a Gabriele di voler uscire, non ha intenzione di dargli la minima
soddisfazione: chiude gli occhi e pensa al gelo delle notti invernali passate
per strada, s’immagina che le gocce di sudore che le colano lungo le cosce
tornite in realtà siano le gocce di pioggia gelida che, quando era bimba, le
scorrevano sul volto come le lacrime che non aveva e le pungevano la pelle come
spilli. E Lidia, immersa negli ottanta gradi della sauna e con le zaffate di
vapore che regolarmente le inondano il corpo, finisce per rabbrividire mentre
la delicata ma malevola mano del gelo, che ha stampata in modo indelebile nella
memoria, le carezza la spina dorsale dal coccige fino alla nuca dove si ferma e
scompare, lasciandole solo un risolino nelle orecchie, brutti ricordi sotto le palpebre
chiuse e l’opprimente morsa del caldo a stringerle la gola.
No, non si sentirà male, di quello è certa, lo rifiuta categoricamente.
«Lidia, io sto uscendo, muoviti anche tu.»
La ragazza solleva lentamente le palpebre lentamente e facendole involontariamente
tremare, come se fossero macigni che spostare è pressoché impossibile. Si sente
pesante e teme di capitolare a terra non appena si metterà in posizione eretta,
ma si alza ugualmente e segue, con macchie nere che le coprono il campo visivo,
il suo capo. Non appena esce dalla sauna l’aria –che fredda non era, caro
lettore, perché alla fin fine i vapori dall’una e dall’altra stanza e vasca
avevano saturato l’ambiente rendendolo, se non caldo, almeno qualche tacca
sopra il tiepido- le pare gelida, eppure quel freddo non può che farle piacere.
Si infila in silenzio sotto una delle docce e apre il getto: boccheggia quando
sente l’acqua che le buca la pelle e la graffia come se ogni goccia fosse in
realtà un chicco di grandine affilato e grande come l’unghia del suo pollice,
ma si limita ad abbassare le palpebre e chinare il capo, così che il getto le
arrivi sulla nuca e da lì l’acqua le coli sul corpo. Dopo il primo
rinnalzamento improvviso la pressione inizia a risalirle lentamente così come,
lentamente, le mani che le artigliavano la gola e il petto proprio sotto i seni
allentano la loro stretta fino a sparire.
Il getto della doccia s’interrompe improvvisamente e Lidia strizza gli occhi
cercando di capirne il motivo, ma impiega solo un paio di strizzate di ciglia
per rendersi conto di come Gabriele la stia guardando con il suo imperturbabile
sorrisetto. Tiene le braccia incrociate al petto e Lidia sa che, sebbene paiano
due ossicini di pollo, in verità Gabriele è capace di sollevare tranquillamente
una trentina di chili. I capelli biondo vaniglia, accuratamente tagliati e,
normalmente, pettinati in un folto caschetto sbarazzino, gli sono ora incollati
al volto, eppure il ragazzo pare non farci nemmeno caso, anzi, usa
quell’”evento”, se così lo si può definire, per darsi ancor più arie dato che,
maledetto lui, i capelli umidi, che provvedeva a “sistemarsi” periodicamente
con un gesto della mano, e le ciocche più corte e ribelli appiccicate alle
tempie non facevano che renderlo ancor più carismatico ed affascinante di
quanto fosse già. Era d’altronde indole di Gabriele da quando Lidia lo aveva
conosciuto anni prima –e presto ogni lettore se ne accorgerà, ma andiamo per
gradi-, sfruttare ogni occasione, che fosse più o meno calcolata, per rendersi
invidiabile agli occhi di praticamente chiunque.
La ragazza si trattiene dallo stringere le labbra al gesto improvviso del
capo e parte a pettinarsi i capelli della cute con le dita con l’intento di
farsi una coda, ma viene prontamente bloccata dall'altro che le afferra un
polso.
«Lasciali sciolti, mi piacciono di più.»
Questa volta nulla trattiene Lidia dal fare una smorfia e dal liberarsi con uno
scatto dalla presa del ragazzo più grande, ma il suo autocontrollo è abbastanza
elevato da permetterle di mordersi metaforicamente la lingua e non sputargli in
faccia per poi tornare sotto la doccia.
«Sciolti mi danno fastidio, Gabriele.»
Il chiamarsi per nome era l’unico tipo di confidenza che Lidia si prendeva,
anche perché chiamarlo “capo” le avrebbe solo dato più fastidio ed erano un po’
troppo cresciuti per chiamarsi solo per cognome, come invece avrebbero fatto
due liceali. Purtroppo il distacco era monolaterale dato che Gabriele Venturi
di libertà se ne prendeva anche troppe.
«Sei ancor più acida di questa mattina. Cos’è, avresti voluto restare ancora un
po’ in sauna?» e vedendo che la ragazza non accenna a rispondergli e che,
invece, già sta ricominciando a legarsi i capelli la blocca nuovamente,
ricevendo in cambio la stessa identica reazione «Ti ho detto di lasciarti i
capelli sciolti, per quale motivo devi per forza contrariarmi?»
Lidia valuta l’idea di sfoderare la sua abilità e di trasformarlo in mucchietto
di carne sanguinolenta e valuta anche l’idea di rispondergli che era acida, come
diceva lui, perché quella di quel giorno sarebbe stata la sua ultima giornata
libera per il prossimo mese e mezzo e che di passarla alla terme seguendolo
giusto per starsene zitta e ascoltarlo blaterare non solo non era il suo
prototipo di giornata ideale, ma che anzi rientrava probabilmente in una delle
dieci giornate peggiori di tutte la sua vita. E se davvero Gabriele si fosse
mai premurato di chiederle quali fossero state le altre nove avrebbe capito,
senza ombra di dubbio, che sarebbe stato meglio smettere di tirare la corda. Ma
ancora una volta l’autocontrollo –quell’autocontrollo che no, caro lettore, non
era infinito, ma anche a questo ci arriveremo- di Lidia ha la meglio e –sebbene
le mani le bruciassero dalla voglia di strappare la lingua al ragazzo e i
muscoli facciali si ribellassero con ogni briciolo della loro forza a
quell’ordine- lascia cadere le mani lungo i fianchi rinuncino a legarsi i
capelli e, dunque, accontentandolo. Quelle che normalmente sarebbero morbide
ciocche color cioccolato le ricadono sulle scapole con le punte già un poco
arricciate per l’umidità che va a dissolversi. Curva gli angoli delle labbra
perfettamente proporzionate –labbra sagomate ad arte, quelle di Lidia, ma
labbra sulle quali nessuno sguardo s’era mai posato se non distrattamente e per
qualche secondo- e sorride, circa. Lidia si ricorda di come un tempo le
avessero detto di come fossero belle le sue fossette: non le ha mai più viste,
né lei né nessun altro. Ogni tanto, quando ci ripensa, spera che siano sparite,
come se fossero una malattia di cui liberarsi, ma nemmeno riesce a capire
perché le avesse odiate così tanto, all’epoca. Lidia è però certa che in
quello, di sorriso, non compaia alcuna fossetta.
Gabriele le sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e Lidia lo lascia
fare, perché improvvisamente non ha nemmeno voglia di arrabbiarsi: conoscendo
il ragazzo è probabile che abbia fatto tutto quello solo per infastidirla
–perché sì, Gabriele era perfettamente capace di spendere giornate intere con
il solo obiettivo di infastidire qualcun altro, era un gioco che proprio non
riusciva a stancarlo.-
«Oh, sì, tieniti il sorriso in faccia, sei molto più carina, così.» Non aspetta
la reazione di Lidia e finalmente si volta, probabilmente intenzionato verso la
prossima zona delle terme e lascia la libertà a Lidia si smettere di sforzare i
suoi muscoli facciali e di guardarsi intorno all’inutile ricerca –che lei stessa
sapeva bene esser tale- di una scusa più o meno futile per praticamente fuggire
da quel posto e da lui. Rivelatosi, naturalmente, un tentativo vano non le
resta da fare altro che seguire Gabriele, che già si era avviato per il
corridoio pieno di vapore senza aspettarla, e restare dietro di lui, poiché di
affrettare il passo degno di quello di una lumaca il più grande non ne aveva
proprio intenzione, a fissargli la schiena muscolosa che pareva essere stata
scolpita nel marmo, non solo per l’incarnato chiarissimo, ma per i muscoli
perfettamente delineati anche contro la magrezza che, sebbene non fosse
eccessiva, si poteva notare dalla spina dorsale incavata un poco più del
normale e dalle vertebre in rilievo: Lidia riusciva a contarle solo
guardandole.
Oggettivamente fragile come una foglia secca, ecco la verità. Ma Lidia aveva
imparato a sue spese a non prendere ciò che qualcuno sembrava per oro colato,
chiunque, o quasi, aveva una seconda lama: vecchio o bambino, uomo o donna, le
lame nascoste salvavano la vita quando di tutto il resto era rimasto solo
cenere.
Sulla spalla sinistra sfoggia inoltre un complesso e alquanto poco mascolino
–non che Gabriele lo fosse in qualunque caso dato il suo metro e sessantacinque
scarso e i lineamenti praticamente più femminili di quelli della stessa Lidia-
raffigurante un gatto nero tutto spelacchiato che pareva cercare di aggrapparsi
alla carne stessa del ragazzo per evitare di cadere chissà dove.
«Entriamo qui.» asserisce Gabriele, più a se stesso che a
lei, probabilmente, e svolta in una sala piena di vasche praticamente deserta,
poi sceglie la prima sulla destra e vi entra tranquillamente, senza badare ai
due signori di una certa età che già la occupavano. Lidia esita: la vasca,
sebbene vi siano solo tre persone, è praticamente già piena e per lei non c’è
spazio. È in imbarazzo sì, perché Gabriele la fissa e anche i due, marito e
moglie, probabilmente, la fissano, e Lidia si sente una scema a stare lì in
piedi con tutte le sue cicatrici esposte all’aria mentre il mondo intorno a lei
continua procede imperterrito nelle sue attività dedicandole solo qualche
occhiata perplessa o di scherno. Improvvisamente le viene freddo. Si guarda
intorno decidendo che entrerà nell’acqua, ma non lì, probabilmente Gabriele la
prenderà come la più grande delle offese, ma a Lidia non interessa: meglio il
suo sguardo scocciato e le continue ed immotivate critiche l’indomani al
“lavoro”, piuttosto che quel disagio che le sta facendo bruciare le
guance.
Lo odiava, sì. L’aveva costretta a quella ridicola giornata conscio della sua
impossibilità di rifiutare: sarebbe stato capace di andare dal suo superiore a
lamentarsi per chissà cosa e Lidia l’avrebbe pagata con il sangue dato che
nessuno si sarebbe premurato di ascoltare la sua versione dei fatti.
Alla fine però –per la benedizione di una divinità sconosciuta, aveva pensato
Lidia- prima che si decidesse a spostarsi ed entrare in un altro idromassaggio
la coppia s’era alzata ed era uscita rivolgendole uno sguardo strano.
Lidia non aspetta un attimo di più per scivolare nell’acqua, il più lontano
possibile da quello che, in quella giornata, si stava rivelando praticamente il
suo aguzzino.
«Non sei un po’ eccitata per domani?»
«Dovrei?»
«Davvero nemmeno un po’?»
«Cosa dovrebbe accadere di tanto entusiasmante, domani?»
Non che le interessi davvero: per lei il giorno seguente sarebbe stato un
martedì come tutti gli altri. Certo, ci sarebbero stati dei cambiamenti, ma a
Lidia non importava neppure quello: avrebbe ugualmente continuato a fare quello
che faceva sempre, ne era praticamente certa. Da quando era entrata nella Mafia
non faceva altro che eseguire gli ordini spostandosi da un punto all’altro
secondo le indicazioni e risolvendo i problemi causati da tutti quelli sopra di
lei. Sostanzialmente faceva lo spazzino e se questa cosa inizialmente le aveva
dato un enorme fastidio –poiché era ben conscia delle potenzialità della sua
abilità- alla fine aveva deciso di fare spallucce decidendo che, per il
momento, finché aveva un tetto sopra la testa e delle coperte calde le
importava ben poco di chi doveva ammazzare e per quale ragione. Testimoni
scomodi, spacciatori che avevano pensato che l’autonomia fosse magnifica,
trafficanti minori che credevano di potersi arricchire senza far conto alla
Mafia: tutti erano uguali e lo sarebbero sempre stati poiché nessuno avrebbe
loro tolto l’etichetta della carne da macello, che fosse lei o meno
l’esecutrice della sentenza.
Dunque no, non era interessata a qualunque cosa sarebbe accaduta il giorno
seguente. O almeno, non era stata interessata fino a dieci secondi prima. Ora
che Gabriele la guardava sogghignando, con lo sguardo che esprimeva un sincero
divertimento misto a un malcelato disprezzo compassionevole, come se la
ritenesse di un livello talmente basso da non essere nemmeno degna di leccargli
le scarpe, a quel punto la questione era diventata di suo interesse.
«Domani mi metteranno a capo di uno dei progetti più importanti degli ultimi
cinquant’anni e anche tu avrai l’onore di partecipare. Davvero non sei
emozionata?»
Di nuovo Lidia si chiede sinceramente perché dovrebbe interessarle: tutto
quello che il ragazzo le ha appena detto lo aveva saputo tempo prima, ma non
aveva stimolato la sua curiosità allora né l’avrebbe stimolata in futuro.
«Dovresti essere contenta che abbiano scelto un cane da esecuzione come te per
qualcosa di così importante.»
No, nessun effetto. Quelle parole non le facevano più nessun effetto, non dopo
tutti quegli anni, tantomeno se dette da Gabriele poiché una persona per cui
non provava né stima né rispetto non avrebbe mai potuto offenderla
realmente.
«Dovresti esserne onorata.»
«Lo sono.» risponde secca Lidia a quel punto. Forse dargli ragione lo avrebbe
fatto stare zitto. Una speranza vana, lo sa, lo conosce e ci prova già da
troppo, ma ammettere a se stessa che zittirlo fosse una battaglia persa
l’avrebbe sinceramente demoralizzata in parte dato che ormai quei tentativi
erano parte della sua routine.
«Non lo sembri.»
E Lidia sa benissimo che Gabriele la sta schernendo solo lui sa cosa:
evidentemente trova ridicola la sua faccia o forse vuole solo tirare la corda e
vedere fino a che punto può andare avanti prima di romperla. E Lidia lo lascerà
fare perché non può fare null’altro.
Ma Lidia contava i giorni a tappe di ventuno da quando lo aveva conosciuto: non
ha mai creduto in Dio, né, tantomeno, nella giustizia –divina e non-, e nemmeno
nel karma. Ma Lidia crede nelle occasioni e questo le basta, almeno per ora.
Lidia sa che ognuno ha il suo momento e sa che il momento
arriverà anche per lei. E quel giorno Gabriele e tutti gli altri capiranno che
giocare con il Diavolo non paga mai come piace credere.
Ho amato scrivere questo capitolo, davvero. Lidia è un personaggio che mi piace moltissimo e per cui ho grandi progetti u.u (In realtà ho grandi progetti per tutti, però shhh, non ditelo in giro).
Ho passato un'ora della mia vita (per non parlare di tutte le persone che ho tirato in ballo) per cercare di capire l'esatta sfumatura dei capelli di Gabriele (perché il platino è troppo chiaro, ma il biondo oro è troppo scuro!)
Scherzi a parte spero abbiate apprezzato c: Forse può esservi sembrato un capitolo un po' introduttivo, ma mi è servito per delineare alcune cose (qualcuno le ha già capite? Perché in quel caso posso andare a zappare AHAHAH)
Che ne pensate di Lidia e Gabriele?
||Fox