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Autore: Fox2_Fox    11/09/2017    1 recensioni
|Storia a OC tutta italiana, le iscrizioni sono chiuse, circa, in verità si può ancora partecipare|
15 Settembre, Firenze
Una ragazza cammina nell'ombra, un mantello rattoppato ad avvolgerla, il passo silente e la luna alle spalle, i guanti macchiati di sangue.
18 Ottobre, Catania
Un uomo ride sguaiato alle parole d'un altro e, ubriaco, s'alza in piedi con una pistola legata alla cintola. Uno sparo.
21 Novembre, Cagliari
Un bambino si dibatte, urlando, le pupille dilatate e la gola in fiamme. Piove, e un traghetto si allontana nella notte, le stelle coperte da una spessa coltre di nubi.
24 Dicembre, Torino
Una coppia d'amanti sussurra nell'ombra con un mostro da un solo occhio, una lupa grigia li veglia dall'alto, invisibile, nascosta tra le ossa dei morti.
27 Gennaio, Roma
In una Sala cinque potenti parlano del destino degli uomini che li hanno scelti per quella carica. Hanno una soluzione, forse, ma il sangue potrebbe scorrere. Fuori nevica, ma sanno che le orme di chi cercano non appariranno su quel manto candido.
-L'Inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui-
Genere: Azione, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Cap 2 -parte 2-

Gabriele non le stava simpatico, assolutamente no. Anzi, Lidia era piuttosto sicura di odiarlo, o qualcosa del genere. Come avrebbe mai potuto lei che aveva sempre detestato quelli che, come lui, s’atteggiavano a re del mondo solo e solamente perché la sorte era stata benevola andare d’accordo con il principe di questi elementi? Lo odiava, Dio se lo odiava, lui e quel suo sproloquiare senza senso, lui e quel sorrisetto irritante di chi ha il mondo sulle palme delle mani. Lui e la sua convinzione d’essere il migliore in ogni cosa facesse o il suo ansioso ed ossessivo bisogno di divenirlo se, in caso contrario, non lo fosse stato. Gabriele era irritante, svogliato eppure un maledetto gradino sopra di lei. Dio se lo odiava. C’erano giorni, o serate, più nello specifico, quando se ne stava stesa al buio cercando un sonno che si divertiva a farsi rincorrere, in cui Lidia soppesava l’idea fargli il culo, il giorno seguente: cosa ci sarebbe mai voluto? Nascosto dai vestiti di marca, dai soldi e dal suo grado in realtà non c’era che un ragazzino spaurito che della vita vera sapeva poco o niente, di questo Lidia era convinta. Solo un pallido individuo come tanti altri alla ricerca dell’adrenalina e della trasgressione che si divertiva con il sangue e le vite altrui. 
Lo odiava, Dio se lo odiava, e odiava non potergli fare alcun tiro mancino, ma soprattutto odiava dovergli dire sempre di sì. 
Era a causa sua se adesso si ritrovava in una maledetta sauna quando avrebbe potuto essere a casa a godersi una bella tazza di tè con la sua fidata biro blu cercando l'ispirazione per una poesia. 
Si porta una mano alla fronte sudata, teme di sentirsi male, ma di certo non dirà a Gabriele di voler uscire, non ha intenzione di dargli la minima soddisfazione: chiude gli occhi e pensa al gelo delle notti invernali passate per strada, s’immagina che le gocce di sudore che le colano lungo le cosce tornite in realtà siano le gocce di pioggia gelida che, quando era bimba, le scorrevano sul volto come le lacrime che non aveva e le pungevano la pelle come spilli. E Lidia, immersa negli ottanta gradi della sauna e con le zaffate di vapore che regolarmente le inondano il corpo, finisce per rabbrividire mentre la delicata ma malevola mano del gelo, che ha stampata in modo indelebile nella memoria, le carezza la spina dorsale dal coccige fino alla nuca dove si ferma e scompare, lasciandole solo un risolino nelle orecchie, brutti ricordi sotto le palpebre chiuse e l’opprimente morsa del caldo a stringerle la gola. 
No, non si sentirà male, di quello è certa, lo rifiuta categoricamente.
«Lidia, io sto uscendo, muoviti anche tu.»
La ragazza solleva lentamente le palpebre lentamente e facendole involontariamente tremare, come se fossero macigni che spostare è pressoché impossibile. Si sente pesante e teme di capitolare a terra non appena si metterà in posizione eretta, ma si alza ugualmente e segue, con macchie nere che le coprono il campo visivo, il suo capo. Non appena esce dalla sauna l’aria –che fredda non era, caro lettore, perché alla fin fine i vapori dall’una e dall’altra stanza e vasca avevano saturato l’ambiente rendendolo, se non caldo, almeno qualche tacca sopra il tiepido- le pare gelida, eppure quel freddo non può che farle piacere. Si infila in silenzio sotto una delle docce e apre il getto: boccheggia quando sente l’acqua che le buca la pelle e la graffia come se ogni goccia fosse in realtà un chicco di grandine affilato e grande come l’unghia del suo pollice, ma si limita ad abbassare le palpebre e chinare il capo, così che il getto le arrivi sulla nuca e da lì l’acqua le coli sul corpo. Dopo il primo rinnalzamento improvviso la pressione inizia a risalirle lentamente così come, lentamente, le mani che le artigliavano la gola e il petto proprio sotto i seni allentano la loro stretta fino a sparire. 
Il getto della doccia s’interrompe improvvisamente e Lidia strizza gli occhi cercando di capirne il motivo, ma impiega solo un paio di strizzate di ciglia per rendersi conto di come Gabriele la stia guardando con il suo imperturbabile sorrisetto. Tiene le braccia incrociate al petto e Lidia sa che, sebbene paiano due ossicini di pollo, in verità Gabriele è capace di sollevare tranquillamente una trentina di chili. I capelli biondo vaniglia, accuratamente tagliati e, normalmente, pettinati in un folto caschetto sbarazzino, gli sono ora incollati al volto, eppure il ragazzo pare non farci nemmeno caso, anzi, usa quell’”evento”, se così lo si può definire, per darsi ancor più arie dato che, maledetto lui, i capelli umidi, che provvedeva a “sistemarsi” periodicamente con un gesto della mano, e le ciocche più corte e ribelli appiccicate alle tempie non facevano che renderlo ancor più carismatico ed affascinante di quanto fosse già. Era d’altronde indole di Gabriele da quando Lidia lo aveva conosciuto anni prima –e presto ogni lettore se ne accorgerà, ma andiamo per gradi-, sfruttare ogni occasione, che fosse più o meno calcolata, per rendersi invidiabile agli occhi di praticamente chiunque.
La ragazza si trattiene dallo stringere le labbra al gesto improvviso del capo e parte a pettinarsi i capelli della cute con le dita con l’intento di farsi una coda, ma viene prontamente bloccata dall'altro che le afferra un polso. 
«Lasciali sciolti, mi piacciono di più.»
Questa volta nulla trattiene Lidia dal fare una smorfia e dal liberarsi con uno scatto dalla presa del ragazzo più grande, ma il suo autocontrollo è abbastanza elevato da permetterle di mordersi metaforicamente la lingua e non sputargli in faccia per poi tornare sotto la doccia. 
«Sciolti mi danno fastidio, Gabriele.» 
Il chiamarsi per nome era l’unico tipo di confidenza che Lidia si prendeva, anche perché chiamarlo “capo” le avrebbe solo dato più fastidio ed erano un po’ troppo cresciuti per chiamarsi solo per cognome, come invece avrebbero fatto due liceali. Purtroppo il distacco era monolaterale dato che Gabriele Venturi di libertà se ne prendeva anche troppe. 
«Sei ancor più acida di questa mattina. Cos’è, avresti voluto restare ancora un po’ in sauna?» e vedendo che la ragazza non accenna a rispondergli e che, invece, già sta ricominciando a legarsi i capelli la blocca nuovamente, ricevendo in cambio la stessa identica reazione «Ti ho detto di lasciarti i capelli sciolti, per quale motivo devi per forza contrariarmi?» 
Lidia valuta l’idea di sfoderare la sua abilità e di trasformarlo in mucchietto di carne sanguinolenta e valuta anche l’idea di rispondergli che era acida, come diceva lui, perché quella di quel giorno sarebbe stata la sua ultima giornata libera per il prossimo mese e mezzo e che di passarla alla terme seguendolo giusto per starsene zitta e ascoltarlo blaterare non solo non era il suo prototipo di giornata ideale, ma che anzi rientrava probabilmente in una delle dieci giornate peggiori di tutte la sua vita. E se davvero Gabriele si fosse mai premurato di chiederle quali fossero state le altre nove avrebbe capito, senza ombra di dubbio, che sarebbe stato meglio smettere di tirare la corda. Ma ancora una volta l’autocontrollo –quell’autocontrollo che no, caro lettore, non era infinito, ma anche a questo ci arriveremo- di Lidia ha la meglio e –sebbene le mani le bruciassero dalla voglia di strappare la lingua al ragazzo e i muscoli facciali si ribellassero con ogni briciolo della loro forza a quell’ordine- lascia cadere le mani lungo i fianchi rinuncino a legarsi i capelli e, dunque, accontentandolo. Quelle che normalmente sarebbero morbide ciocche color cioccolato le ricadono sulle scapole con le punte già un poco arricciate per l’umidità che va a dissolversi. Curva gli angoli delle labbra perfettamente proporzionate –labbra sagomate ad arte, quelle di Lidia, ma labbra sulle quali nessuno sguardo s’era mai posato se non distrattamente e per qualche secondo- e sorride, circa. Lidia si ricorda di come un tempo le avessero detto di come fossero belle le sue fossette: non le ha mai più viste, né lei né nessun altro. Ogni tanto, quando ci ripensa, spera che siano sparite, come se fossero una malattia di cui liberarsi, ma nemmeno riesce a capire perché le avesse odiate così tanto, all’epoca. Lidia è però certa che in quello, di sorriso, non compaia alcuna fossetta. 
Gabriele le sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e Lidia lo lascia fare, perché improvvisamente non ha nemmeno voglia di arrabbiarsi: conoscendo il ragazzo è probabile che abbia fatto tutto quello solo per infastidirla –perché sì, Gabriele era perfettamente capace di spendere giornate intere con il solo obiettivo di infastidire qualcun altro, era un gioco che proprio non riusciva a stancarlo.- 
«Oh, sì, tieniti il sorriso in faccia, sei molto più carina, così.» Non aspetta la reazione di Lidia e finalmente si volta, probabilmente intenzionato verso la prossima zona delle terme e lascia la libertà a Lidia si smettere di sforzare i suoi muscoli facciali e di guardarsi intorno all’inutile ricerca –che lei stessa sapeva bene esser tale- di una scusa più o meno futile per praticamente fuggire da quel posto e da lui. Rivelatosi, naturalmente, un tentativo vano non le resta da fare altro che seguire Gabriele, che già si era avviato per il corridoio pieno di vapore senza aspettarla, e restare dietro di lui, poiché di affrettare il passo degno di quello di una lumaca il più grande non ne aveva proprio intenzione, a fissargli la schiena muscolosa che pareva essere stata scolpita nel marmo, non solo per l’incarnato chiarissimo, ma per i muscoli perfettamente delineati anche contro la magrezza che, sebbene non fosse eccessiva, si poteva notare dalla spina dorsale incavata un poco più del normale e dalle vertebre in rilievo: Lidia riusciva a contarle solo guardandole. 
Oggettivamente fragile come una foglia secca, ecco la verità. Ma Lidia aveva imparato a sue spese a non prendere ciò che qualcuno sembrava per oro colato, chiunque, o quasi, aveva una seconda lama: vecchio o bambino, uomo o donna, le lame nascoste salvavano la vita quando di tutto il resto era rimasto solo cenere. 
Sulla spalla sinistra sfoggia inoltre un complesso e alquanto poco mascolino –non che Gabriele lo fosse in qualunque caso dato il suo metro e sessantacinque scarso e i lineamenti praticamente più femminili di quelli della stessa Lidia- raffigurante un gatto nero tutto spelacchiato che pareva cercare di aggrapparsi alla carne stessa del ragazzo per evitare di cadere chissà dove.

«Entriamo qui.» asserisce Gabriele, più a se stesso che a lei, probabilmente, e svolta in una sala piena di vasche praticamente deserta, poi sceglie la prima sulla destra e vi entra tranquillamente, senza badare ai due signori di una certa età che già la occupavano. Lidia esita: la vasca, sebbene vi siano solo tre persone, è praticamente già piena e per lei non c’è spazio. È in imbarazzo sì, perché Gabriele la fissa e anche i due, marito e moglie, probabilmente, la fissano, e Lidia si sente una scema a stare lì in piedi con tutte le sue cicatrici esposte all’aria mentre il mondo intorno a lei continua procede imperterrito nelle sue attività dedicandole solo qualche occhiata perplessa o di scherno. Improvvisamente le viene freddo. Si guarda intorno decidendo che entrerà nell’acqua, ma non lì, probabilmente Gabriele la prenderà come la più grande delle offese, ma a Lidia non interessa: meglio il suo sguardo scocciato e le continue ed immotivate critiche l’indomani al “lavoro”, piuttosto che quel disagio che le sta facendo bruciare le guance. 
Lo odiava, sì. L’aveva costretta a quella ridicola giornata conscio della sua impossibilità di rifiutare: sarebbe stato capace di andare dal suo superiore a lamentarsi per chissà cosa e Lidia l’avrebbe pagata con il sangue dato che nessuno si sarebbe premurato di ascoltare la sua versione dei fatti. 
Alla fine però –per la benedizione di una divinità sconosciuta, aveva pensato Lidia- prima che si decidesse a spostarsi ed entrare in un altro idromassaggio la coppia s’era alzata ed era uscita rivolgendole uno sguardo strano. 
Lidia non aspetta un attimo di più per scivolare nell’acqua, il più lontano possibile da quello che, in quella giornata, si stava rivelando praticamente il suo aguzzino. 
«Non sei un po’ eccitata per domani?» 
«Dovrei?» 
«Davvero nemmeno un po’?» 
«Cosa dovrebbe accadere di tanto entusiasmante, domani?» 
Non che le interessi davvero: per lei il giorno seguente sarebbe stato un martedì come tutti gli altri. Certo, ci sarebbero stati dei cambiamenti, ma a Lidia non importava neppure quello: avrebbe ugualmente continuato a fare quello che faceva sempre, ne era praticamente certa. Da quando era entrata nella Mafia non faceva altro che eseguire gli ordini spostandosi da un punto all’altro secondo le indicazioni e risolvendo i problemi causati da tutti quelli sopra di lei. Sostanzialmente faceva lo spazzino e se questa cosa inizialmente le aveva dato un enorme fastidio –poiché era ben conscia delle potenzialità della sua abilità- alla fine aveva deciso di fare spallucce decidendo che, per il momento, finché aveva un tetto sopra la testa e delle coperte calde le importava ben poco di chi doveva ammazzare e per quale ragione. Testimoni scomodi, spacciatori che avevano pensato che l’autonomia fosse magnifica, trafficanti minori che credevano di potersi arricchire senza far conto alla Mafia: tutti erano uguali e lo sarebbero sempre stati poiché nessuno avrebbe loro tolto l’etichetta della carne da macello, che fosse lei o meno l’esecutrice della sentenza. 
Dunque no, non era interessata a qualunque cosa sarebbe accaduta il giorno seguente. O almeno, non era stata interessata fino a dieci secondi prima. Ora che Gabriele la guardava sogghignando, con lo sguardo che esprimeva un sincero divertimento misto a un malcelato disprezzo compassionevole, come se la ritenesse di un livello talmente basso da non essere nemmeno degna di leccargli le scarpe, a quel punto la questione era diventata di suo interesse. 
«Domani mi metteranno a capo di uno dei progetti più importanti degli ultimi cinquant’anni e anche tu avrai l’onore di partecipare. Davvero non sei emozionata?» 
Di nuovo Lidia si chiede sinceramente perché dovrebbe interessarle: tutto quello che il ragazzo le ha appena detto lo aveva saputo tempo prima, ma non aveva stimolato la sua curiosità allora né l’avrebbe stimolata in futuro.
«Dovresti essere contenta che abbiano scelto un cane da esecuzione come te per qualcosa di così importante.» 
No, nessun effetto. Quelle parole non le facevano più nessun effetto, non dopo tutti quegli anni, tantomeno se dette da Gabriele poiché una persona per cui non provava né stima né rispetto non avrebbe mai potuto offenderla realmente. 
«Dovresti esserne onorata.» 
«Lo sono.» risponde secca Lidia a quel punto. Forse dargli ragione lo avrebbe fatto stare zitto. Una speranza vana, lo sa, lo conosce e ci prova già da troppo, ma ammettere a se stessa che zittirlo fosse una battaglia persa l’avrebbe sinceramente demoralizzata in parte dato che ormai quei tentativi erano parte della sua routine. 
«Non lo sembri.» 
E Lidia sa benissimo che Gabriele la sta schernendo solo lui sa cosa: evidentemente trova ridicola la sua faccia o forse vuole solo tirare la corda e vedere fino a che punto può andare avanti prima di romperla. E Lidia lo lascerà fare perché non può fare null’altro. 
Ma Lidia contava i giorni a tappe di ventuno da quando lo aveva conosciuto: non ha mai creduto in Dio, né, tantomeno, nella giustizia –divina e non-, e nemmeno nel karma. Ma Lidia crede nelle occasioni e questo le basta, almeno per ora. Lidia sa che ognuno ha il suo momento e sa che il momento arriverà anche per lei. E quel giorno Gabriele e tutti gli altri capiranno che giocare con il Diavolo non paga mai come piace credere.

Angoletto bellissimo
Ho amato scrivere questo capitolo, davvero. Lidia è un personaggio che mi piace moltissimo e per cui ho grandi progetti u.u (In realtà ho grandi progetti per tutti, però shhh, non ditelo in giro).
Ho passato un'ora della mia vita (per non parlare di tutte le persone che ho tirato in ballo) per cercare di capire l'esatta sfumatura dei capelli di Gabriele (perché il platino è troppo chiaro, ma il biondo oro è troppo scuro!)
Scherzi a parte spero abbiate apprezzato c: Forse può esservi sembrato un capitolo un po' introduttivo, ma mi è servito per delineare alcune cose (qualcuno le ha già capite? Perché in quel caso posso andare a zappare AHAHAH)
Che ne pensate di Lidia e Gabriele?
||Fox

   
 
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