Libri > Forgotten Realms
Segui la storia  |       
Autore: NPC_Stories    11/09/2017    1 recensioni
Sono un ranger elfo dei boschi della foresta di Sarenestar, o foresta di Mir come la chiamano gli umani. Il mio nome è Johlariel, per gli amici Johel.
Sì, ho degli amici.
Sì, per davvero, anche se sono un elfo, quelle voci che girano sul nostro conto sono solo calunnie. In realtà sono un tipo simpatico e alla mano.
Questa storia è una raccolta di racconti, alcuni brevi altri lunghi e divisi in più parti, che narrano dei periodi in cui ho viaggiato per il mondo insieme a un mio amico un po' particolare. Per proteggere la sua privacy lo chiamerò Spirito Agrifoglio (in lingua comune Holly Ghost, per comodità solo Holly). Abbiamo vissuto molte splendide avventure che ci hanno portato a crescere nel carattere e nelle abilità, e che a volte hanno perfino messo alla prova il nostro legame.
...
Ehi, siamo solo amici. Sul serio. Già mi immagino stuoli di ammiratrici che immaginano cose, ma siamo solo amici. In realtà io punto a sua sorella, ma che resti fra noi.
.
.
Nota: OC. A volte compariranno personaggi esistenti nei libri o nella wiki, ma non famosi.
Luglio 2018 *edit* di stile nel primo capitolo, ho notato che era troppo impersonale.
Genere: Avventura, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

1315 DR: L’altra mia tomba è sempre un albero (Parte 1), ovvero Il brutto è che quando li conosci di persona poi non riesci più a prenderli a calci


La festa dell’equinozio d’autunno venne in qualche modo rovinata dal fatto che Krystel avesse scoperto che suo fratello era morto una seconda volta. Holly non si era accorto dell’effetto che aveva avuto sugli altri, era troppo occupato a lasciarsi invadere dai suoi stessi pensieri deprimenti, ma un’ombra di tristezza era calata sugli abitanti della locanda.
“Krystel, te ne prego, cerca di convincerlo a tornare in vita il prima possibile.” Le chiesi al termine dei festeggiamenti, la sera prima della loro partenza. “Tu sei l’unica a cui dia ascolto.”
“Da ascolto anche a te” mi rispose “e in questa situazione in cui sono coinvolti degli elfi la tua opinione dovrebbe pesare più della mia, perfino secondo la sua logica.”
“Non ti sto chiedendo di fargli cambiare idea sulla sua colpa.” Chiarii. “Su quello hai ragione, è più facile che ci riesca un elfo. Ti chiedo solo di convincerlo a tornare in vita, perché finché è un fantasma non si scollerà mai dalle sue idee nocive.”

Il giorno dopo salutai Holly e Krystel e ripartii verso sud, mentre la loro strada li avrebbe portati a nord. Ma non mi recai a Sarenestar; la mia meta era la foresta di Shilmista.

L’inverno sembrava tallonarmi da vicino mentre mi spostavo a passo d’uomo verso sud. Avrei potuto prendere un cavallo, ma sentivo di aver bisogno di camminare e di riflettere. Per fortuna raggiunsi i territori meridionali dove la neve è una vista rara, molto prima che le strade del nord restassero bloccate per il gelo. Giunsi in vista della mia destinazione in una tersa mattina di fine Marphenot. La foresta di Shilmista era ancora solo un’ombra verde in lontananza, e già mi interrogavo su cos’avrei detto per spiegare la mia presenza. Non sapevo neanche dove fosse il villaggio che era stato attaccato, ma Holly veniva da sud, quindi avrei fatto meglio ad arrivare da quella parte anch’io; inoltre così sarebbe stato più plausibile se avessi detto che venivo da Sarenestar. Mi presi qualche altro giorno per fare un largo giro intorno alla foresta e arrivare da meridione.

Avevo messo piede nella foresta da poche ore e già mi sentivo osservato. L’ambiente stesso aveva un’aria cupa, greve, più di quanto ricordassi dalle mie precedenti visite.
“Fermo dove sei!” mi ordinò una voce, in lingua elfica. Penso che il grido provenisse dall’alto, ma l’eco rendeva impossibile capire da dove esattamente. Si trattava della normale conformazione del territorio, o era un effetto magico?
Mi fermai e unii le mani in alto sopra la testa, a indicare che non intendevo impugnare le armi né lanciare incantesimi.
Un elfo si lanciò giù da un ramo e atterrò con grazia sul terreno in parte coperto di foglie. Era chiaramente un elfo dei boschi, la pelle ramata e i capelli castani non lasciavano dubbi sulla sua discendenza. Teneva fra le mani un arco con una freccia incoccata, ma l’arco non era in tensione e la freccia era abbassata. Ah, i privilegi di essere un elfo.
“Tintagel, è davvero quello che sembra?” Domandò l’elfo sconosciuto, parlando apparentemente al nulla.
Una voce gli rispose dall’aria, appena a un paio di metri da me. “Sì, è davvero un elfo.”
Probabilmente c’era un mago nascosto o invisibile che mi aveva appena divinato.
L’arciere davanti a me si concesse un sospiro di sollievo e tolse la freccia dalla cocca.
“Chiedo scusa per il freddo benvenuto.” Cominciò. Be', era un eufemismo. “Purtroppo siamo in una situazione di allerta e non siamo avvezzi a ricevere visitatori.”
Mi sembrava un invito ad andarmene, anche perché non mi aveva neppure detto il suo nome.
“Mi chiamo Johlariel Arnavel, vengo dalla foresta di Sarenestar.”
“Arnavel? Appartieni a quel clan?” l’elfo fece un passo verso di me manifestando la sua curiosità.
“Appartengo alla famiglia Arnavel” puntualizzai. Il fratello di mio padre era il capoclan degli Arnavel, che in lingua elfica antica significa Spade del Sud. Il nostro è sempre stato un clan guerriero; al tempo in cui le quattro grandi foreste dell’Amn, del Tethyr e del Calimshan erano una, il nostro clan proteggeva le propaggini meridionali di quell'immensa distesa boschiva. Quando l'antica foresta di Keltormir si era ritratta lasciando solo le quattro foreste di Shilmista, Wealdath, Sarenestar e Arundath, il nostro clan occupava già quasi tutta la foresta di Sarenestar.
“Il mio nome è Saelas di Shilmista, del clan Caelar”. Si presentò l’elfo. Non conoscevo benissimo i vari clan di Shilmista, ma mi sembrava che fosse un clan di elfi dei boschi che viveva nel sud, perché nel nord vivevano più che altro elfi selvaggi. Mi chiesi se fosse il suo villaggio quello che... ma non l’avrei chiesto. Non sapevo se la notizia fosse trapelata al di fuori della foresta e non volevo rischiare domande scomode. Era già un segnale molto positivo che mi avesse offerto il suo nome.
“Molto lieto di fare la tua conoscenza. Ma non sei solo, giusto?”
L’aria accanto a me tremolò quando il mago lasciò cadere il suo incantesimo di invisibilità. Studiai con curiosità il nuovo arrivato: pelle ramata, capelli neri, portamento fiero... avrei detto che fosse anche lui un elfo dei boschi, ma mi confondeva il fatto che fosse un mago. Noi non siamo famosi per fare affidamento sulla magia arcana.
“Sono Tintagel di Shilmista.” Si presentò senza citare le sue discendenze e affiliazioni. “Siamo lieti della tua visita, Johlariel Arnavel di Sarenestar, ma vorremmo conoscerne la ragione.”
Se avesse lanciato su di me un incantesimo per rivelare le menzogne, me ne sarei accorto? Decisi per una serie di mezze verità.
“Sono un ranger, ma anche un diplomatico. Da troppi anni non ci sono comunicazioni fra le nostre foreste, era tempo di riallacciare i rapporti.”
Accolsero la notizia con evidente interesse.
“Desideri dunque recarti da Re Galladel?”
“Sarebbe un onore, ma vorrei anche fare la conoscenza degli abitanti dei villaggi che incontro sul mio cammino.”
Saelas si adombrò all’improvviso. “Temo che non troverai nessun villaggio entro un giorno di cammino da qui. Naturalmente puoi fermarti al nostro accampamento se hai bisogno di rifocillarti e riposare.”
Questo mi mise subito in allerta. “C’è qualcosa che non va? Il tuo tono lascia immaginare brutte notizie.”
L’arciere mi guardò con espressione greve, poi annuì cautamente. “Giungi qui in un momento molto triste, sebbene la tua offerta di rinnovata amicizia ci allieti. Appena un anno fa il villaggio di Silverthorn è stato attaccato e decimato, e siamo ancora in allerta dopo quella tragedia.”
Il tono in cui lo disse mi convinse che doveva essere proprio il suo villaggio. Gli espressi i sensi del mio cordoglio, naturalmente, ed ero sincero.

“Perché questa allerta? Non avete ancora trovato i colpevoli? O si tratta solo di una precauzione per evitare problemi futuri?”
Intanto mi stavano scortando verso il loro campo, perché avevo deciso di accettare la loro ospitalità.
“Abbiamo preso i colpevoli. Sono stati abbastanza sciocchi da tornare per tentare un secondo attacco. Ma noi abbiamo teso loro una trappola perché il nostro chierico aveva ricevuto una premonizione sul loro ritorno.”
Una premonizione? Molto conveniente. Pensai, sapendo quanto fosse rara una simile eventualità. “Il vostro chierico deve essere benedetto dal suo dio.” Commentai, lanciando un'esca.
“Straordinariamente.” Abboccò Saelas. “Ha sorpreso anche me. È giovane, ma molto devoto.”
Arrivammo al loro campo. Era ben mimetizzato, le tende erano quasi indistinguibili da zolle di terra coperte di foglie, ma era chiaramente una sistemazione temporanea.
“Non sembra il campo di un posto di guardia stabile” osservai, a bassa voce. L’ultima cosa che volevo era offendere qualcuno.
“Siamo troppo pochi per questo.” Spiegò il mago. “È un campo mobile, ci spostiamo pattugliando i confini meridionali e orientali.” Dal suo tono, sembrava non fosse avvezzo a una vita nomade e non mi pareva neppure ansioso di abituarsi.
“Non vi pesa questo stile di vita?” indagai, rivolgendomi a entrambi “Sembra un sistema che può funzionare per far fronte a un’emergenza, ma non per sempre.”
“Ma l’emergenza è viva e presente, buon Johlariel. La terra sotto i nostri piedi sta tremando.” Recitò Saelas, sempre con quel tono cupo.
Non avevo avvertito alcun tremore o terremoto di recente, quindi immaginai che parlasse per metafore. La mia espressione probabilmente tradì i miei dubbi, perché Tintagel mi venne in aiuto.
“Saelas intende dire che il pericolo viene dal basso. Sono stati dei drow ad attaccare il villaggio di Silverthorn.”
Spalancai gli occhi per la sorpresa. Dei drow! Ma non poteva essere, non c’erano città sotterranee drow vicino a Shilmista.
Senza accorgermene avevo dato voce ai miei pensieri, e Tintagel annuì accettando il mio ragionamento. “È vero, non ce ne sono. Per questo non ci aspettavamo l’attacco. Ma Azadeth, il nostro chierico, è riuscito a interrogare uno dei prigionieri e a scoprire cosa facessero qui.”
“Asp... prigionieri? Siete riusciti a catturarli vivi?” domandai sbalordito, mangiandomi le parole.
“Come ti ho detto, sapevamo del loro arrivo e abbiamo preparato una trappola.” Gongolò Saelas.
Fischiai in segno di ammirazione.
“Mi piacerebbe raccontarti il resto, ma io e Tintagel dobbiamo tornare a pattugliare.” Si scusò Saelas. “Ti porto dal nostro chierico, è lui il responsabile qui.”

Così conobbi il loro chierico, Azadeth. È un nome strano per un elfo, significa letteralmente vita eterna o colui che vivrà per sempre. Magari aveva scelto quel nome quando aveva preso i voti, è una cosa un po' all'antica ma non del tutto inusuale.
Azadeth era un giovane elfo dei boschi, e quando dico giovane intendo che non aveva ancora visto trascorrere un intero secolo. Sembrava un ragazzino che veste i panni di un adulto: era nervoso, ma aveva una solida consapevolezza delle sue responsabilità e faceva del suo meglio per farvi fronte. Non avevo alcuna fretta, quindi rimasi alcuni giorni ospite del loro accampamento, prestando anche il mio aiuto come ranger e cacciatore. In quel breve periodo riuscii a conquistarmi la fiducia di Azadeth e a scucirgli informazioni sulla loro situazione corrente.

“Conosci il regno di Iltkazar?” Mi domandò, ma spero fosse una domanda retorica.
“Certo, è un regno nanico le cui caverne principali si trovano nello strato più superficiale del Buio Profondo, più o meno a metà strada fra le nostre foreste. Non abbiamo molti contatti con quei nani, ma sono consapevole della loro esistenza e non abbiamo mai avuto contrasti con loro.”
“Nemmeno noi!” Si affrettò a specificare il chierico. “Anzi, abbiamo avuto contatti commerciali con loro in passato e abbiamo un accordo di avvertirci a vicenda in caso di avvistamenti di giganti, un fastidioso nemico comune. Ma ora il pericolo per i nani degli scudi non sono i giganti. Iltkazar si è chiusa al mondo di superficie perché stanno combattendo una guerra contro i duergar di Duns... Dunspeirrin.” Concluse, inciampando un po’ nelle consonanti. “Nessuno all’esterno ha saputo della guerra, forse hanno pensato che non li avremmo aiutati, e in effetti non abbiamo le forze per combattere contro un esercito e in un territorio a noi alieno.”
“Non ho idea di cosa sia Dunspeirrin... una città duergar?”
Annuì. “Una città di duergar sotto le montagne del Turmish. I nani grigi hanno schiavi di diverse razze, fra cui anche drow.”
Ah. I pezzi cominciavano a combaciare.
“Saelas ha detto che sono stati dei drow ad attaccarvi. È vero?”
“Saelas ti ha detto la verità. Erano drow della città di Dunspeirrin, trascinati qui dalla guerra.”
Il quadro generale cominciava ad avere un senso. Una cosa però non mi era chiara.
“I duergar sono così folli da attaccare due fronti contemporaneamente? Che interesse hanno nella foresta di Shilmista?”
“Non sono stati loro a comandare l’attacco contro Shilmista. Durante i combattimenti contro i nani, un gruppo di schiavi drow è riuscito a uccidere il comandante duergar che li controllava e a fuggire. Sono scappati verso i monti Fiocco di Neve e per un po’ sono sopravvissuti nelle caverne. Con loro c’era una femmina, almeno penso che ne avessero solo una. Non era una vera sacerdotessa, i duergar non l’avrebbero mai permesso, ma sapeva che in quanto femmina aveva qualche possibilità di riguadagnare il favore della loro diabolica dea. Sia maledetto il suo nome.” I suoi occhi brillarono di puro odio per un momento.
“Quindi hanno pensato di riguadagnare il favore della Regina Ragno massacrando un villaggio di elfi. È questo che è successo?”
Azadeth abbassò lo sguardo, tradendo il dolore che ancora provava al pensiero di quelle morti.
“Erano soldati. Non dei semplici sbandati. Sapevano pianificare, di certo alla loro vile razza viene naturale. Hanno osservato i nostri ritmi e le nostre abitudini per alcuni giorni e poi hanno colpito.”
Riflettei per un lungo momento su quelle rivelazioni.
Era una storia molto triste da qualunque lato la si guardasse, ma c’era ancora qualcosa che non mi quadrava.
Alla fine ci arrivai. Azadeth. Sa troppe cose. Ha davvero ottenuto queste informazioni da un prigioniero? Una femmina non avrebbe mai ammesso di non essere una sacerdotessa, e un maschio... forse nemmeno saprebbe dire se una femmina sia una sacerdotessa o no. E poi c’è la faccenda della premonizione che avrebbe avuto, quella che li ha salvati dal secondo attacco. È tutto molto oscuro.

Decisi di tenere sotto controllo il chierico, con discrezione. Al tramonto lo udii rivolgere le sue preghiere a Solonor Thelandira, il suo dio, e poi a Corellon Larethian. Questo mi parve strano, Solonor è uno dei servitori di Corellon e tutte le preghiere rivolte a lui rinforzano anche il potere del Padre degli Elfi, o almeno così sostengono i nostri chierici. Ma lasciai correre, forse il giovane chierico era solo molto devoto anche a Corellon.
Più tardi quella sera uscì, dicendo ai due elfi di pattuglia al campo che sarebbe andato a rivolgere una preghiera per le anime dei defunti. I due guerrieri annuirono e lo lasciarono passare. Mi avvicinai casualmente a loro.
“Perdonate l’intromissione, è prudente che il vostro unico chierico si allontani da solo?”
Si scambiarono uno sguardo preoccupato.
“Lo fa piuttosto spesso. Sua madre è stata uccisa in quel terribile attacco e Azadeth non aveva nessun altro al mondo. Da allora si è rifugiato nella religione, e sembra che il suo dio lo protegga perché non gli è mai successo nulla di male da quando ha iniziato questi suoi pellegrinaggi di preghiera.”
Notai en passant che aveva detto il suo dio e non il nostro dio, ma in quel momento non volli approfondire.
“Vi offendereste se lo seguissi di nascosto, per accertarmi che non gli accada nulla di male?”
Uno dei due mi gratificò con un sorriso stanco. “Te ne saremmo grati. È il nostro unico chierico.”
L’altro gli diede una gomitata e gli rivolse un’occhiataccia. “Vaelayr, non parlare in questo modo. Azadeth è uno di noi e noi diamo valore alla sua vita indipendentemente dalla sua utilità.”
Vaelayr alzò le mani in segno di scusa. “Certo, certo. Non è quello che intendevo. Azadeth è un elfo, ovvio che la sua vita abbia valore.”
Decisi su due piedi che Vaelayr non mi piaceva. Chiunque abbia bisogno di porre tante condizioni per dare valore a una vita, non può piacermi fino in fondo. Comunque era evidente che avessero dei problemi con il giovane chierico ma io non ero ancora abbastanza in confidenza con loro per indagare oltre. Li salutai con un cenno silenzioso e cercai le tracce di Azadeth.
Lo seguii a distanza per un po’. All’inizio si recò in una radura dove l’erba cresceva alta e incolta. Non c’erano segni a indicare che fosse un luogo di sepoltura perché gli elfi dei boschi credono nel lasciar tornare i corpi alla terra, ma il lungo tempo che il chierico passò lì fermo immobile mi convinse che quello dovesse essere proprio il luogo in cui si era svolto l’attacco. Qualsiasi segno del fatto che quell’angolo di bosco fosse stato abitato ormai era stato inglobato dalla terra e dall'erba.
Mi aspettavo che Azadeth tornasse verso l’accampamento a questo punto, ma non lo fece. Proseguì dirigendosi verso i bordi orientali della foresta, in prossimità delle colline. Il terreno iniziava già a sollevarsi in una dolce salita ma la foresta si arrestava prima che la pendenza si facesse troppo ripida.
L’ultima quercia della foresta era leggermente isolata, ma non troppo. Capii immediatamente di che quercia si trattava.
Certo, non hanno voluto seppellirlo entro i confini della foresta. Ragionai. Però non hanno potuto spingersi troppo lontano perché il terreno roccioso delle colline che impedisce agli alberi di mettere radici impedisce anche di scavare una tomba. Ma perché Azadeth è qui?

Il giovane elfo si spinse fino a sotto le fronde della quercia e vedendoli a confronto ebbi l’impressione che fossero stranamente simili: giovani, fuori posto e turbati.
La quercia aveva solo un anno quindi non era molto alta, il tronco era sottile e non era cresciuto perfettamente dritto. Per la verità era un po’ contorta, ma non so se fosse per il terreno pieno di sassi o perché la forma del fusto rifletteva il turbamento interiore del frammento di anima che conteneva.
Azadeth appoggiò una mano sulla corteccia e sembrò cercare rifugio sotto quei rami mezzi spogli che si protendevano verso il cielo come braccia scarne. Si sedette fra le radici e cominciò a parlare a bassa voce. Dovetti rimanere in completo silenzio e concentrarmi, perché perfino il mio respiro copriva il suono delle sue parole.

“Io non so cosa fare.” Stava dicendo. “Mia madre ha sempre creduto in me, diceva che la mia fede era forte e sincera e che sarei stato un buon chierico. Ma lei è morta, che cosa poteva saperne del futuro? Io non so se ce la faccio.” Si fermò per un momento e pensai che stesse piangendo in silenzio, ma quando ricominciò a parlare non aveva il fiato spezzato di chi piange. “Lei mi manca, mi mancano tutti, terribilmente. Mi dispiace dover dire a te queste cose. So che vorresti che io guarissi. Gli altri hanno tamponato il dolore con la rabbia e l’odio, hanno trovato un nuovo scopo nella loro esistenza e quello scopo è la vendetta; ma per me una cosa simile non può funzionare.”
Prese alcuni respiri profondi, come se stesse scacciando la nausea.
Quando parlò di nuovo, la sua voce tremava di meno e risuonava un po’ più forte attraverso la brina notturna.
“Mi hai mostrato che la vendetta a volte porta a colpire alla cieca, anche se il sentimento che c’è alle spalle è giusto. Perché io non riesco a farlo capire anche agli altri? Devo portare il peso terribile della verità senza poter condividere questo fardello, come posso guidare il mio villaggio con saggezza se io stesso sto ancora imparando cosa sia la saggezza?”
L’albero ovviamente non rispose.
“Non hanno rispetto per me.” Mugugnò infine Azadeth. “Non mi vedono abbastanza combattivo e pensano che io sia un codardo. Non otterrò mai che mi ascoltino, in questo modo.”

Dèi. Se Holly fosse stato vivo, e se fosse stato in sé, avrebbe applicato il suo metodo educativo un calcione e fuori dal nido, con uno così. Pur con tutte le attenuanti del lutto recente e dell’età.
Ma Holly non c’era e dovevo essere io a fare le sue veci. Magari con un po’ più di tatto.

Scelsi quel momento per lasciare il mio nascondiglio e avvicinarmi a lui. Lo feci apertamente, per non farlo spaventare. Mi vide, si allarmò come se lo avessi sorpreso a rubare in chiesa e fece per alzarsi.
“No, no, ti prego. Resta pure seduto. È un triste giorno se un elfo non può più sedersi accanto a un albero.” Le mie parole erano tese a ricordargli che non stava facendo nulla di sospetto.
“Perché mi hai seguito?” Domandò, chiaramente sulle spine.
Mi sedetti accanto a lui mentre ponderavo sulla risposta.
“Azadeth, quanti anni hai?”
Sembrò incuriosito dalla domanda, ma rispose comunque. “Ottantadue.”
“E sono in errore se ipotizzo che tu sia il più giovane fra i sopravvissuti di Silverthorn?”
Mi guardò con occhi tristi, vacui, e infine scosse il capo. “Non sei in errore.”
“Bene, allora. Hai la tua risposta. Non ti rispettano perché sei giovane, perché sei un chierico e non un guerriero, e perché reagisci al dolore in modo diverso da loro.” Arrossì, imbarazzato che avessi ascoltato le sue confessioni, ma non gli permisi di distogliere lo sguardo. “Lascia che ti dica una cosa. È importante. Tu sei stato cresciuto e addestrato per essere la guida spirituale di un villaggio. Ma non c’è nessun villaggio. Lo capisci questo?”
I suoi occhi si riempirono improvvisamente di lacrime, ma non le lasciò cadere.
“Azadeth, ti prego. Devi cambiare prospettiva o non crescerai mai. Non hai più un pacifico villaggio di cacciatori con famiglie felici che perpetuano il loro modello di vita attraverso le generazioni. Ti resta solamente una banda di guerrieri dal cuore ferito. Quindi ora ti chiedo: intendi restare qui a lamentarti che la vita è ingiusta e che nessuno ti rispetta, oppure sei pronto a lasciare andare tua madre e tutte quelle povere vittime e occuparti di guarire le ferite di chi è rimasto? So che ti è stata data una grande responsabilità. Troppo grande per la tua età, forse. Però è nei momenti difficili che viene fuori il vero coraggio.”
Capii che le mie parole stavano facendo breccia in lui e mi permisi di mettergli una mano sulla spalla.
“Avanti. So che Saelas, Vaelayr e gli altri non lo dimostrano, ma hanno bisogno di te.”
“Hanno bisogno che li guarisca se dovessero farsi male. Ma non ci sono state altre battaglie nell'ultimo anno quindi non gli servo veramente. Se non che...”
“Avanti, se non che... cosa?”
Esitò ancora un momento. “Se non che, Saelas sta insistendo con re Galladel per permettere a questo gruppo di unirsi ai nani di Iltkazar nella loro guerra. Non è che gli importi davvero dei nani, vuole solo portare la sua vendetta il più in alto possibile, uccidendo tutti i drow e i duergar su cui riuscirà a posare gli occhi.”
“Mi sembra una pessima idea.” Dichiarai senza mezze misure. “Un contingente così piccolo non farà la differenza, ma attirerà l’attenzione dei duergar sulla vostra foresta. Se hanno a cuore il futuro di Shilmista non dovrebbero partire.”
Annuì, accettando le mie parole. Non avevo bisogno di convincerlo; contrariamente a quello che pensava, la saggezza faceva già parte di lui.
“Lo so, ma loro non la vedono così. Temo che non gli importi di Shilmista in generale ma solo del lutto che abbiamo subito noi di Silverthorn.”
“Solonor Thelandira è anche un dio protettore delle foreste. In quanto sua voce in questo clan, non dovrebbero ascoltare il tuo consiglio?”
Scosse la testa prima ancora che avessi finito di parlare.
“Secondo loro il clero di Solonor non è abbastanza aggressivo nei suoi propositi di protezione. Da quando abbiamo trovato i resti del massacro, tutti gli altri si sono votati a Shevarash. Il semidio della vendetta.”
Non aveva bisogno di spiegarmi chi fosse Shevarash, lo sapevo dannatamente bene. Maledizione. Sarà difficilissimo farli ragionare.
“È importante che re Galladel non gli dia mai il permesso di andare dai nani.”
“Cosa dovrei fare?” Sbottò. “Andare di persona a parlare con il re? Saelas andrà su tutte le furie! Non solo, potrebbe decidere di partire comunque, anche senza il permesso del re. Secondo le nostre leggi questo comporterebbe l’esilio per lui e per chiunque lo seguisse, ma ai miei compagni non farebbe altro che male sentirsi rifiutati e scacciati dalla loro stessa foresta. Un esilio li cristallizzerebbe nel loro rancore e renderebbe impossibile qualunque guarigione.”
Questo discorso lucido e lungimirante mi colpì, e molto. Gli posai entrambe le mani sulle spalle.
“Azadeth, credo che tua madre avesse ragione. Hai la stoffa per essere un ottimo chierico e per fare da guida spirituale a questo gruppo. Hai dimostrato di tenere a loro più di quanto loro tengano a te. Ora ti manca solo di imparare a non farti calpestare.”
Lo aiutai a rialzarsi. Afferrò il mio avambraccio e io il suo, nell’equivalente elfico di una stretta di mano.
“Io voglio aiutarti.”
Questo lo sorprese, ma non dubitò delle mie parole.
“Come?”
“Come si faceva un tempo. È Saelas il loro capo adesso, no? Sfidalo a duello per il comando.”
“Cosa? Stai scherzando?” La sua voce salì di un’ottava, credo fosse nel panico.
“Tranquillo. Non adesso. Prima ti addestrerò ad essere un guerriero.”
“Ma... ma ci vorranno anni perché io arrivi al livello di Saelas. E lui non aspetterà tanto prima di voler partire per Iltkazar.”
“Non ci vorranno anni. Mesi, forse. Ti dovrai impegnare. Tanto, al momento i tuoi servigi come chierico non sono richiesti, dico bene?” Lo provocai.

Azadeth accettò la sfida. Contrariamente a quel che pensava di se stesso, di certo non era un codardo.

           

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Forgotten Realms / Vai alla pagina dell'autore: NPC_Stories