Videogiochi > Dark Souls
Ricorda la storia  |      
Autore: Dynamis_    11/09/2017    1 recensioni
"Fu al suo viso che ella pensò prima di dipartirsi da questo mondo, alla stretta debole della sua mano, alle canzoni che solevano intonare insieme in tempi reconditi, quando la Prima Fiamma rifulgeva vigorosa e loro non erano altro che bambine. E a quelle lacrime fredde che lei aveva versato per entrambe, poiché Quelaag non ne era stata capace, dacché furore aveva arso il suo petto, astio nei confronti di colei che aveva loro inflitto una tale pena – e tanto dolore avevano patito invano, trovando forza l’una nel dolore dell’altra, cercando di scalare una montagna sin troppo erta.
Ma la frana era arrivata."
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quelaag, la Strega del Caos
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Blood & Tears

Ancora una volta la nebbia perlacea si era diradata, facendo strada a uno degli innumerevoli cavalieri che, ottenebrati dal desiderio di vittoria, desideravano il potere e con esso la rovina del mondo come ella lo aveva conosciuto in tempi più prosperi.
Amava combattere, lo aveva sempre amato anche quando tale nefasto fato non si era ancora abbattuto su di lei e la sua stirpe, costringendole a divenire esseri deformi e gretti come punizione per aver peccato di superbia, di aver desiderato il fuoco, quella stessa fiamma che ardeva nei suoi occhi ogni volta che qualcuno oltrepassava il suo Dominio.
Una Guardiana aveva sempre qualcosa – qualcuno? – da proteggere. Nel suo caso il compito era chiaro: distruggere chiunque osasse calpestare il suolo della sua dimora, desideroso di suonare la Campana del Risveglio.
Non aveva più pietà nel cuore, la Strega, e ai cadaveri esanimi dei primi cavaliere ne erano seguiti molti e molti altri, sicché erano divenuti cenere e ogni memoria del loro passaggio era stata dimenticata. Un demone, questo era ciò che era diventata, e il potere non aveva fatto altro che contribuire a questo suo cambiamento, rendendola sempre meno se stessa, sentendo la sua Umanità scivolarle tra le dita ad ogni goccia di sangue versato.
Ed era molto il sangue di cui si era inebriata quella terra nefasta. Forse ben più di quanto ne potesse sopportare – certamente ben più di quanto ne avrebbe potuto sopportare un umano qualunque.
Non aveva memoria di quanto tempo fosse passato, né delle vittime che aveva mietuto fino ad allora eppure il suo obiettivo era chiaro, cristallino, ed ella oramai agiva meccanicamente, non lasciando trasparire altro che furia dai suoi occhi fiammeggianti, dal suo sguardo seducente, che era però capace di far gelare il sangue nelle vene al solo rimirarlo.
Lo aveva attaccato automaticamente, senza troppe domande né intimidazioni, con quel ghigno sornione a squarciarle il viso, quelle labbra turgide e scarlatte, quasi fossero sempre imbevute di sangue. E forse era così.
Non aveva mai pensato, neppure una volta, di poter perdere, poiché perdere avrebbe significato la sua rovina quanto quella di colei che sola le era rimasta, debole quanto un fiore percosso dal forte vento.
Ma il freddo del metallo l’aveva raggiunta, forse presto – sicuramente troppo presto per ciò che si era proposta di fare.
Non una volta: a quell’affondo ne erano seguiti molti altri ed ella aveva sentito mancarle il respiro.
Proteggere la campana era l’ultimo pensiero che era affiorato, una volta che la lama aveva lambito le sue membra, che aveva affondato ostile, imperterrita, e si era fatta strada, tingendo di rosso cremisi quella pelle che fino ad allora era stata ‘sì candida come neve, mai irrorata dal proprio cruore, bensì da quello di coloro che, ignari del pericolo – forse sprezzanti od ottenebrati da una voglia di potere demoniaca tanto quanto il cuore di colei che giaceva pressoché esanime su quella che era stata la sua casa – avevano calpestato l’altrui dimora con parole ‘sì colme di furore e sguardi bramosi, proprio loro che, in quel momento, giacevano tra polvere e ossa e sangue, oramai dimenticati.
Mai il suo sguardo aveva vacillato, ed ella mai, neppure una volta, si era piegata davanti l’incalzante presenza della Morte, la quale ora beffarda danzava dinnanzi al suo sguardo, avanzava ogni volta che il suo respiro si faceva più tenue, ghignava ora che i suoi pensieri cominciavano a diventare sempre meno lucidi, sempre più lontani, come se non fosse lei stessa a meditarli, ma qualcuno in sua vece.
Si dice che i demoni siano schiavi del sangue, che siano esseri la cui sete è implacabile e che nulla provino se non fame e smania di questo, sicché la loro Umanità va scemando sempre di più, fino a perder la ragione.
Eppure Quelaag un ultimo desiderio lo aveva, sebbene questi fosse oramai sigillato perennemente tra le sue labbra, incapace di sfuggire a quella morsa tetra e inarrestabile: proteggerla, sopra ogni cosa. Fu al suo viso che ella pensò prima di dipartirsi da questo mondo, alla stretta debole della sua mano, alle canzoni che solevano intonare insieme in tempi reconditi, quando la Prima Fiamma rifulgeva vigorosa e loro non erano altro che bambine. E a quelle lacrime fredde che lei aveva versato per entrambe, poiché Quelaag non ne era stata capace, dacché furore aveva arso il suo petto, astio nei confronti di colei che aveva loro inflitto una tale pena – e tanto dolore avevano patito invano, trovando forza l’una nel dolore dell’altra, cercando di scalare una montagna sin troppo erta.
Ma la frana era arrivata.
Essa aveva un nome e un volto, quelli di colui che le aveva appena lacerato il corpo da parte a parte senza ombra di rimorso negli occhi, colui che aveva appena reciso l’unica ancora che legava la sorella alla vita – o quantomeno lo spettro di questa. Nessuno scudo a proteggerla dal male che era sopraggiunto, consolazione alcuna per quella donna che su di sé aveva retto un peso così gravoso da farla caracollare più volte, il peso di un amore fin troppo grande e immeritato, che l’aveva distrutta fino a renderla l’essere deforme e malato che era diventata.
Un amore che si era trasformato in paura e sofferenza.
Un amore che nonostante tutto rifulgeva ancora in quei occhi ciechi, ma capaci di vedere del bene in quel mondo che le aveva rigettate e di farle vedere che una speranza, sebbene piccola e insignificante, tenue e vacillante, esisteva.
Un amore che ella stessa sentiva in quel momento, ma che sarebbe restato sempre al riparo nel suo petto, nascosto e mai detto, insieme al suo nome che tentava scalpitante di esser proferito da quelle labbra oramai troppo fredde. La Fiamma aveva oramai abbandonato anche lei.
Cadde al suolo, il suo nome stretto tra le labbra, una lacrima a solcarle il viso. Non piangeva per sé, della vita ne aveva avuto abbastanza: piangeva per ciò che si stava lasciando alle spalle, per quella promessa non mantenuta e per quell’addio non dato. E perché aveva provato – seppur per un attimo – sollievo nell’aver abbandonato quella triste esistenza, sebbene sapesse in cuor suo che tale vita mai le era appartenuta per davvero. Era sempre stata sua, e sua soltanto. Lo sarebbe stata per sempre.
Chiuse gli occhi mentre le lacrime si mischiavano al sangue. Sangue e lacrime, non era forse iniziato così il suo tormento? Era il giusto modo – l’unico – per abbandonare la vita.
E ivi si spense, la Strega del Caos, custode del regno in cui, prima di lei, altre vite avevano dato congedo per una Fiamma destinata a sopirsi.
Nessuna consolazione, nemmeno nella morte. Solo la sua voce a conciliarne il sonno eterno, persa oltre lo sguardo, laddove nessun occhio – umano o meno che fosse – avrebbe potuto più raggiungerla.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Dark Souls / Vai alla pagina dell'autore: Dynamis_