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Autore: Sospiri_amore    12/09/2017    1 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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IERI:
Il processo




Nik finisce di sistemare dei fogli, poi mi guarda deciso: «Bene Elena, possiamo iniziare. Sei pronta?».

Annuisco con un mezzo sorriso anche se vorrei scappare il più lontano possibile.

 

 

La Marquez mi guarda con attenzione, forse un po' troppa. Credo si interroghi sul perché riscuota tanta attenzione. Da un lato c'è il professor Martin che ha dichiarato a tutta la scuola che sono tra le studentesse più promettenti, quando l'anno scorso mi ha invitato a ballare alla festa degli ex studenti. Dall'altro ci sono tutti i casini che hanno causato le ragazze dei fan club, la preside sa benissimo che ero io a dirigere i giochi e che mi sono sfuggiti di mano. 

Con le braccia conserte e lo sguardo serio, la Marquez mi scruta da capo a piedi. Fortuna che Rebecca mi ha sistemato i capelli e truccata leggermente, altrimenti sarei sembrata una zombie senza un minimo di credibilità.

Nik è impassibile, mi ricorda quando quest'estate lavorava all'ufficio McArthur a New Heaven. Broncio, labbra strette e fronte corrugata. Sa benissimo che se dovessi fallire avrebbe anche lui delle conseguenze serie, significherebbe che ha dato troppa importanza ad una studentessa non degna di essere seguita. Uno smacco che la preside non dimenticherebbe facilmente.

 

«Se fosse possibile vorrei fare qualche domanda ad Elena». La donna sorride sussiegosa a Nik.

«Nessun problema, faccia pure», risponde con calma.

 

Me la sto facendo addosso, ma non voglio darglielo a vedere. Non voglio diventare una preda della preside. Se devo andare a fondo, colerò a picco con onore e dignità. 

 

«Da quello che hai imparato qui negli USA, al Trinity in particolare, quale credi sia la caratteristica più importante per uno studente? So che sei amica di McArthur e compagnia, alcuni tra i più influenti ragazzi della scuola, capaci di condizionare gli umori di molti compagni. Cosa hai imparato da loro?», mi chiede la donna con un sorrisetto furbo.

 

È talmente ovvio che vuole che faccia la spia, che le riveli qualche dettaglio succulento sui miei amici, che non ci vuole un genio per capirlo.

 

«Non credo che loro mi abbiano insegnato qualcosa, non volontariamente. Le esperienze vissute con loro mi hanno dato tanto, il gruppo, tutti insieme. Singolarmente sono persone come tutte noi, con pregi e difetti», le rispondo. 

«Difetti? Che tipo di difetti? Potresti essere più chiara?», insiste.

«Se analizza la sua persona troverà i difetti che abbiamo tutti, compresi i miei amici ed io. Certo, in forma diversa, ma tutti a modo nostro siamo egoisti, maligni e cattivi. La differenza sta a capire quando fermarsi. Gli amici servono a quello».

«Ha esempi a cui fare riferimento? Che cattiverie hanno o avete commesso?». La donna si è avvicinata pericolosamente a me. Con aria minacciosa mi fissa, vuole notizie e sa benissimo che io potrei darle un sacco di informazioni.

«Nulla di più che un gruppo di ragazzi adolescenti possa fare. Ripensi a quando frequentava una High School. Che ha combinato? È sempre stata alle regole oppure ha trasgredito?», le rispondo a tono.

 

La Marquez sta pensando a quello che le ho detto. Non ho la minima intenzione di spifferare nulla.

 

«Credi che quelli che consideri i tuoi amici siano leali come te? Sei assolutamente sicura che non mi abbiano riferito nulla? Potrei sapere cose su di te che neanche credi sappia». Lo sguardo della donna è diabolico. I suoi occhi neri sembrano scrutarmi dentro.

 

Non voglio neanche immaginare l'ipotesi lanciata dalla donna, non voglio credere che qualcuno abbia fatto la spia nei miei confronti. La preside sta bluffando e io non ho intenzione di cadere nel tranello.

 

«Se quello che dice è vero, cioè che i miei amici le abbiano riferito qualcosa di scandaloso su di me, dovrei pagarne le conseguenze. Ovviamente solo se avesse le prove per avvalorare tali pettegolezzi. Il fatto che io non abbia punizioni, espulsioni o sospensioni a riguardo significa che ciò che forse sa, o non sa, non è possibile dimostrarlo. Quindi anche se lei sapesse qualcosa sa benissimo che non può usarlo contro me. A meno che non lo confessi io stessa».

La Marquez mi guarda sorpresa, abbozza un sorriso: «Quindi mi confermi di aver combinato qualcosa. Il fatto che tu mi abbia appena detto che posso incolparti di qualcosa solo se confessassi, significa che hai commesso qualcosa».

«Se vuole ammetto ciò che vuole, se questo la fa sentire meglio. Si tratterebbe però di una confessione estorta e non spontanea. Non so quanto varrebbe. In alcuni paesi del mondo usano la tortura durante i cosiddetti processi. Crede che il Trinity possa adottare questa tecnica? Mi vedo già la fila fuori dall'aula di tortura, mi chiedo solo chi potrebbe essere il professore», dico sarcastica.

 

Intravedo Nik nascondere un sorrisetto. 

La Marquez non l'ha presa per niente bene.

 

«Non scherzare con il fuoco Elena. In questa scuola non vengono e non verranno mai usati metodi coercitivi su nessuno. Tutti gli studenti vengono dalle migliori famiglie dello stato e sanno come devono comportarsi, non ho intenzione che una ragazzina arrogante e con la lingua lunga mi dica cosa o non cosa fare».

«La mia arroganza e la mia lingua lunga sono uno degli insegnamenti dei miei amici. Del resto non è questo che vuole la scuola? Sono la dimostrazione che chiunque può diventare ciò che qui viene auspicato. Come mi ha insegnato il professor Martin dobbiamo essere come creta, malleabili, capaci di prendere la forma più congeniale in una determinata situazione. Io l'ho fatto, per questo sono qui nel Club di dibattito, ho la forma giusta, e non ho la minima intenzione di andarmene. Impegno, dedizione e perfezione. Sull'ultimo punto ci sto ancora lavorando». 

 

Colpita e affondata.

 

La Marquez si sistema la giacca. Credo si sia resa conto di aver perso le staffe, cosa assolutamente deprecabile per un dirigente scolastico, soprattutto davanti ad un insegnante. La sua carnagione scura ha una sfumatura più rossa del normale, le suda la fronte.

 

«Bene, professor Martin. Vedo che ciò che cerca è un modello di studente pronto a tutto, disposto a difendere l'onore di ragazzini volubili e...». La donna viene interrotta da Nik.

«... Ragazzini che stanno crescendo e cercando la loro strada. Ragazzini che scimmiottano gli adulti credendo sia quello il modo giusto di relazionarsi. Il Club di dibattito insegna loro a sapersi difendere con parole e ragionamenti. Mi pare che Elena sia riuscita egregiamente», dice mentre si toglie gli occhiali e li pulisce con nonchalance con un panno.

La Marquez, rigida nella sua posizione, mi squadra da capo a piedi:«Ascolterò con attenzione il giudizio di ogni docente con cui hai sostenuto gli esami per recuperare la tua pessima situazione scolastica. Se solo uno, dico uno, mi dirà che non hai raggiunto un volto più che soddisfacente sarai ufficialmente esclusa dal Club di dibattito. Chiaro?», dice dura.

«Sissignora», rispondo decisa, anche se l'idea di lasciare il Club mi prende molto male.

 

La donna esce dalla stanza senza salutare nessuno.

 

Le gambe tremano un po' per la rabbia, un po' per la tensione. Detesto dover rispondere in quel modo, soprattutto in situazioni del genere. Se non ci fosse stato Nik la preside avrebbe calcato di più la mano, ne sono sicura. Farebbe di tutto pur di avere informazioni succulente sui suoi studenti, soprattutto su James e gli altri.

 

«Elena le hai tenuto testa, complimenti». Nik si avvicina prendendomi per mano.

«Credi abbia esagerato? Del resto è sempre la preside della scuola, dovevo portarle più rispetto?», chiedo.

«Hai risposto come volevo. Sei stata evasiva e hai risposto alle sue domande con altre domande sviando il discorso. Meglio di così non potevi fare. Del resto sei a dibattito, non potevi fare altrimenti».

 

Mi lascio andare, la tensione si sta sciogliendo. I test che ho dovuto sostenere sono andati bene, lo so perché ho studiato talmente tanto che non è possibile che siano andati male. Almeno lo spero.

Slaccio il bottone della camicia vicino al collo e mi tolgo la giacca. Con un piccolo saltello mi siedo su un banco appoggiando le mani vicino ai fianchi. Nik è di fronte a me con le mani in tasca e mi guarda divertito.

«Bene, Miss Voli, adesso siamo pronti a sostenere il mio test», mi dice con un filo di voce al mio orecchio.

 

Mi irrigidisco.

Possibile che voglia interrogarmi veramente?

 

«Voglio che mi dica i motivi per cui vuole restare in questo Club. Cosa le piace e perché ci tiene a rimanere?», mi sussurra con voce divertita.

Incrocio le braccia al petto con la faccia imbronciata:«Non intendo risponde a questa domanda, la risposta non mi sembra utile al fine del processo».

«Processo?», mi chiede Nik spaesato.

«Da quando frequento questa scuola ho sempre dovuto sostenere esami, prove e dimostrare qualcosa. In ogni posto andassi ho dovuto lottare. Come prima con la Marquez ho sostenuto un vero e proprio processo. Adesso lei mi chiede perché voglio restare in questo Club? Perché ci tengo a rimanere?», dico le ultime parole con un tono più alto del normale, voglio sembrare arrabbiata.

Nik è confuso, mi guarda con la testa storta come se si trovasse di fronte ad una lavagna con scritta un'equazione incomprensibile. Credo non capisca perché sono così dura con lui e gli sto dando del lei.

«Voglio rimanere perché...», allungo la mano verso il volto di Nik, «... Perché nelle tue lezioni mi sento libera, posso essere me stessa. Perché so che mi ascolti, sempre. Perché sei una delle poche persone a cui voglio veramente bene. Perché mi sproni a dare il meglio». 

 

Non potrei mai dire nulla di male di Nik. È un professore magnifico, capace di vedere oltre le apparenze. È la mia salvezza, in ogni momento brutto lui mi è stato vicino riuscendo a confortarmi e consigliarmi nel migliore dei modi. I suoi occhi azzurri, gli occhiali tondi sul naso, la giacca sbottonata e il suo sorriso dolce sono le piccole certezze che rendono migliore la mia vita. Sapere che lui c'è sempre, che desidera il meglio e non vuole vedermi soffrire, è come avere un porto sicuro in cui rifugiarmi i giorni di tempesta.

Con la mano sulla sua guancia accarezzo la barba incolta, sfioro il collo per poi prendere la sua mano e stringerla forte. Nik è parte di me e mi auguro lo sarà per sempre.

 

«Mi dici come faccio a non... A non... Insomma... sai che per me sei importante. Mi piace essere il tuo professore e tuo amico. Nulla più, non ti preoccupare, non cercherò di baciarti». Con le dita sfiora una ciocca di capelli sfuggita dallo chignon che mi ha fatto Rebecca. Mi guarda con attenzione come se volesse dirmi un milione di cose, ma non trovasse le parole.

«Neanche io cercherò di baciarti. L'altra volta ercavo conforto nel modo sbagliato, le tue parole e il tuo modo di fare sono la medicina migliore a tutti i miei mali», gli rispondo serena.

«Direi che potremo passare i prossimi mesi di scuola insieme, aiutandoci l'un l'altro, come veri amici», mi dice Nik.

«A dire il vero sei tu che mi aiuti sempre. In cosa ti potrei aiutare io?», chiedo confusa.

 

La campanella suona.

 

«Mi aiuti più di quanto tu possa credere», mi dice mentre mi stringe il volto tra le mani, «Adesso vattene a festeggiare, hai finito tutti gli esami».

Senza farmelo dire due volte scendo dal banco catapultandomi verso la porta e urlando un sonoro ciao al professor Martin. Mi lancio per il corridoio alla ricerca di Kate o James, qualcuno da abbracciare e con cui festeggiare la fine di tutta quella storia.

Non trovo nessuno, ma non mi do per vinta.

Vado verso l'ingresso, giro per il corridoio principale, ma trovo solo un fiume di studenti che escono dalle aule. Aspetto qualche minuto fuori dalla mensa, ma sembrano tutti spariti. Non c'è traccia dei miei amici.

Sconsolata vado verso il mio armadietto per riporre i libri che ho in mano. Appena giro l'angolo noto due ragazze che si guardano intorno curiose, sono davanti al mio armadietto. Sembra mi stiano aspettando.

 

«Cercate qualc...». Interrompo la frase. Sono due delle ragazze del mio fan club:«Che diavolo volete?», chiedo acida.

«Volevamo darti questo. È l'iscrizione per partecipare al concorso di homecoming queen. Sei una delle ragazze in lizza», mi dicono sbattendo le ciglia con finta ingenuità.

«Non mi interessa diventare la reginetta del ballo, potete buttare via il foglio», rispondo loro.

«Non puoi. Sei stata iscritta e oggi è l'ultimo giorno per ritirare l'iscrizione al concorso. Ufficialmente sei una candidata», mi dice una delle due.

«Che scemenza! Non potete mica obbligarmi a fare una cosa che non voglio. Se questa è una mossa per vendicarvi della storia delle spillette...». Una ragazza ridacchia interrompendomi.

«No. No. Niente vendette. Per noi resti la numero uno. Il volontariato che la Marquez ci ha fatto fare ci aiuterà per Yale, una voce in più da mettere nella presentazione per il college», dice divertita.

«Allora perché mi avete iscritta contro la mia volontà?», chiedo brusca. Questa storia non mi piace per niente.

«Ma Elena, non ti abbiamo iscritta noi!».

«È chi sarebbe quell'idiota che ha fatto una stupidata del genere?», chiedo mentre le sposto dal mio armadietto.

«Rebecca», rispondono in coro le due.

 

Le orecchie mi fumano.

I denti sono serrati.

I pugni stretti.

 

Io quella la strozzo.

 

   
 
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