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Autore: queenjane    12/09/2017    0 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Alla Stavka, lo zarevic era migliorato su molti punti, mi raccontò Tata, mentre giravamo per le corsie dell’ospedale. Era tutto pulito, efficiente e ben organizzato, con le uniformi ed il candido velo  da infermiere passavamo quasi inosservate, tra un letto e l’altro.
Sorelle di misericordia, la mia Tatiana i cui sguardi raccontavano quello che non diceva. Io ero egocentrica, insopportabile, lei una ispirazione, la vera figlia di un imperatore, nei gesti e nei modi.
Lei poi passò alle lettere e alle richieste del suo comitato caritativo, io transitai da Olga, che si occupava più del lavoro di organizzazione che della cura dei feriti, alla lunga era stato troppo, per lei. Ci fumammo una sigaretta, la finestra aperta, una immagine che avrei serbato, di tranquillità.
“Ho imparato molta geografia sull’Europa e l’America, e di storia, Arabi e Medioevo, oltre che su quella russa. E parlo e scrivo meglio in francese e inglese”e anche la calligrafia era migliorata, diventando più regolare e stretta, rispetto a quella slargata, infantile e grande che aveva di solito. Glissando che, essendo spesso malato, la sua educazione si presentava carente e lacunosa per quello.
“ Ottimo, qualcuno ti deve avere interessato alle materie” vedere lo zarevic che studiava e si impegnava era un piacere, sorrise malizioso, come un folletto, prima della Stavka non era suo gradimento imparare.
“Andrej. Lui non ha la tua fantasia, ma conosce la storia e la geografia” E lui non voleva fare la figura dell’ignorante, lo pungeva sul vivo passare da somaro, anche se nessuno osservava nulla, che per me e Andres leggere e imparare era sempre stata una gioia, magari davamo per scontato ( e non lo era affatto) che per tutti fosse altrettanto. E Aleksej era intelligente, vivace, quando voleva le cose le apprendeva, eccome, e le ricordava.
Poco  ma sicuro, la rocca di Ahumada dove era nato era STORIA. Costruita dopo il 732 e la sconfitta degli Arabi a Poitiers, il primo nucleo della rocca aveva ospitato i pellegrini che si dirigevano a Santiago, uno dei primi Fuentes era i compagni di Carlo Martello. Ottenuto il titolo di marchesi, avevano vegliato sui confini, in tempi di pace e di guerra, vigilando contro gli Arabi e onorando i re spagnoli. Erano a Granada ai tempi della reconquista, un Fuentes era salpato con Cortes alla conquista del Sud America. Viaggiatori, diplomatici, uomini di chiesa, politici, erano stati finanche vicerè del Perù e di Milano. Marchesi poi divenuti principi per avere combattuto contro Napoleone, il re Borbone, re insediato sul trono dopo il congresso di Vienna, li aveva concesso quel salto. E un bastardo dei Fuentes si era costruito titoli e fortuna, inventandosi una nuova vita alla corte di Caterina II, Felipe, il mio antenato“E  le lingue”
“ E’ una grande storia”
“Lo so. Sei brava pure tu“, mi concesse.
”Vuoi che ti prenda in braccio ? Non ci prendere il vizio, giusto ora.. Tra qualche anno peserai più di me e sarò uno gnomo al confronto..”
“Perché dici così?” Curioso, sorridente.  E tanto mi toccava il braccio, la spalla, come se non credesse che fossimo sempre lì.  Mi imposi di scherzare, amarlo come sempre.  O al mio meglio, meno peggio rispetto al passato, comunque.
“Hai buttato via il libro e hai aperto le braccia, cosa devo dedurne??!!!”Allegra, spumeggiante. Accolsi il suo cenno, abbracciandolo, a quel giro come apriva le mani lo stringevo, era in credito, di strette e abbracci, anzi lo era per pezzo, me lo issai in grembo, era leggero come un sacchetto di piume “Diventerai alto, come lo zar Alessandro III, tuo nonno, o giù di lì, guarderai tutti dall’alto in basso, la mia è una facile previsione, guarda che ossa lunghe tieni, sicuro segno di altezza ” Le mie scemenze vennero accolte da una risata di gioia, insieme eravamo due chiacchieroni senza misura. “Per essere una  donna sono alta, 1 e 72, giusto Tata è più alta di me..e con le sue proporzioni perfette non ci badi..E tanto mi supererai, Alessio”intanto lo avevo raccolto contro il fianco, delicata.e lo baciavo, per distrarlo. Eri il mio bambino, zarevic, fine. Eri mio e basta, al diavolo se eri malato, ti amavo a prescindere, vedevo chi eri..non era colpa tua e tanto se era così. E ti dava fastidio, non lo sopportavi, volevi essere forte e in salute, senza debolezze come Piero il Grande, Achille, un eroe...Ed eri già un eroe a non mollare, Alessio.
Ricordai una diversa scena, quando eri reduce da Spala, con l’apparecchio ortopedico, mi avevi chiesto di prenderti in braccio e farti respirare l’aria da una finestra aperta. Mi ero rifiutata, non avevo fiducia, avevi detto che andava bene lo stesso,  eri desolato, sapevi che ti volevo bene e che non mi azzardavo a lasciarti libero, nei limiti, pure se per altri sarebbe stato solo buon senso. Tenevo  conto solo della malattia e non di te, ignorando che eri un bambino, che avevi diritto a voler respirare un poca d’aria e ti avevo negato quel semplice piacere, avevo da compiere 18 anni, a mio discarico osservo solo che ero molto immatura ed appena osavo fissare la gamba stretta in quell’arnese di tortura.
Mi venne una idea estemporanea. Lo dovevo, ad entrambi.  Sei la cosa più bella che ho, a parole, va bene, e tanto lui badava ai fatti, come era giusto.
“Vai Nagornji, vi è lei e ..Vai, tranquillo, grazie” Il marinaio obbedì, era un ordine gentile, mai lo avrebbe contrariato e io ero infermiera, una prediletta, poteva fidarsi, da quando aveva memoria ero sempre tra i piedi. Tralasciando che lo avevo vestito per fuori, cappotto e vari ammennicoli, dalle mie braccia era transitato alla sedia a rotelle e tutto il tempo era un “Ti voglio..ridi ..prendimi in braccio, che bello stare con te..” intervallato dai miei mormorii “..Va bene, e non mi fare il solletico.. mettimi un braccio dietro al collo, ti sposto….anche a me fa piacere stare con te”
“Grazie, signore”
Inoltre, il medico di Corte aveva prescritto che  poteva uscire, su una sedia a rotelle, per prendere un poca d’aria, ove la temperatura fosse stata confacente, ben avvolto nelle pellicce. “Perché lo chiami signore?”
“Che mi costa essere gentile, se posso? L’ho fatto sempre, lo sai”
Lo spinsi sul sentiero battuto, la neve era stata spalata, i miei piedi erano cauti e silenziosi,  quindi arrivai alla statua.
“Ecco, qui la zarina Caterina fece montare la guardia, per il bucaneve. Vedi qualcuno in giro, Alessio?” Mi misi sui talloni, in attesa..
Scosse la testa e aprì le mani, lo sollevai, allacciò le gambe intorno ai miei fianchi snelli, le braccia sul collo, lo raccolsi contro di me, cauta e decisa, con le pellicce di martora  e zibellino e la coperta abbandonate sulla sedia a rotelle, improvvisando i passi di un ballo, senza scuoterlo troppo.
“Grazie”Disse alla fine, il respiro caldo contro il mio collo. “ Ora ti fidi. Di me e ti te“
“Sì. Ora sì, prima no, di te mi sono sempre fidata, piccolino”
“Io sempre, lo sai, no?Di me e di te”
“Ora sì, non ero pronta, scusami” lo baciai sulla fronte, distratta e tenera, il mio bambino. Il guaio era che non mi fidavo di me stessa, con lui, lui si fidava sempre.
“Non voglio tornare subito sulla sedia a rotelle” lagnoso per nascondere la commozione, mi stringeva come a non volersi mai separare.
“Vuoi stare in braccio fino poco prima di tornare, va bene, ti devi tenere stretto stretto, ti reggo con un braccio solo, con l’altro spingo, mio caro piccolo, leggiadro viziato principino”
“Sì. Catherine, grazie, quando starò meglio faremo un ballo” e si stringeva, senza misura, si sentiva al sicuro, ora come allora.
E domani, alla lunga si sarebbe fidato sempre.
 Here without you is very hard, my Prince. I need You, I hope that You are well, no pains, no sorrows.
“ Va bene, amore, in senso lato, chiaro, che sono troppo più grande di te .. per sposarti”
“Lo so.. E va bene uguale” Ironico. “Catherine, Kitty Cat, Cat, Catalina.. “ mi diede un bacio sull’angolo delle labbra, come faceva con la zarina, con le sue sorelle, affettuoso e possessivo .. Mi amava, sempre
“No, Alessio, no, mica va bene..Io non sono nessuno, non devi..” torsi il collo all’indietro, per scostarmi
“LO VOGLIO”mi interruppe, addolorato”SEI MIA”
“Non sono tua madre o una delle tue sorelle..” Parole che erano un peso sul cuore. “Non devi, Aleksej, punto e basta, non voglio io e chiudiamola qui”
 “Alla Stavka lo hai fatto” mi confutò, parlando piano “Situazione particolare e contingente, l’eccezione che fa la regola”
“A me non piace, ‘sta regola qui”brontolò. “Fai tutto a modo tuo..”
“Ma se dici che ti accontento sempre..” rettificai “ O molto spesso, deciditi” 
“Vorrei stare con te e Andres, invece che con i marinai.. fidati” mi toccava le spalle, le mani, me lo incuneai addosso.
“Perché?”
“Perché sì..” “Ottima ed esaustiva risposta..” “Sempre in giro mi prendi, uffa..”
“Ti voglio tanto bene Alessio”, avrei voluto dirglielo ma le parole restarono inceppate in gola. Parlavo tante lingue, e in quei momenti non avevo parole, pure capiva. Gli baciai le dita guantate, rimettendolo sulla sedia a rotelle, poi lo passai a un marinaio, Nagorny, sulla soglia della stanza riscaldata dei bambini, avrebbe fatto un riposino, o, almeno, lo avrebbero posato a letto per un’oretta. Prima  gli avrebbero messo un pannolone pulito, quando non si reggeva in piedi per la malattia e i postumi si poteva fare poco altro, peggio di un bebè e non era colpa di nessuno, e LUI lo detestava, più cresceva e più diventava insofferente. Al bisogno lo cambiavano anche le sue sorelle, prima, ora era cresciuto e preferiva che nessun essere di sesso femminile se ne occupasse. Sorvolando che, in ipotesi estrema lo sapevo cambiare pure io, ma più cresceva e si vergognava, come se fosse un disonore, e tanto a Mogilev avevo fatto io.


Quando Alix ci raggiunse, trovò il tavolino davanti al divano in cui riposava suo figlio con delle tazze di thé, piatti mezzi vuoti, lui che rideva, ristorato dalla mezz’ora d’aria, io con le ginocchia sul tappeto e le pieghe spumose del vestito intorno che guardavamo un atlante illustrato (a proposito, era sui Pirenei, qualche idea o suggerimento ..) Alix ci sorrise, poi annotò che aveva da fare un giro in ospedale, dopo essersi intrattenuta con lo zarevic, poi me lo passò, un segno di fiducia, distensione lo sfiorarmi una spalla, un movimento leggero, per i nostri criteri già molto, intanto puliva il viso di Alessio, sporco, di zucchero a velo, comprese che lo avrei tenuto al sicuro, sempre, per l’ennesima volta.
“NO, ancora, non voglio che mi lasci, ti prego Mamma” Mi aveva allacciato le braccia al collo, cercavo di scostarmi, e si imputava ancora di più, doveva dormire e non ero autorizzata, prenderla diretta .. Non sarebbe convenuto.  Ma Alessio conosceva i suoi polli, non so che le borbottò all’orecchio, destreggiandosi tra me e Alix .. Incongruo, mi ricordava Alexander quando supplicava nostra madre Ella per ottenere qualcosa o contrattava per non mangiare troppe verdure.
“Niente bizze, stasera ti addormenta Catherine, niente governanti o chi, va bene”Il famoso strappo alla regola, come suol dirsi, come presunta infermiera potevo gestirlo. Annotai che mi chiamava Catherine, alla francese, solo il nome senza patronimici, come sempre mi aveva chiamato Olga. Mi allontanai, per discrezione, di sicuro voleva salutarlo senza me tra i piedi.
“Va bene sì, per una volta. Ti vengo a dare la buonanotte, Sunshine, sto con te, che poi ho una cena con il tuo papà, intanto lei mangia un boccone, tu hai fatto cena, Cat no, e basta, va bene Catherine, alla francese, ma Cat.. poverina mica è un gatto..Dai,  dieci minuti.. La farai ammattire, Alessio continua e NON VIENE.. e non piangere..su, basta, viene ..“ e il suo spaniel, Joy, che gli avevo regalato io, abbaiava, se lo tirava sempre dietro, dormiva e giocava con lui, una compagnia costante, gli accarezzai il muso bianco e nero.
Un inchino, la maschera della cortigiana perfetta, davanti a Alix, il palazzo si preparava per la notte, bevvi dell’acqua, sbocconcellai del pane. Magra ero magra, gli attacchi di fame famelica per me sono stati sempre indice di gravidanza, che mai ho avuto tanto appetito, in genere. (Oddio Alessio.. anche tu non avevi mai tanto appetito.. )



Alessio pregava, il visetto rivolto contro la parete, illuminata da molte icone e candele, in genere la camera di un ragazzo aveva solo un cero davanti a una sacra immagine, lui aveva tutto quell’apparato come misura cautelare, altra idea di Rasputin, poi sorrise” Ci sei”
“Certo”Poi”Stasera non vuoi storie, vero”Un vigoroso cenno di diniego.
 

“Non mi importa. Va bene se rimani qui”

Ancora: “Quando starò meglio, mi porti in giro? Con te. Con Andrej. Sarò bravo, darò sempre retta, a Te, fidati” Contrattando, svelto e furbo.
“Vediamo. Ora no, Alessio, ti direi una balla per farti contento. Ora non subito, capiamoci, caro il mio zarevic. Faremo un falò, passeggiate nei boschi, picnic, prendendo il sole.. ti piace?” Annuì.
“Subito nulla?”
“Vediamo, ti ripeto. Metti la testa sul mio avambraccio, fatti stringere”Lo cinsi con un braccio, l’altro occupato dalla sua testolina, gli diedi un bacio sulla fronte.
“Sicura sicura?” oddio, entrava in modalità ansiosa.
“Vediamo, terza volta che lo dico,ultimo avviso, poi mi arrabbio,”Come diceva Olga a me, a proposito..”Ed ora cerca di riposare. Qualcosa facciamo, chiudi gli occhi, riposati, ti prego, Alexei, fallo per me, sono stanca, qualche minuto, tanto hai detto tutte le preghiere”
“Sì e sì”.
“Notte, zarevic”.
“Notte, Cat, resta qui”
“Non ti lascio”
“Lo so.. ora dormo, o ci provo” mi baciò sulla fronte, ironico e tenero, rannicchiato senza fallo. Badai a non premere sui suoi arti .. esserci persi e ritrovati sul filo di lana, un sottile rasoio modificava la distanza, lo avevo tenuto in braccio per ore quando aveva avuto quell’ultima crisi... Aveva imparato che lo amavo, nei fatti, e avrei preferito che non fosse successo, se soffriva, per me era uno stillicidio.
E mi prese in parola, quando Alix tornò verso le undici, per un controllo, non ebbe cuore di allontanarmi,  mi si era stretto addosso come una foglia di vite, ricambiato, peraltro, il respiro regolare e le guance rosate sotto le candele, mi ero tolta il busto, quindi stavo bene, senza impicci. E non l’avrei lasciato.
 

“Spero che non ti venga il mal di schiena”

“Spero di no, e tanto non mi importerebbe” ed era vero, i dolori che avevo sofferto alla schiena erano nulla, in confronto. Posai un bacio sulla fronte di Alessio, per riflesso, rimanendo basita di come si serrasse addosso anche nel sonno, ormai si era abituato, di nuovo e da capo, ed erano ben state poche le volte, che avevano dormito insieme, da quando era piccolo.
“Si sveglia alle sette. In genere” Una pausa”Cerca di riposare, pure tu. “ tracciò il segno della croce, una benedizione, sulla mia fronte, come su quella di suo figlio, ripeto, per amore di lui trovavamo un modus vivendi, per non urtarci a vicenda. “Starò attenta, a non premere” sistemai il ragazzino per farlo stare sdraiato con agio.
“Buona notte, principessa, alla fine è come le sue sorelle, Olga e Tata, ti infilavi nella loro stanza e stavate insieme tutta la notte”
“Lo sapevate?”Allibita. E mi aveva chiamato principessa e non Madame, annotai.
Si mise a ridere del mio sbalordimento, di cuore, senza nessun intento di ironica presa di giro“ Sempre, tutte le volte?Non ti offendere se rido, hai fatto una faccia.. Una volta, due va bene, ma ogni volta.. Troppe coincidenze, ma eravate bambine, perché togliervi un divertimento innocuo.”sottovoce.
“Buonanotte Maestà imperiale” un tono ancora più basso.



“Contento? Ho dormito qui tutta la notte, mi concedi di lavarmi in privacy, Alessio Nicolaevich, mentre tu fai altrettanto, guarda, abbiamo Deverenko e tua mamma, venti minuti” Mi tirai in piedi, mi si era stretto addosso, e ricambiavo, che quella mattina ne era successa una..
“Ehi, che diamine prendi a gomitate.” Annaspando, dove ero?Chi mi era addosso.. per poco non gli avevo tirato una spinta, per riflesso lo avevo serrato, ansimando di paura, non potevo farlo cadere “ Alessio, che è successo? Tesoro, che hai, ti ho fatto male?Mi metto sulla poltrona, ho sbagliato..“toccandogli i capelli
“Ho avuto un incubo..”respirava forte, come dopo una lunga corsa, il palmo contro la mia spalla. “Gemiti e .. come quelli degli ospedali, e il puzzo.. era tutto nero, Catherine, non mi svegliavo e..era brutto, bruttissimo NON MI LASCIARE” lo  avevo cullato per un pezzo, sussurrando mille scemenze affettuose, si era calmato, come me, sterno su sterno, le braccia allacciate, stai tranquillo, tranquillo, se succede qualcosa la passiamo insieme, scusami, ero preoccupata di averti fatto male, no..tesoro, hai il pannolone fradicio, ti posso cambiare io o… Va bene, faccio io, tranquillo, non chiamo nessuno, non ti lascio, ora.. proviamo a chiudere gli occhi. Aleksey, Baby, Little One, Alyosha.. Alexis..Tesoro. Fatti cambiare.
Volle fare colazione in braccio a me, non mi mollava, tranne che alla fine, che aveva una visita medica e io un impegno con le sue sorelle, facendomi promettere che sarei tornata per pranzo.
Alla fine, pure noi eravamo diventati una squadra.
 
   
 
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