Capitolo 15: Hand of sorrow
So many dreams were broken and so much was sacrificed
Was it worth the ones we loved and had to leave
behind?
So many years have past, who
are the noble and the wise?
Will all our sins be justified?
(“Hand of sorrow” – Within Temptation)
Dopo
la sosta a Roma per il banchetto con i Borgia, il viaggio del Re francese e
della sua scorta era continuato senza ulteriori interruzioni. Il sovrano per
via delle cattive condizioni di salute viaggiava in una carrozza coperta in
compagnia del dottore che lo assisteva, ma più di una volta anche il Principe
Alfonso, apparso troppo debole per cavalcare, si era dovuto adattare allo
stesso mezzo di trasporto.
Non
era affatto facile per lui.
Quando
era lì, Re Carlo continuava a bersagliarlo con frecciate e battute cattive,
spaventandolo a morte, tanto che spesso il giovane Principe preferiva fingersi
addormentato per non doverlo ascoltare e, spesso, era tanto debole e affranto
che finiva per dormire veramente.
Il
viaggio era durato più a lungo del previsto poiché il Generale, consapevole
della salute precaria del Re e della condizione dei suoi uomini, aveva
preferito evitare qualsiasi occasione di conflitto con le truppe italiane e
spostarsi lungo una via più agevole e meno faticosa. Avevano pertanto
attraversato la repubblica di Genova per poi percorrere le strade sicure del
Ducato di Savoia, assoggettato alla corona francese, fino a giungere in
Provenza, cinque mesi dopo la partenza dal Regno di Napoli.
Arrivati
in Provenza, il clima mite e il profumo del mare e dei campi di lavanda avevano
risvegliato il Principe Alfonso dal suo torpore e dalla sua malinconia e il
giovane aveva iniziato a sbirciare curioso dalle tende della carrozza.
“Siamo
lieti di constatare che ti senti meglio, caro Principe” lo aveva sbeffeggiato
Re Carlo, vedendolo più vivace. “A quanto pare l’aria di Francia è benefica
anche per te.”
Alfonso,
che aveva imparato a considerare qualsiasi frase del sovrano francese una
minaccia inespressa, si era rabbuiato; tuttavia l’attrazione per il panorama
che poteva ammirare fuori era stata più forte della sua paura.
“Mi
piacerebbe continuare il viaggio a cavallo, invece che in questa carrozza
chiusa” mormorò, sentendo un grande bisogno di respirare aria fresca e salubre
dopo tanti mesi.
“Mio
Principe, forse non siete ancora in grado di cavalcare” lo ammonì il dottore,
preoccupato. “Siete molto debole…”
“E
noi non vorremmo mai che gli Aragona di Spagna potessero accusarci di aver
fatto qualcosa di male al loro prezioso principino, non è così, dottore?”
domandò, caustico, Sua Maestà.
“Ma
io…” Alfonso avrebbe voluto insistere, ma sapeva ormai per esperienza che
sarebbe stato inutile e, forse, anche dannoso. Chinò il capo tristemente e
scostò ancora un po’ le tende per riuscire a vedere almeno una piccola parte
del paesaggio e dimenticare la triste situazione nella quale si trovava. In
realtà sperava di scorgere anche il Generale: era sicuro che, se lo avesse
chiesto a lui, avrebbe trovato il modo per farlo uscire da quella carrozza. Il
comandante francese procedeva a cavallo in testa alle truppe, mentre la loro
carrozza si trovava nel mezzo, per essere meglio protetta, ma spesso capitava
che il militare si soffermasse accanto a loro per avere notizie del suo
sovrano… e del Principe Alfonso.
Re
Carlo, tuttavia, la sapeva lunga e si accorse ben presto del fatto che il
ragazzo si affacciava alla carrozza non soltanto per ammirare il paesaggio, ma
anche per cercare di vedere il Generale.
“Chi
stai cercando, piccolo guastafeste? Non hai ancora capito che il Generale è al nostro servizio e non certo al tuo?” gli
disse, maligno. “Tu sei soltanto il giocattolo che gli abbiamo regalato per i
servigi che ha sempre reso alla nostra regale persona e troviamo alquanto
fastidiosa la tua presunzione di poter imporre la tua autorità su di lui.
Ricordalo bene, caro Principe, qui tu non hai alcuna autorità. O forse dovremmo
rinfrescarti la memoria in qualche
modo?”
Il
Principe trasalì, spaventato.
“No,
no, vi prego, io non pretendo niente dal vostro Generale!” esclamò, in tono
angosciato. “Speravo soltanto di vederlo per… ma non importa.”
Sconfitto,
Alfonso si rimise seduto al suo posto, con lo sguardo basso e dimenticando
qualsiasi attrattiva per il panorama all’esterno. Il sovrano francese, però,
non era uno sciocco e si rese subito conto del fatto che, almeno questa volta,
l’abbattimento del Principe non era tanto dovuto alle sue minacce, bensì a
qualcosa di più profondo…
Che
diamine, poteva essere che quel mocciosetto insolente
e presuntuoso avesse finito per affezionarsi veramente al suo Generale?
Re
Carlo pensò che questa eventualità avrebbe portato qualcosa di nuovo e
divertente nella sua esistenza ultimamente tanto noiosa e monotona: da quando
era stato costretto a lasciare il Regno di Napoli non aveva più provato il
brivido della sfida, la bramosia dell’azione, della guerra… non che fosse poi
tutta questa emozione osservare il Principe Alfonso e cercare di decifrare i
suoi sentimenti, ma era pur meglio di niente.
Il
viaggio proseguì verso nord-ovest per raggiungere la meta, la residenza reale
di Amboise. Tuttavia, la parte finale di quell’interminabile tragitto riuscì
più piacevole per il giovane Principe e proprio grazie all’intervento del
Generale.
Durante
una sosta per permettere ai cavalli di riposare e agli uomini di rinfrescarsi e
mangiare, il comandante francese si accorse che, se il suo sovrano pareva
essersi ripreso piuttosto bene da quando era rientrato in patria, al contrario
Alfonso appariva ogni giorno più malinconico e fragile. Non mangiava quasi più
niente e trascorreva troppe ore perduto in un torpore che non era certo normale
per un ragazzo come lui. Preoccupato, il Generale gli si sedette accanto.
“Principe,
stai bene? Questo viaggio è forse troppo faticoso per te?” gli domandò.
“Sto
bene, vi ringrazio, non siate in pensiero per me, mio signore” mormorò il
giovane in risposta, ma il suo viso pallidissimo e le profonde occhiaie
raccontavano tutta un’altra storia.
“Devi
farti forza, so che è stato un percorso lungo e spossante per tutti noi, ma
ormai mancano poco più di due settimane e poi giungeremo alla reggia di
Amboise” lo incoraggiò l’uomo.
Alfonso
chinò ancora di più il capo e non rispose: era evidente che non si aspettava
alcun miglioramento dall’arrivo alla residenza reale.
“Temi
forse che Sua Maestà decida di imprigionarti o peggio quando sarà giunto nel
suo castello? Forse ti ha detto qualcosa che ti ha spaventato? Non devi
preoccuparti, Principe. Sua Maestà ti ha posto sotto la mia custodia e io mi
prenderò cura di te: quando arriveremo a corte, dirò davanti a tutti che tu sei
il mio amante, che mi appartieni e che nessuno deve nemmeno pensare di torcerti
un capello” promise il militare, senza accorgersi che Alfonso era rimasto
sconcertato all’idea di essere presentato davanti alla corte francese come amante di quell’uomo. “Il sovrano può
divertirsi a tormentarti a parole, ma in fondo è un uomo astuto e sa che non
gli sarebbe di alcuna utilità nuocere a un membro della casata aragonese.
Ricordi cosa dissero Giovanni e Caterina Sforza? La Spagna ci è nemica e non
attende altro che un pretesto qualunque per muoverci guerra; a quel punto molti
principi italiani sarebbero ben lieti di unire le loro truppe a quelle spagnole
e, in questo momento, la guerra è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Sua
Maestà non lo ammetterà mai, ma tu sei un ostaggio molto prezioso per lui.”
Vedendo
che il Principe rimaneva cupo e abbattuto, il Generale gli passò un braccio
attorno alle spalle e lo attirò a sé.
“Non
posso impedire che Sua Maestà ti terrorizzi con le sue minacce, ma posso
prometterti che a corte sarai trattato come si conviene a un Principe e che ti
proteggerò da ogni pericolo” dichiarò solennemente prima di baciarlo e
stringerlo a sé. In quei giorni di viaggio aveva avuto poche occasioni di
vederlo e aveva compreso sempre di più quanto la sua mancanza lo addolorasse e
quanto avesse bisogno della compagnia di quel ragazzo.
“E
cosa te ne pare della Francia, Principe?” chiese poi, cambiando argomento per
distrarlo dai pensieri tristi. “Non credi che sia all’altezza del Regno di
Napoli, se non addirittura ancora più bella?”
“Non
lo so” rispose Alfonso, debolmente. “Non ho avuto occasione di vedere molto,
sono sempre stato chiuso in carrozza e… il dottore pensa che io sia troppo
fragile per cavalcare.”
Il
Generale sorrise e scompigliò affettuosamente i capelli del giovane.
“Allora
il problema è facilmente risolvibile” gli disse, “ti porterò con me sulla mia
cavalcatura, così non ti stancherai e potrai ammirare tutti i bei posti per i
quali passeremo.”
Per
la prima volta dopo tanto tempo una piccola luce parve illuminare lo sguardo
solitamente spento e angosciato del Principe.
“Ma
Sua Maestà vi darebbe il permesso?”
“Non
vedo perché non dovrebbe. Mi assumerò io ogni responsabilità e non credo
proprio che tenterai la fuga o qualche altra sciocchezza del genere” replicò il
Generale, soddisfatto di aver trovato una soluzione che avrebbe reso meno
infelice il suo Principe.
“E
dove volete che vada?” commentò Alfonso, con un tono talmente rassegnato da
apparire involontariamente comico.
Il
comandante francese non perse tempo e si recò subito al padiglione del Re per
domandargli il permesso di portare il Principe a cavallo con sé per il resto
del percorso.
Re
Carlo squadrò attentamente il suo Generale, valutando la richiesta e
sghignazzando tra sé.
“Non
puoi proprio stare lontano da quel ragazzetto insulso, eh?” lo schernì.
“Tuttavia in questi giorni abbiamo avuto modo di notare che, se tu soffri la
mancanza del Principe, il piccolo bastardo non è da meno. E sia, portalo con
te! Così non dovremo sopportare la sua fastidiosa presenza nella nostra
carrozza…”
Il
Generale ringraziò cerimoniosamente il suo Sire, si inchinò per congedarsi e
andò a portare la buona notizia ad Alfonso. Il giovane Principe non aveva osato
sperare che Re Carlo potesse acconsentire, riteneva piuttosto che avrebbe
negato il permesso al Generale anche soltanto per fare un dispetto a lui. Questa
volta il viso gli s’illuminò davvero per il sollievo e la gioia di poter
vedere, finalmente, qualcosa del nuovo mondo che lo circondava… non poteva
saperlo né comprenderlo, ma nel profondo del cuore era felice anche di
ritrovarsi accanto all’uomo che sempre lo difendeva, lo incoraggiava e si
prendeva cura di lui e di cui non sapeva più fare a meno.
Dopo
la sosta, quando la carrozza reale ripartì insieme a tutta la scorta, il
Generale si portò in testa al drappello con Alfonso sul suo cavallo, stretto a
lui, che si guardava intorno con occhi sgranati, godendosi l’aria pulita e fresca
e il fascino di territori che non aveva mai nemmeno immaginato. Del resto, il
giovane Principe non era mai uscito dal Regno di Napoli in tutta la sua vita!
Re
Carlo rimase in carrozza da solo con il dottore, che appariva molto in ansia
per il giovane Principe.
“Non
darti pena, buon dottore” gli disse il sovrano. “Il tuo amato Principe è in
buone mani con il Generale e siamo certi che si riprenderà presto, stando
accanto a lui. Non avremmo mai creduto di doverlo dire ma, a quanto pare, anche
il ragazzino ha perso la testa per il nostro comandante!”
Il
dottore si scandalizzò sentendo il Re che parlava così tranquillamente di
qualcosa che per lui era inimmaginabile.
“Vostra
Maestà, ma… forse c’è un equivoco” mormorò. “Il Principe Alfonso è giovane e
ingenuo e di certo non può avere pensieri simili…”
“Se
non li ha ancora, ci penserà il Generale a farglieli venire!” ribatté ironico
il sovrano, scoppiando in una grassa risata di fronte al volto ancora più
allibito del medico.
In
realtà il rapporto che si stava creando tra il suo Generale e il Principe non
gli dispiaceva. Inizialmente aveva pensato che il ragazzino fosse solo un abile
manipolatore e che usasse il suo fascino per irretire il militare e sfruttarlo
per i suoi scopi; non si fidava di Alfonso dopo l’episodio della febbre
napoletana e gli veniva spontaneo pensare sempre il peggio di lui. Tuttavia in
quei lunghi giorni trascorsi in carrozza a continuo contatto con il Principe
aveva iniziato a vederlo con altri occhi e adesso riteneva che non fosse altro
che uno sciocco, un incapace a cui mai e poi mai il padre Re Ferrante avrebbe
voluto davvero lasciare il Regno di Napoli. Era presuntuoso e insolente, sì, ma
alla resa dei conti era soltanto un ragazzino viziato che non avrebbe saputo
ordire una congiura o tramare un inganno nemmeno se ci avesse messo tutta la
vita. Adesso era compiaciuto del fatto che il suo Generale gli avesse
consigliato di risparmiargli la vita e di tenerlo come ostaggio: ucciderlo
avrebbe scatenato l’ira della casata aragonese mentre, tutto sommato, averlo
come prigioniero di alto rango non comportava alcun fastidio, Alfonso era
troppo inetto per costituire un pericolo e il suo legame così stretto con il
Generale lo rendeva, suo malgrado, ancora più utile alla causa francese. Fra
tanti nemici e incapace di cavarsela da solo, il giovane Principe aragonese
sarebbe diventato sempre più dipendente dal comandante francese e questo, per
Re Carlo, era molto positivo. Sì, era stato saggio frenare il desiderio di
vendetta e approfittare dei vantaggi di avere un ostaggio così prezioso.
Due
settimane dopo, finalmente, il Re e il suo seguito fecero il loro ingresso
trionfale ad Amboise, accompagnati dalle acclamazioni del popolo che si era
riunito per veder passare il sovrano. Re Carlo, tutto sommato, tornava da
vincitore: aveva strappato il Regno di Napoli agli aragonesi, aveva preso
prigioniero l’erede del Re di Napoli e non era mai stato sconfitto in
battaglia. La sua spedizione in Italia aveva, inoltre, dimostrato che quella
era una terra facile da conquistare, divisa in tanti piccoli Stati troppo
impegnati a farsi guerra l’un l’altro per sapersi davvero alleare contro un potente
nemico. Negli anni successivi sarebbe stato un gioco da ragazzi per i francesi
organizzare una nuova spedizione di conquista e, questa volta, ottenere il
dominio dell’intera nazione.
La
corte di Amboise era in festa ed era stato organizzato un fastoso ricevimento
per celebrare il ritorno del Re e le sue conquiste. Alfonso, da sempre
innamorato del lusso e dei piaceri della corte napoletana, rimase incantato
davanti alla bellezza del castello reale, con la sua terrazza panoramica, le
torri gotiche, le sale e le camere riccamente arredate e piene di luce e gli
immensi parchi e giardini. Guardava tutto con occhi pieni di stupore e
ammirazione e il Generale non poteva che sorridere intenerito vedendo il suo
piccolo Principe tanto affascinato.
Alfonso
partecipò al banchetto organizzato per il ritorno del sovrano e, vestito
elegantemente come il suo rango richiedeva, ebbe l’onore di sedere al tavolo
reale al fianco del Generale. Gentiluomini e dame lo fissavano con curiosità,
alcuni anche apertamente ostili, mentre bisbigliavano tra loro senza curarsi
del fatto che il Principe comprendesse benissimo che stavano parlando di lui.
Durante il banchetto, mangiando e bevendo allegramente come sempre, Re Carlo
raccontò gli episodi più divertenti e avventurosi della sua campagna in Italia,
mettendo in ridicolo i nobili e gli esponenti del clero che avevano cercato di
fermarlo o di ingannarlo senza mai riuscirci. Solo verso la fine del banchetto
si degnò di spiegare la presenza di Alfonso a corte e al tavolo reale.
“Il
moccioso che vedete qui, cari amici, è il Principe Alfonso, discendente degli
Aragona e erede al trono di Napoli… che noi, però, gli abbiamo strappato senza
alcuna difficoltà!” iniziò, scoppiando in una risata. “Era nostra intenzione
eliminarlo, ma il Generale qui presente ci consigliò saggiamente che sarebbe
stato importante avere come ostaggio un Principe della casata aragonese, per
tenere in scacco anche quei fastidiosissimi spagnoli.”
Il
sovrano fece scorrere rapidamente lo sguardo sui volti dei suoi invitati e poi,
con un ghigno malizioso, riprese a parlare.
“Il
Generale si dichiarò disposto a prendere il Principe sotto la sua
responsabilità… beh, potevamo forse rifiutare qualcosa al comandante delle
nostre truppe, sempre impavido, valoroso e pronto a morire per noi in qualunque
momento? No di certo, anzi! Dopo tanti anni di onorato servizio presso di noi
abbiamo ritenuto che meritasse una ricompensa e così, nella nostra generosità,
gli abbiamo donato il Principe suddetto. A questo punto, dunque, il Principe
Alfonso non è più soltanto un nostro prigioniero, ma è anche l’amante del comandante in capo delle
truppe francesi. Quale modo migliore per legare per sempre il suo destino alla
nostra causa?”
L’intera
tavolata scoppiò a ridere insieme al sovrano. Alcuni si complimentarono con il
Generale per l’appetibile ricompensa
ottenuta, altri fissarono il giovane Principe con freddezza e sospetto,
pensando che il ragazzo avesse irretito il Generale per poi ottenerne dei
vantaggi… nessuno, comunque, parve scandalizzato o indignato. La corte francese
aveva costumi molto liberi e non era raro che gentiluomini, dame e perfino
rappresentanti del clero avessero favoriti
e favorite anche molto più giovani di
Alfonso.
Anche
il Generale si unì all’allegria dei commensali, onorato dalle parole di elogio
del suo Sire e fiero di avere come amante un giovane Principe tanto elegante e
delicato. Sapeva che molti glielo avrebbero invidiato e provava un’immensa
gratitudine per il sovrano che aveva fatto proprio a lui un dono tanto
prezioso.
Alfonso,
al contrario, si sentì ferocemente umiliato da quella presentazione. Impallidì
e gli occhi gli si riempirono di lacrime. Re Carlo si era fatto beffe di lui
davanti ai nobili più in vista della sua corte, lo aveva ridicolizzato come
Principe dichiarando che strappargli la corona era stato un gioco da ragazzi e
anche umiliato, rivelando apertamente il suo ruolo di favorito del Generale. Non era cambiato niente da quando, a Napoli,
ogni banchetto era per il sovrano francese un’occasione per divertirsi alle sue
spalle, terrorizzarlo, minacciarlo o oltraggiarlo.
Presto
la Francia intera avrebbe saputo che il Principe Alfonso di Napoli altro non
era che un prigioniero dei francesi e il concubino
di un Generale… sarebbe stato la vergogna di tutta la casata degli Aragona! Ma
che altro poteva fare, lui? Doveva anzi essere grato a Re Carlo che lo avesse
risparmiato dalle atroci e strazianti torture a cui lo aveva destinato… Anche
quel banchetto si rivelò un incubo per il giovane Principe, il primo di una
lunga serie di umiliazioni.
Nemmeno
la lussuosa camera che era stata assegnata al Generale e che avrebbe condiviso
con lui servì a rincuorarlo: la mortificazione gli bruciava ancora dentro e
Alfonso si sentiva infinitamente solo e disperato, lontano dal suo mondo e
dalla sua patria, in mezzo a nemici e a gente che rideva di lui.
Il
Generale, tuttavia, si accorse dell’evidente tristezza di Alfonso e si sedette
accanto a lui sul letto, tirandolo verso di sé.
“Cosa
c’è, Principe? Non ti piace la camera che ci hanno assegnato? Non trovi che il
castello reale sia abbastanza lussuoso per i tuoi gusti?” gli chiese.
Il
ragazzo scosse il capo.
“E’
tutto meraviglioso, mio signore, ma io… non è cambiato niente, io sono sempre
terrorizzato, umiliato, ridicolizzato da Sua Maestà e qui… qui sono tutti dalla
sua parte, non c’è nessuno che provi pietà per me!” fu la flebile risposta del
Principe, che si sforzava di non piangere.
Il
Generale comprendeva la mortificazione del giovane, ma allo stesso tempo
desiderava che non ci pensasse e non si angustiasse così: in fondo quello era
ormai il suo destino, era in una terra straniera e in potere di un sovrano che
lo detestava. Doveva imparare a sopportare quegli oltraggi e godersi il fatto
di essere comunque trattato con tutti gli onori, vestito elegantemente,
ospitato in stanze riccamente arredate… invece della fine orribile che Re Carlo
aveva deciso per lui ormai quasi un anno prima. E, ad ogni modo, non era così
importante ciò che il Re pensava: Alfonso era condannato a morire presto per le
torture subite, che lo avevano indebolito e gli avevano avvelenato il sangue e
tutto ciò che il militare francese voleva era che trascorresse il tempo che gli
rimaneva sereno e felice al suo fianco. Lo abbracciò e si distese con lui nel
letto, iniziando a baciarlo e accarezzarlo.
“Non
sei solo, piccolo Principe, io sarò sempre con te e farò di tutto per regalarti
momenti felici” gli disse. Lo baciò sempre più profondamente, sfiorando quel
corpo giovane e delicato, quasi incredulo che tanta perfezione fosse lì per
lui; lo possedette con infinita pazienza e premura, facendo in modo che il
Principe non provasse dolore o spavento ma soltanto il piacere di un amplesso
che li univa non soltanto a livello carnale, ma sempre più come due solitudini
che si erano finalmente trovate.
Dopo
l’amore, il Generale continuò a tenere Alfonso tra le braccia e ad
accarezzargli i capelli, parlandogli con dolcezza.
“Non
so se questo può bastare a consolarti, Alfonso” gli disse, con voce bassa e
affettuosa. “Sappi, però, che io non ti lascerò mai. Ti ho salvato e protetto e
all’inizio mi sono offerto di occuparmi di te perché mi facevi tenerezza, eri
così indifeso e terrorizzato e poi… beh, sì, ero attratto da te. Ma in questi
mesi ho capito una cosa importante, e cioè che io ti amo, Alfonso. Non me ne
sono accorto subito perché non mi era mai capitato, ho dedicato tutta la mia
vita a servire il Re e a combattere e non ho mai lasciato spazio ai sentimenti,
ma da quando ti ho vicino è tutto diverso. Io ti amo davvero, Alfonso, e
l’unica cosa che desidero è averti accanto.”
Il
giovane Principe restò totalmente spiazzato da una simile dichiarazione, un’espressione
così aperta e sincera dei sentimenti che il Generale provava per lui non se la
sarebbe mai aspettata e non si era mai nemmeno posto il problema di che cosa lui provasse per quell’uomo, non ne
aveva avuto il tempo e nemmeno la voglia, con tutte le disgrazie e le
sofferenze che aveva subito. Tuttavia adesso era diverso. Ripensando al lungo
viaggio verso la Francia, ciò che gli tornava alla mente con maggior frequenza
non erano le malignità di Re Carlo o la stanchezza insopportabile, bensì il
vuoto e la desolazione che aveva provato trovandosi per la prima volta lontano
dal Generale, con poche occasioni di vederlo e di parlare con lui.
Il
Generale gli era mancato e si era
sentito più tranquillo soltanto quando lo aveva finalmente preso a cavallo con
lui e avevano proseguito insieme il tragitto.
Era
quell’uomo che lo faceva sentire meglio, che lo consolava quando era triste,
che lo proteggeva e lo incoraggiava quando era spaventato e che c’era ogni
volta che aveva bisogno di lui. Era il Generale la sua stella fissa, l’unico
punto di riferimento che gli era rimasto.
Alfonso
era troppo giovane e inesperto per comprendere davvero i suoi sentimenti. Certo
molti ragazzi alla sua età e ancora più giovani avevano già avuto esperienze
d’amore o erano addirittura sposati, ma lui non si era mai interessato di
queste cose, era stato un eterno ragazzino che si divertiva a prendersi gioco
degli ospiti del padre e a godersi i piaceri della vita di corte. Poi tutto gli
era crollato sotto i piedi e la sua vita si era trasformata in un perpetuo
incubo…
Solo
il Generale era stato la sua luce e la sua sicurezza in quei mesi terribili.
Non
sapendo cosa dire, turbato, confuso e intimidito, il giovane Principe poté
soltanto gettarsi tra le braccia del militare, affidandosi a lui e nascondendo
il viso sul suo petto.
E
quella fu la più dolce, tenera e completa dimostrazione dei suoi sentimenti che
Alfonso poteva fare al Generale. L’uomo lo comprese e, in silenzio, avvolse il
ragazzo in un abbraccio protettivo, finché un sonno tranquillo e ristoratore
non li colse entrambi.
FINE