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Autore: mistero    12/09/2017    0 recensioni
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Tra le Alpi svizzere sorge l’Albion College, una scuola speciale in cui non si entra per merito, ma per diritti ereditari. In quel luogo remoto, al centro di un’Europa multiculturale sospesa tra mito e realtà, Ariadne Penfelen e il professor Rudolph Tristan stanno per incontrare il loro destino.
«Volevo solo fare qualcosa per lei».
«Ha già fatto qualcosa per me» disse l'uomo a fatica, con una strana voce roca.
Ari represse un brivido d'incoscienza prima di sussurrare: «E se non mi sembrasse abbastanza?»
Tristan la osservava con uno sguardo sfuocato.
«C'è un'altra cosa che-» rispose poi d'impulso con quella stessa voce, afferrando la sua mano e abbassandosi ginocchioni in modo da porre il viso all'altezza del suo.
«Di' il mio nome».
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non voleva vedere nessuno.
A Caroline avrebbe scritto dopo il suo diploma per spiegarle, con Mark era meglio non parlasse. Non voleva vedere nessuno dei suoi professori, a cui non avrebbe potuto comunque fornire spiegazioni; e soprattutto non voleva vedere lui.
Le avrebbe solo fatto più male.
Non erano passate le sei, il sole brillava ancora, più basso, e Ariadne era ferma con le sue due valigie alla pensilina dell'autobus per St. Michel a fare esercizi di concentrazione.
Non pensare a niente... un respiro... la notte... un respiro... la nebbia...
Non riuscì a continuare perché un rumore di passi si intrufolò nel suo perfetto vuoto.
Aprì gli occhi. Per un attimo non fu sicura di averlo fatto, perché il sole la accecò e vide solo uno schermo bianco da cui emergeva velocemente l'immagine di un uomo a cui a aveva pensato fin troppo nelle ultime settimane.
Quando si accorse che lui stava correndo però capì che non lo stava immaginando.
Lo guardò raggiungerla e appoggiarsi al palo della fermata, il fiato grosso.
Non aveva nemmeno un cappotto, solo il suo solito tweed.
«Penfelen» disse, trafelato. «Che cosa si è messa in testa?»
Riusciva a muovere rimproveri acidi anche mentre era ancora affannato per la corsa.
Ariadne non poté evitare di sorridere mestamente. «Niente, signore. Vado solo via».
«Così mi è stato appena riferito dalla signorina Flannagan, che mi ha anche detto che nella sua lettera non ha fornito spiegazioni» ribatté Tristan con asprezza.
«Infatti è così, signore».
Ari lasciò alla sua replica laconica il compito di fargli capire che non aveva intenzione di fornirne nemmeno a lui.
«Signorina, non faccia sciocchezze. Non è ancora stato vidimato niente, può tornare indietro. Ne va del suo futuro».
Per tutta risposta Ariadne sollevò una delle due borse e lo guardò intensamente.
«Signore, sta arrivando il mio bus».
Un brutto modo per dire addio.
«Non salga su quell'autobus!»
«Mi scusi, signore, ma lei ha smesso di essere il mio professore un paio d'ore fa, e non ha più il diritto di dirmi cosa devo fare».
Tristan lanciò uno sguardo al pullman in arrivo e «Per favore, signorina. Io- mi ascolti: la porto io alla stazione. Mi dia il tempo del tragitto. Se una volta arrivati a St. Michel vorrà ancora partire non dirò più una parola» annunciò serio.
Ariadne non sapeva cosa fare. Non si sarebbe mai aspettata che Tristan arrivasse a pregarla.
E ora... voleva passare qualche altro minuto con lui, anche se immaginava che sul lungo periodo le avrebbe fatto solo peggio; voleva abbracciarlo per essere corso lì, voleva scappare per non dovergli dire che aveva tradito la sua fiducia...
Alla fine fu la loro incapacità di staccare gli occhi l'una dall'altro che decise per loro.
L'autobus frenò, ma poi, non vendendoli muoversi, li superò senza nemmeno aprire le portiere.
«Mi aspetti qui. Vado a prendere una macchina» disse il professore.

Tornò qualche minuto dopo al volante della Porsche 356 che nessuno degli studenti voleva mai guidare perché rischiava di ingolfarsi ad ogni partenza.
Ariadne si chiese se l'avesse scelta apposta per provare a farle perdere il treno e la coincidenza per l'aeroporto; ma poi, mentre saliva in auto e con la coda dell'occhio lo guardava caricare rigidamente le sue valigie, si disse che quell'uomo avrebbe potuto discutere con lei per ore fino a convincerla o averla vinta per sfinimento, ma non sarebbe mai stato così manipolatorio.
Tristan salì in macchina e aspettò di mettere in moto prima d'iniziare a parlare.
«Per prima cosa, Ariadne, mi dica che non è per colpa mia che se ne sta andando».
Teneva gli occhi fissi sulla strada.
Ari invece studiava il suo profilo. Misurò le parole.
«No, signore. Non nel senso in cui pensa, almeno».
«E in quale senso, allora?» la incalzò lui.
«Preferirei non spiegarglielo, signore».
Tristan emise un espiro esasperato.
«Senta, allora mi ascolti e basta. Resti. Non può rinunciare al diploma proprio adesso che è quasi in fondo. Si chiuderebbe dietro troppe porte. E poi pensi alla sua famiglia. Non crede che i suoi genitori sarebbero delusi se non si diplomasse? Metterebbe in discussione non solo il suo futuro, ma anche il loro. So che dopo il diploma è in programma il matrimonio», strinse convulsamente le mani sul volante mentre lo diceva, ma lo disse, «con mio cugino, che farebbe tornare a galla l'attività di suo padre. Per quanto io disapprovi il mercantilismo di tutta l'operazione» continuò a labbra strette «mi pare che fra lei e Mark le cose procedano sufficientemente bene. Comprometterà tutto se non si diploma. Mi creda, io conosco la famiglia Cornwall: il rischio è concreto. Gormond- suo padre, voglio dire, avrebbe forse potuto trovare una soluzione migliore e tenere fuori lei. Ma a questo punto, da quel che capisco, se non sposa quel ragazzo la sua famiglia potrebbe non riprendersi per molti anni. Di padre ce n'è uno solo, Ariadne, e per quanto possa sbagliarsi e ci possa far arrabbiare se manchiamo di aiutarlo lo rimpiangiamo per il resto della vita» concluse con il tono più amaro che Ariadne gli avesse mai sentito.
La ragazza si avventurò a posargli una mano sul braccio, distinguendo la ruvidezza del tessuto sotto le dita.
«Signore, apprezzo davvero quello che sta provando a fare. Ma» proseguì Ari dopo un respiro «ho già preso la mia decisione. La mia famiglia starà bene. Tutti quelli a cui tengo di più staranno bene».
Tristan lanciò uno sguardo alla mano delicata di lei sulla sua giacca e poi disse: «Non vuole tornare per sé, non vuole tornare per la sua famiglia... è così sicura che non avrà rimpianti?»
«Io...»
Tristan avvertì la leggera stretta della mano e intuì dal respiro più laborioso che gli occhi di Ariadne si stavano inumidendo.
La braccò con le parole come un lupo che annusa la vittoria.
«Ascolti: so che non vuole più vedermi, è stata... molto chiara. Ma se le è rimasta un po' di stima per quello che le ho insegnato in questi anni e per il lavoro che abbiamo fatto assieme nelle ultime settimane, torni a scuola. Sono solo pochi mesi. Torni per me. Non mi deluda. Lasci che la riporti indietro».
«Non posso, signore».
«Ma perché?!» chiese Tristan con una stizza che parlava di disperazione. Gli sembrava di avercela fatta, di averla convinta. E invece lei lasciava che il vento passasse e poi si raddrizzava, senza spostarsi di un millimetro.
La mano volò via dal suo braccio. «Non insista, signore, non me lo chieda».
Tristan parcheggiò facendo stridere le gomme sul piazzale della stazione.
Si voltò verso di lei e tentò la sua ultima carta.
«È un peccato, Penfelen» si costrinse a dire con il suo miglior tono gelido. «Non la credevo il tipo di persona che scappa dalle sue responsabilità. Sono molto deluso».
Ari iniziò a piangere sul serio.
Rivide la scena di poche ore prima, i modi melliflui del dottor Shiller e i suoi occhi astuti.
Lo riascoltò dirle che aveva saputo del suo innovativo metodo di ricerca per attivare il patrimonio genetico dei cavalieri e che era molto ammirato ma che, sfortunatamente, la sua ditta farmaceutica si stava occupando di produrre uno sbloccante chimico che facesse proprio la medesima cosa e che quindi, se lei avesse avuto successo, lo avrebbe messo in una posizione scomoda.
“In poche parole, mia cara Ariadne, perderei parecchi soldi”.
Le aveva detto di sapere che “il nostro beneamato Tristan, che per parte sua, vista la sua posizione retrograda, non è un problema” l'aveva aiutata e che, a meno che lei non avesse accettato di lasciare l'Albion e giurato di non rivelare mai a nessuno la sua scoperta, qualcuno avrebbe potuto insinuare davanti al Maggior Consiglio che ci fosse stato qualcosa di illecito fra lei ed il professore.
Le aveva fatto capire con un sorriso di disprezzo che non dubitava "dell'onore di Tristan" ma che nonostante questo non gli sarebbe stato difficile trovare qualcuno che fornisse una falsa testimonianza in tal senso, visto “il vasto affetto di cui gode all'Albion il nostro comune amico”; e aveva precisato che il Consiglio non sarebbe stato troppo difficile da convincere, tenendo in considerazione quali erano le loro rispettive ascendenze familiari.
“Oh, e se è preoccupata per il pressoché certo annullamento del suo matrimonio con il giovane Cornwall si tranquillizzi, cara: a meno che lei non sia veramente innamorata del ragazzo non ci saranno problemi né per lei né per la sua famiglia. Ho già sondato le acque e suo padre è più che favorevole ad accettare la mia offerta e diventare mio partner d'affari. È abbastanza disperato da non sentire il bisogno di fare troppe domande. La sua famiglia si sistemerà meglio che se avesse effettivamente concluso l'unione con i Cornwall, glielo garantisco”.
Il professore aveva ragione, in un certo senso. Nemmeno lui sapeva quanto. Ariadne aveva accettato di custodire l'ennesimo segreto e aveva lasciato Mark e tutti i membri, attuali e futuri, della Confraternita del Ferro al loro destino.
Ma il fatto che Tristan fosse venuto a cercarla cambiava le sue carte. Era tutto l'anno che Ariadne cercava di tenere le cose insieme, fra un segreto e l'altro, senza riuscirci.
Adesso basta. Lui era la sua ultima possibilità di redenzione, senza la quale era impossibile armonizzare, dare senso al resto. Si era occupata di lui, di cui forse stava per perdere definitivamente la stima; si era occupata della sua famiglia, anche se li avrebbe delusi tutti lasciando la scuola. Mancava Mark. Anche se sapeva che lui l'avrebbe comunque odiata.
Erano pegni da pagare per uscire dalla ragnatela di segreti, potere e ipocrisie dell'Albion in cui anche lei era rimasta impigliata. Era così: se volevi rimanere dovevi essere disposto a tutto. Lei non ce l'aveva fatta.
E adesso voleva solo salutare Tristan. Voleva solo che lui la guardasse andar via per come era, debolezze e coraggio, vera.
Voleva solo guardarlo e portare con sé l'immagine migliore di come l'Albion avrebbe potuto essere.
«Fa bene ad essere deluso, signore. Ho infranto la promessa che le avevo fatto. Ho parlato del nostro lavoro».
Tristan si mosse e aprì la bocca, forse per chiedere spiegazioni, forse per recriminare, ma Ariadne non lo lasciò iniziare. Non ce l'avrebbe fatta a sentirsi spiegare nel dettaglio quanto l'avesse effettivamente deluso.
«Qualcuno di importante, non posso dirle chi, ma sono sicura che non le sarà difficile scoprirlo, ha usato degli argomenti molto persuasivi per convincermi a tenere congelata e segreta la nostra ricerca e mi ha calorosamente invitata a lasciare al più presto la scuola» disse in fretta. «Me ne vado per mio volere nel tentativo di salvare il salvabile. E... a proposito di salvare, signore, una volta mi ha chiesto del club di scherma. Be'... per favore, lo tenga d'occhio. Glielo chiedo come un ultimo piacere personale».
Se Tristan era sorpreso da quella richiesta non lo diede a vedere. Ma era infuriato con lei, Ariadne lo sentiva. Non fece commenti, non fece altre domande; non la guardava, aveva la testa bassa e le mani strette a pugno.
Gli sfiorò di nuovo la manica della giacca e disse dolcemente: «Adesso devo andare».
Tristan sollevò lo sguardo come se se ne fosse dimenticato. Senza aggiungere altro aprì la portiera e scaricò le sue valigie. Ariadne fece il giro della macchina fino ad arrivargli davanti.
Il sole stava tramontando e la luce rossa faceva sembrare le strade d'asfalto un mare di sangue.
La macchina, lucida, scura, era un'antica barca che beccheggiava lenta.
«Allora arrivederci, signore».
Adesso che era il momento Ariadne non era sicura di avere il coraggio. Le si era stretta la gola e i piedi sembravano fatti di piombo.
«Ci vediamo al suo matrimonio, se ci sarà» rispose ruvidamente il professore, le mani ancora chiuse a pugno.
Ariadne era sorpresa. Pensava che lui avesse capito. Si schiarì la voce.
«Non ci sarà nessun matrimonio. Sto andando dai miei parenti in Irlanda per studiare musica lì, almeno per qualche tempo».
Inclinò la testa. «Non ho mai voluto sposare Mark. Non lo sai?»
Era la prima volta che usava quel tono intimo con Tristan. Finalmente l'uomo la guardò.
Mormorò come se non si rendesse conto di star pronunciando le parole ad alta voce «Almeno t'avrei vista...» e poi di scatto fece un passo avanti e l'abbracciò.
La serrò a sé e affondò per la prima e forse ultima volta il naso nei suoi capelli biondi.
Sentiva le mani di lei allacciate alla schiena che lo stringevano e il pulsare furioso della tempia contro la sua guancia.
Le avvicinò le labbra all'orecchio e disse, con la stessa voce roca del giorno in cui le aveva chiesto di ripetere il suo nome: «Non è vero che mi hai deluso».
Ariadne avvertì con un nodo in gola anche la parole che lui non aveva pronunciato. Mi sei mancata. Mi mancherai.
Lo strinse forte. Profumava di tè, di lana calda, di un dopobarba con degli accenti lignei e dell'odore dei fogli bianchi che usava per i suoi calcoli.
Non si sentiva pronta a lasciarlo andare.
Fu Tristan a farla indietreggiare e a staccare le mani da lei.
«Faccia buon viaggio».
Si stava già piegando per rientrare in macchina quando la voce di Ariadne lo fermò.
«Rudolph».
Si voltò lentamente. La ragazza si riavvicinò e gli posò una mano su una guancia. Tristan sembrò sul punto di allontanarla.
«Rudolph» ripeté lei sollevandosi in punta di piedi. Lui sospese ogni movimento.
«Dw i'n ty garu di, fy blaidd» gli sussurrò Ariadne.
Lui non chiese cosa significasse. Si accontentò di guardarla e di chiudere gli occhi quando lei gli posò un bacio all'angolo delle labbra.
Non rientrò in macchina. La osservò allontanarsi contro il sole che tramontava, appoggiato alla macchina calda, e quando lei si girò un'ultima volta alzò in segno d'addio un braccio che somigliava a una spada affilata.



--
Nota dell'autrice
E così eccoci qua, alla fine di tutto.
Non so quanto abbiate capito, non so se vi abbia appassionato una storia senza smut, non so nemmeno se vi abbia incuriosito il mondo dell'Albion, non so nulla. L'unica certezza è che io ho amato stare con Tristan per qualche giorno, quando, tempo fa, ho scritto questa cosa, e che sono grata ai pochi pazzi coraggiosi che sono arrivati a leggere la conclusione.
Anche se silenziosi siete importanti.
Grazie.
mist
  
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