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Autore: Roscoe24    12/09/2017    5 recensioni
“Ahi,” si lamentò, toccandosi la fronte. Ci sarebbe spuntato un bel bernoccolo, se lo sentiva.
“Oh santi numi!” sentì esclamare e poi di nuovo il botto metallico dello sportello che veniva chiuso. Alec aveva ancora le mani sulla fronte, quindi non poteva vedere chi fosse il suo interlocutore. La verità era che si stava vergognando così tanto di essersi comportato come un tale imbranato che non aveva il coraggio di togliersi le mani dal viso.
“Ehi, là sotto. Tutto bene?” lo sconosciuto appoggiò le mani sui polsi di Alec, il quale percepì il tocco caldo contro la sua pelle. Curioso, si liberò la faccia.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Settembre era sempre stato un bel mese, per Alec.
Gli piaceva camminare per strada e vedere come le foglie degli alberi cominciavano a cambiare colore, ingiallendosi un poco. E trovava piacevole sentire la temperatura che si abbassava giorno dopo giorno, salutando la calura estiva per dare il benvenuto alla temperatura autunnale. La verità era che lui preferiva le stagioni fredde, a quelle calde. Era più il tipo da piumone, cioccolata calda e libro aperto sulle ginocchia, che da costume, spiaggia e feste nelle quali avrebbe finito per sedersi nel posto più isolato possibile – finendo sempre per essere l’unico sobrio e, di conseguenza, accollarsi il compito di baby-sitter della serata. Aveva perso il conto delle volte in cui si era dovuto caricare Jace in spalla per riportarlo a casa tutto intero.
Se qualcuno dice tranquillo, lo reggo benissimo l’alcol, quel qualcuno mente. E Jace aveva mentito così tante di quelle volte che Alec si stupiva non avesse ancora capito che, evidentemente, la sua soglia alcolica era più bassa di quella che credeva. Aveva persino smesso di contare le volte in cui, in preda all’ebbrezza alcolica, suo fratello aveva finito per dare spettacolo esibendosi in striptease che lui reputava sexy, ma che agli occhi esterni risultavano scoordinati e un tantino imbarazzanti. Se non fosse stato per tutta l’abbondanza che nascondeva sotto la maglietta, nessuna ragazza l’avrebbe mai preso in considerazione. Ma la storia era sempre la stessa: finivano tutte con il ridacchiare, dandosi gomitate e commentando quanto fossero perfetti gli addominali di Jace Lightwood, l’attraente biondino dai magnetici occhi bicromatici. E non poteva dare torto a nessuna di quelle ragazze. Per un periodo della sua vita anche lui era stato attratto da Jace – occhi bicromatici e addominali da urlo compresi – sentendosi uno sporco pervertito: era vero che non condividevano gli stessi geni, che era stato adottato e i suoi genitori avevano deciso di cambiargli il cognome per farlo sentire parte integrante della famiglia, ma… ma Alec l’aveva sempre recepita come una cosa sbagliata. Si sentiva un disonesto ogni volta che Jace si spogliava in sua presenza – magari quando, nella camera che condividevano, si cambiava per infilarsi il pigiama e andare a dormire – e Alec indugiava sulla curva che il suo sedere formava con il fondo della schiena, sentendosi tutelato dall’ignoranza del biondo, che non aveva mai pensato di poter essere l’oggetto del desiderio del fratello.
Ma poi quella fase era passata. Non si sa come, non si sa in che modo, forse con l’aiuto di Izzy.
Sicuramente con l’aiuto di Izzy, che aveva fiutato l’omosessualità del maggiore dei suoi fratelli come un cane da tartufo.
“Vedrai che ti passerà,” gli aveva detto una sera quando si erano trovati a parlare in camera della ragazza.
“Cosa, l’omosessualità? Mica è come la febbre, Iz!”
Isabelle aveva roteato gli occhi con così tanta convinzione che Alec aveva temuto le fossero arrivati al cervello, “E meno male mamma e papà pensano sia tu il più intelligente dei loro figli!” gli aveva dato un pizzico su un braccio, “La cotta per Jace, cretino!”
“Non ne sono sicuro…” Non aveva nemmeno tentato di negare, con Iz era inutile: primo, lei lo conosceva meglio di se stesso; secondo, era l’unica con cui poteva parlare apertamente senza avere paura di essere giudicato. In pratica, era l’unica che lo salvava da un’implosione. Tenersi tutto dentro gli riusciva con tutti meno che con sua sorella. Aveva bisogno delle parole di Izzy.
“Io sì, invece. Un giorno capirai che tutto quello che provi è dettato solo da fatto che lui è l’unico ragazzo con cui ti sei mai relazionato e quindi hai i sentimenti confusi…”
Quella sera di due anni prima – incredibile come a tredici anni sua sorella fosse più saggia di moltissimi adulti – Alec non aveva bene capito a cosa potesse riferirsi Isabelle, solo più tardi avrebbe realizzato la portata di quelle parole: i suoi sentimenti erano confusi per il semplice fatto che Alec, la cui esperienza rasentava l’inesistenza, cosa di cui certo non andava fiero, non sapeva distinguere il bene fraterno dall’amore. Aveva mischiato le due cose, convincendosi che tutto ciò che provava per Jace fosse amore, quando invece altro non era che il modo che aveva Alec, la cui natura era estremamente diffidente e chiusa, per difendersi dalla realtà: se avesse convinto se stesso di essere innamorato di Jace, non avrebbe provato a rischiare di affacciarsi al mondo esterno e a tutte le sue pericolose relazioni, che avrebbero potuto spezzargli il cuore, o peggio: mettere in luce la sua omosessualità. Nascondendosi dietro ai sentimenti che credeva di provare per suo fratello, in questo modo, avrebbe tenuto alla larga ogni cosa: la verità, la possibilità di farsi delle esperienze, la delusione che avrebbe letto nei volti dei suoi genitori una volta ammesso come stavano le cose.
Nessuno, in casa Lightwood – tranne Isabelle – sapeva la verità su Alec.
E a lui andava bene così. Ancora non si sentiva di ammettere al mondo chi fosse veramente, aveva appena cominciato ad ammetterlo a se stesso.
“Aleeeeeeeeec!” le grida di sua sorella lo estraniarono dai suoi pensieri.
“Che vuoi?” le rispose di rimando, sistemando dei libri nello zaino. Con l’arrivo di settembre, era arrivato anche l’inizio della scuola e un diciassettenne Alec stava per cominciare il suo terzo anno. Non che la cosa lo emozionasse particolarmente, a dirla tutta. Mentre sembrava che Isabelle stesse per impazzire. Infatti, piombò nella sua camera come un uragano: “Devi aiutarmi, Alec. Sono in crisi!”
Alec roteò gli occhi al cielo: “Che genere di crisi, Iz?”
“Non trovo il mio reggiseno!”
Alec arrossì: “E perché lo vieni a dire a me??”
“Ma come perché? Tu sai sempre tutto!”
“Iz, so dove sono i vestiti di Max perché lui ha otto anni. Tu ne hai quindici. Sembri un po’ grandicella per non sapere dove si trova la tua roba!”
“Eddai, Alec. Aiutami!”
Il maggiore sbuffò. L’idea di avere a che fare con la biancheria intima di sua sorella lo faceva rabbrividire fino all’inverosimile, ma non riusciva mai a dire di no ad Iz. Era l’unica sorella che aveva e tendeva sempre un po’ a viziarla.
“Va bene,” esalò, sconfitto, “Descrivimelo.”
Isabelle batté le mani, soddisfatta. “È quello nero con il pizzo grigio sui bordi delle coppe…” la ragazza si lanciò in una descrizione estremamente dettagliata che fece arrossire Alec fino all’attaccatura dei capelli. Il pensiero che qualcuno potesse arrivare a vedere sua sorella sotto quel punto di vista così intimo lo infastidiva parecchio. In fin dei conti, nonostante Isabelle fosse cresciuta e avesse dato prova più volte di sapersela cavare da sola, tendeva sempre ad essere molto protettivo con lei.
“Hai capito qual è?” concluse la ragazza.
Alec sospirò: “Sì, sì ho capito. Ma non è un reggiseno da primo giorno di scuola!”
“Cosa?” ribatté stizzita, “È perfetto come reggiseno da primo giorno di scuola! Ah, ma cosa ne vuoi sapere tu!”
“Quanto basta!”
Isabelle alzò un sopracciglio: “Ne sai quanto basta di reggiseni, ne sei sicuro?”
Alec boccheggiò, aprendo e chiudendo la bocca senza che nessun suono che avesse un senso ne uscisse. Lui non ne sapeva un bel niente di reggiseni. Non gli avevano mai nemmeno scatenato quella curiosità che aveva spinto Jace a dodici anni a cercare su Internet le foto delle modelle di Victoria’s Secret.
“E va bene, non ne so niente! Sai cosa ti dico? Cercatelo da sola e mettiti quello che ti pare! Siamo già in ritardo!!”
Detto questo, l’accompagnò verso l’uscita della camera e si chiuse la porta alle spalle. Lanciò un’occhiata al suo letto, accuratamente rifatto, e poi una a quello di suo fratello, tirato su con la stessa precisione maniacale con cui Alec aveva rifatto il proprio. Avevano ricevuto la stessa rigida educazione: rifare il letto, tenere la stanza in ordine, non appendere poster di nessun genere al muro perché causano distrazione durante lo studio. Niente cd musicali, niente libri che non fossero quelli scolastici, o classici della letteratura. Aboliti i libri di fantascienza: secondo Robert Lightwood altro non erano che un’accozzaglia di baggianate senza senso che gli pseudo scrittori usavano per farcire la testa degli adolescenti con delle stupidaggini. E loro, ovviamente, avevano ubbidito. Alec in particolare non riusciva a disubbidire ai suoi genitori. Forse perché si sentiva in colpa a nascondergli la grande verità della sua vita. Forse perché pensava che, quando un giorno avrebbe trovato il coraggio di dire loro come stavano veramente le cose, non sarebbero poi stati così tanto delusi, ripensando a tutte le volte che si era comportato bene.
Forse, forse, forse…
“Sei pronto, Alec?”
Fu Jace, questa volta, ad estraniarlo dai suoi pensieri. Suo fratello aveva aperto la porta della loro camera e lo guardava con un mezzo sorriso e le braccia incrociate al petto, i bicipiti che si gonfiavano, smorfiosi e desiderosi di essere notati – come se fosse stato possibile non farlo. Portava una maglietta azzurra, con lo scollo a V che evidenziava le sue clavicole, e dei pantaloni neri, ai piedi gli anfibi slacciati.
“Sì, sono pronto.” Afferrò lo zaino e, non appena vide Jace fare lo stesso, pensò che, esattamente come l’anno prima, anche quest’anno ogni ragazza avrebbe fatto il diavolo a quattro pur di uscire con il più bello dei fratelli – si specifichi maschi, altrimenti Isabelle l’avrebbe picchiato per quel pensiero – Lightwood.

***

“Allora Izzy, sei emozionata?” domandò Alec, non appena scesero alla fermata dell’autobus. I tre fratelli si incamminarono verso la scuola, percorrendo il marciapiede che accostava un viale alberato. Alec alzò il viso per poter guardare il cambiamento che stava avvenendo nelle foglie: alcune avevano già cominciato ad ingiallirsi, altre, meno resistenti, stavano già rischiando di staccarsi, ormai secche. Altre ancora, invece, persistevano, forti verdi e vigorose, lasciandosi cullare dalla leggera brezza piuttosto che sentirsene minacciate.
“No. Ai corsi estivi ho già conosciuto metà della mia classe. È come se fosse il secondo anno anche per me!”
Isabelle, come era successo precedentemente ai suoi fratelli, aveva dovuto frequentare i corsi estivi preparativi all’inizio del primo anno di liceo. Era solo una cosa facoltativa, ma Robert e Maryse avevano deciso che tutti i loro figli avrebbero dovuto partecipare, convinti che ciò gli avrebbe agevolati in qualche modo. E, in un certo senso, così era stato: Jace l’anno prima, aveva conosciuto un certo Meliorn, un tipetto tutto particolare, con i capelli lunghi e la passione per il banjo. Non che fosse nata chissà quale amicizia, tra i due, però almeno andavano d’accordo. Alec era sicuro che la cosa che Meliorn apprezzasse di più di Jace fosse Isabelle, con la quale era uscito per circa due mesi, quell’estate.
“Non vorrei mai averti in classe!” disse Jace, beccandosi una gomitata dalla sorella.
“Molti ragazzi ucciderebbero per essere in classe con me, cocco.”
“Tipo quello sfigato di Meliorn?”
“Meliorn non è sfigato!”
“No, infatti.” Rispose sarcastico Jace, prima di lanciarsi nell’imitazione del povero Meliorn, “ ‘Jace, Izzy ti parla mai di me?’  E poi aspettate, c’è la mia preferita: ‘Oh, quanto è bella Isabelle. È la creatura più meravigliosa che abbia mai abitato sul pianeta’. Se non è da sfigati questo, non so cos’altro possa esserlo!” concluse con una smorfia di disgusto, come se un comportamento simile gli desse il voltastomaco.
Isabelle, che camminava al centro dei suoi fratelli, si voltò verso sinistra per folgorarlo con gli occhi perfettamente truccati da due linee di eyeliner. Erano gli occhi di un’altezzosa bellezza, gli occhi di una ragazza che si stava preparando per diventare una donna forte e determinata, proprio come sua madre Maryse. Alec le trovava simili sotto molti aspetti, sebbene non l’avesse mai confessato alla sorella, consapevole che non avrebbe apprezzato moltissimo. Entrambe le donne di casa Lightwood erano delle guerriere, toste come l’acciaio, infrangibili, due ancore che avrebbero sempre protetto la nave dalle tempeste, impedendo al mare di scaraventarla sulle scogliere per mandarla in frantumi. Avevano un portamento sicuro, autoritario e la bellezza fiera delle regine. Erano scaltre ed intelligenti. Isabelle, a differenza della madre, era meno rigida mentalmente e tendeva ad aggirare di più le regole, che invece Maryse rispettava alla lettera.
“Lui sa apprezzarmi.” Isabelle calcò il concetto spostandosi teatralmente i lunghi capelli corvini dietro alle spalle.
“Ti ritieni davvero la creatura più meravigliosa che abbia mai abitato sul pianeta?”
“Perché, tu no?”
Isabelle si allargò in un enorme sorriso vittorioso. Alec si trovò a ridacchiare e Jace gli rivolse un’occhiata tra il ferito e l’oltraggiato.
“Ora anche tu ti prendi gioco di me?”
“Puoi darle torto?”
“No,” ammise Jace, senza nemmeno una punta di imbarazzo nella voce. Il biondo sapeva di essere straordinariamente bello e non si impegnava nemmeno a nasconderlo: la modestia non era proprio nel suo DNA, come non lo erano la discrezione e tante altre cose, tipo la prudenza.
“Allora: Iz, 1 – Jace, 0.” Concluse Alec.

I Lightwood si stavano avvicinando sempre di più all’entrata della scuola. Si trovavano ancora sul marciapiede, però, quando una voce giunse alle loro spalle.
“Izzy!”
E siccome quella voce era femminile e quindi si sentiva di escludere, con ogni sicurezza, quella piattola di Meliorn, anche Jace si voltò. Le amiche di Isabelle finivano sempre con l’essere molto, molto gentili con lui. Per non dire in quante di loro erano state generose.
Isabelle si voltò, roteando elegantemente su se stessa; i capelli che seguirono dolcemente il suo movimento alzandosi un poco.
“Clary!” si illuminò non appena riconobbe la nuvola di capelli rossi che le stava correndo in contro tutta trafelata.
Alec, che prima d’ora non aveva mai sentito nominare nessuna Clary, dedusse che i corsi estivi fossero serviti anche ad Isabelle per socializzare con qualcuno. A quanto pare, lui era l’unico che non era riuscito a trovarsi un amico. Certo, due anni prima, quando era toccato a lui, aveva conosciuto Lydia Branwell, ma non era nata un’amicizia. Si salutavano e si scambiavano pareri sui compiti ogni tanto. Nulla di più, nulla di meno.
“Ti ho vista…” fece una pausa la ragazza rossa quando li raggiunse, aveva il fiatone per la corsa e la borsa a tracolla evidentemente troppo pesante, “…ti ho vista scendere dall’autobus!”
“Pensavo lo prendessi anche tu.”
“L’ho perso! Stamani la sveglia è suonata tardissimo e ho dovuto fare tutto di fretta!” si indicò la salopette che indossava sopra ad una semplicissima maglietta a mezze maniche a righe bianche e nere, come se volesse scusarsi di non essere abbastanza bella, confrontata ad Isabelle, che portava degli aderentissimi pantaloni bianchi abbinati ad una camicetta di seta grigio perla.
Ma per come la vedeva Jace, quella ragazza – Clary, che bellissimo nome – era stupenda. I suoi occhi verdi come due smeraldi sembravano la cosa più luminosa che il ragazzo avesse mai visto, per non parlare di come il suo naso si arricciava quando accennava un sorriso. Era adorabile.
Era…
la creatura più meravigliosa che abbia mai abitato sul pianeta?
Gli suggerì la propria voce canzonatoria e lui rabbrividì. Cosa diavolo gli stava capitando? Era diventato come Meliorn nel giro di mezzo secondo?
Pff, assolutamente no. Non esisteva al mondo che Jace Lightwood diventasse uno sfigato rammollito.
“Loro sono Alec e Jace, i miei fratelli.” sentì Izzy che li presentava. Vide Alec rivolgerle un sorriso un po’ impacciato, il solito sorriso di cortesia che riservava alle persone che non rientravano nel nucleo di quelle con cui passava la sua vita, quindi in pratica lui, Iz e Max.
Poi, quando la ragazza posò i suoi occhi su di lui, rivolgendogli un dolcissimo sorriso, Jace decise di sfoggiare tutto il suo charme.
“Sono Jace, piacere di conoscerti.” Allungò una mano verso di lei.
“Clarissa, ma anche Clary va benissimo,” specificò, “il piacere è mio,” e afferrò la mano per ricambiare la stretta, ma Jace gliela girò con delicatezza per andare a baciarle il dorso. Clary arrossì lievemente, apprezzando il gesto, sebbene lo trovasse un po’ antiquato e fuori luogo.
“D’accordo,” si intromise Isabelle, che intanto si stava chiedendo che caspita si fosse fumato Jace a colazione, “noi dobbiamo proprio andare.” E afferrando l’amica per le spalle, si avviarono verso l’entrata.
Jace rimase imbambolato a guardare la chioma rossa di Clary, decidendo che, come mai prima di allora, avrebbe volentieri giocato con il fuoco che sembrava aver baciato i capelli della ragazza.
“Il baciamano, sul serio?” il tono derisorio di Alec lo riportò alla realtà.
“Che vuoi?” Jace lo guardava con gli occhi ridotti a due fessure, ma Alec proprio non riusciva a trattenere il sorriso, che poi si tramutò in una vera risata.
“Prenderti in giro, se non fosse chiaro.”
Jace tenne ancora per qualche istante il broncio, ma poi si lasciò contagiare dall’ilarità di Alec, dato che i momenti in cui rideva spontaneamente senza controllare il volume della sua voce erano rarissimi.
“È carina, non pensi?”
“Sì, Jace. È carina.”
Il fatto che non fosse attratto dalla bellezza femminile non lo rendeva incapace di riconoscerla e Clary era davvero carina. E poi… poi Jace non aveva mai guardato nessuna come aveva guardato Clarissa. Si trovò a pensare a come qualche anno prima un pensiero simile l’avrebbe lacerato dentro, facendolo corrodere nella gelosia più acuta. Ma adesso… adesso poteva solo fargli piacere che Jace provasse interesse per qualcuno che non fosse se stesso. O meglio, che guardasse qualcuno in un modo che, fino ad ora, Alec gli aveva solo visto riservare al riflesso nello specchio.
Una sorta di tristezza lo colse, trovandolo impreparato. Pensò a come era stato facile per Jace trovare qualcuno che gli interessasse e manifestare ad alta voce questo interesse, con naturalezza, senza nessun tipo di timore di suscitare anche solo un sospiro sorpreso o amareggiato. Chissà come avrebbe reagito se Alec gli avesse confessato di non provare attrazione per le ragazze. Chissà se avrebbe cambiato opinione su di lui, se sarebbe stato a disagio a condividere la camera.
“Ehi, sei ancora con me?” Jace gli sventolò una mano davanti al viso.
“S-sì,” balbettò Alec, ma la sua mente era ancora intenta a pensare a quante cose fossero diverse per lui. A quanto i suoi sguardi dovevano sempre essere controllati, per strada, quando incrociava un bel ragazzo. A quanto trovasse difficile ammettere ad alta voce di trovare qualcuno attraente – non che fosse capitato chissà quante volte, nella sua vita. A diciassette anni non aveva ancora baciato nessuno, passo che Izzy e Jace avevano già compiuto da un pezzo. Per essere il più grande di tutti i suoi fratelli, era quello che aveva meno esperienza, se si escludeva Max. “Ci vediamo a pranzo?” concluse con un sospiro un tantino amareggiato.
Jace notò quel cambiamento di umore, come se ormai riuscisse a percepire quell’oscurità che aleggiava su suo fratello. Riuscì quasi a vederla, quella subdola manipolatrice, mentre si mangiava via i residui di quell’allegria che aveva colorato il viso di Alec qualche istante prima. E soffriva, ogni volta che vedeva Alec in quelle condizioni. Moltissime volte avrebbe voluto aprirgli la testa e guardarci dentro per trovare il modo di capirlo fino in fondo e aiutarlo, o scuoterlo per le spalle intimandogli di tirare fuori tutto ciò che lo turbava, che tanto ci sarebbe sempre stato lui ad aiutarlo a raccogliere i cocci dei suoi tormenti. Di una cosa Jace era certo nella vita e quella cosa era proprio che per nulla al mondo non avrebbe preso le parti di Alec. Sarebbe stato dalla sua parte anche se gli avesse chiesto di seguirlo all’inferno.
Avrebbe voluto fare tante cose, ma si limitò a dirgli: “Certo, fratello. A più tardi.”

***

Alec camminava per il corridoio diretto a quello che ormai era il suo armadietto da tre anni. Intorno a lui, centinaia di studenti stavano facendo lo stesso, dopo essere passati in segreteria a ritirare l’orario delle lezioni dei corsi da seguire. Provava sempre una sorta di affascinante curiosità ad immaginarsi cosa passasse per la testa dei suoi coetanei, quali corsi avessero scelto e perché.
C’era sempre una motivazione dietro alle scelte di chiunque e il ragazzo si trovava a fantasticare su quali fossero quelle per cui Stacy avesse scelto storia anzi che economia, o per cui Jack avesse scelto fisica anzi che letteratura… O per quale astruso motivo Alec Lightwood avesse deciso di smettere di guardare dove stava andando, trovando più interessante la punta delle sue consunte converse nere, finendo con l’andare a sbattere con la fronte dritto sullo sportello di un armadietto aperto.
Il botto fu così secco che per qualche istante alcuni studenti si fermarono a guardare cosa fosse successo.
“Ahi,” si lamentò, toccandosi la fronte. Ci sarebbe spuntato un bel bernoccolo, se lo sentiva.
“Oh santi numi!” sentì esclamare e poi di nuovo il botto metallico dello sportello che veniva chiuso. Alec aveva ancora le mani sulla fronte, quindi non poteva vedere chi fosse il suo interlocutore. La verità era che si stava vergognando così tanto di essersi comportato come un tale imbranato che non aveva il coraggio di togliersi le mani dal viso.
“Ehi, là sotto. Tutto bene?” lo sconosciuto appoggiò le mani sui polsi di Alec, il quale percepì il tocco caldo contro la sua pelle. Curioso, si liberò la faccia. La curiosità l’aveva sempre fregato fin da bambino, e lo fregò anche quella volta, quando, dopo aver liberato il viso dalle mani, si trovò davanti il ragazzo più bello su cui i suoi occhi si fossero mai posati. E dire che aveva sempre vissuto con Jace.
Il ragazzo era alto, sebbene non arrivasse alla sua altezza, aveva tratti orientali, occhi scuri e capelli neri. Un po’ stravagante, visto come si era truccato: matita nera sotto gli occhi e ombretto blu scuro sulle palpebre. Ma l’unica cosa che Alec riusciva a notare era quanto quel colore facesse risaltare il nocciola delle iridi. Solo dopo qualche istante si ricordò che gli aveva fatto una domanda e lui, invece, era rimasto a fissarlo come il peggiore degli imbranati, imbambolato come una farfalla attratta dalla luce.
“S-sì, i-io sto bene…”
“Oh grazie al cielo, non mi sarei mai perdonato se fossi stato la causa della rovina di un tale bel viso.”
Che cosa?
CHE COSA?
Alec sentì le guance andare in fiamme prima ancora di rendersi effettivamente conto che il complimento era rivolto a lui. Perché ce l’aveva con lui, giusto? Per quanto improbabile fosse, c’era solo lui lì.
“Sei sicuro di stare bene? Non è che hai una commozione cerebrale o qualcosa di simile?”
No, sono solo geneticamente programmato a fare figuracce.
“N-no, i-io sto…”
“Bene, l’hai già detto. Ma non sembra.”
Il ragazzo orientale si avvicinò ancora più ad Alec per guardarlo meglio da vicino, come se si volesse assicurare che stesse effettivamente bene. E Alec, d’istinto, fece un passo indietro, come se fosse appena stato colto dalla consapevolezza che erano in un posto pubblico e che decine e decine di studenti potevano vederli.
“Tranquillo. Non... non preoccuparti.”
E detto questo, si allontanò senza nemmeno rivolgere un’altra occhiata a quel viso bellissimo, sebbene avesse voluto farlo.
Occhiate controllate per non dare nell’occhio, giusto?
La vita era tremendamente ingiusta. Soprattutto quando un’occhiata controllata non era bastata a colmare la voglia che Alec aveva di studiare quei lineamenti.

Il fatto che avesse delle turbe mentali, secondo Izzy, era evidente fin dalla tenera età, ma Alec aveva sempre scacciato l’ipotesi che sua sorella potesse avere ragione perché sì, insomma, Isabelle tendeva sempre ad esagerare su tutto ed era plateale in ogni cosa. Anche nella psicanalisi.
Ma quando, alla seconda ora, la mente di Alec era ancora fissa sul viso del ragazzo orientale, come se avesse fatto uno screenshoot e l’avesse appeso in ogni angolo del suo cervello, si trovò a concordare con sua sorella: aveva delle turbe mentali. Quale altro motivo, se non un profondo disagio psichico, poteva portare un ragazzo a fissarsi su un dettaglio così futile?
Si erano scontrati – o meglio, lui era finito contro il suo armadietto facendo la figura dell’idiota – l’altro ragazzo era stato gentile e basta, fine della storia. Non vedeva per quale motivo avrebbe dovuto fissarsi su quell’incontro. O sulla sfumatura giallognola che aveva colto nel nocciola degli occhi a mandorla di quell’affascinante studente.
Era uno stupido.
Così come era stupido lasciare che la voce vellutata di quel ragazzo continuasse a ripetere nelle sue orecchie: bel viso.
Lui non era Jace, non ce l’aveva un bel viso.
Sicuramente era un modo di dire. Magari era straniero e non conosceva bene la lingua e si era semplicemente sbagliato.
Sì, sicuramente si era sbagliato.
Con uno sbuffo, si decise a prestare attenzione alla lezione.
Dio, quanto odiava matematica.

*

Cibo, aveva un disperato bisogno di cibo. Il suo stomaco brontolava in maniera imbarazzante da una buona mezz’ora e non vedeva l’ora di buttar giù qualcosa, anche se si trattava del cibo dalla dubbia origine della mensa. Alec percorreva il corridoio a grandi falcate, desideroso di sentire come fosse andato fino ad adesso il primo giorno del primo anno di Iz. Non che dubitasse fosse successo qualcosa, e sua sorella non aveva certo bisogno di una guardia del corpo, ma in caso contrario sarebbe stato felice di impartire una lezione a chiunque avesse infastidito la sua sorellina. Alec era un tipo tranquillo e piuttosto solitario, fino a che non si toccavano le persone a cui teneva.
Così, quando entrò in mensa, la prima cosa che fece fu cercare Izzy con gli occhi. La trovò quasi subito, notando una ragazza mora che si sbracciava. Al suo fianco, c’era Clary, i capelli rossi raccolti in una coda di cavallo, vicino a lei un ragazzo che non conosceva e, vicino allo sconosciuto, c’era Jace. Alec si affrettò a raggiungerli, prendendo poi posizione vicino al fratello, che lo salutò con una pacca sulla spalla.
“Alec!” trillò Isabelle, battendo le mani. Lo faceva ogni volta che doveva raccontargli qualcosa che l’aveva resa particolarmente felice.
“Izzy!” ribatté lui, senza condire l’esclamazione con la solita dose di euforia.
“Lui è Simon, il migliore amico di Clary!”
Alec prestò attenzione al ragazzo che stava seduto vicino a Clary. Era un tipo magrolino, piuttosto ordinario, con i capelli castani e gli occhi del solito colore, nascosti dietro ad un paio di occhiali rotondi. Gli rivolse un timido sorriso che Alec ricambiò.
“Alec,” disse quindi.
“Siamo in classe insieme!” spiegò Isabelle, “Non è carinissimo?” domandò poi, appoggiando il mento al palmo di una mano, guardando l’interessato con sguardo sognante. Alec alzò gli occhi al cielo. Isabelle non si sapeva trattenere, quando provava interesse per un ragazzo che reputava carino. E un po’ la invidiava, almeno lei non cominciava a balbettare. E mai nessuno l’aveva scambiata per una che rischiava una commozione cerebrale. Quindi ne sapeva sicuramente più di lui, in fatto di ragazzi. Non che questa fosse una novità, però Alec tenne a ricordarselo, giusto per mortificarsi un po’. Ah, l’autocommiserazione. Non gli era mancata per niente. Ma, a quanto pare, a lei piaceva tornare, ogni tanto, per torturarlo.
“E Meliorn?” le rispose, lanciando un’occhiata a Jace, il quale ricambiò lo sguardo, allargandosi in un sorriso.
“Già, pensa al povero Meliorn. Mi ha già tartassato di domande. Non l’ho ammazzato solo perché l’omicidio è illegale.”
Alec lasciò che un sorriso attraversasse i suoi tratti.
“Ti ha già detto quanto sia bella?”
“Oh sì. E speciale. E tutta una serie di cose che non sto a ripetere perché ho smesso di ascoltarlo dopo tre secondi.”
Se Alec stava cominciando una risata, Isabelle gliela smorzò sul nascere con l’occhiata di fuoco che gli lanciò. E che, ovviamente, riservò anche a Jace.
“Siete due spine nel fianco!”
“Oh, ma smettila Izzy. Ci adori!” Jace si appoggiò allo schienale della sedia, le mani intrecciate dietro la testa e un ciuffo di capelli che solcava un viso perfetto.
Un bel viso.
Sul serio, Alec? Ancora con questa storia?
Come se potesse mentire a se stesso e far credere che non aveva passato tutta la mattina a rimuginare su quell’incontro. O impedire al suo cervello di domandarsi se il misterioso ragazzo fosse tra la folla di studenti che erano intenti a nutrirsi. Magari era ad un tavolo vicino al suo, o magari era distante. Magari era solo e aveva bisogno di compagnia, magari era nuovo e non conosceva nessuno e lui avrebbe potuto, per puro spirito di gentilezza e altruismo, privo di qualsiasi secondo fine, aiutarlo ad integrarsi.
Certo, come no.
Come se davvero avesse il coraggio di fare una cosa simile. Come se davvero esistesse la possibilità che non cominci a balbettare, sopraffatto dalle sue insicurezze e dalla sua totale incapacità di relazionarsi.
“Certo che vi adoro, ma a volt- Alec cosa stai facendo?”
Alec, che si era estraniato dalla conversazione, aveva cominciato, seguendo la fila del suoi pensieri, ad allungare il collo verso la folla. E Isabelle, ovviamente, se n’era accorta.
“Niente!” arrossì, incassando la testa tra le spalle. “Vi stavo ascoltando!”
“Sembrava stessi cercando qualcuno…” indagò, gli occhi ridotti a due fessure.
Alec si schiarì la gola, determinato a cambiare argomento. Non sarebbe stato torchiato da sua sorella. Non davanti a due sconosciuti.
“Figurati. Allora, com’è andato il primo giorno?”

Prima di intavolare una vera e propria conversazione, il gruppetto si diresse verso la cucina, dove avrebbero fatto la fila per riempire il vassoio con il cibo che quel giorno la mensa offriva. Quando toccò ad Alec, arricciò il naso davanti a delle polpette che, delle polpette, non avevano nemmeno la forma. Non dovevano essere tonde, di norma? Era sicuro di si. E allora perché quelle sembrava avessero i tentacoli?
Smise di fissarle, convinto che da un momento all’altro si sarebbero mosse e saltò quell’opzione. Gli rimanevano un’insalata e una mela. Il pasto triste di un ragazzo il cui stomaco sarebbe stato destinato a soffrire i morsi della fame fino all’ora di cena.
Tornati al tavolo – che avevano tenuto occupato con i loro zaini – si sedettero esattamente come poco prima e Isabelle rispose alla domanda che suo fratello le aveva posto.
“Bene, per ora.”
“Per ora?” indagò Alec, immergendo la sua forchetta di plastica nell’insalata. Notò con gioia che ci avevano infilato anche dei pezzi di pomodoro – in quel modo, almeno, avrebbe potuto ingurgitare qualcosa di sostanzioso.
“Sì,” ribatté la ragazza con un’incurante alzata di spalle, “Le lezioni non sono ancora finite.”
Alec la osservò dedicarsi alla stessa insalata su cui aveva ripiegato anche lui con una controllata compostezza, come se fosse una duchessa intenta a consumare un pranzo regale. Isabelle era eterea, cosa che gli faceva seriamente dubitare che condividessero gli stessi geni. Magari, gli unici figli biologici di Maryse e Robert erano Isabelle e Max e anche lui era stato adottato. Se solo non si fossero assomigliati così tanto, avrebbe potuto anche credere a quell’ipotesi.
La verità era che Izzy aveva ereditato la bellezza della madre, il suo portamento e la capacità di gestire ogni tipo di situazione. Lui, invece, aveva solo ereditato i suoi capelli neri. Per il resto, non si sognava nemmeno di attribuire tali qualità alla sua personalità. Lui era tranquillo, obbediente, così ordinario da definirsi banale, se non mediocre.
Sospirò.
“E per te, Clary? Sta andando tutto bene?” cominciò Jace, che invece aveva appena finito di divorare una polpetta.
Clary, sentendosi interpellata e inserita in quel quadretto fraterno, accennò un sorriso timido, prima di incatenare gli occhi a quelli di Jace.
Alec ebbe l’impressione di sentirlo trattenere il respiro, ma non seppe dire se fosse successo davvero o se fosse stata solo una sua impressione perché lo vide comportarsi esattamente come si comportava ogni volta che voleva colpire nel segno e conquistare una ragazza, ostentando sicurezza e fascino. E di entrambi Jace ne aveva da vendere.
“Sì, tutto bene.” Disse e poi, volendo continuare la conversazione – perché era evidente che non fosse solo Jace quello interessato, bastava notare come Clary lo guardava – aggiunse: “Anche se non so ancora come sono tutti i corsi…”
Jace parve particolarmente interessato, “Ah, sì? E come mai?”
“Il corso d’arte comincia solo la prossima settimana. Spero sia bello come viene descritto nel sito della scuola!”
“Corso d’arte…” Rifletté Jace, “…sei una pittrice?”
“Mi sembra un termine un po’ pretenzioso, visto che non sono Monet, ma… mi piace dipingere, sì.”
Alec si trovò a pensare che il fatto che Jace non avesse sfoderato uno dei suoi terribili doppi sensi sui pennelli la dicesse lunga sul fatto che, per ora, Clary sembrava suscitargli un interesse totalmente diverso da quello che gli avevano sempre suscitato le amiche di Isabelle. Non che non se la fosse già immaginata nuda, su questo Alec si avrebbe messo la mano sul fuoco, ma probabilmente voleva andare al di là del contatto fisico. Sembrava provasse un interesse sincero nei suoi confronti, come se volesse conoscerla davvero.
“Mi piacerebbe vedere qualche tuo quadro… quadro è il termine appropriato?”
Clary accennò una risata, “Sì, è il termine giusto. E te ne mostrerò qualcuno volentieri, appena avrò qualcosa di decente!”
Jace sembrò soddisfatto della risposta e si sporse un po’ di più sul tavolo, cercando di avvicinarsi, per quanto la vicinanza con Simon lo permettesse, a Clary. Alec, dalla sua posizione, riusciva a vedere i quattro intrecciati per riuscire a parlare meglio l’uno con l’altro: Simon si era sporto per parlare con Izzy; Jace l’aveva fatto per parlare con Clary. Era tutto uno sporgersi per parlare con qualcuno di interessante e lui se ne stava lì come uno stoccafisso a fissare i suoi fratelli che si comportavano esattamente come avrebbe voluto fare lui se avesse avuto la loro solita dose di coraggio impressa nel DNA. Ma siccome Alec era uno che per natura tendeva a ritirarsi, a chiudersi a riccio, gettò lo sguardo sulla sua insalata triste, proprio come lui, e lì lo lasciò, aspettando paziente la fine dell’ora del pranzo.




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Ciao a tutti! 
Come prima cosa, vorrei ringraziare chiunque abbia aperto la storia e abbia deciso di arrivare fino alla fine, lo apprezzo moltissimo! 
In secondo luogo... non so bene da dove sia nata questa idea dell'AU, so solo che ne ho lette un po' in giro e l'idea di scriverne una mi frullava in testa da un po', fino a che non ha preso forma! 
L'idea di base è quella di seguire più o meno la trama della prima stagione, anche se a grandi linee, e sviluppare la Malec, perché gennaio 2018 sembra lontanissimo e senza quei due non ci so stare! xD 
Ora, ho cercato di mantenere i personaggi il più IC possibile, ma se pensate che invece non lo siano, fatemelo sapere almeno potrò cercare di porre rimedio! E, sempre se vi va, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di questa storia in generale! 
Grazie ancora a tutti quelli che hanno letto, ci vediamo (?) al prossimo capitolo! :D 

PS: Il titolo è preso da Flashlight - Jessie J  

 
   
 
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