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Autore: Ode To Joy    13/09/2017    0 recensioni
[Shiro x Matt]
[Garrison Time]
"Mi guarderai mai come guardi le stelle?"
Tutto iniziò alla fine del loro secondo anno alla Galaxy Garrison, una settimana prima della pausa estiva e si concluse con il giorno del diploma.
“Tu hai sempre avuto la testa tra le stelle, Shiro ed io ho sempre pensato che ti saresti innamorato di qualcuno come te.”
No, non fu una storia di grandi imprese astronautiche o rivoluzionarie scoperte scientifiche e, alla fine, la loro vita non ne uscì poi così stravolta. Almeno, non rispetto agli standard socialmente riconosciuti.
"Ed io non sono quella persona..."
A sedici anni, però, l’unica storia che furono in grado di scrivere insieme fu una storia d’amore.
Una semplice ed ordinaria storia d’amore, con un inizio non previsto ed una fine altrettanto improvvisa.
[Questa storia partecipa al contest “Back to School” a cura di Fanwriter.it!]
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Takashi Shirogane
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note introduttive:
Perchè questa one-shot? Perchè penso (spero) siamo un po’ tutti affamati di flashback da Galaxy Garrison e perchè se questi due mi hanno stuzzicato con venti secondi di interazione sullo schermo qualcosa vorrà pur dire.
Chiamiamolo salto nel vuoto perchè, tecnicamente, Matt a stento lo conosciamo ma… Il vuoto mi piace.
Tutta la vicenda avviene qualche anno prima degli eventi della serie (come troverete riportato direttamente nel testo) ed è assolutamente priva di spoiler.
Nota tecnica: le scene scritte con questo carattere sono flashback
Tecnicamente questa one-shot è uno spin-off/prequel di “Trying To Find The Light” ma può essere tranquillamente letta separatamente.
Buona lettura!

Questa storia partecipa al contest “Back to School” a cura di Fanwriter.it!
Prompt: 15. ballo di fine anno.
Numero Parole:


 
Till The Stars Tear Us Apart
 


We finally fall apart and we break each other's hearts
If we wanna live young love we better start today
It's gotta get easier, oh easier somehow
Cause I'm falling, I'm falling
Oh easier and easier somehow
Oh I'm calling, I'm calling
And it isn't over unless it is over
I don't wanna wait for that
It's gotta get easier and easier somehow
But not today
Not today
[“Not Today”-Imagine Dragons]




Tutto iniziò alla fine del loro secondo anno alla Galaxy Garrison, una settimana prima della pausa estiva e si concluse con il giorno del diploma.

No, non fu una storia di grandi imprese astronautiche o rivoluzionarie scoperte scientifiche e, alla fine, la loro vita non ne uscì poi così stravolta. Almeno, non rispetto agli standard socialmente riconosciuti. Sì, ci sarebbe stato qualcosa di simile nel loro destino ma più tardi, quando entrambi sarebbero stati abbastanza grandi. A sedici anni, però, l’unica storia che furono in grado di scrivere insieme fu una storia d’amore.

Una semplice ed ordinaria storia d’amore, con un inizio non previsto ed una fine altrettanto improvvisa.

 
-3 anni e mezzo prima della missione su Kerberos-


Shiro fece quei primi passi all’interno dell’atrio principale della Galaxy Garrison con la stessa emozione che gli aveva riscaldato il petto anni prima. Si sentiva un po’ come se stesse tornando a casa dopo tanto tempo e, al contempo, come se nulla fosse cambiato. Vedeva ancora se stesso con la divisa da cadetto addosso mentre saliva le scale due a due per arrivare in classe prima del professore.

Erano passati pochi anni ma lunghi come una vita intera.

“Takashi Shirogane?”

Shiro smise di guardarsi intorno. Un ragazzino alto quasi quanto lui gli si era parato davanti: i piedi uniti, le spalle rigide e l’espressione di pietra. Si chiese se stesse per fargli anche fatto il saluto militare.

Se lo risparmiò..

“Ho l’ordine di scortarla, sir!”

Shiro sorrise e fece per dirgli di lasciare da parte le formalità e di limitarsi a chiamarlo con il suo nome, poi ricordò che la sua divisa da cadetto era stata sostituita con quella verde militare di un ufficiale e si limitò ad annuire. “Fammi strada, allora.”


“Il Comandante Iverson avrebbe voluto darle il benvenuto di persona,” disse il ragazzino rimanendo fermo sulla porta. “Più tardi la farà chiamare per incontrarvi nel suo ufficio.”

Shiro esaminò la stanza con una breve occhiata, poi appoggiò il suo bagaglio sul letto. Non era poi così diverso dai dormitori degli studenti lì, solo più grande e con un odore decisamente migliore. “Grazie,” disse aprendo la zip del borsone blu scuro.

Quando sollevò lo sguardo, però, il cadetto era ancora lì e lo guardava fisso.

Shiro sbatté le palpebre un paio di volte. “Puoi andare…?” Disse con tono incerto.

Il ragazzo si voltò e prese a camminare con la stesse rigidità di un giocattolo meccanico. Shiro restò a fissare il punto in cui era sparito per un attimo. Scrollò le spalle e tornò a dedicarsi alla sistemazioni delle sue cose.

Non rimase solo a lungo.

“Mi scusi, sir...”

Non fu completamente sorpreso di rivedere il cadetto sulla porta della sua camera ma, quella volta, con un atteggiamento molto più naturale. “Siete davvero il Takashi Shirogane che si è diplomato qui due anni fa?”

Gli angoli della bocca di Shiro si erano sollevati ancor prima che il ragazzino avesse finito di parlare. “Così mi hanno detto,” rispose.

Gli occhi del cadetto si fecero improvvisamente brillanti. “Quindi, è vero quello che dicono?” Domandò con un gran sorriso che ebbe il potere di cambiare completamente la fisionomia del suo giovane volto. “Siete riuscito a completare l’addestramento militare in due anni e…”

“Devon, Devon, Devon…”

Shiro vide una mano comparire oltre la cornice della porta e stringersi sulla spalla del ragazzo. “Lascia Takashi in pace. La curiosità tua e dei tuoi amici può attendere il tempo necessario che si accomodi, no?”

Il viso del cadetto divenne rosso per l’imbarazzo. “Chiedo scusa, professor Holt.”

“Non devi chiedere scusa a me, Devon.”

“Chiedo scusa, sir!” Si corresse il ragazzino con voce stridula rivolgendosi a lui.

Shiro scosse la testa. “Nulla di cui scusarsi, Devon.”

A quel punto, il cadetto annuì frettolosamente e tolse il disturbo con la stessa rigidità che aveva mostrato in principio. L’uomo che era intervenuto in suo aiuto fece un passo in avanti ed allora il sorriso di Shiro assunse una sfumatura più rilassata. “Professor Holt,” salutò con rispetto.

Samuel Holt si aggiustò gli occhiali sul naso. “Ragazzo mio, non farmi sentire più vecchio di quanto non sia,” lo pregò con un sorriso.

Shiro allungò la mano destra e l’altro la strinse senza esitazione. “È bello rivederti, Samuel.”

“È bello rivedere te, ragazzo,” disse il Comandante Holt dandogli una pacca sulla spalla. “Sei diventato ancor più alto, per caso?”

Shiro ridacchiò. “Potrebbe anche darsi. Tu non sei cambiato affatto, invece.”

Samuel fece un gesto con la mano come a dire di lasciar perdere. “Aspetta d’incontrare Iverson! Ha perso un occhio in un incidente di pilotaggio ed ora appare ancora più minaccioso di prima.”

“Un’immagine confortante,” commentò Shiro.

Seguì una risata, poi parlarono di alcuni eventi interessanti che erano accaduti nei due anni in cui non avevano avuto occasione d’incontrarsi. Shiro riuscì quasi a sentirsi come se fosse tornato a casa.

Quasi…

“Papà, sei qui?” Matthew Holt si affacciò all’interno della camera da letto quasi con sfacciataggine ma rimase congelato sulla porta non appena i suoi occhi incrociarono quelli grigi di Takashi Shirogane. Anche Shiro si fece rigido e, per un lungo istante, rimasero bloccati così. Lo sguardo di uno fisso in quello dell’altro.

Fu Samuel a trarli in salvo involontariamente. “Ehi, Matt! Hai visto chi è tornato?”

Matt sbattè le palpebre un paio di volte e si ricompose. “Sì,” forzò un sorriso. “Bentornato, Takashi.”

Samuel inarcò un sopracciglio. “Da quando lo chiami Takashi?”

“Sono felice di rivederti, Matt,” disse Shiro velocemente. Era sincero il suo sorriso.

Seguì un altro istante di sguardi silenziosi di cui, per loro fortuna, Samuel non colse il significato. “Mi stavi cercando, figliolo?” Domandò.

Matt non disse nulla nel porgergli la cartellina che stringeva tra le mani. “Sono arrivati i risultati che aspettavi,” disse.

“Oh, bene…” Fu il commento di Samuel in proposito. “E questo mi ricorda che devo tornare al lavoro. È stato un vero piacere rivederti, Shiro.”

Un’altra stretta di mano.

Matt fece per precedere il padre fuori dalla camera ma questi lo fermò. “Dove stai andando?” Domandò confuso.

Il giovane Holt non comprese. “In laboratorio…” Rispose.

“Sei sveglio da quasi quarantotto ore, Matt!” Esclamò Samuel. “Non posso obbligarti a dormire ma almeno prenditi una pausa.”

Shiro strinse le labbra prevedendo quanto stava per accadere.

“Rimani con Shiro.” Disse Samuel. “Fagli vedere come sono cambiate un po’ le cose qui intorno, recuperate il tempo perduto… Siete stati inseparabili fino al giorno del diploma!”

“Già…” Confermò Matt stando attento a non guardare l’altro ragazzo in faccia. “Lo siamo stati.”

Shiro non disse nulla

“Allora vi lascio alle vostre cose da ragazzi ed io torno ai miei doveri!” Concluse Samuel togliendo il disturbo.


***


Takashi Shirogane impiegò sei mesi per far parlare di sè all’interno dell’Accademia e, alla ultime battute del suo secondo semestre, non c’era un solo cadetto che non conoscesse il suo nome. Un anno dopo, lo stesso valeva anche per tutto il corpo insegnante.

La situazione era semplice e chiara: Takashi Shirogane era nato per essere un pilota.

E se questo non fosse stato sufficiente, ci pensò una personalità per lo più cortese e paziente a spingerlo sulla strada per divenire la leggenda vivente della sua generazione.

Per poi tacere sulla bellezza estetica…

A conti fatti, Takashi Shirogane era quello che, all’interno del mondo della Galaxy Garrison, era un raro ed abbagliante esempio di perfezione.

Matthew Holt, dal canto suo, era tutta un’altra cosa.

Figlio di un ufficiale, non aveva mai considerato altre strade per il suo futuro se non quella che portava dritta alle stelle.

E furono proprio le stelle a metterli insieme.

Quelle ed una strizzata d’occhio dal parte del destino che decise di mettere due persone tanto diverse nella stessa camera del dormitorio.

La prima volta che Takashi vi mise piede, trovò Matthew impegnato a sistemare un telescopio di fronte alla sola grande finestra della stanza. Si guardarono ed il disagio sul viso del giovane Holt fu subito evidente.

Takashi sorrise e si presentò.

Matthew gli strinse la mano e gli disse il suo nome ma senza guardarlo negli occhi.

Non si parlarono molto per il mese successivo. Poi, una notte, Takashi rientrò in stanza troppo tardi dopo aver fatto presenza senza divertirsi ad un piccolo party alcolico organizzato in una delle camere del loro piano. Trovò Matt ancora sveglio, occupato ad osservare le stelle con il telescopio di quel loro primo incontro.

“Ciao, che fai?” Domandò Takashi come se non fosse ovvio.

“Guardo le stelle…” Rispose Matt senza nessuna particolare intonazione.

“Posso farti compagnia?”

Sì, la loro amicizia cominciò così, grazie alle stelle.

Le stesse che un giorno li avrebbero traditi.



***


“Non sapevo fossi tornato anche tu,” disse Shiro intento a togliere i suoi vestiti dal borsone per metterli nell’armadio.

Matt accennò un sorriso, una spalla appoggiata al muro e le braccia incrociate contro il petto. “Una volta finita la specializzazione, non c’era altro posto in cui volessi andare.”

Shiro annuì con un sorriso. “Ti capisco. È stato lo stesso anche per me. Tu sapevi che io sarei tornato?”

Matt gli rivolse un sorrisetto sarcastico. “Il solo ed unico Takashi Shirogane che torna alla Galaxy Garrison? No, perchè chiunque avrebbe dovuto parlarne per due settimane di seguito?”

Shiro sospirò. “Non è mai finita questa storia, vero?”

“Te lo dissi già una volta,” disse Matt, “è il prezzo della perfezione, Mister Esploratore dell’Universo.”

Shiro richiuse l’anta dell’armadio. “Non sono ancora un Esploratore e lo sai. A proposito… I tuoi calcoli si sono rivelati inesatti!”

Matt inarcò le sopracciglia. “Quali calcoli?”

“Avevi calcolato che sarei partito per una missione importante prima dei vent’annì, sebbene sapessi che era matematicamente impossibile.”

“Non devo aver inserito tutti gli elementi necessari nell’equazione,” si giustificò Matt. “Ero giovane ed inesperto.”

“Già… Siamo stati giovani ed inesperti insieme per parecchio tempo,” replicò Shiro distrattamente richiudendo il borsone blu e spingendolo sotto il letto. Solo dopo si rese conto di quello che aveva detto. Guardò Matt e trovò sul suo viso lo stesso imbarazzo con cui era entrato nella camera poco prima.

“Scusami, Matt,” disse Shiro rialzandosi in piedi velocemente. “Non intendevo…”

“Facciamo un giro?” Propose il giovane Holt con un sorriso malinconico ma sincero. “Alcune cose sono cambiate e sarebbe imbarazzante se ti perdessi, no? Hai una reputazione da rispettare!”

Shiro rilassò le spalle. “D’accordo…”


***


Essere Takashi Shirogane, detto Shiro, non era semplice ma essere Matthew Holt, detto Matt, era ancora più difficile. Entrambi erano delle eccellenze nel loro campo ma Matt non lo era abbastanza da meritarsi il titolo di ragazzo d’oro: nessuno impazziva per un adolescente minuto e gracilino sempre chino sui libri o su un microscopio.

Erano sempre insieme ma mentre Matt restava nell’ombra, Shiro abbagliava chiunque fosse graziato dalla sua presenza. Era una condizione che, però, il giovane Holt aveva accettato di buon grado perchè, come tutti gli altri, anche lui era dipendente da quella luce.

Comprese sul serio quanto lo fosse quando Shiro cominciò a scoprire le ragazze.

O, meglio, quando furono le ragazze a scoprire lui.

Juliet Stern era bionda, con gli occhi grandi ed un sorriso da favola. Era all’ultimo anno quando cominciò a rivolgere la parola a Shiro ogni volta che le si presentava l’occasione. Un’impresa che si rivelò fin troppo semplice per due cadetti che non avevano nessun corso in comune. All’inizio dell’inverno, Matt aveva già perso il conto delle volte in cui Juliet Stern li aveva accidentalmente incrociati nei corridoi. Anche se il giovane Holt dubitava che lei si fosse mai accorta che lui era lì per tutto il tempo.

Shiro le sorrideva con cortesia, le rispondeva con gentilezza. Si comportava con lei come si sarebbe comportato con chiunque, ma non ci voleva un genio per comprendere quali fossero le intenzioni di Juliet Stern e Shiro non fece mai nulla per respingerla.

“Ti piace?” Domandò Matt durante una serata di studio come tante.

Shiro stava scrutando il cielo con il suo telescopio e non si disturbò nemmeno a portare lo sguardo su di lui nel rispondergli: “è un bella ragazza.”

Matt evitò di fargli notare che non era quello che gli aveva chiesto e continuò a leggere il suo libro di fisica con espressione malinconica.

Quanto poteva durare quella strana amicizia tra il topo di laboratorio meno interessante dell’Accademia ed il ragazzo d’oro della loro generazioni?

Matt allontanò lo sguardo dal suo libro fissandolo sul profilo perfetto del suo compagno di stanza, gustandosi la silenziosa euforia nei suoi lineamenti mentre osservava quel cielo così lontano.

Si umettò le labbra ingoiando un metaforico boccone amaro a cui non seppe dare un nome.

Non riuscì più a concentrarsi per il resto della sera.


Il corteggiamento di Juliet Stern non portò assolutamente a nulla.

In primavera, Matt cominciò seriamente a chiedersi se Shiro non avesse capito la situazione o se stesse temporeggiando per non ferire i sentimenti della povera ragazza.

Matt aveva preso ad apostrofarla così nella sua testa e, suo malgrado, il sarcasmo era gradualmente scivolato via man mano che era divenuto chiaro quanto Shiro fosse un caso disperato.

Juliet Stern, però, seppe reggere la frustrazione da vera signora e vi pose rimedio con altrettanta classe. In un pomeriggio di pioggia, la povera ragazza avvicinò Shiro in caffetteria e dopo poche parole cortesi di circostanza, gli diede una pacca sul fondoschiena tale che il rumore attirò gli sguardi di tutti i presenti. Una volta assicuratasi di essere al centro dell’attezione, Juliet Stern completò l’opera infilando la confezione argentata di un preservativo nella tasca posteriore dei pantaloni di Shiro e se ne andò con la stessa nonchalance con cui era arrivata.

Il tempo di un battito di ciglia ed il caos che si scatenò intorno a Shiro fu incredibile. Vennero sprecate congratulazioni come se fosse stato appena nominato eroe di guerra.

A quel punto, la tresca – mai realmente avvenuta – tra Juliet Stern e Takashi Shirogane venne promossa da pettegolezzo di corridoio a storia pubblica.

Fu il momento più umiliante della vita da cadetto di Shiro.

Matt, da parte sua, non rise mai di una disgrazia altrui come quel giorno.



***


“Juliet Stern si è sposata,” disse Matt quasi cinguettando sedendosi dal suo lato del tavolino rotondo e porgendo all’amico la sua tazza di caffé.

Shiro lo guardò sorpreso, poi rise. “Mi prendi in giro?”

“È vero! Dopo il diploma, si è specializzata in sistemi informatici. Dicono sia rimasta incinta di un superiore ed abbia dovuto ritirarsi!”

“Non dovresti dirlo come se fosse una cosa divertente,” lo rimproverò Shiro, sebbene stesse ridacchiando a sua volta. “Nessuno si diploma alla Garrison per ritirarsi a… Quanto? Ventidue anni?”

Matt alzò gli occhi al cielo. “Smettila di parlare come se fosse un’innocente damigella!” Esclamò. “Ti ha infilato un preservativo nella tasca dei jeans di fronte a tutti i cadetti dell’Accademia.”

Shiro si passò nervosamente la mancina tra i capelli, le guance si colorarono un poco per l’imbarazzo. “Me lo ricorderai fino alla fine dei tempi, Matt?”

Il giovane Holt rise. “Dovresti esserle grato per averlo fatto: saresti potuto essere il suo promesso sposo!”

“Ne dubito. Avevo sedici anni e non ero nessuno.”

“Allora, probabilmente, sei l’ultimo a cui ha allungato un preservativo per il motivo più semplice e banale possibile.”

“Sarebbe?”

“Perchè le piacevi,” concluse Matt. “Niente di più. Niente di meno.”

Shiro prese un sorso del suo caffè e si rilassò contro lo schienale della sua sedia. “Là fuori non è cambiato nulla, però,” commentò sorridendo al deserto oltre le grandi vetrate.

Matt guardò nella sua stessa direzione e mormorò qualcosa che l’altro non riuscì ad udire.

“Cosa?” Domandò Shiro tornando a guardarlo.

“Anche le stelle,” ripeté Matt con un sorriso dolce ma malinconico. “Anche le stelle sono come allora.”

La stessa espressione comparve sul viso di Shiro. “Sei tornato là fuori?”

Matt scrollò le spalle. “Avevo bisogno di farlo di nuovo. Tu non hai mai smesso, immagino.”

“Già…” Shiro annuì. “Dicono che chi nasce sul mare non sia in grado di vivere senza vederlo all’orizzonte. A me non è mai mancato. Ho imparato ad amarlo questo deserto ma temo impazzirei in un luogo senza stelle.”

Matt si sentì come se quegli anni non fossero mai passati e Shiro fosse ancora chino su quel vecchio telescopio che gli aveva regalato suo padre. Avevano passato quattro anni così: Shiro incantato ad osservare le stesse e Matt occupato a guardare lui con la stessa espressione.

“Non sei cambiato,” commentò il giovane Holt.

“Lo prendo come un complimento,” replicò Shiro riadagiando la tazza di caffè sul tavolino.

Matt abbassò lo sguardo: se avesse allungato l’indice sarebbe riuscito a sfiorare il dorso della mano dell’altro. In passato, lo aveva già fatto molte volte cercando di farlo sembrare un tocco casuale. In quell’occasione, però, non ci sarebbe riuscito.

Matt sollevò la sua tazza mettendo tra le sue mani e quelle di Shiro tutta la distanza possibile. “Lo è…”


***


Juliet Stern sparì dalla quotidianeità di tutti e due come se non vi avesse mai fatto irruzione.

Niente più incontri casuali nei corridoi, niente più sguardi insistenti da lontano.

Tutto poteva considerarsi tornato alla normalità, se quel preservativo nella tasca posteriore dei jeans di Shiro non fosse ancora lì e Matt non mancasse mai di ricordarglielo.

“Non è ora di lavarli questi?” Domandò recuperando i pantaloni galeotti direttamente dall’armadio in cui erano stati perfettamente ripiegati.

Shiro uscì dal bagno con i capelli neri ancora umidi e l’espressione più scocciata del suo repertorio. Matt, però, notò solo che non aveva ancora indossato una maglietta.

Scosse appena la testa, poi sollevò i jeans scuri con un sorrisetto. “Non abbiamo ancora pianificato il prossimo passo!”

Shiro alzò gli occhi al cielo, riprese possesso dei suoi pantaloni e si spostò davanti al suo lato dell’armadio per rimetterli al loro posto e recuperare una t-shirt pulita. “Matt, almeno tu…” Quasi gemette.

Il giovane Holt si sedette sul suo letto. “È divertente!”

“Non per me,” concluse Shiro.

Matt fu costretto a farsi serio a sua volta. “Non ti piace?” Domandò. “Sul serio?”

Shiro richiuse l’anta dell’armadio, poi si trascinò fino al letto del compagno di stanza e vi si distese: aveva l’aria stanca. “È una bella ragazza…” Disse dopo un po’.

Matt ridacchiò e si lasciò cadere sulla schiena, accanto a lui. “Sì, questo lo hai già detto.”

“Non significa, però, che debba rotolare ai suoi piedi come una palla.”

“Non rotoli ai suoi piedi se ne approfitti.”

Shiro gli lanciò un’occhiata tra il divertito ed il confuso.

Matt ridacchiò imbarazzato. “Non guardarmi così!”

“Non mi aspettavo un simile consiglio da te, tutto qui.”

“Non è quello che direbbe chiunque?”

“Sì, ma…” Shiro si girò su un fianco per guardarlo meglio. “Tu non sei chiunque.”

Matt trattenne il fiato per una frazione di secondo, poi spostò la sua attenzione sul soffitto bianco sopra di loro. “E tu potresti avere chiunque tu voglia.”

Shiro si passò una mano tra i capelli neri. “E dovrei volere Juliet Stern?”

“Tenicamente…”

“Tecnicamente cosa, Matt?”

Il giovane Holt scrollò le spalle. “Lei è la ragazza più bella dell’Accademia. Tu sei il ragazzo d’oro della Galaxy Garrison. È una storia che si scrive da sola.”

“Scontata,” commentò Shiro. “Banale.”

“E a te piace l’ignoto, vero?” Matt si stese sulla pancia e si sollevò sui gomiti. “Signor Esploratore dell’Universo.”

Risero. Lo facevano spesso: stavano bene insieme.

Matt appoggiò la testa sul cuscino osservando il profilo di Shiro. Gli occhi grigi di lui, ora, erano fissi sulla grande finestra ed il giovane Holt non aveva bisogno di seguire la linea del suo sguardo per sapere che stava guardando il cielo.

“Tu non la guardi così…” Mormorò.

Shiro lo guardò. “Cosa?”

Matt accennò un sorriso. “Tu non guardi lei nello stesso modo in cui guardi le stelle,” disse.

“La conosco appena…”

“E quel che conosci non ti piace.”

Shiro non lo negò e Matt lo scrutò con attenzione. “Allora… Perchè hai ancora quel preservativo se non hai intenzione di usarlo?”

Fu il turno di Shiro di scrollare le spalle. “Non ho mai detto che non ho intenzione di usarlo,” rispose.

Matt incassò quella risposta come un calcio nello stomaco.

Shiro era tornato a guardare il cielo fuori dalla finestra e non si accorse del velo di malinconia che era sceso sul viso del compagno di stanza. Matt approfittò di quella distrazione per scendere dal letto. “Vado a farmi una doccia…”


Non parlarono di Juliet Stern nè del preservativo nascosto nella tasca dei jeans per le due settimane successive: le prove di fine semestre ebbero la precedenza su tutto.

Non appena, però, i risultati furono esposti nella bacheca all’entrata e Shiro e Matt seppero di essere usciti dal loro secondo anno alla Galaxy Garrison completamente indenni, ci volle poco perchè un altro pensiero occupasse le loro menti.

“Ma perchè ci tieni tanto ad andare?” Domandò Shiro trafficando con il telescopio. “A te nemmeno piacciono queste feste.”

“Perchè tu sei moralmente obbligato ad andarci ed io non ho alcuna intenzione di restare chiuso in stanza nell’ultimo week end nel dormitorio!” Rispose Matt riordinando i libri sullo scaffale: quella camera era stata un caotico accampamento per quindici giorni e la sua mente matematica aveva bisogno di ordine.

Shiro si voltò. “Perchè dovrei sentirmi obbligato ad andare?”

Matt sbuffò. “Suvvia, Shiro, ti hanno informato che sei il ragazzo d’oro della Galaxy Garrison, mi pare!”

“Per i miei risultati scolastici… E perchè sei arrabbiato, adesso?”

“Perchè comincio a credere che la tua non sia modestia ma stupidità!”

Shiro s’imbronciò. Non accadeva spesso ed ogni volta Matt doveva mordersi l’interno della bocca per non scoppiare a ridere. “Non sarà una festa senza di te, Shiro,” aggiunse. “Il mondo per te gira così, ragazzo d’oro, che tu lo voglia o no. Non deludere i tuoi fan!”

“Ci sarà anche Juliet Stern a quella festa,” gli ricordò Shiro.

Matt fissò il volume di astrofisica tra le sue mani per un istante di troppo, poi lasciò andare un sospiro. “Lo so,” disse con fare distratto, come se non fosse niente d’importante. “È il suo ultimo anno, non se la vorrà perdere.” Sorrise. “O, forse, vuole riavere il suo preservativo.”

Shiro tornò ad osservare le stelle. “Progetti per l’estate?” Cambiò argomento.

Matt decise di assecondarlo. “Mio padre resterà qui per mandare avanti un progetto di ricerca e mi ha proposto di essere il suo stagista.”

Shiro si voltò di colpo. “Non mi avevi detto niente…”

Matt scrollò le spalle. “Non lo credevo importante,” ammise. “Tu passerai l’estate qui per un addestramento speciale di natura militare, no? A me è stata solo proposta un’attività extracurriculare per aumentare il mio numero di crediti… Senza contare che potrebbe passare per nepotismo.”

“Tuo padre ha scelto te perchè sei il migliore del tuo corso, il nepotismo non centra nulla,” affermò Shiro completamente serio.

Matt mise a posto l’ultimo libro, poi gli rivolse un sorriso gentile. “Anche Juliet Stern…”

Shiro inarcò le sopracciglie scure. “Eh?”

“Anche Juliet Stern rimarrà qui per l’estate,” chiarì Matt. “Sai come funziona con quelli dell’ultimo anno: le prossime sei settimane decideranno davvero che ruolo interpreteranno nella storia dell’esplorazione dell’universo e...”
“Ma perchè continui a parlare di Juliet Stern?” Domandò Shiro seccato.

Gli angoli della bocca di Matt si abbassarono immediatamente: prendere in giro Shiro era uno dei suoi passatempi preferiti e l’altro lo aveva sempre accettato con pazienza. In quel momento, però, Matt ebbe l’impressione di aver stuzzicato un nervo con un po’ troppa insistenza.

Senza contare che la domanda era legittima: perchè continuava a parlare di Juliet Stern quando era ovvio che non le era particolarmente simpatica?

Matt aprì e chiuse la bocca un paio di volte, cercò un modo per scusarsi che non suonasse troppo patetico ma Shiro lo precedette. “Scusami, Matt,” disse passandosi una mano tra i capelli. “Non avrei dovuto parlarti così…”

“No, sono io che ti ho annoiato fino all’esasperazione,” intervenne Matt esaurendo la distanza tra loro. “Non dobbiamo andare a quella festa se non ti va,” aggiunse sedendosi in fondo al letto del suo compagno di stanza.

Shiro scosse la testa. “No. Ti ci porto, promesso.”

Matt ridacchiò.

“Che cosa c’è?” Domandò il ragazzo d’oro della Garrison con un sorriso confuso.

“Lo hai detto come se mi portassi ad un ballo,” spiegò il giovane Holt.

“Ci sarà della musica.”

“Ma noi non balleremo, Shiro.”

“Perchè no?”

Matt si fece serio di colpo e lo scrutò per un lungo minuto cercando di capire se stesse facendo sul serio o…

“Shiro, tu sai ballare?”

L’altro strinse le labbra ma riuscì a trattenersi dal ridere solo per pochi istanti. “No,” rispose. “Per niente! Potrei rompere un piede alla malcapitata a cui non saprò dire di no!”

Per un istante, Matt s’immaginò Juliet Stern urlante, riversa sul pavimento, con le mani strette intorno al suo perfetto piedino rotto. Sì, fu un solo istante e se lo gustò in silenzio. Dopo, però, decise di lasciarla definitivamente fuori dai suoi pensieri.

“T’insegno io,” si offrì alzandosi in piedi.

Shiro lo guardò come se gli avesse proposto di lanciarsi dal tetto dell’Accademia senza paracadute. “Eh?”

Matt alzò gli occhi al cielo. “Sono figlio di un ufficiale, Shiro. I miei hanno dovuto danzare a molte feste di gala e, lungo la strada, hanno coinvolto me nella loro follia… Quando hanno provato a farlo con Katie, lei ha riso in faccia a tutti e due ma penso se lo aspettassero.”

Shiro si alzò in piedi a sua volta, le guance un poco rosso. Infilò le mani nella tasche dei pantaloni come se non sapesse che farci.

Matt ridacchiò. “Dovresti darmele.”

“Oh!” Shiro sporse le braccia in avanti goffamente, quasi si stesse preparando a fare un tuffo da un trampolino immaginario.

Il giovane Holt si morse l’interno della bocca per non scoppiare a ridere. “Una mano qua,” disse portandosi la mancina dell’altro sul fianco. “E questa…” Intrecciò le dita della destra. “Ti senti a tuo agio?”

“Assolutamente no!” Rispose Shiro con un broncio da bambino.

“Stai rilassato, sembri un palo della luce!”

“Facile per te…”

“Sei bravo nello scontro corpo a corpo. Il concetto di base non è poi così diverso, solo che devi muoverti con la persona che tocchi e non contro.”

Shiro sbatté le palpebre un paio di volte con una smorfia.

“Non è stato utile, vero?” Domandò Matt.

“No.”

“D’accordo. Allora, un po’ di teoria: conduci tu, quindi fai un passo in avanti.”

Shiro annuì frettolosamente serrando con più fermezza e dita intorno alla mano e al fianco di Matt. Fece quel passo in avanti come se stesse dando inizio ad una marcia militare e tutti i buoni propositi di Matt finirono contro il bordo del suo letto, esattamente come le sue gambe.

Crollare sul materasso non fu doloroso, solo improvviso. Ritrovarsi Shiro addosso fu tutta un’altra cosa.

Matt sentì prima il fiato venire meno, poi subentrò il senso di soffocamento. Per sua fortuna, Shiro aveva sempre avuto i riflessi pronti e si sollevò immediatamente sui gomiti. “Scusami, Matt!” Esclamò . “Ti ho fatto male?”

Per tutta risposta, il giovane Holt scoppiò a ridere. “Incredibile…” Mormorò con un filo di voce.

“Cosa?” Domandò Shiro con espressione smarrita.

Matt tentò di darsi un contegno e decise di approfittare della loro vicinanza per perdersi negli occhi grigi dell’altro. Anche se avesse avuto quel solo istante in tutta la vita, ne sarebbe stato felice lo stesso. “Takashi Shirogane coinvolto in un grande, totale disastro,” disse. “Sono l’unico che può raccontare una storia del genere.”

Shiro sorrise e Matt ebbe l’impressione che la luce nella stanza fosse aumentata.

Il ragazzo d’oro della Garrison si sollevò in piedi ed aiutò il compagno di stanza a fare allo stesso. “Immagino che andremo a quella festa ma non balleremo.”

“No,” Matt scosse la testa. “Non balleremo, Mister Disastro.”

Shiro ridacchiò. “Mister Disastro… Mi piace. Ha un suono nuovo.”







***


“Che cosa hai intenzione di fare, esattamente?” Domandò Matt mentre entrambi riprendevano la via per gli ascensore del loro dormitorio.

Shiro scrollò le spalle. “La via più veloce per le stelle passa per la Galaxy Garrison.”

“La più veloce e più in salita,” gli ricordò Matt. “Tutti i grandi signori del sistema solare sono in questo edificio, pronti ad incenerire con lo sguardo  i giovani piloti, ingegneri, informatici e scienziati della nuova generazioni. Sanno che i loro giorni di gloria sono finiti dietro ad una cattedra e che, un giorno, uno dei mocciosi che hanno di fronte potrebbe diventare il genio che li supererà.”

“Quanto sei drammatico!” Commentò Shiro ridendo.

“Chi mi obbliga ad essere ottimista quando ci sei tu,” replicò Matt.

Arrivarono all’atrio degli ascensori un istante dopo e fu a Shiro ad inserire l’ID-Card per farlo scendere. “Non ho dimenticato la promessa che ti ho fatto, Matt.”

Il giovane Holt non ebbe bisogno che di un istante per rendersi conto di quello di cui l’altro stava parlando e l’espressione nostalgica di poco prima tornò ad illuminargli il viso di una una pallida luce. “Avevamo quattordici anni, Shiro.”

“Vale proprio per questo,” replicò l’altro. “Era una promessa innocente, spontanea, sincera. Il genere di promessa che non si può non mantenere.”

Matt sospirò. “E nel frattempo?” Domandò. “Ovviamente, la Galaxy Garrison non poteva ignorare la tua domanda ma potrebbero volerci anni per una missione importante e tu… Noi siamo giovani e… L’ho già fatto il discorso sulle vecchie glorie, vero?”

La porte dell’ascensore si aprirono ed entrambi entrarono. Matt premette il pulsante del loro piano senza nemmeno guardarlo. “Cioè, sì, potrebbero mandarci su Marte ma… Ci mandano i ragazzi su Marte, ormai. Ci siamo stati a diciotto anni su Marte!”

“Non farla passare come una cosa da tutti,” replicò Shiro.

“Ai tempi di mio padre, forse. Oggi, però, non puoi diventare una leggenda vivente per essere andato su Marte! Al massimo, diventi il nuovo Takashi Shirogane.”

Shiro alzò gli occhi al cielo ma non smise di sorridere. “Matt…”

“Cosa? Scommetto che ti sei guadagnato il titolo di ragazzo d’oro anche nella base in cui ti hanno addestrato.”

Shiro appoggiò una spalla alla parete dell’ascensore con un sospiro stanco. “Può darsi…”

Matt lo scrutò. “E ancora non ti piace,” concluse.

L’altro lo guardò dritto negli occhi con un sorriso paziente. “Non credo me lo farò mai piacere.”

“Troppe donne ai tuoi piedi?” Domandò Matt con una nota di sarcasmo. “Anche uomini? Non sai più dove camminare?”

Shiro fissò il pavimento e non rispose. Non sorrideva più.

Matt si fece serio e portò lo sguardo sui numeri che scorrevano sul display sopra la porta. “Ho esagerato, scusa.”

“Tanti,” rispose Shiro.

Matt inarcò le sopracciglia. “Eh?”

“Ce ne sono stati tanti,” ammise Shiro senza guardarlo in faccia di proposito. “Ne ho scelto qualcuno. Ne ho approfittato, come mi consigliasti di fare tu quella volta con Juliet Stern…”

Matt non riuscì a dire niente per un lungo minuto. Arrivò anche a chiedersi se quell’ascensore stesse andando più lento di proposito. “Deve essere stato divertente…” Commentò. Non era una conversazione tanto diversa da quelle che avevano la maggior parte degli uomini con un certo grado di confidenza.

Matt aveva dovuto sentire cose simili fin dal suo primo giorno alla Garrison: ragazzi che si vantavano con altri ragazzi delle loro conquiste tra i banchi di scuola. Forse, si sentiva così in imbarazzo perchè, in tutti quegli anni, era la prima volta che lui e Shiro condividevano una cosa simile.

O, forse, era qualcosa di molto più profondo…

“Non particolarmente,” rispose Shiro.

Un istante dopo, le porte dell’ascensore si aprirono ed entrambi uscirono sul corridoio delle camere senza dire una parola.


***


Shiro scelse la sera della festa per recuperare dall’armadio gli infami jeans in cui custodiva l’invito di Juliet Stern. Matt lo notò, ovviamente, ma decise di nascondere tutta la sua delusione dietro un sorriso fasullo ma utile alla causa: non c’era nulla di male in quello che Shiro stava facendo e la gelosia che, sotto sotto, gli faceva venire l’amaro in bocca non aveva senso di esistere.

“Andiamo?” Domandò Shiro con gentilezza, dopo essersi infilato una t-shirt nera assolutamente informale ma che era più che sufficiente a sottolineare quanto fosse bello.

Per un istante, Matt pensò di ricontrattare e di trovare una scusa per restare in stanza ed evitare a se stesso di assistere mentre il suo migliore amico faceva quel primo passo per prendere le distanze da lui. Sospirò ed annuì. “Andiamo…”



***


Matt stava per cambiarsi ed andare a letto quando bussarono alla porta della sua camera.

Era Shiro, ovviamente.

Si era liberato dalla divisa da militare in favore di una t-shirt bianca ed un paio di jeans. Sorrideva di nuovo ed il giovane Holt si ritrovò a farlo di riflesso. “Ehi…”

“Ehi…” Rispose Shiro, poi si passò una mano tra i capelli come era solito fare ogni volta che era nervoso o si sentiva in imbarazzo. “Ti va di salire un po’ sul tetto, come quando eravamo ragazzini?”

Matt incrociò le braccia contro il petto. “Adesso non è più contro le regole,” gli ricordò. “Perchè la tua proposta dovrebbe affascinarmi?”

“Perchè mi sei mancato,” ammise Shiro senza esitare.

Il giovane Holt, dal canto suo, si sentì preso in contropiede.

“E perchè spero di esserti mancato un poco anche io,” aggiunse il ragazzo d’oro della Galaxy Garrison.

Per un istante, Matt si sentì come se avesse ancora sedici anni e stesse di nuovo per andare a quella festa di fine anno. La stessa festa a cui sapeva che avrebbe perso per sempre l’esclusività dell’affetto del suo migliore amico. Pensò a quanto sarebbe stata diversa la sua vita se l’esitazione che aveva provato all’ultimo si fosse tramutata in un vero e proprio passo indietro.

Tutto quello che era accaduto poi aveva finito col segnarlo indelebilmente. Se fosse tornato indietro, però, non avrebbe fatto nulla di diverso.

“Sì,” ammise serenamente. “Mi sei mancato anche tu.” Era una verità naturale, innegabile. “Dammi un minuto per cambiarmi…”


***


Matt non sapeva esattamente perchè era voluto finire in quella situazione.

Non era mai stato un tipo da feste e, cinicamente, si chiedeva come Iverson avesse potuto permettere ai cadetti di organizzarne una sul tetto del dormitorio. Molto suggestivo, certo, se non si faceva caso alle luci accecanti e a quel rumore orrido che continuava ad uscire dalle casse.

Cinque minuti in quell’inferno e Matt sarebbe anche potuto tornare indietro e definire quel tentativo di socializzare un completo disastro. Shiro, però, scelse proprio quella sera per dare una possibilità alla perdita di controllo. Fu Juliet Stern ad offrire al ragazzo d’oro della Galaxy Garrison il suo primo drink e Matt odiò Shiro in silenzio per la cortesia con cui lo accettò. Presero a parlare appoggiati al parapetto della balconata e Matt li osservò da lontano, abbastanza vicino alla porta per un’eventuale fuga strategica.

Se Shiro non si fosse voltato di tanto in tanto lanciandogli un sorriso, Matt sarebbe scivolato al piano di sotto senza far rumore. Juliet Stern continuava a parlare, ad offrire a Shiro da bere. Matt non poteva sapere di cosa stessero parlando ma notò che Shiro smise di rispondere verbalmente dopo i primi dieci minuti. Intanto, ad un drink seguiva l’altro e Matt si stava seriamente chiedendo se il suo migliore amico non stesse affogando nell’alcol la frustrazione provocata da quella situazione.

Era chiaro dal modo in cui continuava a toccarlo che Juliet Stern non lo avrebbe lasciato andare senza ottenere quello che voleva, a meno che Shiro non si fosse deciso a respingerla ufficialmente. Matt serrò i denti sul labbro inferiore nel vedere lei sporgersi in avanti e lui fare un prudente passo all’indietro. Promise a se stesso che se avessero cominciato a baciarsi, se ne sarebbe andato. Se il nodo che gli stava stringendo la gola doveva trasformarsi in un pianto disperato senza senso, allora preferiva accadesse nel modo più dignitoso possibile. Nel buio della sua camera, con la coperta tirata fin sopra la testa ed il viso premuto contro il cuscino ad esempio.

Shiro, però, scelse proprio quel momento per vomitare i cinque drink che aveva bevuto troppo di fretta sulle scarpe lucide di Juliet Stern.

Per un attimo, fu come se la musica si fosse interrotta. No, fu come se il mondo intero si fosse bloccato. Matt non riusciva a distogliere lo sguardo dall’espressione di Juliet Stern. Shiro appoggiò entrambe le mani al parapetto della balconata e vomitò una seconda volta nel vuoto, mentre lei cominciava ad articolare il suo disappunto nel modo più stridulo possibile.

Matt prese un respiro profondo. “Va bene, possiamo dichirare la serata finita…”

La cosa peggiore era che Shiro non si poteva nemmeno definire ubriaco.

“Sei riuscito a vomitare ancor prima che l’alcol ti desse alla testa!” Esclamò Matt piantandogli un piede contro il fondoschiena per spingerlo dentro al bagno della loro camera. Poteva anche essere il ragazzo d’oro della Garrison ma, in quel momento, il giovane Holt non lo avrebbe toccato a mani nude nemmeno per motivi scientifici. La t-shirt era sporca di vomito sul lato destro e Shiro aveva avuto la bella idea di versarsi metà del suo ultimo drink sui jeans.

“E non prendermi a calci,” lo pregò Shiro dolorante passandosi una mano tra i capelli umidi di sudore. “Mi viene da vomitare…”

Matt lo superò stando ben attento a non sfiorarlo nemmeno per sbaglio. “Qui dentro!” Ordinò sollevando la tavoletta del water. Shiro vi si precipitò sopra. Matt decise di tenersi occupato con altro: aprì il box di vetro plastificato ed afferrò la cornetta della doccia, poi girò il rubinetto e portò le dita sotto il getto d’acqua aspettando che raggiungesse la temperatura giusta.

Il rumore dello sciacquone lo informò che Shiro aveva finito di liberarsi lo stomaco. “Che fai?” Domandò.

Matt fece aderire la schiena alla parete piastrellata. “Dentro,” disse sottolineando il concetto con un cenno del capo. Shiro camminò sotto il getto della doccia con ancora tutti i vestiti addosso e Matt rimase sull’entrare del box a fissare la scena indeciso su come reagire.

Shiro si voltò. Sorrideva. “Immagino che non avresti mai fatto il bucato mettendo in lavatrice i tuoi vestiti con questi,” disse divertito tirando un poco l’orlo della maglietta.

Suo malgrado, Matt rise. “Shiro, deciditi, sei ubriaco o no?”

“Se c’erano possibilità che mi prendessi una sbronza colossale almeno una volta nella vita, sono sfumate tutte stasera,” concluse il ragazzo d’oro della Garrison reggendosi lo stomaco con una mano. “Che razza di schifo…”

“Hai bevuto troppo in fretta.” Concluse Matt avvicinandosi al lavandino per recuperare il dentifricio e lo spazzolino blu dal bicchierino sul bordo. “Tieni,” disse allungando una mano all’interno della doccia. “Lava via quel saporaccio che hai in bocca. Ti sentirai meglio.”

Shiro accettò l’offerta con un pigro cenno del capo ma continuò a sorridere. Disse qualcosa con lo spazzolino in bocca e Matt inarcò le sopracciglia. “Che hai detto?”

Shiro sputò sul piatto di ceramica ed il giovane Holt alzò gli occhi al cielo. “Che classe…” Commentò.

“Hai del vomito addosso anche tu!” Affermò Shiro tra una risata e l’altra.

Matt sgranò gli occhi, poi abbassò gli occhi su se stesso e notò la grande macchia umida e maleodorante sul suo addome. Doveva essersela procurata quando Shiro gli era andato incontro crollandogli letteralmente addosso.

“Cazzo…” Sibilò schifato. “Cazzo, Shiro!”

“Wow! Matthew Holt che impreca!” Commentò Shiro sarcastico, poi allungò una mano per afferrare il braccio del compagno di stanza e trascinarlo sotto il getto della doccia insieme a lui.

Matt lasciò andare un’esclamazione sorpresa. “Shiro!” Per un attimo, il vapore dell’acqua gli appannò completamente gli occhiali. Sbuffò togliendoseli di dosso ed allungando una mano per metterli al sicuro sopra il mobiletto degli asciugamani.

Il ragazzo d’oro della Galaxy Garrison scrollò le spalle come il peggiore dei mocciosi. “Ora possiamo davvero dire di aver fatto tutto insieme!” Esclamò. “Anche i ridicoli!”

Matt storse la bocca in una smorfietta. “Sei un disastro!” Esclamò dandogli una spintarella.

Sei stupendo, avrebbe voluto dire.

Shiro rise. Risero entrambi.

Erano quei momenti che riuscivano a convincere entrambi che si poteva essere felici anche coi piedi per terra.

Continuarono a ridere fino a che divenne ridicolo farlo ma anche allora due sorrisi sinceri continuarono ad illuminare i loro giovani visi, gli occhi di uno incollati in quelli dell’altro. Fino a che Shiro non si fece serio e comparve qualcosa in quelle iridi d’acciaio che spaventò Matt.

Il giovane Holt abbassò lo sguardo e fece un passo indietro per allontanarsi dal getto diretto d’acqua calda.

Shiro lo afferrò prima che potesse allontanarsi troppo.

Non fu lui a farlo. No, Shiro ebbe solo il coraggio di fare un mezzo passo, di tirare il suo migliore amico a sè e superare un confine sottile su cui il giovane Holt aveva camminato in equilibrio precario per tanto tempo. Fu Matt ad esaurire la distanza. Shiro non lo avrebbe mai baciato per primo, non lo avrebbe mai toccato senza permesso.

Se solo avesse saputo che era già suo, che non aveva bisogno di chiedere nulla, solo di prendere.

Fu un bacio veloce e Matt si fece indietro intimorito. Premette la schiena contro la parete piastrellata. Non seppe dove trovò il coraggio di continuare a guardare Shiro negli occhi ma, a quel punto, era completamente inutile fuggire. “Dimmi che non sei ubriaco…” Lo pregò e fu piuttosto stupido ma il suo cuore batteva troppo veloce per permettere al suo cervello di funzionare decentemente. “Dimmi che…”

Shiro sorrideva e Matt era certo di poter vedere tutte le stelle dell’universo nei suoi occhi quando lo guardava così.

“È tutto vero,” mormorò Shiro contro le sue labbra. “Te lo giuro, Matt. È tutto vero.”

E Matt sorrise. Fece per abbracciarlo, per convincere se stesso che, sì, era tutto vero… Poi si ricordò che Shiro aveva ancora addosso la maglietta con sopra le prove del misfatto e si fece indietro ridacchiando.

“Che c’è?” Domandò Shiro.

“Vorrei non associare questo momento all’odore del vomito per il resto della mia vita,” disse il giovane Holt. “E questo vale anche per il tuo vomito, ragazzo d’oro.”

Shiro sorrise di nuovo, fece un passo indietro e si liberò della maglietta sporca. “Tocca a te,” disse poi.

Matt prese un respiro profondo. “Così pare…” Si tolse l’indumento sporco a sua volta.

Un istante dopo, si ritrovò con la pelle nuda della schiena contro le piastrelle fredde. Non se ne preoccupò: Shiro era caldo contro di lui e le sue labbra erano bollenti mentre lo baciavano.

L’acqua smise di scorrere. Qualunque cosa stesse per succedere, Shiro non voleva che accadesse lì. “Vieni,” prese la mano di Matt con una gentilezza che lo fece arrossire.

Il giovane Holt ridacchiò. “Siamo tutti bagnati.”

“Non importa, asciugheremo dopo,” tagliò corto Shiro con allegria.

C’era così tanta naturalezza nei teneri gesti che si scambiavano che era assurdo credere che ci fosse voluto tanto tempo per quel bacio e nessuno dei due sembrava voler attendere per avere tutto il resto.

Shiro si accontentò di arrivare al centro della loro camera per prenderlo di nuovo tra le braccia e baciarlo sulle labbra con entusiasmo. I loro baci erano incerti, inesperti ma non c’era motivo di essere ansiosi, di non sentirsi all’altezza.

Era stati solo loro due per tanto di quel tempo… Avrebbero imparato insieme…

Shiro non ebbe il tempo di chiedere a Matt cosa voleva. Era chiaro che nessuno dei due si sarebbe accontentato di centinaia di baci rubati alla luce della luna. Non c’era alcun bisogno di andare di fretta, eppure Matt era dolorosamente consapevole della relatività del tempo. Le sue erano nozioni scientifiche e quello che stavano vivendo era un dolce delirio, ma non poteva illudere se stesso che quel momento sarebbe durato per sempre.

L’unica certezza che aveva era che Shiro era suo quella notte, fino a che il sole non avrebbe gettato nuova luce su di loro, su tutto. E Matt era troppo affamato d’amore per permettere all’incertezza di fare il suo corso.

Si stavano ancora baciando quando infilò la mano nella tasca posteriore dei jeans di Shiro. Sentì la bocca di lui farsi immobile contro la sua ma Matt non si allontanò fino a che non recuperò la confezione argentata del preservativo. A quel punto, l’imbarazzo li investì entrambi ma nessuno dei due allontanò lo sguardo, nè smisero di toccarsi.

Shiro avvolse un braccio intorno alla vita di Matt ed appoggiò la fronte alla sua. “Adesso sono io a doverti chiedere una conferma, Matt,” disse con voce appena tremante.

Era nervoso? Era incredulo quanto lo era lui?

Matt non volle perdere tempo a fare domande. Sorrise. “Per una volta, solo una volta,” mormorò, “potresti approfittarne e basta?”

Shiro sorrise e lo baciò di nuovo.

Sì, ne approfittò.



***


Quando Shiro gli porse una birra, Matt scoppiò a ridere. “Sul serio?” Domandò afferrando la bottiglia di vetro verde. “Vogliamo bere una bevanda alcolica qui?” Appoggiò un gomito alla balconata e guardò di sotto. “Quanti ricordi, vero, Shiro?”

“Adesso siamo siamo maggiorenni,” rispose Shiro.

Matt prese il suo sorso di birra e gli passò la bottiglia. “Oh, adesso ci preoccupiamo della legalità!”

Shiro ridacchiò, poi bevve a sua volta. “Possiamo essere orgogliosi di esserci presi le nostre sbronze responsabilmente.”

“Sì, chiusi nella camera del dormitorio,” ricordò Matt divertito. “A tutte le feste a cui siamo andati, non hai mai toccato un drink.”

“Mi vuoi biasimare dopo l’incidente con Juliet Stern?”

“Dentro la nostra camera, invece…” Matt ridacchiò, passandosi una mano tra i capelli. “Che imbarazzo!”

Shiro prese un altro sorso di birra, poi appoggiò la bottiglia sul parapetto della balconata. “T’imbarazza ripensarci?” Domandò.

Era un turno di Matt di bere. “Non proprio…” Ammise dopo aver ingoiato. “Alle volte, provo un po’ di nostalgia.”

Shiro strinse le labbra fino a farle divenire una linea sottile ed il giovane Holt scosse immediatamente la testa. “Non fraintendermi,” aggiunse. “Non sarebbe mai potuta finire diversamente ed ora non potrebbe più essere come allora, solo che…” Matt prese un respiro profondo e sollevò gli occhi verso il cielo stellato. “Mi manca quell’età. Mi mancano quelle sensazione e sappiamo entrambi che non torneranno mai. È una cosa che poteva accadere solo in quella stagione della nostra vita.”

Anche Shiro rivolse la sua attenzione alle stelle. “Ed è finita…”

“Sì, Shiro è finita,” Matt annuì. “Ripensarci, però, non è un peccato. Non significa niente, tranne che siamo stati fortunati.”

Shiro lo guardò, studiò quel profilo dai piccoli lineamenti e si sorprese di quanto non fosse cambiato negli anni. “Ti senti fortunato, Matt?”

Il giovane Holt rispose al suo sguardo. “Tu no?”

Shiro scrollò le spalle con un sorrisetto. “Non siamo ancora arrivati alle stelle.”

Matt rise. “Abbiamo vent’anni, Shiro!”

“Tecnicamente, io ne ho cinque!”

L’allegria ebbe la meglio e risero come se avessero ancora sedici anni e tutti i loro sogni fossero a portata di mano.

“Sì, mi sento fortunato,” ammise Shiro. “Sono fortunato perchè… Beh, chiunque potrebbe risponderti meglio di me, immagino.”

Matt sorrise ma rimase in silenzio.

“Ma c’è una cosa che sappiamo solo noi,” aggiunse Shiro. “A sedici anni ho vissuto il mio primo amore come… Come penso lo vorrebbe vivere chiunque.”

Matt si fece serio ma continuò a non dire niente.

“Ho un bellissimo ricordo dei nostri quattro anni qui, alla Garrison… E sono finiti. Tutto è finito. Tuttavia, mi piace ricordarlo.” Shiro concluse prendendo un altro sorso di birra. “Non ti ho mai ringraziato per questo, Matt.”

Una fitta al cuore impose al giovane Holt di prendere un respiro profondo. Fu un dolore veloce, sopportabile. Era solo l’eco dei suoi sedici anni. Un ricordo. Non sarebbe mai stato nulla di più.

Quella stella cometa era già caduta.

“Grazie a te, Shiro,” rispose.

E lui gli sorrise ma Matt non riusciva più a vedere nei suoi occhi tutte le stelle del firmamento come allora.

“Bene!” Esclamò riprendendo la birra e bevendone un gran sorso. “Per parlare di una questione davvero ma davvero spinosa: mi vuoi spiegare perchè ancora il ragazzo d’oro della Galaxy Garrison, il giovane pilota prodigio e…”

“Matt…”

“Va bene, la pianto!” Un sospiro. “Ma possibile che tu non abbia ancora trovato qualcuno da guardare nello stesso modo in cui guardi le stelle?”

Shiro rise, poi cominciò a raccontare.

Sarebbe stati amici per tutta la vita.


***


Alla luce del sole non cambiò nulla.

Matt fu il primo a svegliarsi ed il giovane che dormiva accanto a lui era stupendo esattamente come la notte precedente. Non sentiva alcun dolore al petto, come si era aspettato. Se il respiro veniva meno non era per la paura di quello che sarebbe successo una volta che Shiro si fosse svegliato.

Fossero stati solo amanti, forse, Matt avrebbe avuto ragione di temere qualcosa ma Shiro era il suo migliore amico e sapeva… Sentiva che non lo avrebbe ferito.

Matthew Holt era semplicemente, sinceramente felice e voleva solo che quegli occhi grigi si aprissero per esserlo ancora di più.

Non attese molto.

Shiro prese un respiro profondo, poi si mosse nel sonno tirandolo verso di sè. Matt ridacchiò senza fare troppo rumore affondando il viso contro il suo petto. “Buongiorno…” Mormorò.

L’altro rispose con qualche suono poco riconoscibile ed il giovane Holt non riuscì a trattenere il riso. “Ti va un drink?” Propose.

Shiro sospirò. “Matt, abbi pietà…”

Matt si allontanò per guardarlo e due occhi grigi ancora mezzi addormentati risposero al suo sguardo da sotto la frangia di capelli corvini. “Sei un disastro, lo sai?”

Eppure, avrebbe voluto dirgli che era stupendo.

Shiro gli portò una mano al viso, scostò i capelli che gli erano ricaduti davanti agli occhi, poi affondò le dita tra i capelli sulla sua nuca. “Stai bene?” Domandò.

Matt ridacchiò ed alzò gli occhi al cielo. “No, non i dialoghi clichè, ti prego!”

Shiro si stiracchiò, poi si sollevò su di un gomito. “Voglio sapere se ti ho fatto star bene.”

Matt rise ancor di più. “Non sono una ragazza, Shiro. Non posso fingere. Non so se mi spiego.”

Il prodigio del pilotaggio inarcò le sopracciglia in un’espressione terribilmente comica. “Eh?”

Il giovane Holt era certo che gli sarebbero venuti i crampi allo stomaco a forza di ridere. Shiro, però, non era ancora del tutto riemerso dal mondo dei sogni e nascose il viso contro il suo petto. Matt si rilassò contro i cuscini affondando le dita tra quei capelli corvini lentamente. “Mi è piaciuto fare l’amore con te…” Mormorò dolcemente.

Shiro alzò la testa. Gli occhi grigi erano grandi e le guance un poco colorate. Si sollevò fino a che la sua fronte non aderì a quella dell’altro. Il bacio che seguì fu inevitabile, lento.

Fu una conferma.

“Ero nervoso,” ammise Shiro.

“Lo so. L’ho sentito.”

“Scusami…”

“Non c’è nulla di cui scusarsi, Shiro.” Matt gli prese il viso tra le mani. “Ero nervoso anche io…” L’aveva desiderato per tanto di quel tempo ed ancora non riusciva a credere che fosse accaduto davvero.

Ancora un bacio… Più bagnato…

“Dovremmo parlare,” disse Shiro, poi fece di nuovo aderire le loro labbra.

Matt annuì. “È accaduto tutto così in fretta…” Mormorò distrattamente.

Ancora un bacio.

“Non abbiamo un preservativo,” gli ricordò Shiro sorreggendosi sui gomiti.

“Ieri notte ne avevamo solo uno ma la seconda volta non ci è importanto,” gli ricordò Matt sollevando la testa per cercare di nuovo la sua bocca.

“Questo non è essere responsabili,” ribatté Shiro ma non stava facendo nulla per impedire al desiderio di fare il suo corso.

Matt premette entrambe le mani contro il suo petto invertendo le loro posizioni. Sorrise. “Allora concediamoci ancora un giorno per essere irresponsabili.”


Ne valse la pena.

Alla fine, Matt accettò di passare l’estate alla Galaxy Garrison come assistente di suo padre. Ufficialmente, lo fece per la sua passione per la scienza, per la ricerca e per tutto quello che aveva sempre dichiarato di amare. Restò anche per quello, sì ma, soprattutto, lo fece per Shiro, per restargli vicino.

Otto settimane senza di lui dopo una sola notte d’amore era una cosa che non sarebbe riuscito a sopportare.

L’estate fu tutta per loro e fu indimenticabile.

Non fu diverso quando le lezioni ricominciarono ed il loro terzo anno alla Garrison si rivelò la conferma di tutto quello che avevano costruito per loro stessi ed insieme. Shiro continuò ad essere un pilota prodigio e Matt il piccolo genio non altrettanto popolare. Andava bene così, però.

Fino a che il richiamo del cielo non divenne troppo forte.


“Mi guarderai mai come guardi le stelle?” Matt lo domandò in una notte d’autunno del loro ultimo anno alla Galaxy Garrison. Shiro allontanò gli occhi grigi dalla finestra per fissarli nei suoi. Avevano appena fatto l’amore, erano ancora l’uno tra le braccia dell’altro e Matt aveva la sensazione che ci fosse una distanza incolmabile tra di loro.

Shiro sorrise dolcemente. “Sei geloso delle stelle?”

“Sì,” Ammise Matt senza pensarci.

Shiro si fece serio, silenzioso. “Che cosa c’è, Matt?”

Perchè qualcosa c’era e ne erano consapevoli entrambi. Forse, Matt lo era solo un po’ di più. Provò a sorridere ma riuscì solo ad assumere un’espressione malinconica. “Ricordi Juliet Stern?”

Per un attimo, Shiro rise. “Per mia fortuna, qui dentro la ricordiamo solo io e te!”

“Ero così geloso di lei,” ammise Matt. “Così arrabbiato perchè non rifiutavi il suo corteggiamento.”

“Avevamo sedici anni, Matt. Non ero nemmeno certo che il suo fosse un corteggiamento… Non prima della storia del preservativo.”

Matt sospirò, si distese sulla schiena e guardò il cielo scuro oltre la finestra. “Hai sempre avuto la testa tra le stelle, Shiro.”

“Tra le nuvole, Matt. Si dice tra le nuvole.”

“No,” Matt sorrise dolcemente e riportò lo sguardo sullo splendido giovane che era stato suo per diciotto mesi. Senttantadue settimane in cui Matt aveva sentito Shiro crescere sotto le sue mani, divenire più forte, più bello.

Sì, Shiro si stava trasformando in un uomo giorno dopo giorno. Matt, da parte sua, si era fatto solo più alto.

“Tu hai sempre avuto la testa tra le stelle, Shiro,” ripeté con tenerezza intrecciando le dita a quelle dell’altro. “E ho sempre pensato che ti saresti innamorato di qualcuno come te e Juliet Stern non lo era.”

Matt ingoiò a vuoto e fece appello a tutto il suo autocontrollo per impedire all’emozione che gli stringeva il cuore di avere la meglio. “E non lo sono neanche io.”

Era un’ammissione triste, quasi crudele.

C’era smarrimento negli occhi grigi di Shiro. Si sollevò su un gomito. “Matt, ho fatto qualcosa che…?”

“No,” Matt scosse la testa velocemente prendendo il viso di lui tra le mani. Lo baciò come per chiedergli scusa. Shiro lo accettò, gli circondò la vita con le braccia e lo strinse a sè. Fecero l’amore ancora una volta. Fu diverso dal solito.


Qualunque cosa fosse nata in quella notte d’estate di diciotto mesi prima, cominciò a sbiadire dopo quelle parole.


Essere Takashi Shirogane non era facile e compiuti diciotto anni lo fu anche meno.

Shiro era nato per essere un pilota ma questo non bastava. Per arrivare alle stelle, non era sufficiente saper volare ma era necessaria anche una certa personalità.

La Galaxy Garrison non era una strada che tutti quelli che vi accedevano erano destinati a percorrere fino alla fine ed essere il migliore aveva il suo prezzo.

Shiro aveva creato uno standard che nessuno dei suoi compagni riuscì mai ad eguagliare ed all’ultimo semestre della loro vita come cadetti, questo decise il futuro di molti. La rivalità si fece massacrante. Le aspettative si fecero più alte.

Essere il migliore di una classe di pivelli non bastava. Ad un prodigio veniva richiesto di superare se stesso per essere tale.

Matt non seppe mai con esattezza cosa accadde nei loro ultimi mesi alla Garrison ma suo padre disse che il nome di Takashi Shirogane era arrivato al governo e che Iverson ne aveva fatto una questione personale.

“L’era della colonizzazione spaziale apparterrà alla tua generazione, Matt,” fu la spiegazione di Samuel Holt. “Marte, ormai, è praticamente dietro l’angolo e in meno di un decennio potremmo anche provare a toccare i confini del sistema solare!”

Matt, però, aveva difficoltà a comprendere. “E perchè questo riguarda Shiro?”

“Per lo stesso motivo per cui riguarda anche te, figliolo.”

“Non capisco, papà.”

Samuel Holt, allora, sorrise con pazienza. “A quelli come me ed Iverson non resta altro da fare che crescere oggi i giovani eroi che compiranno le imprese di domani, Matt. Imprese che, ahimè, appartengono ai governi ancor prima che avvengano.”

“Stiamo parlando di politica?”

“Stiamo parlando di un’umanità che vuole conquistare le stelle, Matt. Per farlo, però, deve sapere di poter contare su alcuni cavalli vincenti.”


Shiro, però, non si limitò ad essere un cavallo vincente.

Sì, il Comandante Iverson la prese fin troppo sul personale. Per sua fortuna, Shiro divenne maggiorenne a febbraio e questo gli offrì uno spazio di quasi sei mesi per far brillare quell’astro nascente come meglio credeva. Furono organizzate prove pratiche speciali ed i giudizi finali vennero affidati ad una commissione internazionale di ufficiali. Se Iverson perse o meno la lucidità di giudizio in favore della sua personale superbia in quell’occasione, fu una questione di cui si parlò a lungo negli uffici della Glaxy Garrison.

Il risultato, però, fu uno ed uno soltanto: Takashi Shirogane divenne una leggenda vivente a poco più di diciotto anni.

Nelle due settimane che trascorsero tra la conclusione degli esami e la fine dell’anno accademico, però, di Takashi Shirogane si persero completamente le tracce.

Furono i giorni peggiori di Matthew Holt alla Garrison.


Shiro tornò al dormitorio dodici ore prima della consegna del diploma. Trovò il suo letto già occupato ma non se ne sorprese. Matt si svegliò non appena sentì il materasso abbassarsi sotto il peso di una seconda persona. Il sonno scomparve non appena riconobbe gli occhi grigi dell’altro giovane nella semi-oscurità della camera.

“Shiro…” Chiamò. Avrebbe voluto abbracciarlo, baciarlo, chiedergli dove era stato. Al contempo, però, avrebbe voluto colpirlo, urlargli contro ed arrabbiarsi con lui per essersene andato senza dirgli nulla.

Non fece niente.

Non lo baciò perchè non ricordava nemmeno l’ultima volta che lo aveva fatto e non era più certo di averne il diritto. Non si arrabbiò per lo stesso motivo e perchè non era nel suo carattere.

Shiro gli sorrise. “Mi dispiace se ti ho fatto preoccupare.”

Matt scosse la testa. “Non fa niente.” Gli aveva solo spezzato il cuore per tredici lunghissimi giorni. “Dove sei stato?”

“Sono tornato a casa,” rispose Shiro. “Dai miei nonni, in Giappone.”

“Oh…” Fu tutto quello che Matt riuscì a dire. “È successo qualcosa?”

Shiro scosse la testa, poi si distese sul letto. Il giovane Holt lo imitò e prese a studiarne il bel profilo come aveva fatto molte volte nelle notti che avevano passato svegli, l’uno tra le braccia dell’altro.

“Avevo bisogno di tornare a casa,” spiegò Shiro senza rispondere al suo sguardo. “Di tornare a guardare le stelle come facevo da bambino.”

“Nostalgia?” Domandò Matt.

“Qualcosa del genere,” Shiro si umettò le labbra. “Avevo bisogno di ricordare a me stesso perchè le amo tanto.”

“Le stelle?”

“Sì, le stelle.”

Matt non domandò altro. Trovò nel silenzio di Shiro, nella stanchezza sul suo volto tutte le risposte che gli servivano. “È stata dura, vero?”

“Sì…” Rispose Shiro con un filo di voce. “Più di quel che credevo.”

“Ce l’hai fatto, però.”

“Ma ho temuto di non riuscirci.”

Matt strinse le labbra, si fece più vicino, fece scivolare le sue dita tra quelle dell’altro. “Ce l’hai fatta,” ripetè.

Cadde uno strano silenzio tra loro, pieno di parole non dette. Matt si sforzò di ricordare quanto tempo era passato dall’ultima volta che si erano toccato, che avevano riso insieme, che aveva guardato Shiro negli occhi e si era sentito felice.

Erano stati mesi duri, difficili. Erano stati i mesi in cui si era deciso cosa sarebbero divenuti da grandi.

E li avevano affrontati da soli, superando ognuno le proprie prove.

Per quanto triste fosse ammetterlo, Matt non aveva sentito la mancanza di Shiro. Non aveva avuto il tempo di farlo.

“Ho saputo che hai concluso la tua carriera di cadetto col massimo dei voti,” disse Shiro guardandolo. Sorrideva di nuovo ma la stanchezza era ancora lì, negli occhi segnati da troppe notti insonni.

“Quattro anni fa sembrava impossibile ma,” Matt lasciò andare un sospiro, “ci siamo, eh?”

Aveva paura, Matthew Holt.

Aveva terribilmente paura di quello che lo aspettava fuori dalla Galaxy Garrison.

Si chiese se anche Shiro si sentiva così, se aveva sentito il bisogno di tornare a casa, ai cieli della sua infanzia perchè le prove a cui era stato sottoposto lo avevano spaventato.

“Mi hanno offerto un posto in un programma d’addestramento della federazione areonautica internazionale,” confessò Shiro di colpo.

Gli occhi di Matt si fecero grandi, poi scattò a sedere. “Dici sul serio?” Chiese con entusiasmo.

Shiro annuì con un gran sorriso. “Ti sei perso una scena senza precedenti. Per un attimo, ho temuto che Iverson si sarebbe commosso.”

“Shiro…” Matt era senza fiato per l’emozione. “Shiro è l’areonautica internazionale!”

“Lo so. Non potevo crederci neanche io.”

“E allora perchè non sei un po’ più entusiasta?”

“Me ne andrò per almeno due anni, Matt.”

Il sorriso sul volto del giovane Holt sparì immediatamente ed una stretta al cuore gli fece salire le lacrime agli occhi. Eccola lì, la paura del futuro che tornava a tormentarlo. “Due anni…” Ripeté.

Shiro annuì.

Per mesi, Matt aveva percepito il cambiamento. I ragazzini di quattordici anni che si erano incontrati per la prima volta in quella stessa camera erano cresciuti la notte in cui, sullo stesso letto in cui sedevano in quel momento, avevano fatto l’amore per la prima volta.

Ora, però, a meno di dodici ore dalla fine del loro tempo alla Galaxy Garrison, Matthew Holt prese consapevolezza della più semplice e terribile delle verità: erano cresciuti insieme ma sarebbero divenuti grandi lontano l’uno dall’altro.

“Ehi…” Shiro gli prese il viso tra le mani e solo allora si accorse che stava piangendo. “Matt, va tutto bene.”

Il giovane Holt si fece indietro e si asciugò le guance velocemente con un sorriso nervoso. “Scusami,” disse con voce tremante. “Scusami, Shiro, solo che… Che…”

“Sta cambiando tutto troppo in fretta,” concluse il giovane pilota con un sorriso amaro. “Ho lo stomaco chiuso da settimane per questo motivo…”

Matt trovò un po’ di conforto in quelle parole. “Hai paura?” Ebbe il coraggio di domandare.

Shiro si morse il labbro inferiore e scrollò le spalle. “È che la Garrison… Quello che ho qui…” I loro occhi s’incontrarono. “Qui mi sento a casa.”

C’erano solo pochi centimetri a separare i loro visi e Matt sapeva che se avesse deciso di esaurire quella distanza, Shiro non glielo avrebbe impedito. Forse, se fosse stato più grande, più impavido, Matthew Holt avrebbe anche potuto prendersi quel bacio.

Takashi Shirogane, però, era sempre stato il più coraggioso dei due.

Shiro aveva paura e Matt era terrorizzato.

Gli occhi grigi del giovane pilota si abbassarono e notò che le loro dita erano ancora intrecciate sulle lenzuola. “Cerchiamo di dormire un po’,” disse gentilmente. Non allontanò la propria mano da quello dell’altro, nè fece segno di volersi alzare per andare a riposare nel letto libero dall’altro lato della stanza.

Shiro si stese accanto a Matt. Dormirono abbracciati fino al sorgere del sole.


Fu l’ultima notte che passarono insieme.


Shiro non gli chiese di accompagnarlo all’areoporto ma Matt lo fece comunque e ne fu felice.

Parlarono di tutto e niente nelle due ore che precedettero l’apertura del gate. Centoventi minuti in cui non furono altro che due cari amici di diciotto anni con tutta la vita davanti.

Un ultimo punto d’incontro prima di prendere ognuno la propria strada.

Le loro dita si trovarono e s’intrecciarono almeno un paio di volte durante la conversazione: un’abitudine che avevano fatto loro negli ultimi due anni.

“Non gli abbiamo mai dato un nome,” disse Matt ad un certo punto.

“A cosa?” Domandò Shiro.

“A quello che siamo… O che siamo stati.”

Era tardi per parlarne ed era insensato farlo a pochi minuti dalla fine di tutto. Non avevano mai sentito la necessità di dare una definizione a quello che avevano, nè di condividerlo con altri. Matt, però, sentiva la necessità di chiudere tornando al principio. Un po’ come se stesse disegnando un cerchio.

“Io so che non lo dimenticherò mai,” rispose Shiro con uno di quei sorrisi dolci che rendeva difficile non baciarlo più di quanto lo fosse già.

Matt sorrise a sua volta. “Come un primo amore?” Domandò.

Entrambi lasciarono andare una risata dalle sfumature nervose.

“Quindi, quando sarai una leggenda vivente in tutto il globo ed io sarò ancora chiuso in un laboratorio sotterraneo, potrò raccontare alle due piantine mezze morte con cui parlerò come uno psicopatico che sono stato il primo amore di Takashi Shirogane, il pilota che ha cambiato il corso della storia dell’umanità!”

Shiro si passò una mano tra i capelli e prese a guardare il cielo azzurro oltre le grandi vetrate della sala d’attesa.

Matt sospirò. “Non puoi proprio farne a meno, eh?” Domandò. “Di guardare il cielo, intendo.”

Shiro non si voltò. Sorrise per fargli capire che lo aveva udito ma non aggiunse altro.

Ma chi voleva prendere in giro, Matthew Holt? Forse, Takashi Shirogane lo aveva amato ma il cielo, le stelle… Matt non aveva mai avuto nessuna possibilità contro quell’amore.

“Non basta un pilota per volare, Matt,” disse Shiro di colpo.

Il giovane Holt inarcò le sopracciglia. “Eh?”

Shiro tornò a guardarlo. “Se mai diventerò questo pilota leggendario di cui tutti già parlano, avrò bisogno di un equipaggio.”

“Oh, tutti i giovani astronauti con tutte le specializzazioni di cui avrai bisogno cadranno ai tuoi piedi, Shiro.”

“Ma io non voglio qualcuno che cada ai miei piedi. Voglio qualcuno di cui potermi fidare.”

Matt fece per replicare senza pensarci, poi si bloccò e cominciò ad intravedere la proposta nascosto tra le parole dell’altro. Lasciò andare una risata nervosa. “Non funziona proprio così: ci sono commissioni, prove da superare ed un sacco di lunghi discorsi noiosi. E le telecamere! Guai a non essere pronti per le telecamere!”

“Tu dimmi solo che ci proveremo…”

“Tu ci sei già riuscito, Shiro. È solo questione di tempo.”

“Matt, ti prometto che…” Shiro venne zittito dall’indice dell’altro premuto contro le sue labbra.

“Ecco che torni a fare il romantico, Shiro,” disse Matt con un sorriso che già emanava la fioca luce della nostalgia. “Un giorno, non so quando, incontrerai qualcuno sulla tua strada… Qualcuno che non riuscirai a smettere di guardare negli occhi perchè vi vedrai riflesse dentro tutte quelle stelle che tanto ami. Qualcuno per cui varrà la pena anche dimenticarsi del cielo.” Un sospiro. “Tutte le tue promesse sono per quella persona, non per me. Non devi promettermi niente.”

Shiro lo guardò per un lungo minuto di silenzio prima di replicare. “Ed il romantico sarei io?”

“Non sto facendo il romantico, Shiro,” replicò Matt con un sorriso furbetto. “Accadrà. È un dato di fatto ed io non sbaglio mai con i dati di fatto!” Ancora un sospiro. “Questo, però, non significa che resterò indietro.”

Per un attimo, Shiro ebbe difficoltà a capire ma trovò la risposta che cercava nel sorriso sicuro di Matt. Tutta quella determinazione nei grandi occhi dietro le lenti rotonde degli occhiali era qualcosa che non aveva mai visto e gli fece piacere.

Matthew Holt non aveva bisogno di aggrapparsi ad una sua promessa. Avrebbe trovato la sua strada e l’avrebbe percorsa fino in fondo da solo.

E, se la fortuna fosse stata dalla loro parte, si sarebbe incontrati di nuovo allora.

Dagli altoparlanti, la voce di una donna annunciò l’apertura del gate per il prossimo volo.

“È il mio!” Esclamò Shiro alzandosi in piedi. “Devo andare…”

Matt fece lo stesso. “Sì, devi andare.”

Nessuno dei due si mosse, però. Si concessero ancora un istante per guardarsi.

Shiro si avvicinò per primo e Matt rispose all’abbraccio con naturalezza quando si sentì stringere.

Non dissero nulla. Si erano già detti tutto e nulla era rimasto in sospeso.

Sarebbero solo rimasti i ricordi.

Shiro forzò un sorriso. “Ci vediamo alla Garrison.”

Per Matt fu più difficile ma riuscì comunque a trattenere le lacrime. “Ci vediamo alla Garrison…”


***



Non fu una promessa ma la mantennero ugualmente entrambi: due anni dopo si ritrovarono di nuovo lì, dove tutto era cominciato ed andarono avanti insieme ma senza toccarsi mai.

Matt continuò ad essere il ragazzo con i piedi per terra e Shiro il giovane prodigio con la testa tra le stelle.


Poi arrivò Keith.
 
-1 anno e mezzo prima della missione su Kerberos-


La balconata della caffetteria era un paio di piani sotto l’ufficio in cui Matthew Holt era andato a nascondersi per sfuggire a tutto l’entusiasmo provocato dall’imminente pioggia di stelle cadenti. E, per sua immensa sfortuna, tutti i cadetti che non erano riusciti a guadagnarsi un posto decente sul tetto del dormitorio erano migrati fino a lì per assistere all’evento.

“A che cosa stai pensando?” Domandò Shiro aggiustando il telescopio davanti alla grande finestra.

Matt alzò gli occhi al cielo: il suo migliore amico si era offerto di fargli compagnia durante la sera, mentre finiva di correggere una lunga serie di test che suo padre gli aveva mollato in favore di un week end con sua madre e con Katie. Matt si era aspettato due birre, tranquillità e l’assoluto isolamento da tutto l’entusiasmo adolescenziale dei cadetti per qualche stella cadente.

Aveva fatto male i suoi calcoli.

“Sto cercando di capire quanto peso può reggere quella balconata prima di crollare,” rispose Matt cinicamente guardando fuori.

Shiro rise. “Matthew Holt!”

“Cosa?” Domandò Matt irritato. “Perchè non ti unisci a loro? Magari il tuo peso farà la differenza!”

“Una volta ti piacevano le stelle cadenti,” gli ricordò Shiro dando una prima occhiata al cielo notturno attraverso il cannocchiale.

“Io non ho nulla contro le stelle cadenti, solo contro gli adolescenti che impazziscono per certe cose.”

“Uhm… Uhm…” Fu la replica distratta di Shiro.

“Per poi tacere sugli adulti,” aggiunse il giovane Holt fissando il ragazzo d’oro della Galaxy Garrison che si agitava come un ragazzino per assistere ad un evento astronomico che avevano già visto decine di volte.

Matt sospirò e, suo malgrado, sorrise: certe cose non sarebbero mai cambiate.

“Ti ho visto,” gli disse Shiro senza guardarlo.

Matt tornò immediatamente serio. “Tu non hai visto proprio niente.”

I ragazzini sulla balconata presero ad agitarsi spingendosi verso il parapetto.

“Sta cominciando…” Lo informò Shiro.

“Uhm… Uhm…” Fu il turno di Matt di rispondere distrattamente mentre correggeva l’ennesimo test della serata.

Rimasero in silenzio per diversi minuti e per un po’ anche il caos sulla balconata fu sopportabile. Quando, però, le stelle cadenti cominciarono ad essere frequenti – per la gioia di quegli adolescenti deliranti –, Matt si sentì costretto a sollevare lo sguardo e concedere al cielo parte della sua attenzione.

Pensò all’ultima volta che aveva vissuto con entusiasmo un’esperienza simile e l’immagine di lui e Shiro nella loro vecchia camera del dormitorio lo fece sorridere con nostalgia. “Ehi…” Disse ma senza staccare gli occhi dalle stelle. “Ricordi quella volta che abbiamo visto una cosa del genere col vecchio telescopio di mio padre, seduti sulla scrivania sotto la finestra? Si gelava quella notte e ci eravamo avvolti nella vecchia coperta che tua nonna aveva fatto per te, quella blu con le stelle. Ti ho preso in giro quattro anni per quella coperta e tu l’hai riposta con gran cura in valigia anche quando sei partito per l’addestramento nell’areonautica!” Rise. “Ce l’hai ancora?”
Nessuno gli rispose.

“Shiro?” Lo richiamò Matt cercando i suoi occhi.

Non li trovò. Non trovò nemmeno il profilo perfetto che si era incantato ad osservare innumerevoli volte mentre il cielo attirava tutta l’attenzione di quegli occhi grigi.

In quel preciso momento, era come se il cielo stesse piangendo lacrime di stelle e Shiro non lo stava guardando.

Per un attimo, Matt pensò che la balconata della caffetteria fosse crollata sul serio. Quando si sporse verso la vetrata, però, la trovò esattamente dove doveva essere: i ragazzi si erano solo fatti più silenziosi per meglio godersi quello spettacolo naturale.

Erano quasi comici, tutti spiaccicati contro il parapetto con i nasi all’insù ed i grandi occhi pieni d’incanto.

Tutti… Tranne uno.

Matt impiegò solo un secondo per riconoscerlo.

Keith Kogane. Per la nuova generazione, non conoscere il suo nome era un po’ come non sapere chi fosse Takashi Shirogane ai suoi tempi.

La nuova stella luminoso della Galaxy Garrison affidata alle mani di Shiro in persona.

Se ne stava in disparte, quasi vicino alle vetrate della caffetteria. Non sembrava interessato a rendersi ridicolo come i suoi compagni cadetti. Non sembrava nemmeno interessato alle stelle.

I suoi occhi erano rivolti verso l’alto, sì, ma non stava guardando il cielo.

Matt riportò lo sguardo su Shiro, poi di nuovo su Keith e, ancora una volta, su Shiro.

Trattenne il fiato per un istante e ricacciò in gola l’imprecazione con cui stava per spezzare il silenzio.

Non seppe per quanto tempo restò a fissare la schiena di Shiro con gli occhi sgranati. “È un tuo cadetto…” Gli sfuggì.

Shiro si voltò quasi di scatto. “Eh?”

Matt sbatté le palpebre un paio di volte. “Come sarebbe a dire Eh?”

L’altro passò gli occhi dal punto in cui Keith era sparito al viso del suo migliore amico. “Era Keith…” Disse con tono incerto.

“L’ho visto che era Keith, Shiro!”

“E perchè sei arrabbiato?”

“Perchè…” Matthew Holt si bloccò e, di colpo, scoppiò a ridere.

Shiro lanciò un’occhiata alle due bottiglie appoggiate alla scrivania. “Non hai nemmeno bevuto.”

“Tu non lo sai!” Esclamò Matt reggendosi lo stomaco. “Lui non lo sa… E lui è un inetto sociale senza speranza!”

Shiro sgranò gli occhi e lo fissò un poco irritato. “Non è un inetto sociale è… Introverso.”

“Sì, un povero fiore delicato bisognoso di cure!” Esclamò Matt senza smettere di ridere. “È una storia impossibile…” Disse senza fiato.

“Quale storia?” Domandò Shiro. “Di che cosa stiamo parlando, Matt?”

“Al diavolo i doveri!” Esclamò il giovane Holt alzandosi in piedi. “Vai a cercare Keith, lo portiamo fuori!”

Shiro non si era mai sentito tanto confuso in tutta la sua vita. “Portare fuori Keith?”

“Voglio conoscerlo!” Esclamò Matt con un broncio. “Non me lo hai ancora presentato!”
“Lo conosci già…” Notò Shiro.

“Oh, lo conoscono tutti! Ma io lo voglio conoscere! Hai capito?”

“No…”

Matt sbuffò. “Sei senza speranza anche tu, Shiro.”

“Matt, potresti farmi l’immenso favore di spiegarmi cosa sta succedendo?” Domandò Shiro seguendolo in corridoio.

“No,” rispose il giovane Holt con fare pizzuto. “Penso che me ne starò qui, buono e zitto a guardare cosa succede…” Sorrise. “E quando avrai bisogno di un amico saprai dove trovarmi.”

Shiro decise di arrendersi. Si passò una mano tra i capelli e gli angoli della sua bocca si sollevarono un poco. “Sento di doverti ringraziare ma so perchè.”

Ancora risate.

“Vado a cercare Keith, allora,” concluse Shiro superandolo.

Matt annuì. “Ci vediamo all’ingresso… Ah, Shiro?”

Il giovane pilota gli concesse tutta la sua attenzione.

“Di che colore sono gli occhi di Keith?” Domandò Matt.

Il sorriso di Shiro  assunse delle sfumature diverse. “Lo hai notato anche tu? Sono un colore strano… È abbastanza difficile da vedere con chiarezza. Dipende molto dalla luce. Ad una prima occhiata sembrano scuri ma, se li guardi bene, cominci a distinguere le sfumature. Sono viola. C’è un po’ di grigio e di bluastro qua e là ma sono viola. Mi ricordano alcune immagini della Nebulosa di Orione.”

Ti ricordano le stelle, pensò Matt ma non lo disse.

Il cuore di Shiro non era più affar suo da molto tempo.

“Ma perchè me lo hai domandato proprio ora?”

“Niente… Avevo solo bisogno di una conferma in più.”

Ora, apparteneva ad un altro giovane con la testa tra le stelle.




 
   
 
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