Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: BrokenSmileSmoke    13/09/2017    0 recensioni
Un dubbio ti assale da giorni, ed è arrivato il momento di scoprire la verità.
Avete solo 19 anni, e forse è una cosa troppo grande da gestire, ma non dipende da voi.
L'amore non può risolvere sempre tutto, ma ciò che viene fatto con esso non è mai un errore.
In alcune situazioni l'unica via d'uscita è un miracolo che vi possa salvare e cambiare la vita.
L'alternativa è un rimpianto a vita, un qualcosa che ti mancherà sempre e che non avrai mai più indietro.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Passammo quasi un mese a cercare lavoro o comunque un modo per andare avanti, nonostante ci fosse mia suocera che sembrava starci col fiato sul collo.
"Falla abortire"
"Avete ancora poco tempo per farlo"
"Ti stai rovinando la vita"
Forse l'ultima frase è stata quella che mi ha colpito di più.
Nonostante il tempo che ci eravamo prefissati, non si era trovato nulla.
Nessun miracolo, nessuno che richiamasse per dire che aveva disponibile un posto di lavoro.
Io a quel punto avevo ricominciato a fumare, al diavolo la buona volontà di smettere.
Stavo per farmi portar via mio figlio, un esserino più piccolo di un fagiolo.
Quella mattina eravamo passati in consultorio per confermare la nostra scelta.. e dall'ecografia interna lo avevamo visto.
Io non riuscivo a vedere nulla, lo schermo era girato.
Ma guardavo lui.
Guardavo il mio ragazzo che non distaccava lo sguardo dal monitor.
Poi ebbi tra le mani l'ecografia.
Non si vedeva benissimo, ma mi bastava.
Era solo una macchiolina in quello che mi sembrò il profondo di un oceano.
Più piccolo di un centimetro.. forse più che fagiolo era una lenticchia.
Avevo nella pancia una splendida lenticchia.
Passammo a parlare con la psicologa, senza il suo consenso non potevamo avere la possibilità di andare in ospedale e finirla lì.
E quella fu la cosa che più mi ferí.
Raccontammo tutto, e la psicologa ci disse che avevamo fatto bene a intraprendere quella scelta, perché non era saggio continuare una gravidanza senza sapere come, o dove, avresti fatto vivere tuo figlio.
Lei ci dava ragione.
E da quel momento smisi di credere in un miracolo.
Tornammo a casa in silenzio, a piedi.
Nonostante quello fosse solo l'inizio già mi sentivo mancare qualcosa.

In quella settimana era passata a trovarci mia madre, e fino all'ultimo momento ero in dubbio tra il dirgli del bambino o fare finta di nulla.
Il mio ragazzo non c'era quel pomeriggio, proprio per questo motivo. Non era capace di prevedere la reazione di mia madre, così andò a raccontare tutto ad un suo amico.
Credo di non aver mai avuto così tanta voglia di prenderlo a schiaffi.
Avevamo deciso di non dirlo a nessuno, e il era il secondo a non rispettare questa decisione.
Il primo era stato mio suo padre.
Beh, tale padre tale figlio.
Forse era di famiglia.

La accompagnai alla macchina e, dopo aver salutato lei ed il mio cane, che dopo meno di un mese tornava da loro, ritornai in casa, presi il telefono ed iniziai a chiamare lui.
Nel frattempo pensai se avevo fatto bene a non dirlo o no.
Perché si, mi mancò il coraggio di dire a mia madre che fossi incinta.
Non volevo dare preoccupazioni, o magari ero troppo timorosa in caso mi avesse detto che avevamo combinato un grosso casino.
Ma comunque forse era meglio così, la decisione era già stata presa e non volevo coinvolgere altre persone.

Dal giorno in cui ero andata al consultorio era passata di nuovo mia suocera.
Tutta quella tranquillità mi destabilizzava.
Tranquillamente ci aveva chiesto quando avrei fatto gli esami del sangue, giusto per sapere quando ci avrebbe portati in ospedale.
Ed io non potevo che stare in silenzio.
In quel momento mi chiesi se era davvero così insensibile o se lo faceva per non arrecare altro dolore.
Faceva come se nulla fosse successo.
Come se dovevo andarmi a fare una visita normale per poi dover donare il sangue, o curare un'influenza.
Era tutto così assurdo.
Le chiamate giornaliere di mio suocero stavano diminuendo, se prima chiamava ogni tre ore per aggiornare il mio ragazzo sulla situazione lavorativa e chiedere come stessimo, ora lo faceva per dire che non riusciva a trovare nulla.
Era tutto così pesante.

Quella mattina in cui capì che stavo per commettere uno sbaglio arrivò presto.
Alle 6 e 30 io e lui ci svegliammo per salire in ospedale per fare quei dannati esami del sangue, ed oltre alla mia sofferenza psicologica si aggiungeva quella fisica.
Stavo morendo di fame ma non potevo mangiare.
Ed io sono una che a colazione si mangia pure il cane del vicino.

Mentre mi estraeva il sangue, dopo avermi fatto giustamente esplodere una vena o due, l'infermiera mi precisó che se il giorno del ricovero io non mi fossi presentata, o che comunque avevo cambiato idea, avrei dovuto pagare gli esami del sangue.
In quell'istante mi venne da ridere, ma mi trattenni.
Ma lei pensava davvero che io avrei cambiato idea?
Certo, l'avevo fatto sin da subito.
Ma a causa della situazione economica non potevo di certo tirarmi indietro.

Un altro medico mi fece distendere sul lettino e mi divaricó le gambe.
Un'altra ecografia interna.
Questa volta lo schermo era girato verso di me, perciò ero riuscita a vederlo.
Era così piccolo, ma era già formato. Riuscivo a distinguerli la testa.
Istintivamente mi girai verso il mio ragazzo, come se quello fosse stato un momento felice in cui io gli sorridevo e lui, vedendo il nostro ometto sul monitor, mi sorrideva di rimando.
Ma non andò proprio così.
Mi voltai verso di lui, ma lui osservava un punto indefinito della stanza.
E fu come se il mondo mi cadesse di nuovo addosso.
«7 settimane e un giorno» mi disse il ginecologo, per poi farmi alzare e comunicarmi la data del ricovero.
Volevo sprofondare, buttarmi sul letto aspettando che tutto questo finisse o che non fosse mai iniziato.

Durante il tragitto verso casa non dissi nulla, e lui nemmeno.
Quella situazione sarebbe finita a giorni.
Arrivata a casa andai direttamente in camera e mi buttai sul letto, addormentandomi con la mano sulla pancia.
Non volevo ne sentire ne vedere nessuno.
Volevo rimanere da sola con mio figlio, volevo godermi i nostri ultimi giorni insieme.
Al mio risveglio trovai altre braccia che mi tenevano strette.
Lui era lì, sempre accanto a me.
Mi girai verso di lui ed iniziai a piangere sommessamente, poggiando la mia testa sul suo petto.
Fra non molto saremmo di nuovo stati solo io e lui.

 

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: BrokenSmileSmoke