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Autore: BrokenSmileSmoke    13/09/2017    0 recensioni
Un dubbio ti assale da giorni, ed è arrivato il momento di scoprire la verità.
Avete solo 19 anni, e forse è una cosa troppo grande da gestire, ma non dipende da voi.
L'amore non può risolvere sempre tutto, ma ciò che viene fatto con esso non è mai un errore.
In alcune situazioni l'unica via d'uscita è un miracolo che vi possa salvare e cambiare la vita.
L'alternativa è un rimpianto a vita, un qualcosa che ti mancherà sempre e che non avrai mai più indietro.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Gli ultimi giorni prima del ricovero li passammo come giornate normali.
Niente chiacchiere su un ipotetico futuro che avremmo potuto dargli, niente di niente.
Forse era meglio così, raddolciva la pillola.
In fin dei conti appena saputo, anzi, confermato che aspettavamo un bambino avevamo pianificato come fare, e dove stare, se il mio ragazzo fosse riuscito a trovare un lavoro che ci permettesse di poter mantenere la famiglia che ci stavamo creando.
Io non potevo lavorare, ovviamente.
Non perché mi piaceva fare la donna mantenuta, ma piuttosto perché già era difficile trovare anche un lavoretto che fosse poco retribuito, e poi chi avrebbe mai voluto assumere a tempo indeterminato una ragazza che già sapeva di essere incinta, sapendo che dopo un mese o due avrebbe dovuto dargli gli assegni di maternità senza che lei si presentasse al lavoro?
E così, nella speranza di qualcuno che avesse un posto di lavoro vacante, pensavamo a dove stare.
Di sicuro non nell'appartamento in cui eravamo andati a convivere dopo nemmeno 5 mesi di relazione. Lì ci potevamo stare da settembre ai primi di giugno, poi i proprietari lo riaffittavano per i vacanzieri a prezzi che andavano dai trecento euro in su a settimana.
Così avevamo optato di andare a vivere in un condominio dove lui viveva da piccolo, il quale apparteneva alla sua famiglia.
Certo, era un po' lontano dall'ospedale, in fin dei conti era in un paesino di montagna a 30 minuti di macchina dal mare, ma comunque non avremmo dovuto pagare l'affitto e comprare il mobilio per noi. Era già arredato.
A questo però si aggiungeva il non avere ne macchina ne patente per spostarsi, ma non era questo il problema in sé.
Nel mentre io pensavo a come fosse stato possibile che io non avessi avuto nausee o altri sintomi tipici, a eccetto la sonnolenza eccessiva.
Ma quella era tipica di me, certe volte mi sentivo perennemente stanca anche senza essermi alzata dal letto.

Una bella mattinata, lo dico per dire perché erano le cinque del pomeriggio, mi risvegliai talmente bene che persino il suono del mio cellulare mi fece imbestialire.
Forse per quel giorno dovevo rinchiudermi in camera senza parlare con nessuno.
Mi girai alla mia sinistra dove il mio ragazzo dormiva tranquillo, il quale per sbaglio aveva osato abbracciarmi in quel momento.
Mi allontanai immediatamente non prima di guardarlo male.
Facevamo quasi gli stessi cicli di sonno e, nel caso non lo fosse già, si sarebbe svegliato nel giro di qualche minuto.
Mi alzai dal letto senza dire nulla e mi diressi in cucina a scaldarmi un po' di latte.
Come sempre, stavo morendo di fame.
Il tempo di mangiare, andare in bagno e lavarmi tornai in camera, e lui era lì, che giocava al telefono.
Brutta mossa.
Quel suo gesto, che comunque faceva ogni mattina, quella volta mi fece imbestialire.
Come osava stare al telefono mentre io ero incazzata nera?
Certo, non gli avevo detto nulla, ma ciò non perdonava il fatto che proprio quella mattina aveva seguito la sua routine.
Decisi di non dirgli nulla, e continuai a fare quello che stavo facendo fingendo che lui non esistesse.
«Alzati» gli dissi in tono freddo e incazzato mentre stavo aggiustando il letto, lui era ancora lì, sotto le coperte.
«Ma non puoi farlo dopo?» mi domandò tranquillo.
«Certo, rimandiamo tutto. Perché devo sistemare la casa adesso quando posso farlo dopo? Perché cucinare a pranzo se possiamo farlo a cena? Perché mi avresti dovuta mettermi incinta adesso se avevamo tutta una vita per farlo?»
In quel momento capì di aver detto una cazzata, ma ero troppo orgogliosa per ammetterlo e comunque era troppo tardi, avevo già parlato.
Lui non si fece problemi a rispondermi, e probabilmente aveva le sue buone ragioni, ma io, credendo di essere nel giusto e facendomi l'offesa, me ne uscì di casa senza più rivolgergli la parola.
Era quello il nostro problema, eravamo entrambi orgogliosi e avevamo dei caratteri quasi uguali.
Ma lui solitamente cedeva prima di me.
Eppure quella volta non lo fece.
Forse avevo davvero esagerato.

Mentre attendevo che lui venisse da me per fare pace, io ero seduta ad uno scalino vicino la porta di casa, con una maglia di lui ed una tuta.
Faceva un po' freddo, e da ragazza astuta qual'ero mi ero dimenticata di prendere la chiave di casa.
Mi ero auto sbattuta fuori di casa senza telefono, con una maglia più grande di me e senza scarpe, ed il mio orgoglio era troppo grande per suonare il campanello e farmi aprire.
Così aspettai.
Non so descrivere quanto tempo passò prima che lui uscisse fuori, ma so che mentre io mi ero autoreclusa, lui stava pulendo la casa al posto mio, lo sentivo dalla scopa e dallo straccio per pavimenti che sbatteva ai battiscopa.

Dopo un bel po' di tempo che io ero fuori sentì salire le scale che conducevano alla porta.
Era mia suocera e il suo compagno che venivano a cenare da noi, ed io non ne sapevo nulla.
Mi chiese cosa facessi lì fuori, ed io gli risposi semplicemente che suo figlio mi aveva sbattuto fuori di casa.
Era così, in un certo senso.
Dopo che io gli avevo fatto la battutina sulla gravidanza, lui mi disse che se pensavo veramente quelle cose ero libera di andarmene, e così avevo fatto.
Ma comunque lei, una volta entrata in casa e lasciato socchiusa la porta, non aveva chiesto spiegazioni al figlio.
Minchia. Chissà cosa farà se un giorno succede a lei ed io riciclo il suo comportamento.
Per un altro po' di tempo nessuno si fece vivo per chiamarmi dentro, e nel frattempo aveva iniziato a piovviginare.
Lui uscì fuori con la scusa di fumarsi una sigaretta, cosa che solitamente non faceva visto che fumavamo in casa, offrendomi un tiro e magari fare in modo che io gli chiedessi scusa.
Ma rifiutai, lui aspettó ancora un po' e poi tornò dentro.
Ritornò altre due volte circa, ottenendo la stessa risposta.
Poi alla quarta qualcosa cambiò.
Lui venne da me, offrendomi come al solito un tiro di sigaretta, ma quella volta accettai senza nemmeno guardarlo o parlargli.
«Ascolta lo so che ho sbagliato, ma anche tu hai detto delle cose pesanti, non credi?»
Feci spallucce, consapevole che se avrei continuato a fare in quel modo davvero lo avrei fatto spazientire, e poi me la sarei dovuta realmente cavare da sola.
Si abbassò alla mia altezza, o forse è meglio dire bassezza visto che lui è alto giusto un metro e settanta mentre io arrivo scarsa al metro e cinquantasette.
«Senti, chiediamoci scusa a vicenda e finiamola qui, ti va bene?» mi chiese guardandomi negli occhi.
E forse, o perché era buio ed eravamo solo illuminati dalla luce della luna e lo trovavo così romantico, o perché ero pentita veramente, fu quello sguardo così profondo che mi fece rimpiangere tutto ciò che avevo fatto di sbagliato in quel giorno.
Ci chiesimo scusa a vicenda, nello stesso momento.
Poi lo guardai negli occhi e gli sorrisi, abbracciandolo.
«Ti amo» gli sussurrai nell'orecchio.
«Anche io» mi disse di rimando, e mi bació.
Forse quello che stavamo per fare era difficile da sopportare e superare, ma se lui mi fosse rimasto accanto ce l'avrei fatta.

   
 
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