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Autore: Mir7    13/09/2017    2 recensioni
Per Michela e i suoi amici l'estate è finita, ma le avventure continuano. Michela farà un passo avanti per esaudire il suo desiderio di diventare una cantante alla Oxford Arts Academy, ma dietro a quella scuola c'è qualcosa di più grande, qualcosa che cambierà la vita sua e dei suoi compagni d'avventura.
Ps: informo che in questa storia verranno presi in considerazione solo gli avvenimenti della prima serie di Percy Jackson e non degli Eroi dell'Olimpo.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Apollo, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Deitas'
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Le settimane seguenti alla perlustrazione notturna passarono più o meno tranquillamente. Prendevo bei voti, ero la prima della classe alla pari di Carin e la mia bravura la disturbava. A lei davano noia molte cose di me, come il fatto che stessi sempre con il suo caro ed amato Allen Moore. La nostra amicizia migliorava di giorno in giorno, dal mio punto di vista, e ci stavamo lasciando alle spalle la nostra esperienza estiva confusionaria; invece Nico mi chiamava meno, e la maggior parte delle volte si litigava, sempre per lo stesso argomento. Lui non vedeva in Allen quello che vedevo io, continuava a credere che fosse il solito ragazzo del campo per semidei e che stesse affatto cambiando. Il 17 Ottobre era il compleanno del figlio di Apollo, si può solo immaginare quale ultra mega galattica festa organizzò nella sua villa ad Oxford. Io e Lindsay ci sbalordimmo alla vista di quella “casa”, perché non era come quelle tipiche casine inglesi, non aveva niente a che vedere con l'affascinante stile accademico di Oxford. Era una villa moderna, dal ingresso curato ricco di peonie azzurre e erica lilla. La signora Moore, a sentire Allen, era un'appassionata di fiori e di giardinaggio, quelle due piante erano le sue preferite. Lei, che chiamarla signora è un peccato, ci aprì il portone stuccato bianco calorosamente. Aveva i capelli castano chiaro tendenti al ramato che le scendevano mossi e delicati sull'abito da sera argentato, nessuna ruga osava sfiorarle il viso, il trucco leggero le risaltava gli occhi verdi come il prato al mattino. Linday ed io non potemmo non rimanerne scioccate, sembrava una dea. Questo era solo uno dei pochi motivi che di sicuro avrà spinto il melodico Apollo fra le braccia di...come si chiamava?

-Piacere ragazze. Io mi chiamo Abigail, ma potete chiamarmi Abbie!- Ecco, giusto, Abbie.

-E voi dovrete essere Lindsay e Michela, dico bene? Allenuccio mi parla molto di voi!- continuò lei facendoci entrare.

L'espressione “OH MY GODS” ci stava a pennello direi! Mi dimenticai per un attimo del nome “Allenuccio” decisa a tornarci dopo, per ammirare il lampadario che scendeva elegantemente dal soffitto decorando il marmoreo ingresso. Non serviva nient'altro a quella sala, marmo di Carrara, un lampadario di Swarovsky, e due scale modulari impeccabilmente bianche che mostravano un quarto del piano di sopra. Si sentiva della musica provenire da uno stereo nella stanza alla nostra sinistra, e altra musica in lontananza...ma non riuscivo a capire da dove venisse. Fortunatamente il regalo gliel'avevo fatto insieme a Lindsay e Ton, perché odio il momento in cui bisogna consegnare un regalo a qualcuno e a questo, stavolta, non ho dovuto pensarci io. Ci guardammo intorno stranulate dall'ambiente ricco e importante. Su qualche mensola c'erano premi per miglior apparizione teatrale, dischi d'oro formato baby, piccole medaglie canore e giù di lì. Oltre a contenere trofei, la casa ospitava una sala da ballo, un cinema, un'enorme cucina, e il giardino posteriore... era altrettanto wow! Ricordava una zona termale con la piscina riscaldata e la vasca idromassaggio. Delle piante di non so quale nazionalità crescevano rigogliose intorno al campo da basket dove, all'estremità di esso, era stato allestito un palco provvisorio per chi volesse suonare o cantare; dopotutto gli invitati erano per lo più cantanti e musicisti. Ton stava suonando la chitarra insieme ad un gruppo di ragazzi che non conoscevo, straordinariamente tutti biondi! Alla festa erano per di più teste bionde, ma cos'hanno quest'inglesi da essere tutti biondi? Comunque sia, appena ci notò...o dovrei dire appena vide Lindsay raggiante nel suo abito rosa cipria, ci venne incontro e mi indicò Allen. Era dalla parte opposta del giardino a chiaccherare con altre teste gialle, mentre sorseggiava qualcosa di rosso da un bicchiere di plastica trasparente. Lasciai soli Ton e Lindsay, dando loro la possibilità di “parlare”. Mi feci notare da Allen punzecchiandogli il braccio. Si voltò e mi sorrise entusiasta.

-Ce l'hai fatta ad arrivare! Che te ne pare di casa mia?- fece la faccia da orgoglioso, sapendo già la risposta alla sua domanda.

-E' strepitosa! Come fai a stare all'Accademia per rinunciare a questo?-

-Beh...mia mamma è spesso fuori e l'esperienza di star da soli in un dormitorio non è male alla fine- rispose sincero. -Ti va di vedere camera mia??- annuii e lui si congedò dai suoi amici.

La sua stanza era al piano sopra, salire le scale dell'ingresso mi fecero sentire importante come se fossi in una reggia. Al contrario del resto della casa, la camera di Allen sembrava quella di un normalissimo adolescente, se non fosse per le coppe vinte ai concorsi canori e...

-E' un letto ad acqua- mi informò Allen indicandomi il letto ad una piazza e mezzo.

Si trovava alla nostra sinistra nel centro dalla stanza, sopra vi era una coperta verde acqua e sembrava così morbida da volerci saltare su!

-Ti dispiace se...?- non ero mai saltata su un letto ad acqua!

-Vai pure- acconsentì Allen.

Presi la rincorsa e mi buttai sul letto, il quale simulò delle onde.

-Oh dei! È troppo figo!-

Quando le onde si calmarono, fissai il soffitto grigio sul quale vi era disegnato un sole giallo e arancione. Chissà quante volte Allen deve averlo fissato pensando a suo padre o a ciò che significasse portare i geni di un Dio. Mi scrollai di dosso quei pensieri quando vidi il figlio di Apollo accarezzare i pochi libri che la libreria di fronte al letto conteneva.

Mi misi a sedere osservandolo.

-Perché sei così pensieroso? È il tuo compleanno, dovresti gioire e divertirti!- gli dissi.

Allen si tirò indietro i capelli, come faceva sempre quando è nervoso.

-Io ti devo delle scuse. Per l'essere capoccione che sono stato quest'estate, nonostante fosse chiaro che non era con me che volevi stare. Io tengo molto tutt'ora a te, e ci terrò sempre. Vorrei solo che tu mi perdonassi e che formassimo quella squadra invincibile che siamo destinati ad essere, tu sarai la mia migliore amica per sempre e il nostro rapporto non potrà che rafforzarsi anno dopo anno, avventura dopo avventura. Sono stato così cocciuto anche perchè volevo credere in quella cotta, quasi come ultima risorsa di felicità. Ho riflettuto molto sull'estate trascorsa con te, Ryan, Alessandra ed Isabelle...io adoro stare con voi ragazzi, così come adoro passare le mie giornate scolastiche con Ton e Lindsay. La mia testa credeva che quello fosse amore, ma alla fine sono riuscito a capire che era solo un enorme affetto nei tuoi confronti, l'ho capito all'Accademia che noi due siamo come fratello e sorella legati dal tempo e dal nostro sangue divino. Io sto iniziando a confabulare cose ma tutto questo mi tormentava da molto, e volevo esprimertelo, spero tu concordi con me- si constrinse a tacere, anche perché aveva detto il discorso tutto d'un fiato, e aveva bisogno di bere.

-Non potrei essere più che d'accordo! La penso così anch'io, ed è ovvio che ti perdono, si vedeva che ti eri pentito- lo tranquillizzai. -Se provassi l'acqua del letto ti andrebbe bene?- suggerii.

-Non credo- rise di rimando. -Dai andiamo giù, ho bisogno di un buon vino rosso-

-Il buon Dionisio sarebbe fiero di te!- scherzai.

 

 

 

Mentre mi preparavo per andare a dormire, Annabeth mi chiamò per riferirmi le informazioni del suo parto ed io le promisi che sarei riuscita ad andare da lei in tempo. La data stabilita era il 10 Dicembre. Allen mi accompagnò, per non lasciarmi da sola, con il permesso del preside. L'appuntamento era in un ospedale di Manhattan, semplice da trovare. Rimanemmo in sala d'aspetto con Percy, sua madre Sally e il satiro Grover; aspettammo circa quattro ore, nelle quali Nico chiamò, ovviamente si preoccupò più del fatto che Allen fosse con me, che di Annabeth che era in sala da parto da tanto tempo. -Perché lui è lì?- chiese.

-Mi ha voluta accompagnare- gli dissi semplicemente. -Non vuoi sapere come sta Annabeth?- continuai. -Sì, mi interessa, ma ho chiamato per parlare con te...in privato-

-Va bene, vado in bagno e mi richiami- feci sparire la chiamata e mi diressi verso il bagno dell'ospedale. Chiusi la porta a chiave e arrivò la chiamata.

-Dopo questi mesi sono arrivato alla conclusione che se vuoi stare con lui, va bene, tanto la mia vita è sempre stata una schifezza. Pensavo che dopo averti conosciuta mi sarebbe andata meglio, ma a quanto pare la nostra relazione è stata tutta una finzione. Mi hai soltanto preso in giro. Tornerò alla mia vita in solitudine- esordì Nico senza lasciarmi la parola.

-Nico, ti prego ascoltami... non c'è niente tra me ed Allen. Siamo solo migliori amici, devi credermi- provai.

-Sì, certo-

-Mi manchi cavoli! Tra me ed Allen non è successo niente, mi vuoi credere una volta per tutte?- iniziai a piangere, non riuscivo a fermare le lacrime.

-Michela stai bene?- mi chiese lui, facendo sparire la sua aria arrabbiata e disperata.

-No! Mi manchi e noi continuiamo a litigare, è ovvio che non sto bene...- mi calmai piano piano.

-Anche tu mi manchi, ma sai che non posso andarmene dagli Inferi prima dell'inizio del campo estivo. Scusami per prima, mi faccio troppi film mentali senza ascoltarti veramente-

-Tranquillo, non scusarti- restammo un attimo a guardarci, poi Nico si ricordò che ero sempre in un bagno d'ospedale e lui doveva tornare a lavorare.

-Ora vai, salutami il piccolo da parte mia- ci salutammo e la chiamata sparì.

Feci in tempo a mettere piede in sala d'aspetto che qualcuno mi travolse.

-E' già nato?!- guardai verso la voce e scoprii che la persona che mi aveva maldestramente appena travolta era Alessandra.

La chiamai per farmi notare e l'abbracciai, era bello vederla lì.

-Mi dispiace interrompere la vostra rimpatriata ma non sopporto l'attesa, vado a sentire le infermiere- Percy si alzò e uscì dalla stanza insieme a sua mamma e Grover.

-Grazie dell'accoglienza fratello!- gli urlò di rimando Alessandra.

-Allora Ale, come va la tua relazione a distanza?- chiesi incuriosita.

Alessandra si spostò dei ciuffi riccioluti da un lato all'altro della testa. -Molto bene. La mia classe pensa di andare in Spagna...magari riesco a vedere Ryan! Mi spiegate una cosa, ma...perché avete la stessa divisa voi due?-

-Vado a scuola con lui, in Inghilterra- dissi semplicemente.

-Oh, io ho sempre adorato le divise scolastiche, quelle inglesi poi! Vorrei averne una anch'io- iniziò a confabulare qualcosa sul fatto che anche in Italia dovrebbero esserci cose simili.

-Hey, non bubbolare. È comprensibile, è una delle cose che adoro di questa scuola- le diedi una spintarella. -Io non bubbolo- protestò Alessandra incrociando le braccia sul petto.

La fissai un attimo. Il suo atteggiamento mi metteva sempre di buon umore e inventava ogni scusa per ricevere un abbraccio, riusciva a trasmettermi felicità con poco. Quando Alessandra finì il suo momento di “finta rabbia” mi ricordai che mancava veramente poco al 13 Dicembre!

-Ale, ma tra tre giorni non è il tuo compleanno?- le domandai curiosa, visto che la mia memoria su certe cose fa un po' cilecca.

-Sì!- esclamò entusiasta. -Mia mamma mi ha promesso che mi preparerà i miei cibi preferiti!- aveva già l'aria sognante al sol pensiero del suo compleanno.

-Non credi di esplodere con tutta quella montagna di pizza, cozze, pane, pasta e fanta?- chiese Allen dubbioso. -Non è mai abbastanza...- Alessandra aveva gli occhi a forma di pizza, o almeno io me li immaginavo così invece che a cuoricino come nei cartoni animati. -Giusto, a volte dimentico che tu sei quella che mangia la pizza a colazione, nevermind- commentò Allen scherzando. -Vorrei anche un unicorno...- continuò Alessandra.

-Va bene, ci rammenteremo di regalartene uno per un prossimo compleanno- la consolai.

Grover entrò nella stanza saltellando. -È nato, venite!-

Ci portò nella stanza numero sette, in mezzo al corridoio. Le pareti erano rosa cipria e azzurro cielo, colori rilassanti secondo il mio modesto parere, perfetti per l'ambiente. Annabeth stava sdraiata a bere del nettare che Percy le porse mentre le accarezzava la testa. Diedero il bambino in braccio ad Alessandra, mi avvicinai a lei per osservarlo.

-Saluta le zie, piccolo Luke- disse Alessandra mostrandomi il bambino.

Era il neonato più bello che avessi mai visto. Aveva gli occhi grigi con qualche accenno di verde che ci scrutavano confuso. I pochi capelli neri in testa erano sparati a caso.

-Ciao Luke, sono la zia Michela. Ti piace qui?- Luke mi fece un grande sorrisone. -Ti saluta tuo cugino, vorrebbe essere qui ma deve lavorare- diedi un bacino al piccolo.

Provai a chiamare Nico, sperando mi rispondesse e...funzionò! -Nico, guarda che tenero il mio nipotino!- glielo indicai fiera. Sì, devo ammetterlo, io adoro i bambini piccoli. Sono troppo carini! -Sì, è molto carino, ma il nostro sarà meglio- mi fece un sorrisino orgoglioso che mi fece arrossire come un peperone. -Mi diverte molto farti arrossire però, sfortunatamente, devo tornare a lavorare-

Dopo che Nico chiuse la chiamata, rimasi tutto il giorno con Annabeth. Non ci vedevamo da un po' e dovevamo ragionare su un po' di cose...molte cose, tipo...la profezia? Avevamo ancora pochi spunti su cui riflettere ed eravamo ancora lontani dal capire cosa significasse. Mia sorella mi disse che ogni profezia la si capisce solo alla fine...come se potesse consolarmi una cosa del genere.

 

 

Allen mi fece sapere che all'Accademia c'erano vari club scolastici. Si differenziavano, come qualunque club di tutto il mondo, dall'attività che i membri svolgevano. Secondo il figlio del sole, questo avrebbe fatto al caso mio. Non conosceva i partecipanti, probabilmente non scorreva buon sangue tra di loro. Non era una novità che una cerchia di studenti avesse dei pregiudizi verso i più popolari della scuola; molto spesso Allen veniva guardato con diffidenza, quasi quanto veniva adorato. Ovviamente anche lui ci metteva il suo impegno: era conosciuto come “colui che è capace di tutto”, il figlio di Apollo moriva sempre dalla voglia di mettersi in mostra e far vedere alle persone quanto fosse bravo e riuscisse veramente in tutto, per mantenere alto il suo buon nome. A volte, o almeno con me, Mr-sono-bravo-solo-io sapeva essere umile, poiché credeva che gli altri lo sfidassero in continuazione. Il gruppo in questione cantava e ballava k-pop e j-pop (rispettivamente pop coreano e giapponese),ma soprattutto le canzoni dei cartoni animati giapponesi più disparati. La maggior parte di essi hanno costumi, coreografie e canzoni a non finire, quindi ci sarebbe stato materiale a sufficienza per sempre. Allen si divertiva a riprendermi nelle situazioni più strane: vestita da orso, da fiore arcobaleno, con una cacca rosa in testa...comunque sia diceva che era per i posteri, in modo da prendermi in giro in futuro. Una volta notai che mi riprese durante un esercitazione di una canzone giapponese di nome “Nevereverland”, la quale aveva dei pezzi in inglese. Era una canzone che adoravo molto perché era dolce ma mi dava la grinta giusta per iniziare la giornata e, cosa più importante, mi piaceva il significato delle parole. Me la fece conoscere Alessandra del tempo fa, avendo interessi comuni ci scambiavamo spesso opinioni sulla musica. Mi sistemai delicatamente sullo sgabello, davanti al pianoforte nero ludico di cui la sala del club disponeva. Era una stanza come tutte le altre nella scuola. Davanti all'ingresso si diramavano varie sedie, poste verso il palcoscenico di media grandezza. Il sipario verde e oro copriva una parte del teatro di legno massello. Ogni volta che sfioravo i tasti bianchi del pianoforte, una scarica elettrica mi attraversava l'intero corpo. Perfezionai la posizione del microfono da testa e stiracchiai le mani. Erano sempre le stesse note, non dovevo aver paura. Scaricai tutte le mie emozioni sui tasti ed iniziai a suonare.

Long ago, inside a distant memory, there is a voice that says: Do you believe a world of happy endings? Even when the road seems long, every breath you take will lead you closer to a special place within you Nevereverland.”

Dopo questo pezzo vidi che mi si affiancarono Jonathan e Coralie, altri due membri del gruppo, con la chitarra elettrica. Era magico far parte di quel club che, come gusti, mi comprendeva, invece di schernirmi perché “sono solo cartoni” o “sono giapponesi”. Il club era un posto dove rilassarmi e svagarmi dopo la scuola, non c'erano impegni da prendere come una gara o simili. Lo facevamo solo per passione e divertimento, il che è la parte migliore. Non come Allen che, essendo nel gruppo principe dell'Accademia, doveva partecipare a seri allenamenti per poter vincere le competizioni canore tenute tra le scuole di tutto il mondo; era un peso troppo grosso da dover sopportare secondo me. Ma Allen...lui può tutto no? Inoltre questa storia che sono i campioni in carica gli monta un po' la testa, però...che possiamo farci? Lui è Allen Moore, figlio del dio Apollo, è normale pensarla così per lui.

Con queste attività che ci occupavano le giornate il tempo passò più in fretta, e non avevamo neanche il tempo di pensare a certe stranezze. Il rapporto con Nico tornò ad essere normale, per quanto si possa definire normale parlare da un bagno di un dormitorio agli Inferi. Quando arrivò il 14 Febbraio, San Valentino, io volevo metterci tutta me stessa per ignorare quella festività che ho sempre odiato. Fu difficile visto che, già la sera precedente, qualche studente incaricato degli addobbi stava decorando i corridoi di cuoricini rosa e rossi. Non avevo voglia di fare colazione in un ambiente così...così...veramente indescrivibile! Il succo era che non volevo trovare un Eros alato dotato di frecce per la mensa. Dissi a Lindsay di andare senza di me, e ne approfittai per rimanere di più a letto. Chissà perché il letto sembrava più comodo del solito, era odioso alzalsi per andare a lezione, dovetti prepararmi contro voglia. Sistemai i capelli davanti, che un tempo erano una frangetta, in un codino da tenere dietro sui capelli sciolti. Finii di allacciarmi la camicia bianca quando mi sentii abbracciare da dietro. Mi girai confusa e mi baciò. -Hey, come va?- mi disse lui.

-Nico! Ma che ci fai qui?- esclamai.

-Sono riuscito a convincere mio padre a darmi un giorno libero per venire da te!-

-Ma è fantastico!-

-Meglio approfittare dei suoi attimi di gentilezza.- Nico s'interruppe di colpo e si guardò intorno. -Che bella camera tua!- si buttò sul letto e si mise comodo.

Mi sedetti accanto a lui. -Una stanza come tutte, rispetto alle aule le camere sono sciatte- dissi.

Poco dopo Lindsay passò a prendermi per andare a lezione, me ne ero completamente dimenticata! Nico e Lindsay si presentarono e poi corremmo verso la classe. Io ero tutt'altro che pronta, mentre correvamo per i corridoi Nico cercava di aiutarmi a mettermi la cravatta. Quando entrammo nell'aula Allen stava finendo di cantare, quindi... sì, eravamo decisamente in ritardo. Ci sedemmo in fondo alla stanza, sperando che il professore non notasse il nostro ritardo.

-Signorine Hall e Gonnella, finalmente vi siete degnate di venire a lezione.- tutta la classe si girò a guardarci. -Visto che avete tardato, fatemi quella canzone che vi ho dato lunedì- concluse il professore.

Salimmo sul palco e prendemmo i microfoni. Cantammo in duo “In the name of love” come se fossimo una cosa sola.

 

If I told you this was only gonna hurt
If I warned you that the fire's gonna burn
Would you walk in? Would you let me do it first?
Do it all in the name of love
Would you let me lead you even when you're blind?
In the darkness, in the middle of the night
In the silence, when there's no one by your side
Would you call in the name of love?

 

-Va bene, siete più o meno riuscite nella canzone, tenendo conto del fatto che ve l'ho assegnata due giorni fa- si complimentò il professore. -Oggi, in nome dell'amore e del musical a cui dovete prepararvi, vi lascerò liberi di provare o partecipare ai club durante la mia ora- concluse.

La fortuna a volte esiste, grazie San Valentino! Forse il professore era intenzionato ad invitare qualcuno d'importante ad un'uscita romantica e si voleva sbarazzare di noi, ma questo non era importante. Approfittai dell'occasione per far fare a Nico il giro della scuola. Lo portai al club asiatico che frequentavo e mi sorpresi di trovare lì alcuni miei compagni: anche loro avevano avuto “la benedizione dei professori” per qualche ora libera. Sfortunatamente, io avevo solo quella perchè dopo sarei dovuta andare alle prove del musical. Scelsi la sigla perfetta da far ascoltare a Nico: si trattava dell'anime Kamigami no Asobi, il quale parlava di divinità di ogni tipo, tra cui Ade e Apollo. In fondo al palcoscenico di cui la stanza disponeva vi era uno schermo dove, di solito, mettiamo i video dei balli da imparare o la sigla base dell'anime in questione. Quando stava per partire la canzone scelta da me, arrivò Allen ricco d'orgoglio che indicò lo schermo. -Io ne sono capace!- dichiarò sicuro di sé.

-Di cosa? Su, sentiamo Mr. So-fare-tutto-io- lo canzonai avvicinandomi a lui.

-Già, vorresti dire che vuoi provare a fare quello che facciamo noi?- dalle tende delle quinte sbucò fuori Jonathan, molto interessanto alla sfida di Allen. -Nonostante che per tutti i popolari sia una cosa da sfigati senza successo?- Jonathan incrociò le braccia e si piazzò di fronte al figlio di Apollo, apparendo in tutta tranquillità.

-Io non ho mai pensato una cosa del genere, non sono come gli altri. Voglio testare le mie abilità, visto che c'è questa presunta guerra tra di noi. Ti va?- Allen stese il braccio e aspettandosi una stretta di mano.

Jonathan invece tornò dietro le quinte ridendo. -Vediamo cosa sai fare- e fece partire Daddy di Psy. Una canzone in coreano, per Allen? Era strano vederlo in quel contesto, ma la canzone ci stava a pennello! Dopotutto Allen aveva preso proprio da suo padre. Passato neanche un minuto di canzone, l'aula era gremita di persone, soprattutto ragazze, che ammiravano Allen. Era chiaro che sarebbe andata a finire così con lui. La situazione fece ridere Nico e me, così feci un cenno di saluto da lontano al figlio di Apollo, anch'esso divertito per la scoperta del k-pop, e partii alla volta della classe di recitazione per l'ora successiva.

-A cosa ho appena assistito?- chiese Nico tra l'incredulo e il divertito.

-Fai finta di niente, qui ogni giorno è così. Allen le prova tutte per essere il migliore in tutte le discipline. Pensa che è riuscito a battere da poco Philip Lee per il ruolo di protagonista nel musical! Loro due sono in competizione da sempre, per quel che ne so-

I corridoi, che normalmente sembravano infiniti, con Nico duravano due secondi netti. In aula c'erano già tutti, compreso Allen che sarà fuggito dalla folla alla velocità della luce.

Prima di entrare Nico ed io ci baciammo con Carin che faceva l'osservatrice stizzita.

-Allen perchè te non mi baci così?- entrò in classe disperata.

Lui di tutta risposta disse. -Non ci penso neanche! Sto bene così, grazie-

Durante la lezione provammo vari pezzi del musical “Grease”, in cui Allen ed io interpretavamo i due protagonisti Danny e Sandy. Ci esercitammo soprattutto su “Summer Night” e “You're the One that I want” per ben due ore, sia nel canto, nella coreografia e nei pezzi recitati prima e dopo le canzoni. Fu estenuante. Vidi Nico storcere il naso ogni tanto. Immaginai a cosa stesse pensando: proprio due personaggi innamorati dovevano interpretare? Perchè così vicini? Perchè non sono capace a ballare e cantare? Così magari rubo il posto ad Allen! Okay, no, quest'ultima era ridicola. Credo, però, che non gli dispiacesse l'outfit della seconda canzone: interamente in pelle nera. Per quel che mi riguarda, era troppo stretto. Menomale che Lindsay era nel reparto “costumi” e mi aiutò ad uscire da quella tortura. Tornai alla divisa scolastica, molto più comoda, ed andai a sedermi accanto a Nico in fondo all'aula.

-Cosa ne pensi?- gli chiesi.

-Sei bravissima, ma preferirei che non foste tutti e due protagonisti- disse sincero Nico.

-Ma la bravura non può essere fermata!- gli urlò Allen da lontano ridendo.

Non riuscivo a capire se Allen scherzasse con Nico perchè voleva farsi perdonare anche da lui e provare ad essere suo amico, o provava gusto a dargli fastidio. Probabilmente questa cosa non cambierà mai, ci sarà sempre un po' di dissidio fra i due.

Una mezz'oretta più tardi era già l'orario del pranzo. Ci sedemmo con Ton e Lindsay (sembravano sospettosi), poi Allen ci raggiunse sedendosi di fronte a me.

-Cosa ci fai te qui?- Gli chiese Nico imbronciato.

-Mangio. Posso, piccolo principe?- esclamò il figlio di Apollo alzando la testa dal suo sandwich.

-Ah ah, simpatico. Vuoi che finisca quello che avevo iniziato al campo? Questa volta non c'è Ryan a salvarti- sentenziò il Re degli Spettri.

-Provaci, se ne hai il coraggio- lo sfidò il biondo.

-Vuoi vedere?- Nico si alzò e si avvicinò a lui.

Visti da vicino sembravano i due eterni opposti, come la luce e il buio. La luce del sole calda e pacifica, ma capace di bruciare. Il buio più temibile, quello degli Inferi, freddo e apparentemente indifferente, che sa uccidere con lo sguardo. Così diversi, ma entrambi volevano bene alla stessa persona, e non avrebbero permesso a nessuno di torcergli un capello. Tutti e due emanavano un'aria potente e rispettabile, quasi temibile. Ecco cos'avevano in comune. Inoltre le apparenze ingannano: la luce calda può diventare triste, preoccupata, turbata e fredda, così come il buio può amare come nessun altro e illuminare il mondo con il suo raro sorriso. Perchè non riuscivano a vedere quello che vedevo io?

-Smettetela, vi prego!- li zittii.

I due semidei si guardarono con sguardo di sfida per poi tornare a sedersi tranquilli, godendosi il pranzo. Ogni tanto si guardavano accigliati, ma i miei sguardi su di loro riusciva a fargli capire che non era né il momento né il luogo giusto, soprattutto in mezzo ai mortali.

 

Quando la giornata scolastica finì, io e Nico decidemmo di passare il resto di San Valentino a Londra. -Sei qui da settembre e non hai ancora visto Londra?- mi domandò Nico confuso.

-No, sono uscita solo qualche volta per delle passeggiate fuori dall'Accademia e a casa di Allen per il suo compleanno- risposi.

-Sei stata a casa sua?-

Iniziai a capire cosa gli frullava per la testa così lo fermai. -Nico è San Valentino, la festa degli innamorati. Io sono innamorata di te, non pensiamo ad Allen, godiamoci questa giornata-

-Hai ragione, scusami- disse Nico prendendomi per mano.

-Non preoccuparti, ti va di andare sulla ruota?-

-Facciamoci un giro su questa ruota!- Nico era entusiasta all'idea e corremmo verso il fiume, dove si trovava la ruota, dalla stazione metro più vicina.

Londra era magica. Rilasciava una sensazione incantevole, sembrava di essere in una favola. I palazzi tipici londinesi, il Big Ben, i negozietti, tutto dava il presentimento di essere nell'età vittoriana. Solo le macchine e i grattacieli moderni ti riportavano alla realtà. All'inizio era bello vedere il panorama con Nico ma, quando fummo in alto, cominciò a darmi noia l'altezza. Mi attaccai alla sua camicia nera e non guardai più fuori. Vidi Nico arrossire per la mia azione. Chiusi gli occhi per paura di guardare ancora di sotto e strinsi la presa. Nico mi accarezzò i capelli, così allentai la presa e aprii gli occhi. Mi tirò in su il mento con le dita e mi baciò.

-Non avere paura, è come sul pegaso- mi tranquillizzò.

Con lui le mie paure svanivano, forse sarei riuscita a guardare di nuovo fuori il meraviglioso panorama, ma non riprovai. Rimasi abbracciata a Nico finchè non finì il giro.

Andammo al museo delle cere, un enorme edificio rosso, che ospitava dalle cere degli attori più famosi ai politici, dai personaggi della Marvel ai personaggi storici più conosciuti. Ci scattammo delle foto stupide con le statue con una macchina fotografica usa e getta comprata in un negozietto vicino. Visitammo anche la casa-museo di Sherlock Holmes! Lindsay avrebbe adorato quel posto: le scale erano strette e, ovunque si camminasse, il pavimento scricchiolava. Tutti i mobili erano antichi e riproducevano la casa del rinomato Sherlock Holmes.

Mentre passeggiavamo per strada, vidi un negozio di vestiti interessante (avvenimento al quanto singolare), e Nico fu così gentile da farmici dare un'occhiata. Trovai un abitino nero molto carino: la parte superiore era a fascia e a pois, invece la parte inferiore era un po' ampia e mi arrivava poco sopra il ginocchio. Quando me lo provai chiesi il parere a Nico.

-Come mi sta?-

-Stai benissimo, sei meravigliosa...- mi prese da fianchi per abbracciarmi -...sei la perfetta Regina degli Spettri- mi strinse e mi diede un bacio dolce.

La sua recensione mi convinse a comprare il vestito e, quando tornammo all'Accademia per l'ora di cena, iniziò a svelarmi i piani per la sera.

-Mettiti il vestito nuovo e aspettami in camera. Non andare a cena con gli altri-

Annuii incuriosita da cosa poteva aver preparato. Lindsay ritardò per la cena perché volle truccarmi: qualcosa di nero per gli occhi, come il vestito, e per le labbra un semplice lucidalabbra. Aspettai una decina di minuti, dopo che la mia compagna se ne fu andata, sentii bussare alla porta. Andai ad aprirla e mi ritrovai Nico vestito di tutto punto, in giacca e cravatta nera, che mi porgeva una rosa rossa. -E' qui una certa Michela, figlia di Atena?-

-Certamente, e lei è il mio affascinante cavaliere?- gli risposi sorridente.

-Spero di sì, se lei accetta il mio invito- s'inchinò divertito dalla nostra messa in scena e mi baciò la mano.

-Come potrei mai rifiutare?- gli strinsi la mano e mi lasciai condurre da lui.

Arrivammo in un cortile tutto buio, ai cui margini si potevano vedere delle luci tenue che lo illuminavano. Più ci si avvicinava più si sentiva una musica dolce e leggiadra provenire da quell'angolo di paradiso. Quando raggiungemmo il posto vidi una leggera tovaglia argentata da picnic stesa per terra con un cestino. Poco distanti da noi, degli scheletri suonavano una melodiosa sinfonia con i violini. Tutto inneggiava all'amore e al romanticismo. Era la perfetta conclusione di una giornata da favola. Eravamo circondati da piccole luci gialle come lucciole, e da rose rosse profumate.

-Nico...- ero stupefatta, senza parole.

-Ti piace?- chiese Nico guardandomi teneramente.

-E' stupendo, sei così dolce!- lo abbracciai forte per la gioia.

Dal nostro abbraccio nacque un ballo lento, in cui eravamo molto, molto vicini. Mi sentii una principessa che ballava stretta al suo principe azzurro. Mi sentivo osservata, ma pensavo di sbagliarmi. -Nico, io...- iniziai.

-Si...?- mi incitò in modo amorevole Nico.

-Ti amo- penso non se lo aspettasse, ma avevo il bisogno di dirglielo.

-Ti amo anch'io- mi baciò.

Questo San Valentino ci aveva rafforzati, eravamo più vicini di prima, ci capivamo più di prima. Ogni cosa era al suo posto, tutto stava andando alla perfezione, non avrei potuto sognare di meglio. Ballammo ancora un po', per poi sederci sulla tovaglia argentata.

-Grazie, ragazzi- Nico fece un segno con un dito e gli scheletri scomparvero.

-Ti piacciono le fragole?- mi domandò mentre ci sedevamo.

-Sì, ma siamo a febbraio e le fragole non sono di questa stagione-

-E invece sì, guarda un po'!- Nico tirò fuori dal cestino delle fragole e mi imboccò con dolcezza.

-Sono buonissime! Ma come hai fatto?- chiesi curiosa.

-Eh... è un segreto- mi si avvicinò.

-Vuoi rubarmi un altro bacio?- gli sorrisi.

-Mh... forse- sorrise di rimando e continuò ad avvicinarsi.

Ero pronta a ricambiare ma mi sentii presa da qualcosa. L'ultima cosa che vidi era una specie di pungiglione sopra la testa di Nico, poi il buio.

  
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