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Autore: Xion92    13/09/2017    8 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera a tutti. Ritorno dopo un immenso ritardo di due mesi, causa un gravissimo lutto familiare. Potete quindi comprendere il motivo per cui per tutto questo tempo non ho aggiornato. A questo proposito, ringrazio i lettori che mi hanno fatto le condoglianze, ho apprezzato.
Ho ripreso però, negli ultimi giorni, a scrivere con regolarità, ho ripreso il ritmo e continuerò come ho sempre fatto. A proposito: per questo capitolo ci ho messo molto anche per le tematiche affrontate soprattutto verso la fine. Non è finita la pesantezza che c'era nel capitolo scorso, anzi, è amplificata dal fattore romanticismo, che come sapete faccio molta fatica a trattare. Spero nonostante questo che vi piaccia. Buona lettura!

 

 Capitolo 79 – Riconciliazione


“Via, lasciate! Lasciate passare!”, imprecava Ryou tra i denti, mentre si teneva ben stretta Retasu in braccio in modo da evitare che, a ogni frenata brusca di Keiichiro, la sua ragazza finisse con la fronte contro il parabrezza.
Il suo migliore amico sfrecciava per le strade di Tokyo a tutta velocità, sfiorando i novanta, ma per fortuna quella sera di festa erano ben poche le persone in giro in macchina, e quindi le possibilità di un incidente erano abbastanza basse.
Nei sedili posteriori si erano addossati in cinque, Masaya, Ichigo, Zakuro, Minto e Bu-ling; roba che, se un vigile avesse fermato la macchina, a Keiichiro sarebbe costata la patente. Ma, nonostante fossero appiccicati e non riuscissero quasi a respirare, nessuno faceva un verso, nessuno si lamentava. Erano ancora tutti profondamente scioccati da quello che era successo, e l’unico loro pensiero andava alla loro compagna.
Angel, dopo la lunga e sanguinosa battaglia contro Waffle, alla fine aveva vinto, ma il prezzo della vittoria poteva essere la sua vita. Forse, data la sua corporatura robusta, sarebbe anche potuta uscirne in maniera non grave, ma era stata quella stilettata in pancia a rappresentare la ferita più grossa. L’unica speranza che avevano, ora, era la tempestività e l’abilità dei dottori che l’avrebbero presa in cura.
All’ospedale, la loro amica doveva essere già arrivata. Per quanto Keiichiro andasse veloce, l’ambulanza aveva raggiunto il luogo del combattimento prima di lui, e inoltre con la sirena poteva far fermare il traffico per arrivare prima.
Guardavano fuori dai finestrini, e pareva loro quasi un sogno grottesco vedere tutte quelle decorazioni brillanti appese ovunque, coppie felici a passeggio, e spensieratezza e aria di festa che permeavano l’ambiente. Loro invece erano in preda all’angoscia per la sorte di Angel, e lei, in questo momento, probabilmente stava lottando per non morire.

Arrivarono al parcheggio dell’ospedale in cui avevano portato Angel in una decina di minuti, e Keiichiro, facendo stridere le gomme sull’asfalto, posteggiò la macchina non levando nemmeno la quarta marcia.
I ragazzi schizzarono fuori dalla vettura come se ci fosse dentro uno sciame di vespe e, arrivati al galoppo al banco di accettazione dell’ospedale, Keiichiro si fece avanti e mostrò la copia del documento di identità e della tessera sanitaria di Angel che si portava sempre dietro.
L’addetto controllò le carte e chiese: “siete qui per la ragazza che hanno portato poco fa?”
“Esatto”, confermò Keiichiro. “Probabilmente aveva i documenti nelle tasche dei pantaloni, le ho sempre detto di portarseli dietro.”
“Sì, aveva i documenti e i dati corrispondono”, rispose il signore al banco. “Bene, allora seguite questo percorso per trovarla…”
E spiegò loro la zona dell’ospedale in cui era ricoverata. Meno di cinque minuti dopo, erano davanti alla porta della stanza. Ma essa era sbarrata e la luce posta in cima era accesa di un rosso inquietante. Non si poteva entrare, né guardare dentro.
In quel momento stava passando per il corridoio un infermiere. Ryou, a cui stavano iniziando a saltare i nervi, gli andò incontro e lo fermò.
“Qual è la situazione della ragazza in questa stanza?” gli chiese autoritario.
“L’hanno portata qui dieci minuti fa”, rispose l’infermiere, a disagio. “È presto per poter fare una diagnosi. Adesso i dottori sono dentro ad esaminare la situazione, appena sapranno qualcosa di più preciso ve lo verranno a dire.”
Ryou tornò dai suoi amici borbottando imprecazioni tra i denti.
“Ryou-kun, non fare così”, lo pregò Retasu. “Non è detto che sia grave. Ancora non sappiamo niente, dobbiamo sentire il dottore.”
Ryou la guardò a lungo e sembrò darsi una calmata. “Hai ragione, ancora non sappiamo niente…”, più per assecondarla che per una reale convinzione, e si appoggiò al muro a braccia incrociate.
Bu-ling, da quando erano arrivati, non faceva che camminare avanti e indietro per il corridoio, in preda al nervosismo più puro: era preoccupata sia per Angel che per i suoi fratelli che erano rimasti soli al Caffè, e sperava sia che la prima se la cavasse, sia che i secondi riuscissero a stare tranquilli fino al suo ritorno senza farsi male.
Minto, che aveva un modo tutto suo di reagire agli imprevisti, non trovò niente di meglio che sfogare la sua angoscia prendendosela col personale ospedaliero.
“Questi incapaci, cosa dicono che ancora non possono fare una diagnosi? Sono lenti, lenti come la burocrazia. Che ci vorrà ad esaminare due ferite e dire se bisogna fare un intervento?” ripeteva con voce irritata, mentre Zakuro, che sembrava aver perso ogni speranza di farla tacere, rimaneva zitta a fissare la porta, come se fissandola potesse farla aprire prima.
Anche Masaya, come Zakuro, fissava intensamente quel portone bianco. Si dava di continuo una scadenza in secondi nella testa, convinto che alla fine della conta la porta si sarebbe aperta. Contava trenta secondi, confidando nell’apertura alla fine del tempo. Dopo trenta secondi non succedeva niente, e allora ne contava altri trenta. Così, all’infinito. Andava avanti a contare solo per impedire ai suoi pensieri di iniziare a vorticargli in testa, perché se gliel’avesse permesso, difficilmente sarebbe riuscito a mantenere la calma.
Ichigo, di fianco a lui, non faceva niente ma, nonostante il riscaldamento fosse acceso e lei avesse addosso la giacca, stava rannicchiata e si stringeva le braccia attorno al corpo, come se ci fossero dieci gradi sotto zero. Il suo sguardo non andava alla porta come quello del compagno, ma stava a fissare con estrema attenzione le linee che dividevano le mattonelle del pavimento; quasi sembrava non avere coscienza di quello che stava accadendo dentro quella stanza. Tra le mani stringeva ancora la sciarpa blu macchiata di sangue di Angel, e la teneva stretta come se le dovesse scappare.

Dopo un’altra mezz’ora, la porta finalmente si aprì e ne uscì un anziano dottore in camice bianco.
I ragazzi si raccolsero all’istante intorno a lui, ma non chiesero niente, perché l’espressione del medico era mesta e abbattuta.
“Siete qui per la ragazzina?” si accertò lui.
Ichigo parve risvegliarsi dal suo torpore. “Mi dica, come sta?”
Il dottore guardò con occhi cupi il viso di ognuno di loro. “I tagli che ha ovunque sul corpo sono profondi, ma di sicuro curabili. Però, la ferita che ha nella pancia è molto grave. Mi dispiace, ma è in pericolo di vita”, disse con tono grave.
Ichigo fu sul punto di crollare a terra svenuta, e riuscì a rimanere in piedi solo perché Masaya fece in tempo ad afferrarla per le spalle, anche se pure lui si era sentito un macigno piovergli addosso a quella notizia.
“Ci dica altri dettagli”, intimò Ryou, più in un ordine che in una richiesta, ignorando il rispetto incondizionato dovuto al dottore.
“L’unica cosa che posso dirvi è che ha avuto fortuna che il taglio non le abbia toccato l’arteria aorta. Se così fosse stato, sarebbe morta ancora prima di arrivare qui. Ma è comunque un taglio profondo e grave, che le ha leso i muscoli, le viscere e gli intestini. Ora le abbiamo bloccato il sangue, e dovremo sottoporla a un intervento chirurgico per ripararle le lesioni, ma è un’operazione molto complicata. L’intervento sarà lungo e complesso, e ci metteremo diverse ore per completarlo. Non sappiamo se avrà buon fine, non voglio darvi illusioni di alcun tipo”, spiegò scuotendo la testa.
I ragazzi erano rimasti a guardarlo con gli occhi spalancati e increduli, senza riuscire a replicare. Bu-ling si fece avanti e afferrò il dottore per il camice.
“Sensei, la prego, la salvi! Angel-neechan è una nostra cara amica, non può morire!” strillò con la sua vocetta acuta.
“Noi faremo tutto il possibile, signorina”, replicò con dolcezza il dottore. “Siamo chirurghi esperti, e non ci risparmieremo nessun tipo di operazione. Ma non posso assicurarvi nulla.”
Fece poi girare lo sguardo sui giovani davanti a lui. “Visto che questo è un intervento grave, solo i suoi familiari o chi ne detiene la potestà possono rimanere qui. A chi fa riferimento?”
“A me, sensei”, rispose subito Keiichiro.
Il dottore lo guardò. “Lei può rimanere qui. Ma lei solo.”
“Dobbiamo…”, boccheggiò Retasu. “Dobbiamo andare via?”
“Ah, questo no!” esclamò Minto. “Perché dovremmo?”
“Vi prego, non rendeteci le cose difficili”, disse il dottore. “È la burocrazia ospedaliera.”
“Ma me…” riuscì a dire Ichigo. Poi guardò il suo ragazzo, che la fissò di rimando. “Insomma, noi due… a noi non potete mandarci via.”
Il dottore non rispose a questa richiesta, ma la guardò con aria interrogativa, alzando un sopracciglio, e Ichigo si ammutolì.
Keiichiro venne in loro aiuto. “Ragazzi, andate a casa, ascoltate il dottore. Ormai è tardi, dovete tornare dalle vostre famiglie, sennò si preoccuperanno. Bu-ling deve anche riportare a casa i suoi fratelli. Rimarrò io qui, e appena ci saranno novità farò un giro di telefonate a tutti voi per informarvi.” Poi guardò Ichigo e Masaya. “Voi due sarete i primi che chiamerò.”
“Puoi chiamare solo me, Akasaka-san”, disse Masaya, vedendo Ichigo emotivamente distrutta. “Rimarrò con Ichigo, non posso lasciarla sola.”
In quel momento si sentì un singhiozzo mischiato a un ringhio. I ragazzi si girarono. Era stato Ryou, che era dietro a tutti loro, a fare quel verso. Non aveva più detto niente da quando il dottore li aveva informati delle condizioni di Angel, e ora si strofinava gli occhi col dorso della mano.
“Keiichiro”, disse cercando di mantenere ferma la voce. “Gli altri faranno come gli pare. Io non tornerò a casa senza Angel, non mi interessa.”
I suoi amici rimasero impressionati. Non era che stesse proprio piangendo, aveva solo gli occhi arrossati, ma nessuno di loro, a parte Keiichiro, glieli aveva mai visti lucidi.
“Ryou, dai, su”, lo esortò il suo migliore amico, con un tono che forse aveva già usato altre volte quando il più giovane era un bambino. “Devi andare, invece. Accompagna Bu-ling a prendere i suoi fratelli e Retasu a casa, e aspetta la mia chiamata. Non rendere le cose più difficili di quelle che sono.”
Ryou tirò un gran respiro per calmarsi, e Retasu gli andò vicino prendendolo per un braccio.
“Ti prego, Ryou-kun”, lo incitò anche lei.
Il ragazzo la guardò, e alla fine annuì lentamente. Però guardò ancora Keiichiro. “Quando mi telefonerai, sarò in giro, quindi chiamami al cellulare. Senza di lei la casa è vuota, e io non voglio restarci.”
Keiichiro lo guardò, toccato. “Va bene. Forza, andate.”
Masaya dovette guidare Ichigo lungo il corridoio, visto che la ragazza, alla notizia che Angel era seriamente in pericolo, pareva aver perso ogni sprazzo di vita, e tutto quello che faceva era lasciar scorrere lo sguardo vuoto davanti a sé. Il ragazzo stesso cercava di mantenere la lucidità per non farsi prendere dallo sconforto, e quindi non lasciava trasparire emozioni negative. A parte loro, le altre ragazze uscirono dall’edificio profondamente abbattute: singhiozzavano in modo sommesso, senza lasciarsi andare alle lacrime solo perché ancora il destino di Angel non era segnato. Perfino Minto, che era quella più sostenuta, e Zakuro, che riusciva a rimanere razionale in ogni situazione, erano scosse dai gemiti.
Nessuna di loro aveva mai pensato che anche Angel avrebbe potuto rischiare la vita in modo così serio. Erano abituate a vederla come una ragazza così forte, resistente e dalle mille risorse, che il fatto che anche lei potesse venire ferita mortalmente non le aveva mai davvero sfiorate. E, dopo tutti quei mesi di convivenza e collaborazione, tutte quante si erano legate a lei e le si erano affezionate, ognuna a modo proprio. Retasu si teneva stretta a Ryou e Bu-ling a Retasu, Zakuro aveva gli occhi arrossati e Minto ripeteva a bassa voce:
“no, non può morire… una così selvatica e con la pellaccia così dura non può morire… non può farmi questo scherzo, non è per niente divertente…”
Tutti e otto presero la metro che aveva la fermata poco più in là, e rimasero silenziosi e con gli occhi bassi per tutto il tragitto. Prima scese Minto, poi Zakuro e, arrivati alla fermata più vicina al Caffè, Ryou, Retasu e Bu-ling.
Solo Masaya e Ichigo rimasero, visto che alla fermata vicino al loro quartiere mancavano ancora un paio di fermate. Ma a Masaya sembrava quasi di essere solo: Ichigo non aveva più fatto un verso, né sembrava aver davvero più guardato qualcosa. Stava lì in piedi, vicino alla porta automatica, senza piangere, lasciando scorrere gli occhi vuoti e il viso inespressivo sul vagone, senza concentrare lo sguardo su niente in particolare. A lui faceva paura e lo inquietava il vederla così. Non sapeva neanche lui quanto si sentisse oppresso dall’angoscia, ma comunque una certa lucidità e raziocinio riusciva a mantenerli. Non sapeva quali pensieri girassero nella mente di Ichigo in quel momento, né se stesse provando sentimenti simili ai suoi o diversi. Anche la sciarpa, che all’ospedale Ichigo aveva stretto salda tra le mani, adesso la teneva in modo languido, quasi come se fosse un impiccio.
“Ichigo, siamo arrivati”, la richiamò, quando vide che lei non rispondeva all’annuncio della fermata. Visto che non reagiva, la tirò in piedi e la spinse fuori dal vagone.
Una volta risaliti in superficie, le disse: “starò con te finché non sapremo qualcosa su Angel. Se andiamo a casa tua come giustificheremo il nostro stato ai tuoi genitori?”
Ichigo non gli rispose, come se non l’avesse nemmeno sentito, quindi il ragazzo dovette ripeterle la domanda.
Lei alzò gli occhi e lo guardò con espressione vacua. “Non ci sono i miei genitori… sono a festeggiare, dormiranno fuori e mio padre domani andrà direttamente al lavoro.”
“Ah, va bene. Non ci sono… neanche i miei”, rispose Masaya. “Non sono a festeggiare, però. Ogni tanto passano una notte o due in azienda, visto che è dall’altra parte di Tokyo e ci sono compiti importanti di cui occuparsi.”
Ragionò velocemente: per non morire di freddo, sarebbero potuti andare sia a casa di Ichigo che alla sua. Meglio la sua, però, visto che Ichigo era poco reattiva, e almeno nella casa di lui Masaya avrebbe avuto più libertà di muoversi e di metterla a suo agio.
“Andiamo a casa mia, Ichigo, così almeno non ci ammaliamo. Ti va bene?”
Ma lei non gli prestò alcuna attenzione.
“Ichigo, ti prego, parlami!”, la esortò lui, alzando la voce e sentendosi nel tono una parvenza di disperazione.
Lei allora riuscì a guardarlo per la prima volta in quella nottata, e annuì in silenzio.

Il ragazzo infilò la chiave nella serratura del portone e, una volta aperto l’uscio, si ritrovò davanti il suo cane che saltava, ansimava e si sollevava su due gambe per cercare una carezza.
“Rau… no, adesso no…” cercò di placarlo Masaya, dandogli un buffetto sulla testa.
La casa era buia e silenziosa. I suoi genitori non sarebbero rientrati prima della sera dell’indomani. Era una cerimonia che si ripeteva più o meno una volta al mese, e Masaya aspettava ogni volta con ansia quella data. Erano praticamente gli unici momenti in cui poteva starsene tranquillo da solo, senza qualcuno che gli mettesse pressione per fare questo o impegnarsi in quest’altro. Qualche volta invece, il sabato e la domenica, suo padre se lo portava dietro per mostrargli nel dettaglio il funzionamento dell’azienda di cui il figlio un giorno sarebbe stato il padrone, una prospettiva e un futuro per i quali il ragazzo provava il disinteresse più totale. Questa volta invece erano andati solo i suoi genitori perché il giorno dopo Masaya sarebbe dovuto andare a scuola.
Ora c’era solo una cosa che lui poteva fare: sentiva Ichigo di fianco a sé sempre più distante. Doveva assolutamente fare in modo di distrarla e non lasciare che si facesse prendere dallo sconforto. Difficile, perché anche lui si sentiva un macigno addosso. Ma doveva provarci.
Accese subito tutte le luci e si tolse la giacca.
“Ascolta, Ichigo, prima abbiamo a malapena mangiato. Appendi la giacca, che adesso vedo cosa c’è in casa e preparo qualcosa da mangiare. Non posso lasciarti andare a casa digiuna.”
Ichigo, allora, si tolse la giacca e la appoggiò sul divanetto lì vicino, ma in modo meccanico e neutro.
“Dai, vieni a vedere in dispensa cosa c’è, aiutami a scegliere”, la invitò il suo ragazzo, e andò in cucina per aprire gli sportelli dei mobiletti.
“Allora, c’è il riso, il curry, le verdure sotto vetro… ma Ichigo: non vedi niente che ti possa andare?” cercò di smuoverla.
Gli occhi della ragazza scorsero privi di interesse sui pacchetti di cibo.
“Per me è uguale”, disse solo.
Masaya pensò che era inutile insistere. “Va bene, incomincio con una zuppa di miso, così almeno ci scaldiamo. Poi si vedrà.”
Andò a prendere il miso, il preparato per il brodo, il tofu e un cipollotto dal frigo e riempì di acqua un pentolino.
“Spero che ti piaccia, sono una frana a cucinare, mia madre non me lo lascia mai fare. Se poi ti sentirai male, saprai il motivo”, disse a Ichigo con tono divertito e imbarazzato. Ma lei non colse la battuta e rimase zitta a guardare il pavimento.
Masaya non sapeva più cosa dire. Avrebbe potuto iniziare a raccontare qualcosa di divertente con un pretesto qualsiasi, ma la verità era che non ce la faceva neanche lui. La visione di Angel tutta insanguinata e distrutta nel corpo continuava a balenargli davanti, ma per il bene di Ichigo non poteva farsi prendere dalla disperazione.
Lei si sedette al tavolo di legno della cucina tenendosi in grembo la sciarpa, mentre lui si mise ai fornelli dandole le spalle. Mentre metteva le cucchiaiate di miso nell’acqua bollente, guardando il brodo che si formava gli venne in mente un ricordo che aveva a che fare proprio con questo cibo.
“Bu-ling, seeenti, adesso ti spiegooo (hic!). Te… te… quando cucini, non deeevi fare la roba così brodosa… non lo veeedi che non ci sta nel gugghiaio?”
Era stata Angel a dire questa frase. Ma quand’era che l’aveva pronunciata? Ma sì, in campeggio in montagna, la sera del secondo giorno, quando si era ubriacata col vino di Keiichiro! Ecco il perché di quel tono così strascicato e alterato. Bu-ling aveva preparato la minestra in brodo, ma Angel era talmente ubriaca che non riusciva nemmeno a portarsi il cucchiaio alla bocca senza rovesciarne il contenuto.
Al riportare alla mente quella serata così pazza e divertente, mentre guardava il brodo che bolliva Masaya non riuscì a trattenersi e iniziò a ridacchiare convulsamente. Quanto era matta Angel! Più matta di Ichigo nei suoi momenti peggiori. Poi però, il suo divertimento venne subito rimpiazzato dall’angoscia che sentiva, che tornò prepotente a dominargli l’animo. La sua Angel, così vivace, così strana, così matta, a cui lui voleva così bene, adesso era piena di ferite, la stavano operando e rischiava di non superare la notte.
A quel pensiero, il ragazzo provò a trattenersi, ma un paio di singhiozzi silenziosi gli scapparono. Si ricompose subito, sperando che Ichigo non lo avesse sentito. Meno male che era voltato. Era terribile per lui il dover mandar giù tutto e non potersi sfogare, ma la sua ragazza stava già male di suo. Non poteva farsi vedere triste.
Appena la zuppa fu pronta, Masaya la versò in due tazze, ne mise una con un cucchiaio davanti a Ichigo e si sedette all’altro capo del tavolo con la sua.
“Adesso mangia, dai”, la invitò incoraggiante.
La ragazza lo guardò strizzando appena gli occhi a quelle parole, come se le avesse fatto una richiesta in una lingua sconosciuta. Prese il cucchiaio e iniziò a girarlo nel brodo caldo, poi se ne portò un po’ alla bocca, ma appoggiò appena le labbra al bordo senza bere niente.
Allora il giovane, per darle esempio, fece anche lui per bere la sua parte; riuscì a buttare giù un paio di cucchiaiate, ma dopo pochi attimi i ricordi di Angel gli tornarono in mente.
‘In tutti questi mesi, non le ho mai chiesto se le piacesse la zuppa di miso… penso di sì, visto che è un piatto povero come piace a lei…’
E ancora gli tornò nella memoria quella volta in cui lei gli aveva portato delle piante che secondo lei erano degne di nota.
‘Queste si cucinano con le lenticchie’, gli aveva detto.
Masaya, dopo aver riportato di nuovo alla mente la voce di Angel, appoggiò il cucchiaio di fianco alla ciotola e si appoggiò le mani sulla fronte, coprendosi gli occhi. Doveva farlo per forza, Ichigo non doveva vederlo così. Iniziò a singhiozzare, sentendo le lacrime scendergli dagli occhi senza più trovare ostacoli. Non vedeva la sua ragazza, visto che aveva le mani davanti. Cercò ancora una volta di darsi un contegno, ma man mano che il tempo passava diventava sempre più difficile. Si teneva il cellulare nella tasca dei pantaloni, in modo da sentire subito la vibrazione appena avesse squillato, ma la notte diventava sempre più fonda e Keiichiro non chiamava. Si tolse le mani dagli occhi arrossati, riuscendo ad interrompere le lacrime.
Anche se vedeva offuscato, Ichigo era ancora seduta davanti a lui, e lo guardava meravigliata e impaurita.
“Non è niente, non è niente”, le disse subito, cercando di mantenere il tono fermo. “Non pensiamoci, va bene?”, le disse senza alludere a cosa era meglio non pensare.
Ichigo annuì, ancora senza dire nulla. Non aveva bevuto nemmeno un sorso della zuppa.
Visto che era evidente che nessuno dei due aveva la voglia o la forza di mangiare, Masaya pensò che era inutile rimanere lì in cucina. Potevano spostarsi in soggiorno. Ma il ragazzo pensò che stare in un ambiente più raccolto e a Ichigo più familiare l’avrebbe potuta aiutare.
“Vogliamo andare su in camera?”, le chiese. Lei qualche volta era venuta a casa sua per farsi aiutare coi compiti o per stare in sua compagnia, e la sua stanza non era un ambiente per lei estraneo come il resto della casa.
Infatti Ichigo annuì, ma non sembrava che quella proposta le avesse migliorato l’umore.
Una volta di sopra, Masaya si dimenticò perfino di accendere la luce e si avvicinò alla finestra. Anche se nella stanza era buio, c’erano due lampioni proprio vicino alla sua casa, e quindi la luce che filtrava nella camera illuminava abbastanza.
‘E pensare che l’anno scorso, a quest’ora, eravamo a baciarci ed abbracciarci sotto un albero di Natale, felici e senza nessun pensiero che ci turbasse più’, pensò lui, guardando fuori dalla finestra il cielo pesante e nuvoloso.

Ichigo ancora non si era staccata dalla porta. Stava in piedi a fatica, tutta la forza che possedeva sembrava averla messa nella stretta attorno alla sciarpa sporca di Angel. Era da tanto tempo che la sua compagna era stata ferita mortalmente, era tanto tempo che l’avevano portata in ospedale, ed era tanto tempo che loro se ne erano andati con la promessa che Keiichiro li avrebbe richiamati. Eppure non era ancora riuscita a formulare un solo pensiero concreto. Non poteva formularne uno, perché la sua mente era vuota. Non sapeva nemmeno cosa pensare. Sapeva solo che non si sentiva più la forza, per niente, neanche per parlare.
Girò la testa verso sinistra, guardando senza interesse la scrivania del suo ragazzo. La luce dalla finestra batteva proprio sul ripiano, illuminando tutto quello che vi si trovava sopra. E, tra gli oggetti disposti in modo ordinato sul tavolino, Ichigo scorse un riquadro abbastanza piccolo. Una foto, probabilmente. Si avvicinò, e si rese conto che in realtà si trattava di una fototessera. La prese con la mano libera e guardò di chi fosse. Sopra era stampato il viso in primo piano di Angel. Non sorrideva, anzi aveva il viso piuttosto imbronciato, come se fosse scocciata di farsi fare quella foto. Ichigo sapeva che lei aveva fatto quelle fototessere al momento di iscrizione a scuola. Ma non aveva idea che Masaya ne possedesse una. Forse ne aveva chiesto una copia ai loro due capi per poterla tenere sulla scrivania.
Ichigo osservò con attenzione quegli occhi seri, adulti e indispettiti, che sembravano dire ‘quand’è che finisce ‘sta roba noiosa?’; osservò i lineamenti dritti e duri del suo viso, la sua pelle chiara, i suoi capelli neri corti e arruffati, e sentì un gemito uscirle dalla gola. Il primo che emetteva da quando la lotta contro Waffle era finita. Si avvicinò la foto al viso e se la premette sugli occhi strizzati che stavano iniziando a lacrimarle. Senza più mettere freni, iniziò un pianto lamentoso, rendendosi conto solo dopo aver riguardato quel viso di cosa si trattava in realtà: per quanto poche fossero, le vaghe somiglianze che il viso di Angel aveva col suo le riconobbe tutte; quel sangue che macchiava la sciarpa che stringeva in mano era lo stesso che scorreva nelle sue vene. Non credeva di aver mai provato, nella sua vita, quel senso di lacerazione che aveva sentito quando il jitte di Waffle si era piantato nel corpo dell’altra ragazza. Anche se a lei, a Ichigo, il ventre era intatto, il sangue se lo era sentito scorrere fuori come se la ferita fosse stata inflitta a lei, e non a Angel. Lei adesso era in ospedale, stava rischiando di morire, e Ichigo sapeva che avrebbe potuto anche non vederla mai più. Non avrebbe mai più potuto sentire la sua voce forte e maschile, ascoltare i discorsi divertenti e a volte assurdi che faceva, godere della sua presenza, vedere i suoi occhi brillanti di quella tonalità di marrone che a lei era così familiare. Quanti rimpianti si sentiva dentro, quante cose avrebbero potuto fare ancora insieme, quante parole non era riuscita a dirle in tutti quei mesi di vicinanza… e in quella serata, ogni possibilità di dire o fare tutto quello che era rimasto in sospeso sarebbe potuta sfumare.

In tutto questo, Masaya la guardava scioccato da davanti alla finestra e, pochi secondi dopo che Ichigo aveva iniziato a piangere, vedendo che aveva lasciato cadere la sciarpa e stava lei stessa per crollare a terra fece uno scatto in avanti e la sostenne per i fianchi. Ma quel pianto improvviso e disperato aveva definitivamente cancellato anche le barriere che lui si era posto, e invece di riuscire a sostenere Ichigo, anche Masaya crollò a terra insieme a lei, ritrovandosi seduto sul pavimento tenendosela salda contro il petto. Si abbracciarono stretti e piansero, Ichigo lasciando andare ogni tanto un breve gemito più forte intervallato ai singhiozzi, mentre il lamento di Masaya era continuo e costante.
Piansero ed espressero il loro dolore senza parlare per alcuni minuti, poi Ichigo, che sembrava aver raggiunto il limite, chiese disperata al suo ragazzo:
“Aoyama-kun, Angel ce la farà? Vero, che ce la farà…?”
“Io…” rispose lui, strofinandosi una mano sulla faccia. “Io non lo so, Ichigo. Vorrei dirti di sì per rassicurarti, ma non voglio neanche farti illusioni. Né a te né a me stesso.”
Allora Ichigo gli strinse con le mani la felpa e premette la fronte sul suo petto.
“Se dovesse succederle qualcosa… io… io non lo so cosa potrei fare…”
“Non dirlo!” cercò di interromperla lui, spaventato.
“Se solo potessi fare qualcosa… qualcosa per salvarla…”, riuscì a far capire Ichigo tra i singhiozzi. “Potevamo usare la µAqua, ma lei non ha voluto… e in tutto questo tempo, io…”
Staccò il viso dalla felpa del ragazzo e alzò gli occhi disperati verso i suoi, che la guardavano scioccati.
“In tutti questi mesi sono sempre stata insieme a lei… abbiamo fatto un sacco di cose insieme, e non c’è stata una sola volta… non le ho detto nemmeno una volta che le voglio bene…”
“Non c’è bisogno che tu gliel’abbia detto”, rispose lui stringendola forte. “Lei l’ha capito lo stesso. Lo sa, che le vuoi bene.”
“No, non è vero”, rispose Ichigo, scuotendo la testa. “Anche se lo avesse capito… non era nel modo che voglio dire. Non era nel modo in cui le vuoi bene tu… tu non hai motivo di avere rimpianti, mentre io…”
Deglutì e riprese fiato con dei respiri veloci. “Se solo potessi esserci io adesso, al posto suo… questo intendo. Ma lei non lo sa… e io… non gliel’ho mai fatto capire. Ma non pensavo… non mi rendevo conto…”
Masaya la strinse ancora più forte, temendo quasi di farle male.
“Non devi rimproverarti, hai sempre fatto quello che ti sei sentita. Angel è stata felice lo stesso di ricevere quello che le hai dato.”
“No, no, non era quello che volevo darle. Ma ho dovuto vederla ridotta così per accorgermene”, rispose Ichigo, senza placarsi.
Staccò poi il viso da lui e disse, con gli occhi che ormai non riuscivano neanche più a piangere: “farei qualunque cosa per salvarla… qualunque cosa… se uno mi chiedesse fino a che punto potrei arrivare gli direi… morirei… sì, questo farei.”
Gli occhi di Masaya si addolcirono quando lui sentì quelle parole. “È la stessa cosa che hai detto anche prima: uccidi me, ma lasciala andare. Ed è la stessa cosa che farei anch’io.”
Ichigo fece un sorriso, orgoglioso ma anche triste. “Per la mia Angel, lo farei.”
“Per la mia Angel, lo farei”, ripeté lui, sorridendole malinconico di rimando.
Si riabbracciarono e rimasero quieti, un po’ singhiozzando e piangendo, un po’ stando in silenzio per calmarsi, per poi ricominciare col loro lamento disperato che non si riusciva a consolare. Avevano intrecciato le dita delle mani, in una preghiera taciuta e silenziosa, e cercavano di farsi forza in questo modo, ma entrambi avevano nel cuore quel senso di vuoto che si prova quando la persona più importante della propria vita sta per essere strappata via.
Masaya, a occhi strizzati nel pianto, non riuscì, pur nel suo dolore, ad evitare che la sua mente lucida e razionale si mettesse a cercare un parziale rimedio nel caso le cose fossero sfociate in tragedia. Angel era nata il due ottobre del 2004. Andando nove mesi indietro, veniva fuori il due gennaio. Quindi loro due, calcolando opportunamente tutto, avrebbero sempre fatto in tempo a… no, non era possibile, realizzò a denti digrignati. Angel non era solo il frutto di una data, ma era il frutto di un incontro fra due gameti completamente casuali, che forse questa volta nemmeno si sarebbero venuti a creare, e comunque era impossibile che proprio quei due si sarebbero potuti incontrare di nuovo. La conclusione era agghiacciante: Angel era unica e irripetibile, e nella loro linea temporale non sarebbe mai potuta nascere di nuovo. Non sarebbe nata mai più; non sarebbe esistita mai più. Se fosse morta quella notte, non avrebbero mai potuto riaverla indietro, nemmeno sotto forma di bambina.
In tutto questo, nessuno dei due sapeva neanche che ora fosse. Le undici? Mezzanotte? L’una di notte? Non lo sapevano, e neanche gli importava. Sapevano solo che sarebbero rimasti svegli fino al mattino dopo, se nessuno gli avesse detto come stava Angel.
A furia di piangere, di dare sfogo al loro dolore, la stanchezza però aumentava, e i due ragazzi erano sul punto di addormentarsi abbracciati seduti sul pavimento. Finché, dal nulla, quando meno se lo aspettavano, il cellulare di Masaya iniziò a vibrare nella sua tasca.
Ichigo saltò dal suo posto come se l’avesse punta una tarantola, e Masaya tirò fuori il cellulare, rischiando più volte di farlo cadere.
“È Akasaka-san!” gridò, aprì il cellulare e se lo avvicinò all’orecchio.
“Pronto, pronto!” urlò quasi al microfono.
“Aoyama-san”, sentì la voce del suo capo dall’altra parte. “Ho appena avuto notizie…”
“Cosa dice? Cosa dice?!” farneticò Ichigo, tentando di avvicinarsi per sentire meglio.
“Ssssh”, la zittì lui, e la allontanò tenendola stretta per la spalla. “Dimmi, Akasaka-san!”
“L’intervento è andato bene. Angel ce l’ha fatta” comunicò la voce, stanca ma felice, di Keiichiro.
“Cosa?!” balzò in piedi Masaya.
“Cosa dice?”, chiese ancora Ichigo.
“Ce l’ha fatta”, le rispose trepidante Masaya appoggiando una mano sul microfono. “Ah, sì, sì, dimmi, Akasaka-san!” riprese la conversazione, ignorando il fatto che le pupille di Ichigo si stavano dilatando a quella notizia.
“Il dottore ha detto che non ha mai visto un suo paziente con una voglia di vivere così forte”, riprese ridendo Keiichiro. “Questa non moriva nemmeno se le sparavano in testa, così ha detto una volta uscito dalla sala operatoria. E sai che Angel ha pure parlato?”
“Cosa?! Ha parlato?!” chiese incredulo Masaya. “E… e cos’ha detto?”
“Il dottore non ha capito bene, perché borbottava. Però sembra che abbia detto maledetto Flan, ti ammazzo.”
“Così ha detto?” chiese ancora Masaya, quasi mettendosi a ridere e sentendosi l’animo sempre più alleggerito. Guardò la sua ragazza che lo fissava trepidante. “Sta veramente bene, Ichigo.”
“Adesso è in prognosi riservata, perché le ferite sono comunque molte. Ma quella più grossa è stata operata con successo e non è più in pericolo di vita. Questo ora conta”, disse trionfante Keiichiro. “Ora però vi lascio, ragazzi, devo avvisare anche gli altri. Appena ho saputo la notizia, vi ho chiamati subito, e siete stati i primi, come vi avevo promesso.”
“Grazie, Akasaka-san, grazie davvero”, disse pieno di rispetto Masaya.
Chiuse il cellulare, e si ritrovò Ichigo appesa al collo in meno di un secondo. La ragazza piangeva di nuovo, ma la sua voce non era più disperata e angosciata, ma piena di gioia e di sollievo.
“Ce l’ha fatta, io lo sapevo, lo sapevo che doveva farcela. Angel non può morire, non poteva lasciarci.”
Il ragazzo appoggiò il cellulare sul comò e la abbracciò stretta. Anche lui aveva ripreso a piangere.
“Sì, ce l’ha fatta… l’hanno salvata, e lei ha combattuto fino all’ultimo. Non mi sarei aspettato niente altro da lei.”
Ma, dopo aver detto questa frase, il ragazzo si ricordò di qualcosa e, ritornando serio, si staccò da Ichigo allontanandola da sé. La ragazza lo guardò confusa, senza capire.
“Ichigo, ascolta, adesso che questa tragedia si è risolta per il meglio io… devo confessarti una cosa”, le disse con tono fermo. “So che adesso dovremmo essere felici e basta, ma non ce la faccio più.”
“Cosa devi dirmi…?” chiese incerta Ichigo, evidentemente incredula che lui fosse capace di spezzare un momento di gioia come quello.
“In tutti questi mesi… da inizio autunno, insomma… Ichigo, ti ricordi quella litigata che avevamo avuto a casa tua?”
“Sì”, rispose lei, che forse nemmeno se la ricordava più.
“Beh, ecco… anche se dal giorno dopo mi sono comportato come se non fosse successo niente, in realtà avevo preso molto male quello che mi avevi detto. Io amavo Angel come una mia figlia, mentre tu no. E non potevo rimproverarti una cosa del genere, non lo facevi certo apposta. Anzi, era comprensibile. Però io mi sentivo così distante dal modo in cui ti ponevi con lei… non riuscivo a capacitarmi che non potessi amare Angel come una figlia, ma come una compagna e basta. Insomma, mi sentivo così distante dal tuo modo di sentire e così deluso dal tuo comportamento, che avevo anche pensato di… di chiudere con te. Però non ti ho mai detto niente e mi sono comportato come sempre perché non volevo che Angel se ne accorgesse. Sono stato zitto per il suo bene, capisci? Almeno all’inizio. Poi l’arrabbiatura e questi pensieri mi sono passati, almeno un po’, ho sempre continuato ad amarti, non ho mai smesso di amarti, però non sapevo bene come comportarmi. Mi sentivo vicino e lontano da te al tempo stesso, ecco. Insomma, non sono stato sincero con te fino in fondo. E mi sentivo così male per questo da evitare anche di starti troppo vicino, perché sentivo una gran vergogna e ribrezzo per me stesso.”
“Ecco perché mi sembravi… diverso e distante, ultimamente”, disse piano Ichigo.
“Era questo che volevo dirti. E te l’avrei confessato dopo cena, se non fosse successo… quello che è successo.” Tirò un gran respiro e aggiunse sereno: “ora lo sai. Mi sono liberato di un gran peso, non immagini quanto stia meglio. Ma è tuo diritto decidere cosa fare, ora. Se ti senti presa in giro e delusa dal modo in cui mi sono comportato, ne hai tutto il diritto. E se non vorrai più stare con me per questo, non potrò fare altro che darti ragione. Ma se invece vorrai rimanere al mio fianco, non ti toccherò finché non mi avrai perdonato per quello che ti ho fatto.”
Ichigo era rimasta confusa e interdetta a quella confessione. Subito, senza stare a ragionare, provò a replicare: “ma quello che hai fatto non è una cosa per cui ti devi scusare. Anche altri, al tuo posto…”
“Ichigo”, la interruppe spazientito il ragazzo. “Per favore, riflettici prima di parlare. Quello che ho fatto è molto grave. Non lasciarti condizionare dalla bella notizia che abbiamo appena avuto. Pensaci molto bene, prima di decidere cosa fare. Questa è una cosa seria.”
Masaya rimase in piedi, mentre Ichigo si sedette sul letto, le mani in grembo e la testa bassa. Il giovane la vide tenere gli occhi fissi sulle scarpe, concentrati e indecifrabili. Ogni tanto li socchiudeva e rimaneva così per alcuni secondi, per poi riaprirli. Pensava. E Masaya stava ad aspettare, col cuore in gola, che pesasse ogni aspetto della vicenda e ogni dettaglio che le aveva rivelato.
Alla fine, Ichigo alzò lo sguardo. “Ci ho pensato molto bene. Voglio restare con te, non ti potrei mai lasciare, per niente al mondo; ma non penso che tu abbia bisogno del mio perdono. In fondo anch’io, all’inizio della nostra relazione, ti ho…”
“Non ti toccherò finché non mi avrai perdonato”, ripeté lui, fermo. “Non cercare di venirmi incontro, Ichigo. Non riuscirei a sopportare che tu ci passi sopra. Se vuoi continuare a camminare insieme a me, devi riconoscere le mie colpe, quando le ho. Tu sarai mia moglie un giorno, e di sicuro, con gli anni, ci saranno delle volte in cui litigheremo e non andremo d’accordo. L’unico modo di superare questi ostacoli è riconoscerli. Te lo chiedo un’altra volta: mi perdoni?”
Vide che gli occhi della ragazza luccicavano alla luce dei lampioni, e lei inspirò alcune volte dal naso, forse perché era attraversata da delle forti emozioni.
“Sì, Masaya, ti perdono”, gli disse, con voce sicura e spontanea, in un tono che sembrava le fosse uscito direttamente dal cuore senza passare per la gola.
Lui rimase paralizzato per una frazione di secondo, non sapendo se il motivo fosse che l’aveva chiamato per nome per la prima volta o per quel suo ti perdono. Riuscì a recuperare la sua percezione mentale solo un attimo dopo, solo dopo essersi ritrovato abbracciato a lei. Lo scatto che aveva fatto per raggiungerla era stato però così impulsivo e non ragionato che, nel momento in cui l’aveva stretta, l’aveva spinta all’indietro sul letto, finendo così avvinghiato alla ragazza, sdraiato accanto a lei sul materasso.
Senza lasciarla andare, iniziò freneticamente a ricoprirle di baci il viso. Non ci poteva credere: era arrivato il momento che aveva aspettato da tanto tempo. Per molti mesi lui e Ichigo erano stati insieme, ma a causa dei diversi sentimenti che provavano verso Angel, non si erano mai veramente incontrati nel loro percorso, ma avevano proceduto su due binari paralleli. Lui non la sentiva vicina, e probabilmente nemmeno lei ci era riuscita. Ci era voluta questa tragedia accaduta nella notte di Natale a spese di Angel per riuscire a riavvicinarli. Ora Masaya sentiva il vincolo che lo aveva sempre legato a Ichigo completamente riallacciato, e anzi, rinforzato nel punto in cui si era in precedenza rotto. Ora lui lo sapeva e lo sentiva, che anche se loro due amavano Angel in maniera diversa – lui più di testa, lei più di pancia – le volevano bene nello stesso identico modo, ed entrambi sarebbero stati pronti a morire per salvarla. Si sentiva ora più vicino a lei di quanto non si fosse mai sentito prima, più ora che in tutti i momenti in cui fino ad allora erano stati insieme. Tanto che, quel senso di vicinanza spirituale che sentiva con lei iniziò a manifestarsi come un’esigenza e un desiderio più concreti.
Smise di baciarla, rendendosi conto che forse avrebbe dovuto lasciarle la possibilità di respirare. Staccò il viso dal suo; erano stretti l’uno all’altra in quella stanza buia, e per l’impeto e la foga ora lui si ritrovava steso sopra di lei. Si faceva fatica a vedere, ma grazie alla luce del lampione sulla strada che filtrava dalla finestra si riuscivano a distinguere le espressioni e i lineamenti. E Masaya, nel viso di Ichigo, un po’ frastornato per tutti i baci che aveva ricevuto sulle guance, sulla fronte, sui capelli, sulla bocca, dappertutto, colse una sorniona soddisfazione. Ma non solo questo. Nei suoi occhi lesse chiarissimo un messaggio: un invito. Un invito che lui, come uomo innamorato della sua donna, colse e interpretò alla perfezione.
Stava per riabbassarsi su di lei, quando Ichigo girò la testa verso la finestra ed esclamò sorpresa ed emozionata: “Masaya, guarda!”
Anche lui voltò la testa, e vide, con grande meraviglia, al di là del vetro della finestra cadere tanti puntini bianchi. Scendevano calmi, perché non c’era vento quella notte. Era un evento eccezionale, dato che nella parte del Giappone che dà sull’Oceano Pacifico non nevica molto. E invece stavolta era successo di nuovo, come la notte di Natale di un anno prima. I due ragazzi guardarono con stupore quello spettacolo tenendosi abbracciati. Anche una semplice nevicata come quella per loro si caricò di significato. Dopo l’ansia, il dolore, il rimpianto, la paura che li aveva scossi quella sera, quei fiocchi che scendevano tranquilli ridavano serenità e pace.
Dopo aver goduto di quella visione per un paio di minuti, Masaya si girò di nuovo verso Ichigo e, assecondando l’invito che gli aveva rivolto tramite sguardo, si riabbassò su di lei riprendendo a baciarla sulla bocca ad occhi chiusi. Stavolta però, anche grazie alla nevicata di fuori, si era un po’ calmato da quell’impulsività che gli era presa in precedenza, e non le diede dei baci frenetici come aveva fatto poco prima. Lui sentiva il desiderio che gli stava ghermendo il fisico, lei gli aveva chiesto di soddisfare quel desiderio che evidentemente sentiva anche lei, e si sarebbero presi tutto il tempo che serviva, senza l’urgenza di fare in fretta. Il ragazzo si sistemò meglio sopra di lei in modo da distribuire il peso per non schiacciarla e le strinse le braccia attorno alle spalle. Già Ichigo aspettava con gli occhi socchiusi. Anche lui socchiuse i suoi e iniziò a baciarla sulla bocca, lentamente e gustandosi il contatto con quelle labbra fresche, anche se sapeva che lo sarebbero state solo all’inizio. Dopo il primo bacio, ne iniziò subito un altro, poi un altro e un altro ancora, staccandosi appena solo per dare a entrambi la possibilità di prendere fiato. Sentiva la sua ragazza completamente abbandonata a lui, e man mano che andava avanti il senso di agitazione dentro di lui cresceva. Per tentare di dargli sfogo, passò le mani sul viso di Ichigo e poi tra i suoi capelli, sciogliendole i nastri mentre glieli accarezzava. Eppure tutto ciò non bastava, e quel suo desiderio che si faceva sempre più intenso non trovava sfogo. Anche Ichigo, sotto di lui, che ogni tanto dischiudeva le palpebre per guardarlo negli occhi nella penombra, sembrava sempre più impaziente, e quando lo guardava sembrava rivolgergli sempre lo stesso invito. Lui allora raddoppiava l’intensità dei baci e delle carezze che le dava, ma ciò non era abbastanza, né per lui né per lei. Eppure non sapeva cos’altro fare. A quel punto, Ichigo, forse sconvolta e presa da un bacio particolarmente intenso che le stava dando, sollevò le braccia, che fino a quel momento aveva tenuto abbandonate sul cuscino, e gli strinse entrambe le spalle con le mani, riuscendo a fargli penetrare le unghie nella pelle attraverso la stoffa del maglione. Bastò quel gesto a far scattare Masaya: si staccò improvvisamente da Ichigo e diede un’occhiata non solo al suo viso come aveva fatto finora, ma a tutto il suo corpo. Aveva ancora addosso i vestiti eleganti e graziosi che si era messa per la serata, anche se ora erano un po’ sgualciti. Quando l’aveva vista con quegli abiti, ormai molte ore prima, aveva trovato che fosse splendida ed attraente, ma ora si rese conto che in realtà lo infastidivano. Erano solo un ostacolo e un impedimento; chissà invece il suo corpo quanto era morbido, chissà quanto la sua pelle era vellutata, chissà quanto era appetibile tutta quanta lei, al di sotto di quella barriera di stoffa. Ora la curiosità di scoprirlo e di sentire il proprio corpo aderire a quello della sua ragazza era troppo forte. Si tirò su in ginocchio, aiutando anche Ichigo a sollevarsi. Ciò che Ichigo indossava non era composto da due pezzi, ma era un vestito che fungeva sia da maglia che da gonna. Masaya non sapeva bene come sfilare nel modo corretto questi abiti complicati, ma cercò di sembrare il meno impacciato possibile. Sapeva che forse avrebbe dovuto comportarsi in maniera più sicura e calma, ma il problema era che non ce la faceva più ad aspettare. Ichigo non sembrava infastidita, anzi sollevò le braccia per facilitargli il lavoro, anche se, ora che avevano interrotto la sequenza di baci e carezze, l’imbarazzo in lei stava iniziando ad affiorare. Sfilato l’abito alla ragazza, Masaya iniziò a sbottonarsi la camicia a quadri, ma era così nervoso che le mani gli tremavano e non riusciva a far passare i bottoni per le asole. Anche Ichigo pareva inquieta, ma incoraggiandolo con un sorriso si mise ad aiutarlo, così il ragazzo riuscì a sfilarsi la camicia di dosso. Adesso che, almeno dalla vita in su, non avevano più niente, Masaya fece per abbracciarsi di nuovo a Ichigo. Ma no, ancora qualcosa era rimasto. Allungando le braccia dietro la sua schiena trovò a tentoni l’agganciatura del reggiseno. Neanche quello voleva in mezzo, e il lieve imbarazzo che stava provando nemmeno. Ma, andando alla cieca, non riuscì subito ad aprire quei gancetti. Cercò di cambiare un po’ l’angolazione, ma niente, non si aprivano. Iniziò a sentirsi ancora più nervoso, e in più si stava irritando anche. Ma perché le donne dovevano mettersi addosso una cosa così difficile da aprire? Si lasciò sfuggire un verso di imprecazione, mentre Ichigo, intuendo la situazione, iniziò a ridacchiare sommessamente, coprendosi la bocca con una mano. Masaya, pur se imbarazzato, non si offese: adorava la risata di Ichigo, anche se era rivolta a un pasticcio in cui si era cacciato. Alla fine riuscì ad aprire i gancetti, con un sospiro di sollievo, e invece di lasciar cadere il reggiseno ai piedi del letto come aveva fatto per gli altri vestiti, ce lo gettò in una specie di gesto rabbioso di vendetta. Ma era ora di tornare a Ichigo. La guardò, cercando di distinguere i suoi lineamenti nel buio della stanza. Si vedeva poco, ma guardarla non era poi così importante. Lui la voleva sentire. Quindi si gettò di nuovo addosso a lei, rovesciandola all’indietro sul materasso, e appena sentì sulla pelle il contatto vellutato e tiepido di quella della sua ragazza, tutto l’imbarazzo che aveva provato fino a un attimo prima – e Ichigo con lui – sparì all’istante, e lo riprese una grande agitazione eccitata. Tenendo coperto il corpo più minuto e raccolto della compagna col suo, iniziò a far scorrere le mani sulla pelle della ragazza. Le accarezzò il viso, i capelli rossi sparsi sul cuscino, il collo, le spalle, i fianchi, il seno, il ventre, sentendosi il respiro sempre più affannoso e sempre più pregno di desiderio. Ichigo, dal canto suo, non lo aiutava a star calmo. Anzi, dal momento che erano ricaduti avvinghiati sul materasso, anche lei, ritrovandosi sopra il corpo nudo e robusto del compagno, aveva iniziato ad accarezzarlo, come lui stava facendo con lei. Anche lei gli toccò e accarezzò il il petto, la schiena, le spalle, il collo e passandogli ogni tanto le dita fra i capelli neri arruffati, che stavano iniziando a bagnarsi di sudore. Come i loro corpi, del resto. Masaya, a quelle carezze fatte dalle mani leggere della ragazza, si stava sentendo sempre più agitato e preso dall’eccitazione. Ora non si limitava più al tocco, ma aveva preso a coprire di baci tutte le zone su cui prima aveva passato le mani. Ichigo si godeva quelle effusioni, e ogni tanto gli prendeva il viso fra le mani, attirandolo verso il suo quando lui mancava per un certo tempo di baciarla sulla bocca, oltre che sul resto del corpo. Masaya stava sentendo sempre più che si stava avviando verso un punto di non ritorno. Un altro po’, e non sarebbe più riuscito a fermarsi. Eppure ancora tutto ciò non bastava. Quelle carezze, quei baci, quell’ammirare, quel sentire, quello stringere a sé il corpo di Ichigo, quello stare pelle a pelle con lei, tutto questo non gli bastava. Mentre ci pensava, sentì la mano di Ichigo che, mentre gli scorreva lungo il fianco, aveva incontrato il bordo dei suoi pantaloni. Sentì il suo cuore, che batteva velocissimo, fermarsi per un momento. La mano di Ichigo spingeva leggermente in basso, come nell’atto di volerglieli sfilare. Masaya la guardò negli occhi. Ora l’aveva preso una leggera esitazione: non sapeva se a Ichigo andasse bene di spingersi così in là, e anche lui si sentiva un po’ insicuro al pensiero di andare fino in fondo. Si stavano per avventurare in un terreno che non conoscevano, di cui entrambi non avevano la minima idea. C’era stata finora una barriera fra loro due che non avevano mai valicato. Cosa avrebbero trovato dall’altra parte? Ma Ichigo lo guardò incoraggiante e con gli occhi pieni di desiderio, e lui rispose annuendo appena col capo. Senza alzarsi, con la mano armeggiò per slacciarsi i pantaloni, e se li sfilò spingendoli in fondo al letto. Con la mano, poi, cercò sul fianco di Ichigo, sfilandole gli slip, l’unico indumento che ancora portava a parte la campanella al collo. Il ragazzo si sistemò meglio sopra di lei, intrecciando le dita delle mani alle sue, mentre Ichigo gli cingeva i fianchi con le gambe. Si fissarono negli occhi in un istante interminabile, perdendosi nello sguardo reciproco. Quante ne avevano passate insieme, in quei quasi due anni che si conoscevano! Si erano conosciuti che erano due ragazzini di tredici anni, lei abbagliata dal mito del grande amore, lui sprezzante di tutte le persone che lo circondavano. Pian piano erano riusciti a entrare nella vita e nel cuore dell’altro, a compenetrarsi, a legarsi in modo indissolubile. Il loro amore era cresciuto insieme a loro, ed era riuscito a resistere a tutto: nemici che li volevano dividere, segreti, doppie vite, fraintendimenti. E ora, alla soglia dei quindici anni, con i loro spiriti che stavano abbandonando il corpo di ragazzini per entrare in quelli più adulti di un giovane uomo e una giovane donna, Masaya era sicuro: non avrebbe avuto nessun’altra nella vita, all’infuori di lei. Non avrebbe convissuto in una casa con un’altra persona, se questa non fosse stata lei. Se la vita lo avesse benedetto con altri figli, nessuna donna, a parte lei, li avrebbe portati in grembo. Un rapporto così intimo, quel passo che stavano per fare ora che li avrebbe strappati ad ogni rimasuglio di infanzia per gettarli nel mondo adulto, lo avrebbe compiuto solo con lei. Ed era sicuro che Ichigo stesse pensando le stesse cose. Lo sguardo che aveva era lo stesso che le stava rivolgendo lui. Uno sguardo pieno di devozione, ammirazione, rispetto, intesa, amore e fiducia.
Furono solo questi sentimenti che intercorrevano tra loro a guidare le azioni del ragazzo perché, nonostante il suo desiderio fosse intenso e lo stesse trascinando, lui non aveva idea di quello che doveva fare di preciso. Strinse forte Ichigo e lasciò che il proprio corpo aderisse al suo, accomodandosi meglio sopra di lei, seguendo quello che l’istinto gli suggeriva di fare. Fece per dare una prima spinta, e il viso della sua ragazza, che fino ad allora era stato disteso e proteso verso di lui, si contrasse in una smorfia di dolore e le sue mani, che gli stavano accarezzando il viso, si conficcarono nei suoi capelli umidi. Lui si fermò, allarmato e mordendosi il labbro inferiore, e rimase immobile finché l’espressione di Ichigo non si fu distesa. Provò ancora, e dovette fermarsi di nuovo perché di nuovo le aveva fatto male. Le cose non stavano andando come sarebbero dovute andare: oltre a provocarle dolore, non riusciva ad unirsi a lei. C’era qualcosa, proprio di fisico, che glielo impediva. Strinse i denti, pregandola mentalmente di resistere, e provò ancora. Alla quarta volta, la barriera che ancora li teneva separati cedette, e quello fu l’ultimo ringhio di dolore di Ichigo. Masaya si ritrovò sdraiato sopra di lei, esausto per la tensione, nonostante ancora non avesse nemmeno cominciato. Scrutava con attenzione il viso di Ichigo e vide con sollievo che ogni traccia di sofferenza stava sparendo, lasciando spazio via via ai lineamenti distesi di prima. Anche le sue mani erano tornate, rilassate, appoggiate sul cuscino con le palme in su.
L’ultimo ostacolo era stato superato. Non c’era più niente che li divideva, neppure a livello concreto. La pelle di Ichigo era tiepida in quella stanza un po’ freddina, ma lui non avrebbe mai pensato che il suo fisico, dall’interno, fosse così caldo e accogliente. Si sentiva bene, sopra e dentro quel corpo morbido e confortevole, e in quel calore aveva trovato la connessione più alta che poteva avere con lei. Non avrebbe mai potuto starle fisicamente più vicino di quanto poteva ora.
Raggiunse entrambe le mani di Ichigo sul cuscino, intrecciando le dita alle sue e, tornando a baciarla con passione sulla bocca, iniziò dando una spinta dentro di lei. Non forte, non violenta, ma decisa. La sentì smettere di respirare per un attimo, ma sentì anche che era stato perché le era piaciuto, non perché aveva provato dolore. E del resto valeva per lui. Quello scorrere nel suo corpo gli aveva fatto risalire i brividi per la spina dorsale e gli aveva fatto accelerare ancora di più i battiti.
Non c’era più nessun dubbio su quel che doveva fare. Anche se era la sua prima volta, anche se era un territorio a lui ignoto, stava imparando e l’ambiente attorno a lui si stava rischiarando. Tenendo gli occhi chiusi, tornò a cercare la bocca di Ichigo come un assetato, sentendo da parte di lei lo stesso desiderio e la stessa eccitazione e, mentre si baciavano, si leccavano e si assaggiavano le labbra, le guance, il collo e le spalle, stringendosi le mani, sciogliendosele per potersi accarezzare sulle parti del corpo dove il viso non riusciva ad arrivare e poi tornando ad intrecciare le dita, il ragazzo si muoveva spingendo nel grembo della sua compagna, procurandosi una sensazione come di scossa elettrica ad ogni movimento che faceva. All’inizio fu più impacciato, ma dopo pochi minuti riuscì a trovare il giusto ritmo seguendo la respirazione sua e di Ichigo, e i due ragazzi andarono avanti, facendo per la prima volta quella esperienza che li stava portando a cementare in modo definitivo il loro legame.
Andando avanti, Masaya sentiva che la concezione del tempo e dello spazio stavano abbandonando via via la sua mente. Da quanto tempo si trovava lì con Ichigo, su quel letto? Da cinque minuti, da mezz’ora, da un’ora? Ed erano veramente su un letto di una stanza qualunque, in una casa qualunque, persi nella vastità della megalopoli di Tokyo? Non sapeva più dov’era e da quanto tempo stava durando quell’amplesso, e non gliene importava niente. Le uniche cose di cui gli importava ora era continuare a toccare ed accarezzare il corpo della ragazza sotto di lui, afferrarle le mani intrecciando le dita alle sue, scrutarle gli occhi attendendo uno dei rari momenti in cui li apriva per poter catturare il suo sguardo alcuni secondi. Gli aumentavano i brividi quando riusciva a guardarla negli occhi: scorgeva nelle sue pupille tanti di quei sentimenti mescolati assieme, che faceva fatica a distinguerli. E vedeva che anche Ichigo si perdeva nel suo sguardo, e tramite quel contatto visivo si stavano scavando nell’intimo ancora di più di quanto non stessero già facendo. Masaya si sentiva l’anima toccata ogni volta che lei fissava lo sguardo nel suo. Lui ugualmente, scrutava dentro di lei con gli occhi e coglieva i suoi sentimenti. E intanto, una spinta dopo l’altra, nell’assoluto silenzio del luogo in cui si trovavano, rotto solo dai gemiti che ogni tanto si lasciavano sfuggire, il ragazzo sentiva i sentimenti dentro di lui crescere sempre di più, insieme al piacere intenso che provava. Tanto che, arrivato a un certo punto, iniziò a provare anche un lieve senso di angoscia e preoccupazione: quei sentimenti e quelle sensazioni crescevano, ma il suo fisico aveva un limite di sopportazione. Non sarebbe riuscito a contenere tutto quello che provava dentro di lui. Se non trovava un modo per farli defluire da sé sarebbe crollato, alla fine. Ma non sapeva, questo modo, quale poteva essere. Sapeva solo che non si sarebbe fermato, qualunque cosa fosse accaduta. Ichigo, sotto di lui, era presa dall’estasi, e lui, oltre al suo piacere, sentiva anche quello di lei, quindi non lo avrebbe mai interrotto.
Mentre Masaya attizzava ancora di più il piacere che sentiva dando baci sul collo alla sua compagna, diede l’ennesima spinta dentro di lei e, arrivato a quel punto, sentì con disagio che il limite di sopportazione del suo corpo era stato raggiunto. Ma fu una sensazione sgradevole che durò solo un attimo; l’istante dopo, provò dentro di sé un’emozione così intensa, così forte, come non l’aveva mai provata in vita sua, e allo stesso tempo così violenta da offuscargli completamente la mente e la percezione. Come un’onda del mare in tempesta che ti travolge. Il giovane, che già stava facendo fatica a rendersi conto dell’ambiente intorno a lui, venne estraniato totalmente dalla concezione del tempo e dello spazio. In quei due secondi c’erano solo lui e quel sentimento che lo aveva travolto. Non appena riuscì a riacquistare padronanza del proprio essere, si aggrappò al corpo di Ichigo stringendolo con entrambe le braccia e respirando affannosamente: era stata un’emozione troppo forte per poter essere sopportata in modo normale, e tenendosi a lei stava cercando di riprendere contatto con la realtà. Subito dopo, sentì tutta la tensione, tutte quelle sensazioni focose che premevano nelle sue membra, trovare finalmente il loro sfogo. Sentì tutti i suoi sentimenti che impazzivano in lui, dopo poche altre spinte, abbandonare il suo corpo e riscaldare il grembo della sua compagna. Si sentiva stravolto, e tutta l’eccitazione e quel bruciore che gli avevano infiammato il petto fino a pochi attimi prima lo stavano lasciando. Guardò ancora gli occhi di Ichigo. Anche lei respirava velocemente, il suo viso era segnato da tutto quello che aveva provato e che lui le aveva fatto provare durante quel loro primo rapporto. Era affaticata, ma negli occhi aveva la piena soddisfazione. Masaya ricambiò il suo sguardo, ma poi dovette lasciarsi andare ed appoggiare la testa sul seno della ragazza. Era stanco. Sotto il suo orecchio sentiva un tamburo, ma anche nel suo petto il suo cuore faceva fatica a calmarsi.
La percezione del tempo e dello spazio stavano ritornando nella sua mente. L’ambiente intorno a loro era chiuso, e si sentiva il sudore dei loro corpi, mescolato a un lieve odore di sangue. Il ragazzo allungò il braccio e aprì appena la finestra per far cambiare l’aria. In questo modo dovette scostarsi da Ichigo, e il corpo della ragazza ebbe un brivido.
Masaya era troppo sconvolto per poter parlare, ma sapeva che le parole non servivano. Erano nudi sul suo letto, stanchi, sia per il loro primo rapporto amoroso che per la terribile serata che avevano passato. Troppi sentimenti li avevano attraversati in poche ore. Si sentiva esausto, e anche Ichigo lo era. Non era pensabile alzarsi e riaccompagnarla a casa, per di più ad un’ora così tarda e col gelo che c’era fuori. I genitori di lei non c’erano, e nemmeno i suoi. Allora, facendola sollevare appena, diede un’ordinata alle coperte che erano rimaste sotto di loro e, dopo essersi sdraiato accanto a Ichigo, coprì i loro due corpi che stavano iniziando a infreddolirsi. Sotto il piumone faceva caldo, ma Ichigo si avvicinò lo stesso a lui appoggiando la testa sul petto del ragazzo. Masaya la strinse a sé avvolgendole le braccia attorno alle spalle, e le accarezzò il viso per aiutarla a rilassarsi e prendere sonno. Nonostante questo, sentiva che sarebbe stato lui ad addormentarsi per primo. Prima di lasciarsi andare al sonno, rivolse un pensiero a sua figlia, che in quel momento era lontana da loro. Non riusciva quasi a credere che quei momenti che aveva appena condiviso con la sua compagna fossero il collegamento ad Angel. Razionalmente l’aveva sempre saputo, ma adesso che l’aveva provato in prima persona quasi non riusciva crederci. Veramente Angel esisteva perché loro due si erano amati in quel modo? Veramente, per creare una nuova persona, tutto quello che occorreva fare era amare la propria donna? Angel non gli aveva mai raccontato cosa era successo di preciso fra i suoi genitori prima che lei nascesse: non aveva mai parlato molto del suo passato, e tutto quello che lui sapeva di lei, glielo aveva dovuto tirare fuori a spizzichi e bocconi. E d’altra parte, non poteva saperlo nemmeno lei. Angel non aveva mai incontrato i suoi veri genitori, e quello che sapeva di loro di certo lo aveva conosciuto solo tramite i racconti dei suoi nonni. Impossibile, quindi, sapere se i veri genitori di Angel fossero stati molto diversi da lui e Ichigo. Certamente tutti i guai, le perdite e le tragedie da loro subìte dovevano averli fatti diventare adulti molto in fretta. Esattamente come, a quanto aveva capito, Angel era considerata un’adulta nel tempo da cui proveniva. Tuttavia, nonostante avessero di sicuro una mentalità diversa, era certo che nel tempo di Angel, lui, insieme a Ichigo, aveva provato le stesse cose, le stesse sensazioni e gli stessi sentimenti la prima volta che avevano fatto l’amore. Chissà se là Ichigo era rimasta incinta subito, dopo il loro primo rapporto, oppure era dovuto passare un po’ di tempo? E di sicuro loro non avevano avuto una stanza e un letto per poter consumare; come si erano arrangiati per poter avere un po’ di intimità? Erano domande che non avrebbero mai avuto risposta, Masaya lo sapeva. Ma di una cosa era certo: lui e le sue compagne di battaglia avevano molti poteri per poter combattere, così come gli alieni avevano i poteri e la µAqua aveva i poteri, così immensi da essere al di fuori della loro portata mentale. Ma l’aver creato dal nulla, insieme a Ichigo, semplicemente amandosi in un giaciglio, quella meraviglia che quella sera aveva dato prova di enorme valore rischiando la vita, quello era un potere che nemmeno la µAqua possedeva.

Ichigo socchiuse appena gli occhi appannati. Masaya, accanto a lei, già dormiva. Erano sdraiati sul fianco, rivolti uno verso l’altra, e lui ancora le stava tenendo la mano appoggiata sul fianco. Era sicura di essere ancora sveglia, eppure si sentiva immersa in una specie di limbo, a metà strada tra il sonno e la veglia. Ma era vero tutto quello che era successo quella sera? Veramente aveva visto Angel combattere a sangue contro Waffle, riuscire a vincere la lotta uccidendolo per un soffio, e poi cadere morente a terra? Veramente il resto della serata l’aveva passata nell’angoscia e nel terrore che la morte gliela strappasse via? Veramente quei sentimenti primordiali che la legavano ad Angel erano affiorati così, tutto d’un colpo? Veramente Masaya le aveva confessato per la seconda volta un segreto che si teneva dentro? E poi si erano riuniti trovando nell’amore che provavano per Angel il punto in cui il loro legame mesi prima si era incrinato? E dopo di questo… il modo in cui avevano suggellato la loro riconciliazione era accaduto sul serio? Il loro amplesso si era concluso da pochi minuti, ma a Ichigo sembrava già lontanissimo. Come se fosse avvenuto la settimana avanti. Ripensandoci, non riusciva a realizzare nella sua mente che fosse tutto reale. Ma era vero. Era sdraiata sotto le coperte nel letto del suo ragazzo, con lui che le dormiva a fianco, e con lui aveva compiuto quel passo che li aveva portati a una nuova tappa di crescita nella loro relazione. Andando indietro nel tempo con la mente, Ichigo si ricordò dei primi tempi insieme a lui. Ma davvero ancora non erano passati nemmeno due anni? Ora aveva quasi quindici anni, ne aveva appena compiuti tredici quando si era decisa, per la prima volta, a rivolgere la parola al ragazzo dei suoi sogni. All’inizio, ai suoi occhi, tutto era andato bene, ma poi fra loro si era messo il mondo a cercare di dividerli. Ma nessuno ci era riuscito. Dopo tutto quel tempo, erano ancora insieme, e lo sarebbero stati sempre. Nessuno li avrebbe separati, mai. Le circostanze ci avevano provato, le battaglie che avevano affrontato ci avevano provato, Quiche ci aveva provato, perfino Flan, nel tempo da cui veniva Angel, indirettamente ci aveva provato. E in risposta a tutto questo, non solo lei e Masaya erano ancora insieme, più forti che mai nonostante le difficoltà, ma avevano provato al mondo il loro amore con la nascita di Angel; al regime di terrore imposto da Flan, che li aveva privati di tutto e in teoria avrebbe dovuto dividerli, Angel era stata la loro sfacciata risposta. Quella sera lei era stata abbracciata nel letto col suo compagno, Masaya le aveva fatto provare delle sensazioni, a livello sia spirituale che fisico, che nemmeno sospettava esistessero; era compenetrato in lei sia nei sentimenti che nel corpo; e tutto questo l’aveva fatta entrare in estasi. Aveva sempre pensato che l’amore che lo legava a lui fosse immenso, ma tutto quello che aveva provato fino a quella sera, ora se ne rendeva conto, era nulla in confronto a ciò che Masaya le aveva fatto provare ora. Quell’atto che aveva cementificato la loro unione toglieva definitivamente ogni dubbio: sarebbe stata accanto a lui per tutta la vita, e nessuno avrebbe potuto più tentare di separarli. E a chiunque avesse ancora voluto mettersi in mezzo, a chiunque avesse osato mettere in dubbio il loro legame per dividerli, sarebbe bastato dare un’occhiata ad Angel per azzittirsi. A quella ragazza che, nonostante fosse molto diversa da loro due, portava nelle vene, nel fisico, nel viso e nello sguardo le tracce indelebili di entrambi. A quella ragazza in cui aveva di sicuro imparato a riconoscere da molto tempo i tratti in comune che divideva con lei, nonostante ancora non se ne fosse resa conto. Non era possibile per nessuno negare che fosse la loro figlia, anche solo guardandola. Ora non c’erano più dubbi. Amava come la sua stessa vita il ragazzo che le dormiva a fianco. Amava come la sua carne e il suo sangue quella ragazza che ora dormiva in un letto d’ospedale, lontana fisicamente da loro. Non era possibile amare in nessun’altra maniera qualcuno per cui aveva urlato in quel modo inumano quando il jitte di Waffle le si era conficcato in pancia. Era un sentimento che non riusciva a spiegare. Era così ed era tutto, lo sentiva dentro di sé e tanto bastava.
‘L’avrei fatto anche stasera, ma, se succederà di nuovo in futuro, sarò pronta a morire per la mia Angel’, fu il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi abbracciata a Masaya.
Ichigo dormiva, rasserenata e col cuore in pace, senza sapere che, grazie ad Angel, aveva potuto realizzare un suo intimo e inconscio desiderio: poter avere la sua prima volta col suo ragazzo in un letto morbido, tra le lenzuola profumate e fresche di bucato, sotto delle calde coperte a coprirli e scaldarli, al sicuro con lui in una stanza pulita, col freddo dell’inverno confinato fuori, la notte successiva all’amore passata tranquilla a dormire senza il pericolo che qualche malintenzionato li attaccasse o il tempo che stringesse. Poteva sognare e immaginare un futuro radioso con lui, con le loro aspirazioni che si proiettavano nell’avvenire. Tutto quello che la vera madre di Angel non aveva potuto avere.

Mentre i suoi genitori dormivano, Angel si svegliò. Ci mise un po’ ad aprire gli occhi, perché il dolore che sentiva sparso per tutto il corpo era talmente intenso da distogliere la sua mente anche dai movimenti più basilari. Dopo che ebbe sollevato le palpebre con fatica, non ci mise molto ad abituarsi al buio. Inoltre filtravano le luci dalla strada. L’effetto dell’anestetico era finito, per questo si era svegliata. Sentiva male dappertutto, in particolare in pancia e sulla fronte, aveva fasciature e punti ovunque e una flebo collegata al braccio. Muoversi in qualsiasi maniera era impossibile. Era completamente sola in quella stanza – visto che era stata un’operazione difficile, i medici avevano voluto lasciarla in camera da sola per farla stare più tranquilla – e questo non le piaceva. Forse fra un po’ sarebbe venuta un’infermiera a vedere come stava, ma appena avesse scoperto che si era svegliata, le avrebbe somministrato di sicuro un calmante o qualche intruglio per farla addormentare. Pur di non ingurgitare miscele di natura dubbia, Angel chiuse gli occhi cercando di riprendere sonno, ma era difficile. Un po’ per il dolore che sentiva sul e dentro il corpo, un po’ perché, per la prima volta, si trovava davvero sola. Anche quando stava al Caffè dormiva da sola, ma almeno lì sapeva che il boss e Keiichiro erano nelle stanze davanti alla sua. Doveva trovare un diversivo, qualcosa di rassicurante a cui pensare. Cos’è che le aveva detto il boss una volta? “Pensa a qualcosa di bello.” Avrebbe potuto pensare a sua nonna, ma erano ricordi troppo lontani nella sua mente perché riuscisse ad afferrarli in modo concreto. Le venne in mente l’ultima cosa che aveva visto prima che la portassero via in ambulanza: gli occhi di Ichigo che fissavano le sue pupille con un ardore che non credeva di aver mai scorto nello sguardo di nessuno, finora. Pensò a quegli occhi e si addormentò subito con un sorriso sulle labbra nonostante il male che sentiva, perché in quello sguardo che la sua leader le aveva rivolto lei ne aveva riconosciuto un altro. Quello non era il solito sguardo che Ichigo le rivolgeva: era lo sguardo della nonna.

 

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Ecco. Ora capite perché ci ho messo molto? Oltretutto alla difficoltà che aveva già di suo, il problema principale era che questo capitolo poteva risultare essere null'altro che una ripetizione: infatti, se ricordate bene (ma bene bene) Masaya e Ichigo hanno già avuto la loro prima volta opportunamente descritta ormai molto tempo fa, nel capitolo dieci. Anche se non erano questi Masaya e Ichigo, più o meno siamo lì (e comunque no, non è in quel capitolo che hanno concepito Angel).
Quindi mi sono dovuta inventare qualcosa per differenziare le due "prime volte", e non farle sembrare un copia-incolla. Intanto, se notate, in questo capitolo la scena è totalmente silenziosa. Nessuno dei due dice niente, nemmeno un "ti amo", mentre nel capitolo 10 si sono parlati parecchio durante l'amplesso. Ho preferito stavolta far parlare i loro atteggiamenti invece che fargli usare le parole.
Inoltre, una leggera differenza psicologica che c'è fra le due controparti è che, nel tempo di Angel, loro due, nonostante avessero avuto la prima volta circa tre mesi prima che in questa linea temporale, erano diventati praticamente adulti a causa di tutti i problemi che avevano attraversato. Qui invece sono, giustamente, ragazzi, e quindi vengono fuori l'imbarazzo e i problemi pratici (chiamiamoli così) di chi ha il primo rapporto, difficoltà che nel capitolo 10 non avevano incontrato. Provate, se volete, a rileggere indietro il capitolo 10, e vi accorgerete meglio delle differenze (e un contrasto voluto, alla fine delle due scene, tra i sentimenti di Ichigo, la prima amareggiata per la situazione in cui si trova e la seconda completamente appagata). Ero indecisa se alternare durante la scena i pensieri dei due personaggi, ma alla fine per evitare confusione ho scelto solo di rappresentare solo quelli di Masaya, per via della parte più attiva che ha nella scena e la sua notevole profondità psicologica. I pensieri di Ichigo sono riservati al "dopo". In ogni caso, come allora, ho cercato di tenere il tutto sul discreto e vago. Il bollino arancione è valido solo per il capitolo scorso, tutto il resto è giallo. Molti sentimenti, pensieri e sensazioni ma niente di palese e esplicito. Questo secondo me anche per riflettere il rapporto che c'è fra Masaya e Ichigo: amore sì, ma in un modo assolutamente puro e limpido, senza nessun tipo di sporco o contaminazione. Non so se mi spiego, ma a chi piace la coppia capirà.

Grazie mille per la vostra pazienza e il vostro continuo supporto, e al prossimo aggiornamento!

   
 
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