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Autore: KiarettaScrittrice92    13/09/2017    3 recensioni
Questa è Rainbow city, una delle più belle metropoli francesi, musicale e alla moda. Tutti coloro che vivono qui amano la danza e i vestiti. Tutti qui si stanno dando da fare per realizzare i propri sogni.
E' arrivata un'altra ragazza amante della musica, chissà di che colore sarà il sogno che troverà questa ragazza.
Bene mettiamoci comodi e diamo un'occhiata alla storia di Marinette.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Rainbow city

Il treno correva veloce, mentre la pioggia imperterrita batteva contro il vetro del suo finestrino. La ragazza osservava il panorama fuori, con aria malinconica. Quella pioggia rappresentava perfettamente ciò che provava in quel momento: tristezza, delusione, solitudine.
Sentiva ancora le voci irritanti della gente intorno a lei qualche giorno prima, che le dicevano che non ce l’avrebbe mai fatta, che il suo sogno era inutile e che l’unico modo per vivere era trovarsi un lavoro serio e non rincorrere uno stupido sogno. Gli unici che, fino alla fine, le avevano continuato a dare man forte erano stati i suoi genitori che nonostante i suoi infiniti fallimenti l’avevano sempre sostenuta.
Il fatto però era che dopo l’ennesimo provino fallito, non poteva fare a meno di sentirsi esattamente come l’avevano definita tutti coloro che l’avevano esaminata: goffa, impacciata, scoordinata. Si stava seriamente iniziando a domandare com’era possibile, che una ragazza come lei potesse avere il sogno di diventare una perfetta Idol francese. Lei che si vergognava a cantare, a meno che non era sotto la doccia e che non riusciva a fare due passi di danza consecutivi senza cadere a terra.
Fece un grosso sospiro, mentre la pioggia già diminuiva e le nuvole si diradavano, mostrando in cielo un bellissimo arcobaleno.
«Basta Marinette! – si disse colpendosi leggermente le guance con le mani – Non puoi arrenderti! In un modo o nell’altro ce la farai. Sei partita apposta per imparare.»
Il treno non ci mise molto ad arrivare, finalmente, alla sua stazione; dopo ben sette ore di viaggio da Parigi, una voce metallica annunciò la fermata.
«Tra poco ci fermeremo a Rainbow city, preghiamo i passeggeri che devono scendere a questa fermata di controllare di aver recuperato tutti i bagagli e avvicinarsi all’uscita più vicina.»
La ragazza si sollevò dal suo posto a sedere, si mise lo zaino in spalla e prese la valigia, per poi fare come le avevano suggerito.
Non appena mise i piedi sulla pensilina, si guardò un attimo attorno; tutta la tristezza era sparita completamente, ora in lei c’era solo ammirazione e aspettativa. Finalmente era a Rainbow city, la città della musica, l’unica città in cui nascevano le Idol e gli Idol più famosi del paese. Come avrebbe potuto essere triste?
Uscì dalla piccola stazione dei treni ritrovandosi nella frenesia del centro città. Il centro era l’unico luogo in cui i vari stili della città si mischiavano e convivevano. Sì, perché la particolarità di Rainbow city era che ogni quartiere aveva la sua moda, la sua musica, il suo stile. Il centro perciò era come un luogo d’incontro, anzi, solitamente era lì che si facevano gli spettacoli più grandi, quelli di coloro che diventavano delle vere e proprie Idol, delle vere star.
La ragazza sospirò, vedendo degli operai che smontavano proprio in quel momento un palco, dalla piazza principale, che si trovava proprio di fronte alla stazione. Dopodiché alzò lo sguardo, verso la collinetta che si trovava poco più in alto, verso nord-ovest. Col Blanc: era lì che era diretta, aveva prenotato una piccola stanza d’albergo proprio vicino all’Ange, l’accademia del quartiere bianco, in cui insegnava la più grande ballerina della Francia, Tikki. Il suo più grande sogno era un giorno poter ballare con lei, chissà se ci sarebbe mai riuscita.
Strinse le mani, una sulla spallina dello zaino e l’altra sul manico del suo trolley, cominciando poi a camminare.
Ci mise una buona mezz’oretta ad arrivare in cima al colle, avrebbe potuto prendere la metropolitana che attraversava tutta la città sottoterra, ma era stata anche troppo tempo seduta sul treno che l’aveva portata lì e aveva voglia di una bella camminata.
Il quartiere di Col Blanc era meraviglioso. Gli edifici lì, in quella piccola collina che dominava l’intera Rainbow city, erano palazzi dai colori chiari e pastello, né troppo bassi, ma nemmeno altissimi, una decina di piani, non di più. In tutta quell’armonia che dava l’impressione di essere in qualche sogno zuccheroso, vi era l’Ange: un grosso edificio a forma di uovo alato e con tanto di aureola che si affacciava proprio sulla piazza principale.
La ragazza però non era diretta lì, non ancora. Svoltò a destra e si ritrovò proprio davanti all’hotel, era un piccolo edificio con giusto cinque piani, ma dall’aria molto carina, color rosa pastello; in alto l’insegna citava Ailes Rose. 
Entrò, attraversando la porta scorrevole che stava all’ingresso, ritrovandosi in un’elegante hall, ben curata in ogni minimo dettaglio. Si diresse verso il bancone, dove una bella ragazza dai capelli corvini e gli occhi verde oliva la salutò.
«Benvenuta a Rainbow city!» disse con un bel sorriso, stendendo le sue labbra perfettamente truccate.
«Grazie! – rispose lei – Qualche giorno fa ho prenotato una stanza.» continuò.
«Certo, nome?»
«Marinette Dupain-Cheng.» si presentò lei.
«Avete origini cinesi?» chiese divertita la ragazza, cercando il nome nel registro.
«Sì, mia madre è cinese…»
«Immagino che sia per questo motivo che vuole diventare Idol.» disse con un sorriso, alzando finalmente lo sguardo su di lei, che arrossì nervosa.
«Io… veramente… non avevo detto di…» a quel suo imbarazzo l’altra sorrise divertita.
«Chiunque venga in questa città vuole diventarlo, non è un segreto. – spiegò tranquillamente – Comunque, la stanza è la 302, al terzo piano, ogni sera potrà venire qui a pagare l’occupazione della camera, anche una volta alla settimana se le è più comodo, così che possa rimanere quanto vuole. Firmi qui e siamo apposto.»
Marinette prese la penna che le aveva porto e scrisse il suo nome sul registro. Dopodiché prese la chiave che aveva già appoggiato sul bancone e ringraziando la receptionist, si diresse verso l’ascensore. Uscita da esso, si guardò un’attimo attorno per capire da quale lato andare, dopodiché svoltò a destra e quando fu davanti alla porta bianca della sua camera, inserì la chiave nella serratura.
L’interno era particolarmente accogliente e grazioso. Un paio di ali bianche decoravano il cassettone proprio sopra la grande vetrata che dava sulla città. Tutta la camera era insonorizzata, probabilmente era fatta apposta in modo che gli ospiti potessero provare e tenere la musica alta, nonostante l’ora; lo dimostrava anche il grosso spazio libero al centro della stanza. Sul lato destro vi era un grosso stereo poggiato a terra, una scrivania con di fronte una sedia e un piccolo tavolo da toletta, con un bello specchio ampio; mentre su quello sinistro vi era il letto, proprio sotto la finestra e un grosso armadio, in legno bianco, proprio come quello della scrivania dall’altro lato. Le tende della finestra, che erano aperte erano rosa e s’intonavano perfettamente con i bei fiori di ciliegio che decoravano le pareti.
Decise che per quella giornata, si sarebbe sistemata i bagagli e si sarebbe rilassata in hotel, magari uscendo solo verso l’ora di cena, per farsi una passeggiata e trovare un bel locale in cui mangiare qualcosa di tipico. Non aveva senso andare all’Ange a quell’ora e poi a fare cosa? Non sapeva nemmeno il vero motivo del perché era andata lì. O meglio, lo sapeva, continuava a ripeterselo da quando era partita, ma aveva ancora troppa paura per superare la soglia dell’accademia e iniziare il suo percorso, aveva bisogno di un po’ di tempo per elaborare, magari esercitandosi in quei pochi passi e nei vocalizzi che sapeva fare.
Nonostante tutto, però, era davvero contenta di essere lì. La sua avventura era appena iniziata, chissà cosa l’aspettava in quella città piena di colore, di stile, di moda e di musica.

 

Si buttò sul letto, stravolto. Anche quel giorno aveva passato tutto il tempo dietro quel maledetto fotografo e la sua fissa per le zuppe della stazione. Ancora gli sembrava di sentire la sua voce irritante che, per fargli mostrare il suo miglior sorriso, gli diceva:
«Pensa a una buona zuppa, come quelle della stazione della metro!»
Come se avesse avuto bisogno di un pensiero così idiota per posare, lui: che lo faceva ormai da anni, praticamente da quando aveva compiuto dieci anni suo padre l’aveva costretto a diventare un modello professionista. All’inizio posava solamente per la sua maison, la famosa casa di moda Agreste, una delle più popolari nella capitale; poi, in un modo o nell’altro, l’anno precedente, era riuscito a convincere il suo iper protettivo padre, a lasciarlo andare a Rainbow city e aveva iniziato la sua avventura in quella città magnifica e piena di moda. Il tutto però a patto di stare a certe regole: avrebbe continuato a fare il modello, tanto che gli aveva trovato un lavoro come sponsor delle gare e dei concerti che si tenevano in tutta la città, avrebbe studiato la moda della città, in modo da dare nuovi spunti alla maison e, la cosa più insopportabile, si sarebbe trasferito con la segretaria Nathalie.
Per carità, non è che gli dispiacesse avere compagnia, ma Nathalie era costantemente presente, sempre pronta a dirgli cosa doveva fare. Mentre lui magari voleva distrarsi ogni tanto, comportarsi come tutti gli altri ragazzi: ballare, cantare. Sì, quello a cui aspirava di più era diventare un Idol, uno di quelli che si esibiscono sui grandi palchi. 
Non lo faceva per la fama, in realtà era già abbastanza famoso così, a lui piaceva proprio l’adrenalina di stare sotto i riflettori, la sensazione di sentire i piedi battere sul palco, la magia del riverbero della sua voce attraverso il microfono.
Forse era anche per quello che spesso quando finivano le sessioni fotografiche andava all’Ange a vedere le lezioni di danza. Adorava quelle lezioni e adorava gli insegnati, in realtà adorava tutto di quel posto: ci passava talmente tanto tempo che ormai conosceva quasi tutti là dentro. Eppure ogni volta che uno dei due insegnati lì, gli proponeva di fare una lezione di prova, lui si rifiutava. Non sapeva se era per paura di dover abbandonare il lavoro e quindi deludere suo padre, oppure semplicemente perché non credeva nelle sue capacità. 
Quasi sicuramente la prima, in fin dei conti lui era il migliore sulla pista da ballo. Nonostante tutto però, era sicuro che, pur avendo passato quasi un anno Rainbow city, la sua avventura in quella città dai mille colori non era ancora cominciata.

  
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