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Autore: rainbowdasharp    14/09/2017    1 recensioni
"Aveva letto un milione di teorie, riguardo la sua scrittura: “un poeta”, lo definivano e Leo davvero non capiva – un poeta di cosa, della sovversione? Della ribellione silenziosa a cui si era condannato?"
| leotsu (e presenza di altre coppie, seppur accennate), soulmate!au |
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Leo Tsukinaga, Tsukasa Suou, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5: Legami

“La grande valle ospitava tutto ciò che un uomo potesse desiderare: cibo in gran quantità, natura gentile, ottimo vino – non riuscivo a rendermi conto del tempo che passava, dei giorni che correvano via velocemente. La mia iniziale ricerca della fonte dell'eterna giovinezza era ormai dimenticata in quel luogo incantato e la compagnia del giovane elfo che mi aveva salvato si fece sempre più luminosa e gradevole. Certo, la luna richiamava la mia attenzione quando sorgeva: mi ricordava del cavaliere degli inferi, dello stregone che per poco non mi aveva dato in pasto agli spettri... ma poi il sole tornava a splendere e io cadevo di nuovo nel caldo oblio della serenità.”

- Trovo assurdo che nessuno conosca la vera identità del “vampiro”. Ho provato anche a chiedere anche ad amici più grandi di me, ma ancora niente. Tu invece? Hai contattato il signor Madara?

Non avrebbe saputo dire come era successo, ma lui e Robin dopo il loro primo incontro, avevano cominciato a sentirsi con una certa frequenza. Certo, parlavano quasi sempre del loro “problema” e dei progressi che avevano fatto durante la giornata, ma la cosa davvero strana era che Leo non era mai stato bravo a tenersi in contatto con le persone – neanche con i suoi amici. Immaginava che la questione, però, qui fosse di particolare rilevanza per lui e quindi il suo interesse fosse particolarmente alto.

Si prese una breve pausa dalla sua camminata per rispondergli.

- Ah-ah ~ mi ha detto che cercherà di aiutarci in ogni modo! Adesso sto andando a trovare mia sorella, fammi sapere se scopri qualcosa, giovane padawan!

Come minimo, Robin non avrebbe capito la battuta. Sembrava che fosse particolarmente disorientato di fronte ai luoghi comuni e ai gusti “dei più” della sua generazione e, onestamente, Leo non riusciva a capire se trovava quel lato di lui tenero oppure irritante; quale ventenne che si rispettava non conosceva Star Wars? Eppure, quando il giorno prima gli aveva scritto per scherzo che trovare il Vampiro sarebbe stata un po' una “mission impossible”, il moro ci aveva messo un po' a rispondere e gli aveva chiesto se lo stesse in qualche modo imitando, prendendolo in giro per il suo inglese.

«È senza speranze» sospirò, mentre riponeva lo smartphone nel suo zaino a tracolla e riprendeva la sua camminata.

Il sole sembrava meno timido dei giorni precedenti, quindi Leo aveva azzardato un abbigliamento meno pesante e più primaverile; la verità era che Ruka odiava vederlo trascurato e, dato che doveva ancora scusarsi per aver abbandonato improvvisamente la sua festa, aveva deciso di presentarsi nelle sue condizioni migliori: una camicia non troppo accollata, dei jeans chiari, un giaccone giusto per ripararsi dal vento e i capelli curati, sicuramente più del solito.

La ragazza lo aveva chiamato il giorno prima, in apprensione, chiedendogli come stava; Leo odiava farla preoccupare più di quanto non sopportasse vederla arrabbiata, quindi aveva cercato di rassicurarla in ogni modo e le aveva promesso che sarebbe andato a trovarla anche perché, come gli aveva ricordato, aveva lasciato la giacca da lei, quella sera.

Ripercorrere la strada di casa, dopo quello che era accaduto, lo rendeva sempre più inquieto, passo dopo passo. Aveva passato l'intera mattinata a cancellare ogni frase di quello che scriveva per l'ansia crescente: Ruka gli avrebbe chiesto cosa era successo? Avrebbe ritrovato quel ragazzo ad aspettarlo? Magari voleva rivederlo per sincerarsi che fossero davvero legati, oppure...

La vibrazione del cellulare lo strappò dai suoi pensieri.

- 'Padawan'... ? È un nome in codice?

Bastò questo banale messaggio per farlo ridere appena, chiedendosi come fosse possibile che questo ragazzo riuscisse in qualche modo ad intervenire ogni qual volta si lasciava trasportare dai suoi viaggi mentali. Era bravissimo a farlo tornare coi piedi per terra, per quanto fosse un evidente sognatore idealista anche lui.

Si ripromise di rispondergli più tardi, perché ormai era giunto di fronte a casa sua.

Suonò il campanello, ripetendosi per l'ennesima volta che non c'era niente per cui essere nervoso; dopo aver incontrato quel ragazzo stava diventando sempre più paranoico e non aveva intenzione di rendere inquieta anche sua sorella con le sue fobie e manie di persecuzione.

Il tempo di pensarlo e due braccia affusolate ma muscolose lo colsero alle spalle, chiudendosi attorno al suo torace. Prima che potesse urlare, si sentì sollevare in aria e tanto bastò per farlo diventare paonazzo: chi si prendeva gioco della sua altezza?

«Non posso crederci, il nostro re è vivo!» cinguettò una voce fin troppo familiare e, quando Leo riuscì a voltarsi quanto bastava per vedere chi fosse il suo assalitore, i suoi dubbi vennero confermati.

Arashi Narukami era di una bellezza spaventosa, Leo lo aveva sempre pensato: biondo, alto e slanciato come una star del cinema, aveva occhi violacei di un'intensità più unica che rara, senza considerare una fisicità scolpita dagli anni passati nel club di ginnastica. Avevano frequentato la stessa università e, come Ritsu, era una delle poche persone che si sarebbe sentito di definire ad occhi chiusi “amico”.

A differenza di Ritsu, però, che tendeva a non indagare troppo nella sua vita privata, Arashi era—una sottospecie di sensitivo: riusciva a capire perfettamente quando qualcosa lo turbava e, di conseguenza, cominciava a tempestarlo di domande, come un bambino. Una piccola peste che per lavoro faceva il modello e aveva gli stessi atteggiamenti di una sorella maggiore particolarmente curiosa e molesta.

«Naru! Cosa ci fai qui... ?» esclamò, preso completamente alla sprovvista sia dalla sua presenza che da quell'abbraccio come sempre fin troppo forte, che lo lasciò ben presto senza fiato.

«Non ci vediamo da mesi e questo è tutto quello che riesci a dirmi?» La morsa si allentò, mentre Leo udiva un sospiro drammaticamente offeso dal suo interlocutore, di cui riuscì ad incontrare lo sguardo solo pochi momenti dopo; era il solito Arashi che ricordava, con quel suo sorriso fin troppo eloquente e più alto di quanto Leo di solito riuscisse a sopportare. Il biondo, per rispondere forse alla sua domanda, mostrò all'amico la scatola di dolcetti che teneva tra le mani. «Ruka mi ha chiamato per dirmi che saresti venuto a trovarla» spiegò, prima che la porta oltre il piccolo vialetto si aprisse, rivelando proprio sua sorella che, con fare complice, salutò entrambi. «E mi ha detto cosa hai combinato».

Leo avrebbe dovuto immaginarsi che Ruka non gliel'avrebbe fatta passare liscia per quel che era accaduto quella sera e quella era la sua tattica migliore: invitare tutti i suoi amici più stretti, in modo che gli facessero una bella ramanzina.

Così, sospirando, risalì per il vialetto e, un po' imbronciato, salutò la sorella; la ragazza ridacchiò con fare dispettoso sull'entrata, anche quando Leo si chinò per baciarla sulla fronte.

«Visto che non riesci a stare ad una festa piena di sconosciuti, con i tuoi amici magari sarai più a tuo agio!» fu la sua giustificazione, ma il rosso sapeva perfettamente che aveva un secondo fine molto chiaro.

Per un attimo, si chiese se il ragazzo della festa le avesse detto cosa era accaduto di così grave da farlo fuggire via; e se le avesse detto quello che aveva provato e avessero insieme tratto le loro conclusioni? Ruka era intelligente, ci avrebbe messo poco tempo a trarre le somme di quello che era realmente accaduto.

Meglio non pensarci. «Ci sono anche Isara e Sakuma dentro!»

“Ottimo” pensò ironicamente, prima di seguire Ruka e Arashi lungo il corridoio principale di casa sua.

Quando giunsero in soggiorno, dovette ancora una volta scacciare quella morsa di tensione che lo aveva attanagliato lungo la strada; era come se riuscisse ancora a vedere, seppur sfumata dal ricordo, la sagoma del ragazzo col vassoio dei dolci tra le mani, con quei suoi penetranti occhi violacei che si spalancavano lentamente, in un secondo esteso all'infinito e che ricordava con insano terrore. Ora si trovava su quella stessa soglia – anche se, certo, il tavolo e il divano tornati nel loro luogo originario, cambiando lievemente la fisionomia della stanza rispetto ad allora – i suoi amici già accomodati sulla poltrona più spaziosa; come era scontato, Ritsu era seduto in grembo a Isara e stavano amorevolmente discutendo, come sempre.

«Ricchan, non c'è bisogno che ti tenga in questo modo, sai?» protestava con un filo di esasperazione nel tono il rosso, lasciandosi andare ad un sospiro che però non nascondeva quanto quanto quella continua richiesta di attenzione in realtà lo divertisse.

«La poltrona non è comoda come Maakun...» si limitò invece a constatare con la massima naturalezza il moro che, per tutta risposta, si sistemò ancora meglio sul suo grembo, poggiando persino il volto nell'incavo del collo dell'altro che, notata la loro presenza, prese immediatamente colore sulle guance.

Ritsu Sakuma e Mao Isara avevano capito di essere Predestinati in quarta elementare, quando un essere umano comune non dovrebbe neanche avere il sentore di un sentimento così schiacciante come l'amore. E invece, da allora, avevano la parola “promessa” che percorreva il loro polso, un po' deformata rispetto a come doveva essere quando si era appena manifestata a causa della crescita di entrambi e non si erano mai allontanati davvero. Non potevano essere più diversi: come Ritsu ricordava sempre, erano come il sole e la luna – il giorno e la notte.

Eppure erano lì, uniti più che mai, come se nulla fosse cambiato da quando erano bambini.

«Ciao, Re» cinguettò con tono strascicato Ritsu, senza dare il minimo cenno di volersi spostare dal suo posto prediletto – le gambe di Isara. «Sembri di buonumore...»

Di buonumore? Certo, con il Predestino che bussava alla sua porta peggio di un messaggero della morte, come poteva non sprizzare ottimismo? A volte Ritsu sembrava davvero vivere nel mondo dei sogni.

Leo e Arashi si accomodarono sul divano, mentre Ruka si preoccupava di servire tè e caffè, accompagnati da dolcetti che il romanziere trovò a dir poco—spaziali; Leo non amava particolarmente i dolci e, anzi, preferiva spesso il salato, ma i pasticcini avevano un aspetto così gradevole e un gusto così delicato che ben presto fece il bis.

«Me li ha regalati un compagno di corso per ringraziarmi. Buoni, vero?» Leo annuì, cercando di leggere il nome della pasticceria stampato in bella calligrafia sui pirottini del muffin che aveva appena addentato.

«Suou?» lesse, con un po' di difficoltà, poi cercò di ricordare; il nome non gli era sconosciuto, ma quello che non gli interessava spesso finiva con l'essere per lo più accantonato in un angolo polveroso della sua mente sempre attiva.

«Sua maestà non conosce la catena pasticcera Suou?» chiese Arashi con fare divertito, mentre mescolava con studiata lentezza lo zucchero nella sua tazza di tè. «E dire che sono famosi in tutto il paese. Solo nella nostra città ci sono, se non mi sbaglio, tre negozi a loro nome!»

«Beh, preferisco posti più raccolti o stravaganti. Le catene non mi piacciono, non hanno personalità» rispose con naturalezza Leo, cercando di non mostrarsi sulla difensiva – lo Sleepover era uno di quei posti, ad esempio; aveva una sua aura fatta di caffè fumante e legno grezzo, come una baita di montagna nata nel posto sbagliato.

«Non c'è niente di male nel cedere un po' al consumismo». Ritsu ridacchiò alla constatazione, prima di passare a Isara il caffè che altrimenti non sarebbe riuscito a prendersi da solo.

La conversazione continuò senza grandi rivelazioni: Arashi raccontò di come aveva deciso di seguire un corso per make-up artist e dispensò consigli a Ruka su quali colori le donassero sugli occhi, sulle labbra e persino a come acconciarsi i capelli; Ritsu passò gran parte del suo tempo in un dormiveglia da cui rinveniva ogni tanto, giusto in tempo per commentare un argomento che avesse colto il suo interesse, mentre Isara partecipava attivamente ad ogni discussione, come se non avesse un ventitreenne che gli dormiva in grembo.

«Come sta procedendo la stesura del nuovo libro, fratellone?» La domanda di Ruka lo colse in contropiede mentre rideva alla buffa immagine che Isara gli aveva descritto, ovvero Ritsu che con il minimo sorso di caffeina diventava improvvisamente iperattivo.

«Oh, sì, il... libro» rispose, nervosamente, cercando di non suonare forzato. Sentì chiaramente gli occhi del moro, ora socchiusi a fessure ma in particolare quelli del modello focalizzarsi su di lui, sulle sue reazioni. «Sono un po' indietro, ma niente di preoccupante».

Era stato Arashi a fargli conoscere Izumi e, Leo lo sapeva, il biondo si sentiva in colpa per quello che era successo tra loro; era sicuro che sapesse ben più di quanto Leo gli aveva a stento raccontato quando era ancora troppo chiuso in se stesso e ferito per spiegargli esaustivamente quel che era successo ed era altrettanto certo che, per tutto il pomeriggio, non avesse fatto che osservarlo.

«Tu indietro con i tuoi racconti? L'apocalisse è vicina» sentenziò infatti un attimo dopo il biondo e nell'aria Leo poteva quasi percepirlo, l'arrivo di quella domanda, quella che aveva evitato per tutto il giorno – quella a cui non voleva neanche avvicinarsi. «Ma immagino non sia per le scadenze che tu sia scappato dalla festa di Ruka, dico male?»

Fu persino peggio di quanto potesse aspettarsi – Arashi non aveva chiesto che cosa lo avesse tenuto tanto occupato, dandogli così l'illusione di potersi in qualche modo sottrarre dall'argomento principale, ma lo aveva definito con certezza: in parole povere, Arashi sapeva. Così come Shu lo aveva guardato con occhi bramanti di curiosità, così ora Arashi teneva d'occhio le sue azioni con cura metodica. L'attenzione dei presenti venne spostata lentamente su di lui, in una gamma di emozioni tradite diverse seppur tutte mescolate con l'anticipazione. Persino Ritsu si era sollevato.

«Ero—solo stanco» mugugnò, ma era troppo teso perché sfuggisse agli occhi degli astanti – Leo odiava essere al centro dell'attenzione; c'era un motivo ben preciso per cui raramente presenziava ad incontri con i suoi lettori, preferendo di gran lunga la sicurezza del suo sito web, delle recensioni sui giornali, dei messaggi dei suoi ammiratori. Sia Ruka che Arashi ne erano perfettamente a conoscenza e voltavano in loro favore questa sua grande, enorme mancanza che mai lo aveva soffocato come in quel momento.

«Nessun affascinante ragazzo ha a che fare con la tua scomparsa, dunque» insistette il biondo e lo scrittore avvertì il proprio corpo irrigidirsi: era come essere di nuovo a quella sera, come se il fantasma del ragazzo sulla porta, ad ogni parola, tornasse a materializzarsi di nuovo, seppur fatto di fumo e di nuovo, quegli occhi violacei, color ametista--

Si accorse di aver trattenuto il respiro solo quando, all'improvviso, il suo telefono squillò.

Il nome di Robin lampeggiava di un bianco brillante sullo schermo del cellulare e Leo, senza neanche scusarsi, si alzò dal divano in fretta e furia per precipitarsi fuori dal soggiorno; si concesse solo qualche attimo per respirare, riprendere fiato e poi, finalmente, accettò la chiamata – ancora una volta, Robin era intervenuto in suo soccorso e non riusciva davvero a capire come facesse.

Magari era un alieno sul serio, lui.

«Spero di non aver disturbato...» L'ormai familiare voce nasale si scusò, per prima cosa, nella sua eccessiva formalità. Dovette essere strano, per lui, sentirsi rispondere dall'altra parte con una risata sollevata. «... Leo?» chiese infatti un attimo dopo, esprimendo tutta la sua perplessità udendo la voce dell'altro spegnersi lentamente.

«No, è che... Hai un tempismo incredibile» spiegò brevemente, senza dilungarsi troppo perché sapeva che sarebbe stato davvero ridicolo da dirsi ad alta voce: “Appari sempre quando ho bisogno di essere distratto!”, suonava come un vaneggiamento che andava persino oltre la sua solita stramberia. «Dovevi dirmi qualcosa?»

«Sì, in effetti» si riprese Robin – una breve pausa lasciò Leo con la sensazione che il giovane avesse un animo predisposto in qualche modo alla scrittura gialla, perché sapeva sempre come creare atmosfere di mistero e tensione quando parlava di qualcosa. Quando riprese a parlare, neanche a dirlo, sussurrava. «Ho scoperto il nome del vampiro! Due ragazzi del mio corso dicono di essere i suoi “allievi” e per quanto siano—beh, particolari, varrebbe la pena azzardare un tentativo».

A Leo sfuggì un fischio di ammirazione. «Se i personaggi dei miei libri fossero efficienti come te, non avrei molto da scrivere» osservò, ma Robin si limitò a ridacchiare a quella battuta.

«Il suo nome è Rei, Rei Sakuma» riprese, mentre la mente di Leo cominciava a viaggiare, come sempre, lungo i suoi personalissimi binari: il nome non gli era nuovo e, anzi, era piuttosto familiare. «Frequentava il corso di belle arti nell'università cittadina, ma sembrerebbe che non abbia concluso il suo percorso di studi e si sia ritirato poco prima della laurea... mi hanno detto che adesso è proprietario di un locale notturno, ma non mi hanno voluto dire quale...» Mentre Robin continuava a parlare, snocciolando i dettagli di quanto aveva scoperto, finalmente Leo riuscì ad afferrare quel ricordo sfuggevole che il suono del vero nome del vampiro aveva risvegliato: anni prima, durante una gita notturna sulle rive del fiume che scorreva poco fuori città, Ritsu si era presentato all'appuntamento con il suo mal sopportato fratello al seguito, un certo Rei. Il cognome di Ritsu (ci aveva messo un po', per rievocarlo; non aveva una gran memoria per le informazioni superflue), guarda caso, era proprio Sakuma, senza considerare che... beh, poteva considerarsi un vizio di famiglia, quello di presentarsi a terzi come vampiri? Le urla del povero Isara avevano smesso di sorprendere chi li circondava, tutti consapevoli che, nella maggior parte dei casi, si trattava di un tentativo di morso sul collo da parte del suo fidanzato. “Il sangue di Maakun è il migliore di tutti”, diceva.

«Beh, direi che sono un bel po' di informazioni! Al resto ci penso io» lo rassicurò, trattenendo a stento l'entusiasmo – era davvero possibile che il fratello maggiore di Ritsu facesse parte dei Dissidenti? Sarebbe stato davvero un colpo di fortuna, anche se avrebbe significato che per tutto quel tempo quello che desiderava era stato così vicino e lui non lo aveva mai notato.

«Allora aspetterò tue notizie» e così, con quel tono sollevato, la chiamata si concluse.

Con una rinnovata speranza, così preso dall'entusiasmo di avere compiuto un altro piccolo grande passo verso il suo obiettivo, tornò nel soggiorno senza considerare due cose fondamentali.

La prima, la conversazione che stavano avendo poco prima (anche se, ai suoi occhi, era sembrato più un interrogatorio) e la sua drammatica uscita di scena; c'era poco da stupirsi, quindi, se gli occhi di tutti i presenti fossero puntati su di lui non appena messo piede nella stanza.

La seconda era che... aveva lasciato la porta aperta, quindi probabilmente i suoi amici avevano sentito tutta la sua conversazione con Robin e, seppur non avesse granché da nascondere – se si escludeva ovviamente la sua ricerca matta e disperatissima di una setta satanica o presunta tale – si sentì comunque spiato, nonché il volto fastidiosamente accaldato.

«Oooh» fu la sola esclamazione di Arashi, che interruppe il silenzio imbarazzato che si era creato nella stanza. «Mai sentito tanto entusiasta al telefono, re!» Ritsu, Isara e Ruka si scambiarono occhiate di cui Leo non colse il significato ma che, in ogni caso, riuscirono ad irritarlo; da quando era arrivato, aveva la costante e fastidiosa sensazione che fossero al corrente di qualcosa che a lui invece sfuggiva, qualcosa di importante.

«È solo un amico» si affrettò a dire come se dovesse giustificarsi, mentre tornava a sedersi nel tentativo di liberarsi di quelle occhiate curiose. Fu inutile. «Piuttosto, lo sto... aiutando in una ricerca per un progetto universatario». Forse, cambiando discorso, aveva qualche possibilità di scrollarsi da quella trappola di sguardi? Quello di Arashi, in particolare, non gli dava tregua – era peggio di un cecchino esperto, capace di cogliere il punto debole del nemico e tenerlo puntato col suo mirino per ore, fino allo sfinimento. «Sta... indagando sulle vecchie leggende della struttura e—mi ha detto che ce n'è una, in particolare, che lo ha colpito». Si concesse una breve pausa per spostare il suo sguardo su Ritsu che, ormai, era piuttosto sveglio. Isara trasalì. «Il vampiro, un certo Rei... Sakuma» concluse infine, marcando il cognome con una certa enfasi.

Ritsu sbatté le palpebre, poi la fronte si aggrottò impercettibilmente, come se quel nome fosse suonato alle sue orecchie fastidioso quanto una zanzara.

«Ancora quella stupida storia...» biascicò, prima di concedersi uno sbadiglio e tornare a stringersi al suo ragazzo, che si limitò ad accoglierlo tra le sue braccia senza il minimo cenno di protesta. Quando Shu gli aveva parlato di... legami speciali “persino tra i Predestinati”, Leo non aveva impiegato molto ad associare quella strana eppure solida coppia, che sapeva sostenersi persino nei silenzi – come in quel momento. «... mio fratello è un idiota e non ci parlo molto», ma per Leo non era abbastanza. Continuò a fissarlo, fin quando non fu Isara, sfinito, a vuotare il sacco.

«Rei è... un tipo particolare. Al momento vive nel locale che gestisce con un amico, non torna quasi mai a casa» spiegò brevemente il ragazzo, mentre Ritsu era troppo impegnato a tenere il broncio; l'argomento sembrava irritarlo davvero molto.

«Tanto non ci troverebbe nessuno, io vivo da Maakun» si sentì in dovere di aggiungere, con un certo veleno nella sua voce.

«E... come si chiama il locale, lo sapete?» incalzò lo scrittore che ormai era praticamente seduto sul bordo del divano mentre si protendeva verso i due ragazzi. Fu ancora Isara a rispondere.

«Se non ricordo male era... Od Darkness?»

«Od Destruction» lo corresse subito Ritsu, per poi sbuffare. «Ma se vuoi incontrarlo, re, ti conviene andare nel tardo pomeriggio. La sera è pieno di persone e durante il giorno... Beh, quell'idiota dorme».
 


Note: Ed eccoci all'aggiornamento settimanale! Non è stato semplice per me gestire questo capitolo - mi sento sempre un po' disorientaa quando devo gestire molti personaggi in contemporanea, soprattutto se sono "oltre" quelli che sono abituata a muovere. Sono andata letteralmente nel panico ad un certo punto, ma spero non si noti troppo (sigh).
Dunque, che dire? Tenevo molto ad inserire uno spaccato della quotidianità di Leo prima delle sue disavventure col Predestino e questa è l'atmosfera a cui è più abituato: ognuno dei suoi amici gioca un ruolo molto preciso nella sua vita (particolarmente Arashi che, a parer mio, è davvero il più sensibile dei Knights e, in mancanza di Izumi per questioni di trama, sarebbe sicuramente il suo maggior stimolante), ovvero quello di scrollarlo. Non so se sarò in grado di aggiungere altro, da questo punto di vista ma adesso sapete quale significato assumerà sempre più spesso Robin nella vita di Leo: una via di fuga sicura. Nel prossimo capitolo finalmente (finalmente?) comparirà Rei e tutto lo strano e misterioso ambiente che lo circonda...
Mi scuso in anticipo se non riuscissi ad aggiornare in tempo (giovedì prossimo). Sto passando un periodo molto pieno e, dato che tengo molto a questa storia, non vorrei incorrere nel pericolo di rovinarla per la fretta... Buona lettura!

 

   
 
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