Fanfic su attori > Benedict Cumberbatch
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Autore: AminaMartinelli    14/09/2017    3 recensioni
Il battesimo del nuovo arrivato in casa Cumberbatch sarà l'occasione per l'interprete di Sherlock per rivedere il suo Watson. Molte cose sono cambiate dall'ultima ripresa e soprattutto il suo amico è reduce da un doloroso divorzio. Rivedersi farà loro ricordare quanto fossero felici i tempi in cui recitavano insieme e porterà alla luce sentimenti a lungo celati...
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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-Martin! – Freeman si girò sorridendo a quel richiamo: il suono di quella voce gli risultava più familiare di quello della sua!
- Ben! – voleva aggiungere qualcosa di arguto ma il cervello gli si resettò in automatico non appena i suoi occhi incrociarono quelle iridi dalle mille sfumature che lo fissavano brillando come due gemme. Fece uno sforzo sovrumano per cancellare tutti gli assurdi pensieri di apprezzamento che quella vista gli suscitava, così fuori contesto e inopportuni per la circostanza di due amici che si incontravano dopo alcuni mesi. Si ritrovò, così, a farglisi incontro tendendogli la mano e continuando a sorridere. Doveva sembrare un vero idiota!
Benedict, da canto suo, non aveva mosso un passo. Aveva riconosciuto da lontano il suo vecchio amico e compagno di set, anche se quel completo grigio perla indossato per l’occasione e i riflessi argento della sua nuca non appartenevano al ricordo più recente che aveva di lui. Gli avvenimenti degli ultimi tempi dovevano aver provocato in Martin cambiamenti che Ben non aveva calcolato e che, ora che vedeva il suo volto, lo colpirono come una frustata in piena faccia. Il suo sorriso si contorse in una smorfia di dispiacere al pensiero di ciò che quell’adorabile uomo doveva aver passato. Ciononostante cercò di riportare immediatamente sul suo volto un’espressione abbastanza serena da far sentire Martin “a casa”. E dovette riuscirgli bene perché, quando furono vicini, gli occhi blu che conosceva tanto bene e che per mesi di riprese aveva scrutato e fissato, erano lucidi di commozione. Si strinsero la mano in silenzio per alcuni istanti poi, senza sapere da chi venisse l’iniziativa, si abbracciarono di slancio. Sciogliendo quell’abbraccio Ben prese Martin per le spalle tentando di mostrare più allegria di quanta ne stesse provando:
- Allora, vecchio mio, lasciati guardare…
Per tutta risposta lui abbassò la testa, imbarazzato:
- Non credo di essere un bel vedere.
- Non lo sei mai stato!
- Grazie, caro! Sono felice anch’io di vederti! – ecco, questo era il tono dei loro scambi di battute! Finalmente tutto sembrava tornare alla normalità. Si avviarono verso il gazebo che in quel momento era libero, perché tutti erano impegnati a divorare la torta strabordante di panna su cui ormai la scritta “Congratulazioni ai felici genitori” si era trasformata in un groviglio di striscioline azzurre. Si sedettero ma Martin si rialzò quasi subito, incapace di stare fermo.
- Auguri, l’ho visto arrivando: è un bambino bellissimo. – la voce incrinata tradiva emozioni contrastanti…
- Grazie, anche se io ne ho poco merito: somiglia tutto a sua madre!
- Meglio così! – ridacchiò torturandosi le mani.
- Come stai, Martin? – quella semplice domanda lo raggelò:
- Uno schifo, grazie, ma passerà. – rispose annuendo, come suo solito.
Benedict si alzò a sua volta e gli si avvicinò, osservandolo con la testa leggermente inclinata, studiando il suo volto come avrebbe fatto Sherlock con John.
- Posso fare qualcosa per te?
Martin si coprì la faccia con le mani per qualche secondo.
- Temo ci sia ben poco da fare.
L’amico si sentì stringere il cuore per la tristezza, a quella risposta:
- Ci ho pensato a lungo, prima di invitarti…
- Non ti avrei mai perdonato, se non l’avessi fatto, anche se ne capisco il motivo. Non preoccuparti: la gioia di essere qui con voi supera di gran lunga ogni riflessione negativa che la situazione può suscitarmi.
- Ne sono felice. Raggiungiamo gli altri?
Avrebbe voluto rispondergli di no. Avrebbe voluto restare lì da solo con lui ancora per un po’, un bel po’. Ma sapeva che non sarebbe stato possibile: quella era la festa per la nascita del bambino di Ben e Sophie, non doveva comportarsi da egoista.
Per fortuna poté limitarsi ad abbracciare la mammina felice, a scambiare poche frasi di circostanza con alcuni invitati e i parenti della coppia, a rivolgere facce buffe, piccoli gesti sciocchi e suoni privi di senso al bambino. Poi tutta quella bolgia finì e poterono ritirarsi nelle loro camere. Benedict gli aveva riservato la stanza degli ospiti più grande e comoda, provvista di un proprio bagno e un salottino: quasi una piccola suite, in fondo al ballatoio, lontana da tutte le altre, anche da quella padronale. Privacy totale: aveva pensato a tutto, il suo amico.
Nella villa tutte le luci erano ormai spente. Oltre a lui solo i parenti erano ospitati per la notte ed essendo tutti stanchi, già dormivano. Sicuramente anche la coppia e i bambini stavano già riposando, dopo la lunga giornata di festeggiamenti. Solo Martin, pur sentendosi distrutto, non riusciva a chiudere occhio. Dopo essersi rigirato nel letto per un paio d’ore si rassegnò all’idea di trascorrere la notte in bianco, quindi decise di scendere nella biblioteca, onde evitare di passare il tempo a rimuginare sul fallimento del suo matrimonio e su quanto difficili e penosi sarebbero stati gli anni a venire.
Cercando di fare meno rumore possibile, uscì dalla sua stanza e scese le scale quasi in punta di piedi. Passò prima in cucina per bere un bicchiere d’acqua, poi attraversò rapidamente l’atrio fino alla porta della biblioteca. Si accorse, perciò, solo all’ultimo momento del filo di luce che filtrava da sotto la porta. Si impietrì con la mano sulla maniglia indeciso sul da farsi, ma pensò che nella peggiore delle ipotesi in biblioteca poteva esserci qualche anziano parente insonne. Quindi lo avrebbe salutato educatamente, scusandosi per il disturbo, avrebbe preso un libro a caso e sarebbe tornato nella sua spaziosa camera. Aprì con cautela la porta, pronto a proferire le sue umili scuse, invece rimase muto spalancando gli occhi per la sorpresa: in un ambiente incredibilmente simile al 221B di Baker Street uno Sherlock in vestaglia blu, sprofondato nella sua poltrona, leggeva un vecchio libro con aria assorta. Non lo aveva neanche sentito entrare. Pensò di stare avendo un’allucinazione per quanto quella scena gli era familiare. Si schiarì appena la voce per dire qualcosa, ma bastò quello per strappare il suo amico alla lettura. Cumberbatch sollevò lo sguardo senza muovere la testa, aprendosi poi in un sorriso complice. Martin ebbe un lieve capogiro: i riccioli scompigliati, la vestaglia blu aperta, il pigiama, i piedi scalzi e quel sorriso…si sentì catapultato indietro di anni, ai tempi della prima stagione. Quasi che il tempo non fosse mai passato e loro fossero lì, come sempre, pronti a recitare l’ennesima battuta del copione di Gatiss e Moffat.
- Non riesci dormire neanche tu, a quanto pare – il tono caldo e vibrato di Ben lo attraversò come una scossa elettrica, facendogli venire la pelle d’oca e facendolo sussultare leggermente. Com’era possibile che gli facesse sempre quell’effetto? Non era dignitoso.
- A quanto pare. – usò il tono più neutro che gli riuscì di assumere, ma un lieve tremore interno gli negava il controllo della voce.
- Ti va di sederti qui di fronte a me per un po’?
Martin annuì e si mosse quasi in trance fino alla “sua” poltrona, la mente affollata da pensieri stupidi su come quella voce per lui fosse ammaliante quanto quella delle sirene per Ulisse, e altre sciocchezze del genere…ma quando fu seduto, improvvisamente ritrovò il suo spirito e la sua sagacia:
- Abbiamo un nuovo caso?
Il suo ospite sogghignò benevolo congiungendo le mani davanti alla bocca, accettando di stare al gioco:
- Sì mio caro. Un interessantissimo nuovo caso: un giovane uomo ha smarrito se stesso in un bazar di emozioni in cui è stato trascinato da incaute mani, nel bel mezzo di un’avventura in cui si era imbarcato con tutto il cuore, come è solito fare…
In una sola frase, pronunciata esattamente come avrebbe fatto Sherlock, aveva riassunto la sua situazione attuale, dandogli un tocco di poesia. Fu troppo per Martin: i suoi occhi si riempirono di lacrime senza che lui potesse impedirlo. Il tremore interno che lo aveva accompagnato fino a lì si trasmise alle sue mani e lui cercò di fermarlo stringendole insieme convulsamente, ma questo non fece che peggiorare la situazione. Piccoli sussulti cominciarono a scuotergli le spalle, facendo eco a singhiozzi trattenuti. Ben lasciò la sua poltrona e gli si inginocchiò davanti, afferrandogli le mani con un gesto deciso ma delicato e affettuoso.
- Martin, caro…mi dispiace tanto! – poggiò la fronte contro quella del suo amico, poi gli lasciò le mani portando le sue ai lati della testa di Freeman, cercando di calmarlo, di sincronizzare i loro respiri – shh…shh, sono qui, sono qui con te…
Martin fece scivolare la testa fino alla spalla di Ben, che lo avvolse nelle sue lunghe braccia come in una protettiva coperta, continuando a sussurrare parole rassicuranti al suo orecchio, finché non si fu calmato del tutto. Lentamente Freeman riprese il controllo ma, allo stesso tempo, una certezza si concretizzò nella sua mente: non era stata Amanda ad aver provocato il vuoto che avvertiva e che lo faceva sentire perso…quella voragine nel suo cuore l’aveva lasciata Ben! Mentre sollevava la testa dalla spalla del meraviglioso uomo che aveva di fronte i suoi veri sentimenti gli si rivelarono in modo spaventosamente chiaro e in un attimo Martin fu certo al di là di ogni ragionevole dubbio di amare ed aver amato una sola persona in tutta la sua vita: Benedict Cumberbatch. Era un pensiero terribile, perché sapeva che non avrebbe mai potuto essere ricambiato e, come se non bastasse, avrebbe dovuto allontanarsi da lui, rinunciare al conforto della sua amicizia, per non rischiare di rovinarla. Non sapendo cosa dire cercò di alzarsi in piedi, ma si sentì riportare giù, ritrovandosi anche lui in ginocchio. Per un attimo pensò a quanto sarebbe stato imbarazzante se qualcuno fosse entrato in quel momento, ma quel pensiero fu spazzato via dall’emozione più forte che avesse mai provato nella sua vita: Ben lo stava fissando con un’intensità che non gli aveva mai visto rivolgere a nessuno. Si sentì mancare il fiato perché quello sguardo aveva la potenza dell’abbraccio più appassionato, del bacio più sconvolgente. Gli stava scandagliando l’anima impietosamente, appropriandosi di quella verità appena scoperta che mai avrebbe avuto il coraggio di confessargli. Gli sfuggì in un soffio “Ti prego, no”, in un disperato tentativo di proteggersi, di nascondergli quel sentimento. Ma sapeva che davanti a lui non aveva alcuna difesa, non ne avrebbe avuta mai più: poteva leggergli dentro liberamente.
Inaspettatamente Ben parlò:
- L’hai scoperto solo ora?
- “Solo”?
- Sono anni che aspetto questo momento e doveva succedere adesso!
Lesse quasi del rancore in quei magnifici occhi:
- Io non capisco…
- Questo dovresti scriverlo su una maglietta – scherzò amaramente scuotendo il capo e continuando a tenerlo saldamente per le braccia
- No, davvero…
- Davvero? Ti dirò io cosa è vero: sono innamorato di te dal primo giorno di riprese di Sherlock, ed ho avuto la sensazione che tu provassi lo stesso per me, ma non hai mai, MAI dimostrato di aver compreso la nostra situazione. Non sai quante volte ho sperato che ti decidessi ad accettare la realtà, ma non c’è stato niente da fare.
- Sophie… - soffiò debolmente quel nome come ultimo baluardo di difesa da quella tempesta perfetta che lo stava travolgendo.
- Tu avevi Amanda, Sophie voleva me. Ho pensato “Forse così capirà, aprirà gli occhi”. Ma neanche questo è servito. Poi era troppo tardi, o forse ho solo voluto punire te e me stesso per la nostra vigliaccheria. E siamo arrivati a questo punto.
- È troppo tardi – Ben non riuscì a capire se si trattava di una domanda o di una affermazione, ma decise che non gli importava:
- Non per me.
- Soprattutto per te! Hal è appena nato!
- Se ne farà una ragione, quando sarà abbastanza grande per capire, tutti se ne faranno una ragione, perché io sono finalmente dove volevo essere e niente e nessuno mi porterà via dalla mia oasi! Finalmente posso smettere di girare a vuoto nel deserto e placare la mia sete…come pensi che qualcosa possa frapporsi fra me e questo paradiso?
- O inferno – Martin era senza forze, non riusciva più nemmeno a capire se fosse sveglio o se stesse sognando ma voleva comunque salvare Benedict dalla rete in cui lui stesso era caduto, per risparmiargli sofferenze che non osava immaginare. Ma il suo ultimo tentativo si infranse sulle labbra che da qualche minuto non riusciva a smettere di fissare, quando pronunciarono le sole parole a cui lui non avrebbe mai potuto resistere:
- Paradiso, Martin, perché il tuo amore per me è il paradiso.
E di colpo nel cuore di Freeman scese la pace. Una sensazione che non aveva mai provato. Da lì in poi tutto sarebbe stato terribilmente difficile ma meravigliosamente bello, perché lui e Ben erano finalmente insieme. E, per entrambi, solo quello contava davvero.
   
 
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