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Autore: ValeriaLupin    14/09/2017    5 recensioni
"Il primo bacio di Teddy era avvenuto quando aveva quattro anni ed era stato uno scoccare di labbra goffo e innocente: un gioco fra lui e Victoire, accompagnato dalle risate scroscianti di genitori e amici.
Era uno di quei giochi che, crescendo, possono diventare pericolosi. Così, crescendo, smisero di giocarci, finendo per evitare persino di parlarsi: divennero due semplici estranei."
Ted e Victoire, immersi nella fragilità e nell'incertezza dell'adolescenza, si scoprono diversi e simili, come fossero sempre stati solo due estranei.
Dal quarto capitolo:
"«E così, eccoci qui» mormorò Ted, spezzando il silenzioso cantare dei grilli «due Prefetti fuori dai Dormitori oltre l'orario consentito»."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dominique Weasley, Harry Potter, James Sirius Potter, Teddy Lupin, Victorie Weasley | Coppie: Harry/Ginny, James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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We were strangers

 

Capitolo uno: Giochi

 
 

 
 "Un soggetto che sia bello in se stesso non offre nessuna suggestione all'artista. Manca di imperfezione." 
Oscar Wilde  

 
 
I giorni si facevano sempre più corti; il sole tramontava prima e sorgeva più tardi. L’estate stava scivolando via dentro l’autunno e la luce ancora tiepida che oltrepassava la finestra aperta gli dava un ultimo assaggio di calore, prima che il fresco pungente di settembre s’impadronisse delle giornate.
Era il primo settembre del 2016: per Ted Remus Lupin, l’inizio dell’ultimo anno alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Al solo pensiero Ted si sentiva pervaso da una paura completamente nuova, gli saliva un magone in gola che gli bloccava il respiro e rendeva i suoi movimenti lenti, come volesse assaporare, per l’ultima volta, quel momento.
Si stava preparando a imbarcarsi sulla famigliare locomotiva scarlatta, ma si preparava, più precisamente, a lasciare indietro una parte della propria vita che forse non era ancora capace di abbandonare.  Il ragazzo, i capelli turchesi leggermente sfumati a un blu cupo, era ansioso di riempire il proprio baule di tutto il necessario. Vi gettava confusamente qualsiasi cosa gli passasse sotto lo sguardo, cercando di non badare a sua nonna che lo spronava ad essere più veloce.
Il disordine patologico lo aveva ripreso da sua madre, assieme alla forma a cuore del viso e quella vivacità per cui tutti la ricordavano da defunta – così, almeno, affermava sua nonna. Spesso la sorprendeva fissarlo con le lacrime agli occhi e un’espressione malinconica di cui aveva imparato, col tempo, a non chiedere l’origine. Sapeva riconoscerla e, quando arrivava, Teddy consolava nonna Andromeda con un abbraccio.
«Teddy sbrigati, siamo già in ritardo!» urlò Andromeda dall’uscio, dove lo stava aspettando da una decina di minuti.
«Ho quasi fatto» rispose lui, gettando nel baule un libro che stava per dimenticare e recuperando, per ultimo, il ciondolo a forma di luna che gli era stato regalato da Harry.
«Ho una cosa per te» aveva detto il padrino quel mite pomeriggio d’inizio maggio, frugando nelle tasche dei pantaloni.
Era l’anniversario della battaglia di Hogwarts, della sconfitta di Voldemort e della morte di entrambi i suoi genitori. Teddy aveva compiuto da poco dieci anni e Harry lo aveva accompagnato alla tomba dei genitori. Il bambino fissava le due lapidi così curate rispetto a quelle circostanti, osservando con amarezza la parola “eroe” incisa sulla levigata pietra bianca.
«Ecco» aveva continuato Harry, una volta trovato quello che stava cercando «questo è un ciondolo che… mi ha fatto pensare a tuo padre». Una nota di dolore si era fatta sentire nella voce di Harry che, accennando un sorriso lieve, gli aveva passato la collanina da cui penzolava un ciondolo: uno spicchio di luna perlaceo.
Ted lo indossò e cominciò a trascinare il baule lungo le scale, finché la nonna, spazientita, gracchiò: «Baule locomotor!» accompagnato da un secco movimento di bacchetta. «Forza, non abbiamo tutta la giornata» lo esortò, inacidita.
 
 
***
 
 
Nonostante tutti i rimproveri di sua nonna, arrivarono puntuali. Forse, con una figlia come Ninfadora, era abituata a gridare subito al ritardo, prima ancora di guardare l’orario. Probabilmente con sua madre questa tecnica funzionava, con lui era decisamente futile; doveva aver ereditato la puntualità da suo padre.
Non fu difficile raggiungere la stazione di King’s Cross e quando furono lì, passeggiarono circospetti fra i babbani in attesa dei treni al binario 9 e a quello 10, aspettarono che nessuno di loro li guardasse per appoggiarsi, disinvolti, ai mattoni fra i due binari.
Sulla banchina del binario 9   incontrarono tutto il clan Potter-Weasley che in molti, fra gli studenti e le loro famiglie, spiavano di sottecchi con ammirazione o curiosità. Per primi, salutarono Bill e Fleur; l’uomo carezzava dolcemente i capelli di sua moglie, accoccolata su di lui mentre Louis parlottava con Albus e Lily. Scorsero, poco più lontani, anche Hermione mano nella mano con Ron che teneva un palmo sulla spalla di suo figlio Hugo, una massa di ricci capelli arancioni e una spruzzatina di lentiggini sul viso chiaro. Affianco a loro, impegnati in una conversazione, v’erano Ginny e Harry, la prima aveva tagliato i capelli ancora più corti mentre Harry era identico a come lo ricordava dall’ultima volta che l’aveva visto, molto tempo prima. Pensandoci, non lo vedeva da maggio quando, come consueta tradizione, a casa Potter si organizzava una cena per festeggiare il compleanno di Victoire e la sconfitta di Voldemort. Solo a fine serata assumeva i toni più mesti di una cena di ringraziamento a tutti coloro che erano morti per quella causa.
Da piccolo era abituato a vederlo molto più spesso. Era a casa del padrino praticamente tutti i giorni, in seguito aveva continuato ad andarci per giocare con il piccolo James, passandovi spesso anche la notte: tanto che, per un periodo, aveva chiamato Ginny e Harry “mamma” e “papà”, prendendo ingenuamente esempio da James.
Ted salutò il padrino molto calorosamente, cingendolo in un abbraccio e lui gli diede qualche pacca sulla schiena. Harry sorrise nel vedere che indossava il suo regalo, poi distolse per qualche secondo lo sguardo per evitare di scrutarlo con troppa curiosità.
«Gli altri sono già sul treno» disse Ron, i cui figli erano venuti solo a salutare i più grandi. Ron non gli risparmiò uno sguardo confuso, ma non disse nulla. Ted annuì mentre sua nonna diceva che li avevano già avvertiti Bill e Fleur.
«Siamo passati qui a salutarvi» disse, sorridendo.
Alle spalle di Ron, notò una massa di lunghi capelli rosso scuro certamente appartenenti a Rose e, guardando più attentamente, vide al suo fianco un ragazzo dai capelli argentei. Presto i due furono raggiunti da quello che era innegabilmente James, sceso dal treno per scacciare il ragazzo.
Mentre gli altri parlavano, Ted osservava Rose e James immersi in una intensa discussione, prima che entrambi si avvicinassero ai genitori con sguardo risentito. Quando James lo vide, esaminando la sua espressione, Ted ricordò perché ormai era solito andare molto meno di frequente a casa Potter: col tempo, aveva capito che per James la sua presenza era fastidiosa, non poteva sopportare che, di fatto, Harry si sentisse più legato a quello che non era neanche suo figlio.
Ted aveva sempre pensato che quel legame nascesse dal fatto che avessero provato lo stesso dolore, il medesimo senso di smarrimento e, infatti, si poteva sostanzialmente dire che il motivo della loro particolare affinità fosse la condizione di orfani che condividevano. Non biasimava James, né lo aveva mai fatto, anzi lo aveva capito così nel profondo che aveva preferito farsi da parte, facendo visita alla famiglia Potter solo nei fine settimana.
Certo, nell’ultimo periodo aveva smesso proprio di andarci, aveva passato l’ultima estate fra il lavoro in un bar babbano sotto casa e la giovane collega, Denise. Cercò di scacciare il pensiero della ragazza, mentre James salutava tutti e saliva sul treno. L’Espresso per Hogwarts fischiò, sbuffando vapore e avvertendolo dell’imminente partenza.
Nessuno di loro fece domande sul suo aspetto, radicalmente cambiato durante l’estate. Ted ne fu talmente grato che salutò tutti con un frettoloso abbraccio prima di trascinare il baule verso la locomotiva. Diede un bacio sulla fronte a sua nonna e le sorrise mentre si accingeva a salire sull’Espresso che si allontanava, lento, sui binari.
 
Quando la banchina del binario fu sparita completamente dalla sua visuale, Ted percorse tutto il treno in cerca del vagone dove si erano piazzati i suoi amici. Si era tenuto in contatto con loro tramite le lettere, ma aveva scoperto che non aveva molto di cui parlare con loro se non degli scherzi. E lui aveva bisogno di parole diverse.
«Teddy!» gridò Phil, alzandosi per abbracciarlo, non appena spalancò la porta dello scompartimento giusto. Ted sorrise, reprimendo una piccola smorfia al sentire quel soprannome.
«Solo voi continuate a ostinarvi a chiamarmi così» mentì con tono spazientito, ma ancora sorridente.
«Ehi, ma che diavolo ti è successo?» lo guardò stranito Gus, indicando il suo taglio di capelli, i piercing e il giubbino di pelle consunto, dopo avergli dato una forte pacca sulla spalla.
«Tosto, ti sta bene, amico» si complimentò Kevin, sorridendogli «Non ti sei fatto vedere per niente quest’estate» lo accusò poi, smorzando la sua espressione felice, con uno sguardo di rimprovero. La madre veniva, lentamente, consumata da una maledizione sconosciuta senza cura né via di scampo e, ogni volta che lo rivedeva, Ted si rendeva conto che stava logorando anche lui: era sempre più magro, sempre più grigio. I capelli neri gli scivolavano sfibrati sopra gli occhi stanchi. Era solo questione di tempo e un giorno Kevin avrebbe pianto la morte della madre sulla sua spalla, sperava solo che sarebbe stato il più tardi possibile.
«Ho avuto da fare» si scusò, sinceramente dispiaciuto. «Mi siete mancati, ragazzi» aggiunse, per farsi perdonare.
Kevin ridacchiò e si gettò di peso sul sedile mentre Phil rispondeva «anche tu, Teddy!», avvolgendogli un braccio sulle spalle.
«Non chiamarmi Teddy» disse risolutivo, lanciando un’occhiataccia all’amico che alzò le mani in segno di resa.
«Allora, cosa ci nascondi?» lo interrogò Kevin.
«Niente, non vi nascondo niente». Kevin alzò gli occhi al cielo e a quel punto intervenne Gus: «Secondo me, c’è una ragazza» propose, ghignando.
«Be’, sì effettivamente c’è stata Denise, lavorava con me» ribatté soddisfatto, ma non accennò a come si erano lasciati, a quanto gli pesasse averla persa.
«Ah, ma bravo! Ti ho cresciuto proprio bene» si congratulò Phil, dandogli qualche leggero schiaffo sulla guancia «ricordo ancora quando i capelli ti diventavano rossi davanti alle ragazze».
Ted odiava l’incapacità di Phil di parlare con qualcuno senza toccarlo, lo irritavano anche la sua assenza totale di filtri, il fatto che non capisse le normali regole del decoro. Era tanto fastidioso, quanto divertente e non poteva fare altro che provare tanto affetto nei suoi confronti.  Amava come ogni volta dovesse staccarselo di dosso e schiaffeggiarlo sulla nuca, come ammonimento.
Era un gioco fra loro due, uno di quei giochi che non smettono mai di divertirti, uno di quei giochi che, crescendo, restano immutati e spontanei.
 
«Va bene, lascio qui il baule e vado, mi aspettano nella carrozza dei Prefetti» sbuffò Ted, sistemando le sue cose.
«Ah, quindi sei venuto solo per sbarazzarti del baule» lo rimbeccò sdegnato Phil «Complimenti». Il ragazzo scosse la chioma celeste, ridendo.
«Sono venuto a salutare voi tre stronzi!» dichiarò, uscendo dallo scompartimento con un largo sorriso in volto.
 
Durante il tragitto venne schiaffeggiato da una chioma di lunghi capelli biondo ramati; Victoire Weasley si girò con aria furiosa e gli occhi leggermente umidi, sbattendo con forza la porta della carrozza da cui era appena sgusciata fuori.
La ragazza del quinto anno si scusò e i due si salutarono freddamente, come se non avessero molto in comune e si conoscessero appena. Ed infatti lei riusciva a malapena a riconoscerlo.
Ted, nonostante i capelli turchini, era sempre stato un ragazzo piuttosto anonimo, dal viso comune e l’aspetto di un qualsiasi ragazzo ad Hogwarts. Ora, invece, Victoire si trovava davanti qualcuno che era difficile non notare con quei piercing, il giubbotto di pelle sbiadito, i capelli ai lati del viso corti e neri che spezzavano il taglio che sfoggiava da quando ne aveva memoria.
«La McGranitt ti ha eletta Prefetto?»  le chiese, sorpreso, quando si accorse che erano diretti nello stesso scompartimento.
«Già» fu la sua sola risposta. Si chiese come fosse possibile che non se ne fosse accorto, si chiese il motivo di quel gelo fra loro e, così, d’improvviso si sorprese a riportare alla memoria il suo primo bacio.
Il primo bacio di Teddy era avvenuto quando aveva quattro anni ed era stato uno scoccare di labbra goffo e innocente: un gioco fra lui e Victoire, accompagnato dalle risate scroscianti di genitori e amici.
Era uno di quei giochi che, crescendo, possono diventare pericolosi. Così, crescendo, smisero di giocarci, finendo per smettere persino di parlarsi: divennero due semplici estranei. La guardò di sottecchi, un po’ dispiaciuto di quel distacco.
Certo, quello era stato solo un passatempo fra bambini, il vero primo bacio di Ted era stato decisamente peggiore. Ne ricordava quasi esclusivamente un grande tramestio di lingue ancora inesperte e il respiro spezzato, mentre la bocca apparteneva a una piccola Pauline Davis dagli occhi verdi.
Entrò nella carrozza dei Prefetti con al fianco una Victoire nervosa e gli occhi del colore delle mele acerbe.






Noticine: Ciao a tutti, vi ringrazio per essere arrivati fin qui! Spulciando per il sito mi sono accorta che non esiste una long incentrata su Ted e Victoire (o ne esistono molto poche) per cui ho deciso di rimediare :) Ho pronti cinque capitoli per ora, dovrei farcela a aggiornare, ma non do nulla per certo... purtroppo devo stare dietro anche alla mia vita fuori da efp. 
Per ora li ho fatti incontrare di sfuggita: ovviamente si conoscono e si salutano sempre, ma, non avendo mai avuto il tempo di creare un legame che si possa definire profondo, non hanno molto da dirsi. Li ho voluti dipingere diversi da come vengono tratteggiati di solito lui e Vic e più avanti vedrete come la storia spazierà anche sui tipici sentimenti dell'adolescenza, sentimenti che li avvicineranno inesorabilmente. 
Siete curiosi del cambiamento di Teddy? A me lui intriga parecchio! Victoire, invece, per adesso è ancora un mistero per noi come per Ted. Chissà perchè quegli occhi lucidi... 
Al prossimo aggiornamento, spero :)
Bacioni :*

ps: Se volete lasciare un commentino, ve ne sarei tanto tanto grata.
   
 
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