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Autore: heliodor    15/09/2017    4 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Cento anni prima

A volte ripensava ai bei tempi passati a Luska, quando erano giovani e ingenui. Gli anni passati all'accademia erano stati spensierati e pieni di scoperte.
Lì aveva imparato a conoscere davvero Sibyl e ad apprezzare la sua dolcezza, la sua voglia di vivere, la sua spontaneità.
Lei gli aveva insegnato ad amare ed essere amato. Fino a quel momento Arran non lo credeva possibile.
Lui era solo un topo di biblioteca e non sapeva come piacere a una ragazza. La vita nell'accademia non l'aveva preparato a quello che sarebbe successo.
Il giorno in cui aveva conosciuto Sibyl non era uno qualunque. Era quello in cui venivano presentati i nuovi allievi.
Gli Erranti, i maestri dell'accademia che viaggiavano per il continente reclutando gli studenti che ritenevano più meritevoli, stavano arrivando per quella ricorrenza annuale molto importante.
La Sala della Presentazione era stata allestita con addobbi e arazzi che venivano tirati fuori dai bauli solo per quella solenne occasione.
Lo stendardo con il simbolo dell'accademia, un sole circondato da nove stelle che simboleggiavano le arti del sapere, campeggiava sulla parete di fondo della sala, dove era stato eretto un palco di legno.
Arran, come responsabile della biblioteca, non aveva particolari compiti da assolvere. Lui stesso era ancora uno studente al terzo anno dei nove previsti dal corso. Se alla fine fosse riuscito a superare tutti gli esami, sarebbe diventato un maestro. In caso contrario, come molti prima di lui, avrebbe lasciato l'accademia per insegnare altrove.
Sperava con tutto il suo cuore di restare: non aveva altro posto in cui recarsi e ormai quella era la sua casa.
Non desiderava andarsene e avrebbe fatto di tutto per rimanere. Quello era il suo sogno, almeno fino al giorno in cui non incontrò Sibyl.
Il suo ingresso nell'accademia venne preceduto dalle voci del suo arrivo.
"Maestro Benezir deve essere impazzito" aveva detto Dwali raggiungendolo in biblioteca. Dwali era arrivato un anno prima ed era stato assegnato agli archivi.
Arran scambiava spesso due parole con lui ed era l'unico col quale avesse una certa confidenza. Era la cosa più vicina a un amico che avesse lì dentro.
"Attento a come parli" lo aveva ammonito Arran. "È da maleducati parlar male di un maestro."
"Ma è così. Benezir deve aver preso una botta in testa."
"Spiegati meglio" aveva detto Arran mettendo da parte quello che stava facendo. Stava riordinando i volumi di storia naturale, sostituendo le nuove copie appena consegnate a quelle vecchie e ormai inutilizzabili.
La carta tendeva a invecchiare e rovinarsi, aveva notato. Niente era eterno, solevano dire i maestri, a parte la pietra e la curiosità umana.
L'accademia era piena sia dell'una che dell'altra. E di umidità.
Arran la sentiva nelle ossa e la vedeva nelle pietre che grondavano acqua nei giorni peggiori.
Dwali aveva abbassato la voce. "Ormai è sulla bocca di tutti. Possibile che tu non ne sappia niente?"
"Non mi interessano le chiacchiere di paese" aveva risposto Arran. "Allora, mi spieghi quello che succede?"
"Benezir ha portato sette nuovi allievi. Alloggia poco fuori città, in attesa che il consiglio gli dia il permesso di portarli nell'accademia."
Era una cosa normale e Arran non ne era sorpreso. Lui stesso, come Dwali, aveva trascorso sedici giorni fuori dalle mura aspettando che fosse loro concesso il permesso di entrare. Era una vecchia consuetudine che i nuovi allievi venissero presentati tutti insieme.
"E che cosa c'è di tanto strano?"
"Non ti ho detto dell'ottavo allievo" aveva risposto Dwali. "O meglio dovrei dire ottava."
Arran sussultò. "Una donna?"
Dwali annuì. "E molto bella, dicono."
"Sono almeno duecento anni che non accadeva" aveva detto Arran. Alle donne non era vietato entrare nell'accademia e ricevere un'istruzione superiore, ma i maestri faticavano sempre a trovare candidate adatte. In molti regni alle donne era persino vietato imparare a leggere e scrivere.
Dwali aveva annuito con decisione. "È un evento storico. Verrà ricordato nelle cronache."
"Mi chiedo che aspetto abbia."
"Ti ho detto che è bella."
"La bellezza è un concetto relativo, Dwali" aveva risposto Arran cercando di far valere i suoi studi in filosofia e retorica. "Non hai imparato niente dai trattati di maestro Amotz e maestro Kari?"
Dwali si era limitato a are una smorfia. "Non sono ancora arrivato a quel punto."
"Magari se ti mettessi a studiare invece che andartene in giro a raccogliere certe chiacchiere..."
"Lo sapevo, non dovevo dirti niente" aveva replicato offeso.
Arran aveva riso. "Non te la prendere, stavo scherzando. Scommetto che oltre che bella è anche molto intelligente."
"Dovrà esserlo se vuole durare qui dentro. Lo sai che non sono teneri con i novizi."
Quella era una tradizione dell'accademia. Nei primi mesi i maestri facevano di tutto per scoraggiare gli allievi. Privazioni, studio intenso, umiliazioni in pubblico, lavori faticosi o ripetitivi o umilianti, persino punizioni.
Ogni mezzo era lecito per mettere alla prova la resistenza di un nuovo allievo. Il primo anno era il più difficile, lo dicevano tutti. Non che gli altri fossero facili, ma...
Arran era sopravvissuto a stento a tutto quello. I primi tempi era stato tentato di lasciare tutto e andarsene. Lo avevano frenato solo la sua ostinazione e la consapevolezza che ad attenderlo fuori da quelle mura non ci fosse niente.
Così aveva superato il primo anno e anche il secondo e ora si apprestava a completare il terzo. Non era il migliore del suo corso né uno dei più brillanti, ma a detta dei maestri era bravo. Forse non sarebbe diventato un grande maestro, ma poteva lasciare il segno.
Cinque giorni dopo si tenne la cerimonia ufficiale di presentazione dei nuovi allievi. Tutti i maestri erranti accompagnarono i loro protetti sul palco e li presentarono al resto dei presenti, chiamandoli per nome ed elencando i motivi per cui li avevano scelti.
Benezir non era stato da meno e quando era giunto il momento di presentare la nuova arrivata, nella sala era piombato un gran silenzio.
"Sibyl di Elphis" aveva detto Benezir. "Per la sua propensione nello studio delle lingue antiche e la sua abilità nel canto, anche se spesso indugia troppo nelle sue capacità."
Dwali aveva ragione, era davvero bella. Sibyl aveva lunghi capelli neri e crespi, un viso ovale e occhi scuri e penetranti. E un sorriso aperto e sincero che la rendeva subito simpatica a chiunque le stesse accanto.
La ragazza era stata accolta bene dagli allievi e subito si era inserita nella vita dell'accademia.
Arran non aveva avuto il coraggio di avvicinarsi quando gli allievi del secondo anno in poi erano andati a fare conoscenza dei novizi.
Tutte le attenzioni erano state per Sibyl e lui non era riuscito nemmeno ad avvicinarsi tanta era la calca. Dopo un po' aveva rinunciato.
I mesi erano trascorsi senza che niente cambiasse. L'arrivo di una ragazza dopo tanti anni era stato assimilato e la vita era proseguita con i soliti ritmi.
Arran aveva continuato a lavorare in biblioteca, sistemando e spostando volumi da una sezione all'altra.
Era così abituato a quel lavoro che di rado badava ai frequentatori della biblioteca. Di solito erano persone che non volevano essere disturbate perché immerse nello studio o in qualche importante ricerca.
Lo stesso Arran era fatto così e quando si recava in biblioteca per studio e non per lavoro chiedeva solo pace e tranquillità.
Ma nonostante questo, non poteva non notare una faccia nuova seduta tra i banchi. Soprattutto se quella faccia apparteneva all'unica ragazza di tutta l'accademia.
Fu così che quel giorno, mentre spingeva il carrello pieno di trattati e dissertazioni filosofiche, notò Sibyl seduta a uno dei tavoli, la testa china su un libro aperto.
Per diversi minuti rimase a osservarla, cercando di non fare il minimo rumore per paura di spaventarla. Cercò perfino di trattenere il fiato per non disturbarla.
Restò immobile a osservarla per parecchio tempo.
Stava per andarsene, quando lei all'improvviso staccò gli occhi dalla pagina e li sollevò verso di lui.
I loro sguardi si incrociarono per un istante, prima che lui, imbarazzato, distogliesse gli occhi.
Scosse la testa e tornò a guardarla.
Sibyl era ancora lì e lo stava osservando. Sembrava divertita, ma non seccata.
Per educazione, si avvicinò e le disse: "Scusami, non volevo disturbarti. Me ne vado subito."
"Tu sei il bibliotecario?" chiese la ragazza. Aveva una voce profonda e matura per la sua età.
"Mi limito a dare una mano" disse Arran. Era sempre felice di parlare del suo lavoro e di come si rendeva utile nell'accademia, ma ora gli sembrava una cosa stupida e superflua. Lui spostava i libri da un posto all'altro e li catalogava. Non doveva fare altro. 
A pensarci bene era deprimente.
"E ti piace?" domandò lei.
Arran si strinse nelle spalle. "Tutti gli allievi devono fare qualcosa. Meglio questo che un lavoro faticoso."
"A me ieri hanno fatto spazzare il cortile" si lamentò lei.
"È toccato anche a me. Tutti prima o poi fanno tutto, qui."
Lei sembrava delusa. "L'avevo immaginata diversa, la vita qui. Benezir me l'aveva detto."
"E sei voluta venire lo stesso?"
"Certo. Non potevo rinunciare a questa occasione. Tu no?"
Lui non aveva avuto molta scelta. Era nato in un villaggio povero, in una famiglia povera persino rispetto alle altre. Non avevano terre, né animali e solo un misero tetto sopra la testa. Sua madre faceva qualsiasi lavoro le venisse chiesto di fare e suo padre era morto quando era molto piccolo e non lo ricordava affatto.
L'accademia era la sola occasione per fuggire da quel mondo.
Maestro Dazin, l'uomo che lo aveva scoperto, si era ritrovato a passare dal villaggio dopo che un forte temporale aveva distrutto l'unico ponte che attraversava il fiume. Costretto a fare una lunga deviazione, si era ritrovato di notte e da solo in una zona che non conosceva.
Era arrivato al villaggio la mattina del giorno seguente e già che c'era aveva chiesto del cibo e dell'acqua per proseguire.
I maestri godevano rispetto sia tra il popolo che tra i nobili ed era stato accontentato. Sua madre si era offerta di rammendargli i vestiti, tra i quali il vecchio mantello del suo circolo.
Dazin era anche un potente stregone, anche se da tempo aveva lasciato il suo circolo e si era votato alla conoscenza.
Era anche una persona distratta che non badava molto a dove metteva la sua roba.
La sorte volle che nelle pieghe del mantello vi fossero delle pergamene alle quali lui teneva molto.
La madre di Arran portò tutto a casa e rovistando nel mantello trovò le pergamene e le mise sul tavolo della cucina.
Arran, che all'epoca era un ragazzo e si arrangiava lavorando presso il maniscalco, tornando la sera le trovò sul tavolo e le aprì.
Sapeva a malapena leggere e scrivere, ma quando imparava qualcosa non la dimenticava mai. Gli bastava leggere una pagina per ricordarla a memoria.
Lesse quello che vi era scritto e lo imparò a memoria nello stesso istante. Gli bastava concentrarsi per ricordare la pagina intera, come se fosse ancora davanti ai suoi occhi.
Quello stesso giorno Dazin si presentò a casa loro disperato, dicendo di aver dimenticato le pergamene.
Sua madre gli disse di averle messe sul tavolo, ma erano sparite.
Affranto, Dazin si era lasciato cadere su una sedia, maledicendosi per la sua distrazione.
Poco dopo Arran era tornato con le pergamene, confessando di averle prese per leggerle.
Dazin gli era stato grato, soprattutto perché pensava di averle perse per sempre.
Arran lo aveva rassicurato, dicendogli che se fosse successo, poteva tornare da lui e gliele avrebbe riscritte, parola per parola, riproducendo anche i disegni.
Dazin lo aveva fissato incredulo, chiedendogli come pensasse di riuscirci.
Arran aveva richiamato alla memoria una parte del testo e l'aveva recitato parola per parola. Non aveva idea del significato, ma per lui era come leggerlo mentre l'aveva davanti agli occhi.
Dazin era impallidito ed era andato via.
Il giorno dopo era tornato, proponendogli di seguirlo all'accademia.
Arran riemerse dai suoi ricordi. Sibyl lo stava ancora fissando, forse in attesa di una risposta. "Posso chiederti cosa stai studiando? Potrei darti una mano con le tue ricerche" si offrì cercando di essere gentile.
Lei sollevò il libro per fargli leggere il titolo.
"La fata del lago?" fece Arran stupito. "Ma non è un libro nostro."
Ricordava quasi tutti i titoli ed era certo che quello non ci fosse nella collezione.
Lei annuì. "Lo so, l'ho portato da casa. Ne avrei portati altri se avessi saputo che nell'accademia non hanno libri d'avventura."
"Certe letture sono considerate frivole" disse Arran.
"Eppure servirebbe un po' di poesia tra queste mura" disse Sibyl guardandosi attorno con tristezza.
"Se maestro Frezak ti sentisse, otterresti solo di venire bacchettata sulle mani" disse Arran.
Sibyl sorrise. "Sono così severi?"
"Di più. Certe volte possono essere davvero tremendi."
"Spero di non farli mai arrabbiare" ammise lei. Poi, sembrò ricordarsi di una cosa. "Non so il tuo nome."
"Arran" rispose subito, forse troppo in fretta.
"Io sono Sibyl."
"Lo so. Sai, alla presentazione..." rispose lui imbarazzato.
"Non è proprio la stessa cosa."
"Vero." Strinse le mani sul carrello. "Ora dovrei andare" disse.
Sibyl annuì.
"Se hai bisogno di un libro in particolare chiedi pure. Sono qui per questo."
"Me lo ricorderò."
Non le parlò per quasi due lune.
Era inverno quando rivide Sibyl nella biblioteca. Si aggirava tra gli scaffali ruotando la testa a destra e sinistra. Ogni tanto allungava la mano e prendeva un libro, lo sfogliava e poi lo rimetteva a posto con espressione delusa.
Arran vinse il timore e si avvicinò. "Stai cercando qualcosa?"
Lei sussultò.
"Ti ho spaventata?"
"No" disse lei scuotendo la testa. Aveva la voce incrinata, notò.
"Se ti serve una mano io sono qui." Indicò il bancone dietro al quale andava a sedersi quando non doveva spostare i volumi.
Sibyl sembrò rifletterci a lungo. "Una cosa ci sarebbe."
"Cosa?"
"Un libro. Lo sto cercando. Più di uno, in verità, ma non riesco a trovarlo."
"Dimmi il titolo."
"Storia Antica del Continente Vecchio, di Ekli Florjon. E anche..." Elencò una lista di titoli e autori che Arran non aveva mai sentito.
"Non credo siano nella biblioteca."
"Ne sei proprio sicuro? Non dovresti consultare una lista o qualcosa del genere?"
"Non ne ho bisogno."
"Davvero? Eppure sono libri famosi."
Si strinse nelle spalle. "Non so come aiutarti." Anche se avrebbe davvero voluto farlo.
"Non avete un archivio o qualcosa del genere?"
Come spiegarle che tutto l'archivio era nella sua testa da mesi? Gli dispiaceva vederla così affranta. Come poteva aiutarla?
Poi gli venne in mente qualcosa. "C'è un archivio in effetti."
"Davvero?"
Annuì. Era un'idea assurda, ma poteva tentare. "Vedi, ogni tanto ritirano dei libri perché troppo vecchi o sorpassati. Poiché ce ne sono troppi e lo spazio e quello che è, i libri che non sono più consultati da molto tempo vengono messi in un archivio sotterraneo."
"Potrebbero essere lì sotto?"
"Non ho mai consultato quell'archivio. Ora che ci penso bene, credo di non esserci mai nemmeno stato."
"Potrei dare un'occhiata di persona? Giuro che non toccherò niente, solo i testi che mi servono."
"Non è proibito in effetti" disse Arran pensandoci sopra. "Potrei accompagnarti. Sai, sono bravo a cercare le cose."
"Sarebbe meraviglioso" disse lei entusiasta.
"Io lavoro qui fino al calare del sole. Se non hai niente in contrario, possiamo vederci dopo la cena. Che ne dici?"
"D'accordo."
Così erano scesi nell'archivio, armati di due lampade, pergamene di carta e matite.
Arran aveva recuperato le chiavi che aprivano la pesante porta di legno che chiudeva l'archivio.
Oltre di essa vi era una grande sala le cui pareti grondavano umidità. Archi alti sei metri si ripetevano a intervalli regolari fino a sparire in fondo alla gigantesca sala.
I libri non erano stati messi sugli scaffali, ma giacevano sul pavimento, impilati o alla rinfusa.
Sibyl sospirò. "Ci vorrà del tempo" disse.
"Vorrà dire che verremo più volte finché non troveremo quello che ti serve."
Lei sembrò rinfrancata e lui fu felice di vederla sollevata.
Ora che si pensava, si sentiva bene in sua presenza.
Nei tre anni di accademia si era sentito spesso solo, separato dagli altri allievi da una barriera invisibile.
Con Sibyl quella barriera non esisteva. Era sicuro che se avesse teso una mano per toccarla...
"Da dove iniziamo?" chiese lei.
Arran indicò un mucchio di libri sotto un arco. "Un posto vale l'altro. Procederemo verso il fondo della sala lungo questo lato e poi torneremo indietro, così saremo sicuri di non aver tralasciato nulla. Sei pronta?"
Lei annuì.
Ci vollero decine di giorni per controllare ogni singolo volume. La maggior parte erano copie di libri che già avevano, messe lì ad ammuffire per pigrizia. Altri erano così rovinati da risultare illeggibili. Qualsiasi cosa vi fosse stata scritta, adesso era persa per sempre.
Quello metteva una certa tristezza ad Arran. Era un peccato che tutta quella conoscenza andasse sprecata. Lui si considerava una specie di archivio vivente, capace di imparare a memoria tutto ciò che leggeva. Se avesse potuto leggere quei libri prima che il tempo li rendesse utili solo per alimentare il fuoco di un camino...
Sibyl controllava ogni volume alla ricerca degli argomenti che le interessavano. Arran aveva provato a chiederle cosa cercasse di preciso, ma lei si era rifiutata di dirglielo.
"Frammenti, una riga qui, una lì" si limitava a dire. "Particolari di nessuna importanza."
Ma Arran sapeva che erano i particolari, le piccole pennellate, a fare il quadro completo. Se Sibyl era così gelosa del suo lavoro, lui non voleva sembrare un impiccione. Se ne stava in silenzio a contemplarla mentre lei, china su un polveroso volume, prendeva appunti sulla pergamena con rapidi svolazzi della matita.
Una sola volta provò a leggere quegli appunti, mentre li riordinava per Sibyl, ma sembravano scritti in una lingua incomprensibile. "Che dialetto è?" le chiese.
"Antico valondiano."
"La lingua dei padri?"
Lei annuì.
"Dove l'hai imparata?"
"Un po' qui, un po' lì."
Sibyl non parlava mai di lei e Arran le era grato per questo. Sapeva che se lo avesse fatto avrebbe dovuto raccontarle della sua vita precedente, quando era il guardiano di una stalla e non il timido bibliotecario dell'accademia di Luska.
Poi un giorno Sibyl non si presentò al consueto appuntamento serale. Arran l'attese per ore prima di ritirarsi nel suo alloggio. Nemmeno il giorno dopo si presentò e quello successivo anche.
Spinto dalla curiosità andò a trovarla nel suo alloggio.
La trovò seduta al suo tavolo di studio, tra pergamene sparse ovunque e il volto tirato per la stanchezza.
"Scusa" disse lei. "Mi ero dimenticata di dirtelo. Credo di aver terminato le mie ricerche."
"Vuoi dire che hai trovato quello che ti serve?"
"In un certo senso sì, ma devo ancora lavorarci parecchio. Ho una montagna di appunti da mettere in ordine e..."
Arran capì che voleva restare sola. La salutò e andò via senza insistere.
Passò i due giorni successivi rinchiuso nella biblioteca, riordinando i vecchi libri che gli studenti prendevano senza rimetterli sullo scaffale giusto.
Si sentiva così solo senza Sibyl, così... incompleto. Fino a quel momento non aveva riflettuto su quanto le mancasse la ragazza e quanto fosse stato bello e appagante stare in sua compagnia.
Sibyl era diversa dalle ragazze del suo villaggio. Lì lo consideravano strano, perché Arran era quello che ricordava un nome o un viso anche dopo averlo udito o visto una sola volta in vita sua. Era quello che sapeva ripetere alla perfezione una canzone dopo averla udita una sola volta. Era quello che sapeva dirti se l'anno prima, in quello stesso giorno, aveva piovuto o era stato nuvoloso.
Era quello strano del villaggio. Non un idiota, ma nemmeno una persona da frequentare.
Una bizzarria.
Lì però era normale, come tutti gli altri. Nessuno badava alle sue capacità e se lo facevano era per meravigliarsi.
Gli mancava Sibyl, la sua risata spontanea e il suo modo di arricciarsi i lunghi capelli quando era concentrata su di un problema.
Non sapeva spiegarsene il motivo, ma era così. Tornò due volte nei magazzini, come a voler rivivere quelle splendide settimane passate insieme, ma non era la stessa cosa.
Sapeva di doverne parlare con lei, per sapere se anche Sibyl provava la stessa sensazione di vuoto. Non era sicuro di volerlo sapere, ma se voleva continuare il suo percorso nell'accademia doveva scoprirlo.
Quella sera raccolse tutto il suo coraggio e andò a bussare alla sua porta.
Nessuno venne ad aprire.
Stava per andarsene, quando vide una luce intensa filtrare da sotto il battente. Non era una luce naturale, come quella delle torce. Era bianca e brillante.
Un terribile pensiero gli attraversò la testa. Le lampade potevano rovesciarsi e nella stanza di Sibyl c'erano tanti libri che potevano prendere fuoco.
Forse non rispondeva perché era svenuta o... valutò se fosse il caso di chiamare aiuto, ma anche se fosse corso via sarebbero passati minuti preziosi e lei sarebbe potuta morire soffocata o bruciata.
Non poteva permetterlo.
Prese la rincorsa e si gettò sulla porta con tutto il suo peso. La serratura cedette di schianto e lui si ritrovò ad annaspare all'interno della cella alla ricerca di un appiglio al quale reggersi.
Non trovò niente e rovinò a terra, sbattendo con la spalla contro il pavimento duro.
Una luce bianchissima illuminava la stanza, come se fosse pieno giorno.
Arran si preparò al morso del fuoco, ma non arrivò. Invece alzò la testa e il suo sguardo incrociò quello di Sibyl.
Era per metà spaventata e sorpresa.
No, spaventata non era il termine giusto.
Era terrorizzata e atterrita, gli occhi sgranati e la bocca spalancata per lo stupore.
"Io" riuscì a dire Arran prima di sollevare lo sguardo sopra la testa della ragazza.
Lì, sospeso a mezz'aria, c'era un globo di luce. Era quello a illuminare la stanza come un sole in miniatura.
Il resto della frase gli morì in gola.
"Arran" riuscì a dire Sibyl dopo alcuni secondi. "Non dovresti essere qui. Non avresti dovuto vedere tutto questo."
Arran non la stava ascoltando, lo sguardo rapito dal globo luminoso che brillava sopra la testa di Sibyl.
"Tu sei una strega?" riuscì a dire Arran dopo altro tempo passato a fissarla.
Sibyl chiuse gli occhi e li abbassò. Quando sollevò la testa, le sue guance erano rigate dalle lacrime. "No" disse.
Arran si sentì mancare.

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