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Autore: queenjane    15/09/2017    0 recensioni
Riprendendo spunto da una mia vecchia storia, Beloved Immortal, ecco il ritorno di due amati personaggi, due sorelle, la loro storia, nella storia, sotto altre angolazioni. Le vicende sullo sfondo tormentato e sontuoso del regime zarista.. Dedicato alle assenze.. Dal prologo .." Il 15 novembre del 1895, la popolazione aspettava i 300 festosi scampanii previsti per la nascita dell’erede al trono, invece ve ne furono solo 101.. "
Era nata solo una bambina, ovvero te..
Chiamata Olga come una delle sorelle del poema di Puskin, Onegin ..
La prima figlia dello zar.
Io discendeva da un audace bastardo, il figlio illegittimo di un marchese, Felipe de Moguer, nato in Spagna, che alla corte di Caterina II acquistò titoli e fama, diventando principe Rostov e Raulov. Io come lui combattei contro la sorte, diventando baro e spia, una principessa rovesciata. Sono Catherine e questa è la mia storia." Catherine dalle iridi cangianti, le sue guerre, l'appassionata storia con Andres dei Fuentes, principe, baro e spia, picador senza timore, gli eroi di un mondo al crepuscolo" .... non avevamo idea,,, Il plotone di esecuzione...
Occhi di onice.
Occhi di zaffiro."
"Let those who remember me, know that I love them" Grand Duchess Olga Nikolaevna.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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Alix poteva non sopportarmi, alla lunga, as usual, ricambiata peraltro, pure annottava che con me lo zarevic era contento, non si lamentava del riposo obbligato, mangiava e pazienza se quando ero a Carskoe o dintorni mi voleva sempre. A prescindere da assenze e ritorni, sempre, come si vide sopra.
Paziente e delicata, non rilevava alcun difetto veniale, nella sottoscritta, tranne tre, immensi, essenziali e senza rimedio, l’essere figlia di Ella, la sicurezza in me stessa, indomabile, che sconfinava nell’arroganza,  e la predilezione che mi riservavano
 
E pure ci volevamo bene, ero la figlia di Ella Rostov-Raulov, una calamità che non aveva cercato, e non osava spingere fino al punto estremo contro me le sue ossessioni, che non ero stata concepita per farle un dispetto, mica avevo chiesto io di venire al mondo .
A modo nostro ci volevamo bene, ripeto.
Leave it all behind.
Olga non reputava degno di stima il principe Jussopov, marito di Irina, sua cugina. Il principe, che avrebbe poi ucciso Rasputin l’anno dopo, aveva tratto vantaggio di una legge che consentiva ai figli unici di evitare il servizio militare. Vestiva da civile in un’epoca in cui molti Romanov e soldati feriti che Olga e Tatiana avevano curato, come avrebbero poi continuato a fare, combattevano e si immolavano. Non fa nulla, tutto vestito e curato, già tanto se sfoglia una rivista, mi raccontò, pareva un pavone spennato.
Irina Alessandrovna Romanov, una delle più belle ragazze della nostra generazione, figlia della sorella dello zar, Xenia, e del granduca Alessandro si era incaponita su Jussopov, noto eccentrico, dai gusti bisessuali, ricchissimo, colto e bello, si erano sposati nel 1914 e l’anno dopo avevano avuto una figlia, Irene. Xenia, la nonna era così preoccupata che la zarina Alessandra, in un raro empito di umorismo, aveva detto che pareva la madre e non la nonna.  (..La tripletta delle bellezze, osservò Andres, tempo dopo, tu di gennaio, lei di luglio e Olga di novembre, il 1895 è stato l’anno delle più belle principesse di sempre, anche se altre granduchesse Romanov sono assai affascinanti .. Quando era così, gli avrei torto il collo..)
Stava riepilogando una lista, per dei medicinali,  lo stress di curare mutilati e moribondi le aveva inciso una ruga profonda sulla fronte, annotai.
Ero passata a portarle una tazza di caffè, era uno degli ultimi giorni. Troppa fatica, mi hanno ceduto i nervi, mi raccontò ancora,a  settembre scorso  ho rotto tre pannelli di una finestra con l’ombrello, il mese avanti ho buttato delle bende dalla finestra, da ottobre svolgo per lo più lavoro di ufficio, non reggo più le operazioni e mi hanno fatto anche delle iniezioni di arsenico.
La panacea per la depressione o i disordini nervosi, dissi io.
Per me stava bene, era sua madre fissata, Alix da anni viveva di Veronal, a base di arsenico, appunto, fino a definirsene satura e la depressione o le crisi nervose che attribuiva a Olga erano solo un riflesso del suo malessere cronico. Oppure non era adatta a svolgere quel lavoro, fisicamente e mentalmente era un logorio. In quel senso, Tata era molto più resistente, vedere ferite aperte non le procurava alcun disagio, anzi, lei pareva non possedere debolezze e difetti dei comuni mortali, dalla perfezione la salvava solo l’amore per la moda e gli accessori.  Poi era tutto relativo,  io dovevo solo tacere su quello che combinavo.
“Le persone in buona salute mentale non distruggono i vetri a ombrellate”
“Eri in angoscia per qualcuno, o qualcosa, oppure deve essere stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.”l’avrei giustificata sempre, in ogni caso, aveva ragione anche se era in torto, per me” Se può consolarti, negli ospedali vicino alle trincee, i dottori si addormentano in piedi dopo turni massacranti e spesso fuori dalle osterie, i soldati piangono, senza essere ubriachi, per la disperazione di quello che hanno vissuto” era ben vero, parlavo, purtroppo per me, con cognizione di causa.
“Non oso immaginare quello che puoi avere visto..”
“Quando sono andata ero già fuori di testa, per Luois e il secondo aborto, magari sono rinsavita”Una ironia amara, pesante, a mio danno.
“EH?Dimmelo, non tirarti indietro”
“A novembre 1913 sono rimasta incinta, ho saltato un ciclo peccato che a gennaio abbia perso il bambino, pare una cosa frequente, nella prima gestazione, anche se avrei preferito che non succedesse, non a me almeno. “Chinai la testa, rievocare quello era sempre straziante, avevo aperto bocca, meritava di sapere, troppo facile gettare il sasso e poi ritirare la mano, anche se le avrebbe fatto male, un altro fardello, pure meritava di conoscere perché fossi stata così superba e sventata. Già, i miei lentissimi tempi di reazione e ripresa, un vero bradipo.
Parlavo piano, dopo quasi due anni mi faceva sempre male pensarci, figuriamoci affrontare un discorso, notai che aveva posato la penna, alzandosi in piedi, venendomi vicina. Già, avevo lanciato una notizia di forte impatto.
“Sono qui, non sei sola”
“Lo so. E tanto non lo merito, taci.  A metà  estate ero di nuovo in attesa, stavo bene, dovevo evitare fatiche eccessive o emozioni devastanti, pozioni che ho ben assaggiato quando ho saputo che Luois era morto. Me ne sono andata perché stavo impazzendo, credevo di non avere altre scelte” Mi parve di sentire l’addome contrarsi, quel dolore devastante, il sangue che  colava tra le gambe, scacciai quella visione, vi era un motivo se non volevo aprire più gli occhi, allora.
Cadde il silenzio, così immobile che potevamo quasi illuderci di sentire la neve cadere, fuori.
Un giorno sarebbe stata pronta a confidarsi, not yet. Figuriamoci io, avevo tempi da bradipo, lentissimi.  Giusto a cambiare il pannolino ad Alessio, quando stava male,   ero svelta, se me lo permetteva.  
Mi strinse da dietro, per un momento. “Si può scegliere, sempre. Cerca di stare attenta, di stare bene.” Poi” Sono contenta di sapere.. Ora inizio a capire..per una volta non sei scappata.. Non mi fa piacere quello che ti è successo, bada, quanto di comprendere..”E mi sarei portata tutto dietro, l’avevo già persa due volte, e mi aveva perdonato, la terza non la avrei rischiata. E tanto mancava ancora un pezzo.
 Giorni di tregua, pausa. Frammenti preziosi, palpitanti e teneri. Ingaggiammo una battaglia epica di palle di neve, con Olga ci divertimmo (io e lei) a cavalcare nel parco imperiale, al diavolo il freddo, ridendo di tutto e nulla. Eravamo le figlie dell’inverno, due principesse di neve.
Facendo le infermiere, sia Tata che Olga fecero esperienze che altrimenti non avrebbero mai avuto. Parlavano con le altre infermiere dell’ospedale, donne che non avrebbero certo incontrato se non vi fosse stato il conflitto, conoscevano i  nomi dei loro bambini, le storie delle loro famiglie.
In alcune occasioni, si erano recate  con loro a fare acquisti nei negozi di Carskoe, usando la piccola mancia mensile che ricevevano, sbalordendo le loro accompagnatrici, che le vedevano scegliere modesti fogli di carta o annusare un profumo, le figlie dello zar come comuni mortali, tralasciando come Nicola e Alessandra avessero allevato tutti i loro figli in modo severo, spartano, senza troppi fronzoli, o avevano tentato. Che  lo zarevic rimaneva ben viziato a livello di comportamento. Sorvolando che avevo contribuito molto pure io, chiaro. O era l’eccezione che derogava alla norma, che ogni tanto lo avevo brontolato, quando era piccolo per farlo mangiare ogni boccone era una frase della storia, e mi zittivo quando tirava addosso molliche o altro, la tecnica del silenzio, era curioso e riprendevamo, di pazienza ne avevo poca in generale e con lui la trovavo, facevo di necessità virtù. Che mi ripagava, nel breve e lungo momento, affettuoso, era una stella caduta, arguto e divertente, se non fosse stato la peste che era lo avrei definito un angelo
“E’ la questione della guerra, come se anche noi non soffrissimo” e lei aveva sofferto per me, una principessa egoista e senza metodo, tacendo che il suo stesso fratello era una vittima. Il bambino, che avevo stretto, cambiato, imboccato, ridendo esasperata, delle sue trovate, brontolato per i capricci, il mio imperatore dei viziati. Che mi aveva confortato e fatto sorridere quando ero cupa, satura per i dispiaceri, sensibile e attento.
“Vi vedono come icone, come divinità, non come persone comuni, passami il termine, chi si aspetterebbe di trovarti a un pomeriggio musicale a fini di  beneficenza” Il taglio dei cappotti era sobrio, come la misura dei vestiti, grigio perla,  tinta che preferivo al malva  da mezzo lutto, sussurravamo piano, le guardie del corpo erano in incognito, lo zar le aveva dato il permesso per quella sortita ed ero il suo chaperon ( ..la fai distrarre), quando tirai una potente gomitata nel fianco della poverina. “Andres…”
Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. in quei pochi giorni, condensammo anni e rotti di lontananza. A proposito, di quel pomeriggio a San Pietroburgo, non certo una serata mondana ma un concerto a fini di beneficenza, mi arrivò una portentosa gomitata, sussurrasti “Andres” e controllai, ben di rado eri così istintiva. Avevi parlato di una persona affascinante, non di un ragazzo avventato, chissà perché mi venne in mente lui !! Alto, imponente e maestoso, vestiva l’uniforme del reggimento degli ussari a cavallo (come appurammo poi, una gentile concessione a R-R), riempiva tutta la stanza. Si girò e ci vide. Anzi, vide te, un sorriso gli sorse sulle labbra, come quando scorgi qualcosa di bello, amato e desiderato. Un cenno della mano, che la musica stava iniziando. Annotai che aveva gli occhi verdi, un colore scuro e profondo, come le foglie primaverili.. Piaceva, eccome, non fosse stato tuo fin da allora..“I miei omaggi, signore” Nell’intervallo era venuto con due bicchieri di limonata, ci eravamo spostate nel foyer, un angolo appartato per conversare meglio. “Vi piace il concerto?Vivaldi e Coroelli, compositori italiani, onde evitare situazioni spinose. “ era stato emanato il divieto di suonare i tedeschi, che spreco, che spregio. “Già. Io ..”Ci presentasti, in fretta, lui si inchinò, parlava bene il russo, con appena uno strano accento. “Andrej Fuentes, conte de la Cueva, figlio del principe Fuentes” come spiegasti poi, anche se era l’ultimo figlio, aveva un suo titolo personale, capii che era figlio di madre russa, nato in Spagna. Poi mi ricordai, che avevi partecipato con i tuoi a un matrimonio in Spagna, nel 1905, di lettere, di Granada e di tante descrizioni. Un cerchio che si saldava. In ogni caso, Andres  fu amabile, gentile e divertente, corretto. Come il ferro che è attratto dalla calamita, non potevate stare lontani l’uno dall’altra. Foste stati soli, vi sareste saltati addosso.. E non smettevate di sorridervi e guardarvi, e marcavate il reciproco territorio, tu sei mio, lei è mia..Mi augurai che riuscisse a renderti felice. E che non facessi troppe scemenze.. Ti volevo bene, te ne voglio, dicevo sei mia, tranne che non eri una personale proprietà della scrivente, vi era differenza e così sia, perché scrivo così lo sai. Ebbi la soddisfazione di vederti diventare color brace, quando lodai il tuo buon gusto, mormorasti grazie, io prego, mi esasperavi e facevi ridere come sempre, 40 anni in due, eravamo due ragazze, alla fine“
“Ho accompagnato mia madre alla Stavka, quando Alessio stava male, e nel raccogliere le sue cose, ho trovato questo”Indicò un libriccino sottile, la copia dell’Iliade che avevo lasciato, la conosceva benissimo, non poteva sbagliarsi. Il cuore mi saltò in gola, nei polsi un sudore gelido. Se ero in Francia, in quei periodi che avevo millantato di essere infermiera volontaria sulla Marna, come era finito in Russia? Ripeto, Olga osservava tutto, annottava tutto e ti spiazzava alla fine, senza fallo. Sapeva che quel libro la principessa Catherine lo portava sempre con sé e alle coincidenze molteplici non credeva.
ORA PARLAVAMO SERIAMENTE.
“Era in prestito”Inutile negare l’evidenza, alcune pagine erano annotate dalla mia calligrafia, che conosceva benissimo, in altre vi erano macchie di cibo e vino, era consumato, riletto e prezioso, lo avevamo scorso assieme fino alla nausea. La avrei offesa e sminuita, senza motivo.
“ Ora cosa sei, Achille, o il re, Ulisse?” Sei un guerriero o un saggio che trama nell’ombra, che va avanti a testa bassa, che lascia solo morte o rovina, pianti o allegria?
“Entrambi. Ci provo, almeno”
“Ocharana?” il nome della polizia segreta, una sola, potente parola, soffiata sulla mia tempia.
Feci un cenno di assenso. Ero nelle sue mani. Se avesse parlato, sarebbe saltato tutto, pure come potevo caricarla di quel segreto, come se LEI  mi avesse mai tradito, quando io, come Giuda, l’avevo rinnegata, dietro ai demoni della guerra e delle bugie.
“C’est le guerre, Catherine. Ognuno fa quello che può, da te era quasi scontato aspettarsi qualcosa sullo stile delle Amazzoni, ironizzo a caso e tanto..” Mi posò una mano sulle labbra, per non farmi parlare a sproposito, le iridi azzurre e luminose come un vessillo da combattimento, una stella splendente. “ Se e quando vorrai, o potrai, parlerai. Solo che.. “
“Dimmi” per istinto avevo proteso una mano verso la porta.
“..per favore, Cat, non scappare..te lo chiedo come favore personale” mi conosceva bene e capiva meglio ancora.
“No” accostai la fronte sulla sua spalla “ Sono già scappata, senza voler dirlo, che ne ho ricavato.. Nulla, tranne che di perderti”
 “E io non ti ho capito, quindi siamo pari.. riproviamo, ci stiamo riprovando, Catherine, a essere amiche” E sorelle, e tanto era una cicatrice che non si sarebbe rimarginata
 
“Devi stare attenta, più che puoi. E voglio avere tue notizie, settimana per settimana, inventati qualcosa con tuo zio, il telefono. O scrivimi, anche quattro parole, dimmi che sei sempre intenta a scocciare”Sorrise”E tanto ne pentirò il momento stesso in cui lascerai Carskoe Selo, mais..”
“Non mi hai mai tradito, non sei mai venuta meno a una promessa che mi hai fatto”
“Come no, e non vedermi come una santa o una martire, una saggia asceta. Solo che .. il mondo alla fine di questa guerra cambierà, è già cambiato. E tu sei come una tigre, non posso tenerti in gabbia, devi essere libera “ Anche per me, riflettei, anche per me.. E mi faceva quel dono, immenso e senza pari.
“Tornerò. Quando posso“
“Sono patetica, vero?Sinceramente”
“No, Olga,no, tu, tu hai il coraggio di esternare i sentimenti.. Amare richiede coraggio”
Non so chi abbracciò chi, per primo, aveva ragione, ognuno faceva quello che poteva, era la guerra. Mille anni condensati in pochi minuti, da bambine avevamo progettato di vedere il mondo, viaggiare, mille avventure in una sola vita, la libertà e formare una famiglia. Mi amava come una sorella, aveva affermato che ero sua e mi rese libera, ecco la differenza, a volte un attimo è per sempre, citando Alice nel Paese delle Meraviglie, osservazione che mi fece dopo Alessio, in un’altra occasione.
E sarei tornata (..spero non dentro a una bara..)
Quella era la mia battaglia.
 
Quella sera ci bevemmo insieme due bicchieri di vino rosso, superbo, spagnolo dalle cantine pregiate dello Zar, Rojas. Complesse manovre e segnali, in modo irrimediabile il desiderio si faceva liquido in vene e arterie, volevo Andres come non ho mai voluto nessuno, dopo o prima, rievocavo il miele della sua pelle, il gusto salato del sudore nell’incavo del collo, il suo corpo teso e inarcato quando raggiungeva l’orgasmo e poi la successiva tregua, le sue labbra erano come una melagrana, un rosso frutto, e sfioravano le mie. E viceversa, lui per me e io per lui. E, molto in fondo, sapevo che lui pure mi amava, nonostante e a dispetto di se stesso.
 
   
 
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