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Autore: _ElakeilEma_    15/09/2017    3 recensioni
Questa storia si svolge durante la battaglia di Linhir e ha per protagonisti gli Uomini del Lamedon, tra i pochi alleati di Gondor a non fuggire di fronte all'esercito dei morti e ad attendere l'arrivo di re Elessar
Genere: Generale, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Aragorn
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il Coraggio di pochi
 
 
 
 
Deollyn sfiorò i bordi intarsiati della sua cornamusa con una delicatezza che rasentava la venerazione.
Le aveva dato un nome, come i migliori guerrieri solevano fare con le proprie spade: Isulith, ossia “Vittoria” nell’antico dialetto della sua gente.
Perché mai era capitato che l’esercito di Angbor, detto Pugno d’Acciaio, signore del feudo del Lamedon, fosse stato sconfitto in battaglia, da quando Deollyn soleva accompagnare le loro marce con le note di quello strumento.
Ed era una musica unica, la sua, maestosa e toccante.
Una musica che mai si era udita prima in altre parti del regno di Gondor o in nessuna regione della Terra di Mezzo stessa.
 
In parte poteva forse ricordare quella di un corno, o, per meglio dire, spesso era così che sembrava a chi l’ascoltava per la prima volta.
In realtà la melodia di Isulith era molto più solenne.
Infinitamente più accorata.
Sapeva toccare in profondità gli animi degli uomini e infiammarne i cuori.
Restituiva loro la speranza nei momenti più bui e ne riaccendeva il vigore.
Tutto questo Angbor lo sapeva bene.
Pugno d’Acciaio era stato il primo a scoprire il grande talento di Deollyn e, da allora, ad ogni battaglia dava ordine che il giovane suonatore avesse posto al suo fianco.
Mentre un piccolo manipolo di soldati lo proteggeva dagli assalti dei nemici, Deollyn chiudeva gli occhi, per poi riaprirli solamente al termine dello scontro.
Ed era al buio che egli compiva quella magia, invisibile ma portentosa, figlia della passione e di uno strenuo coraggio.
E si narra che molte leggende presero vita nel tempo, sulle note di Isulith.
 
Le dita di Deollyn si spostarono lungo i piccoli fori del flauto saggiandone i contorni, tracciando dei percorsi ripetuti così tante volte da essere conosciuti ormai a memoria.
D’improvviso alle sue se ne unirono altre: dita più piccole e decisamente meno grinzose.
 
Deollyn riaprì gli occhi, lasciandosi sfuggire un sospiro, e con esso i ricordi.
Ciò che si trovò di fronte furono un paio di vivaci iridi azzurre, così simili alle sue da sembrarne lo specchio.
Quello sguardo pieno di stupore e curiosità apparteneva a Lauren, la preferita e la minore fra le sue nipoti.
La piccola era l’unica in famiglia ad aver ereditato la passione di Deollyn per la musica. Suo zio le aveva persino costruito una versione miniaturizzata di Isulith, che Lauren chiamava ‘Beeeeh’, perché, come Deollyn le aveva spiegato, la cornamusa era sostanzialmente una ‘pecora capace di cantare’. La definizione, per quanto semplicistica, a Lauren era piaciuta molto, e non aveva fatto altro che accrescere la sua voglia d’imparare a suonarla.
Inutile dire che Deollyn ne era rimasto estasiato e aveva cominciato a impartirle lezioni di buona lena, sotto lo sguardo a tratti perplesso, a tratti divertito, dei genitori di lei e di tutti gli altri famigliari.
 
Ciò che Lauren voleva in quel momento però, era un’altra cosa.
 
“Zio”, pigolò, “Raccontami ancora del Pallido Re”.
 
Deollyn ridacchiò: tra le sue molte avventure, se così potevano chiamarsi, al fianco di Angbor e dei suoi uomini, quella dell’esercito dei morti, rimaneva indubbiamente la preferita della nipotina.
Forse altri avrebbero trovato strano che una ragazzina della sua età potesse venerare dei racconti così lugubri, ma per Deollyn quella era solo l’ennesima prova di quanto sua nipote avesse buon gusto. Perché quel racconto, quel frammento del suo passato, era uno dei ricordi che Deollyn custodiva più gelosamente. Una delle esperienze che maggiormente lo avevano segnato e di cui andava più fiero.
 
Deollyn sollevò Lauren e la fece sedere sulle sue ginocchia.
La sua voce si arrochì, tinta dall’emozione, mentre cominciava a narrare.
 
“Del Pallido Re, dunque? Molto bene…”
 
La bambina chiuse gli occhi, deliziata, mormorando delle parole che ormai conosceva a menadito.
“Era l’11 Marzo 3019, il giorno in cui io nacqui…”
 
“In cui tu nascesti, esatto…” Deollyn piegò le labbra in un sorriso dolce, e accarezzò la testa di Lauren, “Ricordo ancora l’odore salmastro nell’aria e lo stridio dei gabbiani…”
 
Dello splendore della bella Linhir era rimasto ormai poco: la città costiera era stata invasa e saccheggiata a più riprese dai corsari di Umbar.
Deollyn non aveva mai visto un pirata in vita sua: erano molto, molto diversi da lui e dal suo popolo. Visi pallidi ed emaciati, denti marci, e puzzavano. Puzzavano di pesci e di carogne.
Al comando di Angbor aveva fatto ciò che sempre gli veniva richiesto: aveva suonato, senza mai fermarsi, anche quando le urla dei suoi compagni si erano fatte più fievoli, e le loro fila sempre meno folte.
Erano giunti a Linhir già in inferiorità numerica, facendo più che altro affidamento sulla ferocia e la resistenza che li avevano sempre contraddistinti.
Ma i nemici, sebbene meno organizzati di loro, erano decisamente troppi: nuove reclute fresche erano continuamente pronte a sostituire quelle cadute o stremate.
I ranghi di Angbor invece si assottigliavano inesorabilmente sempre di più col passare del tempo.
 
“Non ci eravamo mai ritrovati in simile difficoltà. Pensai, in tutta sincerità, che non ci fosse più niente da fare. La magia della mia Isulith questa volta non era stata in grado di salvarci. E invece fu proprio in quel momento che arrivò…”
 
“Il Pallido Re!” trillò Lauren, battendo le mani.
 
“E non giunse da solo, piccola mia, ma accompagnato da Sire Elessar, la nostra Gemma Elfica, e dalla Schiera dell’Ombra”.
 
I loro occhi erano spenti, bianchi e senza pupille; gli abiti strappati e appartenenti a un’epoca passata. La pelle era ricoperta di pustole, in parte in putrefazione.
Erano spettri, in tutto e per tutto: le creature più ripugnanti e disgustose che gli Uomini del Lamedon avessero mai visto. I terribili Orchi di Mordor non erano nulla a confronto, per non parlare dei corsari e degli Haradrim.
Per la prima volta dall’inizio della battaglia, Deollyn smise di suonare e non riuscì a ricominciare.
Quelle creature erano morte. Morte. Ed erano venute per loro, tutti loro, senza distinzione alcuna. Buono o malvagio, libero o schiavo, brava gente o pirati.
Erano tutti destinati al medesimo fato.
Deollyn sentì la bocca seccarsi e il cuore accelerare pericolosamente il battito, mentre il panico cominciava a serpeggiare fra i suoi compagni.
I sopravvissuti fra i corsari si stavano dando alla fuga, assieme ai difensori della città, mentre quell’esercito fatto di ombre cavalcava verso di loro a gran velocità. L’oscurità li seguiva.
Deollyn cercò lo sguardo di Angbor e ciò che vide lo rinfrancò: il suo Signore era ritto e immobile, e sul volto aveva un’espressione di cupa ferocia. Gli occhi brillavano di determinazione e di sfida.
E Deollyn comprese che gli Uomini del Lamedon non sarebbero scappati.
“Fratelli!” ruggì Angbor, “Restate fermi! Serrate i ranghi e ognuno rimanga al suo posto!”
 
“Vivrò sempre al mio posto e al mio posto morirò”
Parole tramandate di padre in figlio, di soldato in soldato, serpeggiarono fra gli uomini, e anche Deollyn le ripeté sottovoce, cercando di domare i fremiti che lo scuotevano.
Se quella era davvero la fine era al suo posto che sarebbe morto, con Isulith stretta fra le mani, e note di libertà sulle labbra.
 
Ma per grazia dei Valar non fu così che andò.
 
“E fu così che vidi per la prima volta Sire Aragorn, sebbene allora non fosse ancora Re, ma un semplice Ramingo. L’erede di Isildur, erede al trono di Gondor, colui che ci ha salvato la vita. Grazie al suo sangue egli poté radunare quell’esercito infernale, quell’orda di rinnegati e traditori, dando loro una seconda possibilità: combattere al fianco dei popoli liberi, rispettando quello stesso giuramento che essi fecero a Isildur in persona tanti anni addietro, e che poi infransero. Per questo motivo furono condannati a non trovare mai pace dopo la morte. Aragorn diede loro una seconda occasione e li aizzò contro i nostri nemici. Nessuno era in grado di resistergli. E quando la guerra fu vinta Aragorn liberò dalla maledizione il pallido Re, cosicché lui e le sue schiere poterono finalmente trovare il riposo eterno”.
 
Gli occhi di Lauren erano enormi.
“E cos’è successo a voi, zio?”
Conosceva benissimo la risposta, ma l’ultima parte del racconto era la sua preferita.
 
Deollyn ovviamente l’accontentò, terminando la storia.
 
La voce di Aragorn era intrisa di autorità, sicurezza e di quel particolare carisma capace di incendiare il cuore della gente.
Mentre lo ascoltava discutere con Angborn, Deollyn aveva le lacrime agli occhi: Aragorn aveva una tempra assai simile a Pugno d’Acciaio, ma allo stesso tempo il suo ascendente pareva molto più forte.
Deollyn non si meravigliò che quell’uomo fosse riuscito nell’impresa di assoggettare l’esercito maledetto del Dwimorberg.
Era quel tipo di persona per cui si è portati a provare un immediato rispetto. Quel tipo di persona che si è disposti a seguire ovunque, con piena fiducia.
Era un uomo che Deollyn sarebbe stato disposto a chiamare Re, senza esitazione alcuna.
 
E fu questo che Angborn fece: per la prima volta in vita sua Deollyn vide il suo signore inginocchiarsi.
Subito lo imitò, seguito da tutti gli altri.
 
“Alzatevi, fratelli miei” disse Aragorn, “Alzati, Angborn, signore del Lamedon, e da quest’oggi l’Impavido. Una grande vittoria è stata colta oggi: non dimenticheremo il vostro coraggio e quello che avete fatto per Gondor. Ma il vostro Re ha ancora bisogno di voi”.
 
“Comanda, mio sire” chiese Angbor, con la voce rotta dall’emozione.
 
“Abbiamo vinto una battaglia, ma non la guerra. Presto ripartiremo per Pelargir: occorre liberarla e riprendere il controllo della baia. Raduna quanti più uomini puoi e raggiungimi lì” decretò Aragorn.
 
Angbor assentì e chinò nuovamente il capo.
 
“Ma prima di ripartire” continuò l’erede di Isildur, “C’è qualcuno che desidererei conoscere. Un tuo uomo in particolare ha attirato la mia attenzione”.
 
“Parlava di me, e ancora oggi fatico a capire cosa possa mai aver fatto per destare tanta meraviglia in quell’uomo straordinario che è il nostro sovrano. Chiese il mio nome, e come si chiamasse lo strumento la cui musica lui, e i suoi uomini, avevano sentito avvicinandosi a Linhir. Poi volle stringermi la mano e mi chiese di accompagnare con Isulith la partenza imminente di lui e della sua compagnia”.
 
“C-certamente, mio signore”, balbettò Deollyn, sotto lo sguardo divertito di Aragorn, quello compiaciuto di Angbor e quello incredulo dei suoi compagni.
Tremava di nuovo, ma questa volta non più di paura.
 
“Hai un grande dono, Deollyn, Bardo del Lamedon” disse Aragorn con inaspettata dolcezza, “Coraggioso e degno di onore è colui che rischia la vita per proteggere col ferro ciò che gli è caro, ma altrettanto lo è colui fa della propria passione uno strumento per proteggere gli altri, e per il raggiungimento di un bene comune.
Mi ricorderò di te, e se un giorno ci rincontreremo, al mutare della marea, ti chiederò di suonare nuovamente per me”.
 
 
“E vi siete rivisti, non è vero, zio?”
 
Deollyn sogghignò.
 
“Oh sì, mia cara Lauren. E sire Aragorn non aveva scordato ciò che mi disse quel giorno. Mi chiese di suonare nuovamente per lui e, il giorno in cui lo fece, fu quello delle sue nozze”.

 
 
 

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Spero che la storia vi sia piaciuta, grazie per aver letto.

_Ema_
   
 
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