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Autore: Koa__    15/09/2017    6 recensioni
Dal testo: Lui e Sherlock parlano molto, in realtà. Anche se alcuni argomenti sono tacitamente banditi, da quando si sono rivisti, ormai due settimane fa, non fanno che raccontarsi cose. Parlano dei casi. Di quelli divertenti, di quelli più pericolosi. Della storia finita male di Victor. Parlano del vecchio professore di anatomia di Cambridge e della sua alopecia, e quando lo fanno ridono di cuore.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Suddenly you're here, suddenly it starts.
Can two anxious hearts beat as one?
Yesterday I was alone. Today you are beside me.
[Les Misérables]


 
 
 
 
I.




Londra è bellissima, sorprendente nei vicoli che s’addormentano al buio sotto il chiarore della luna. Londra è viva in quegli angoli che, invece, sembrano non volersi assopire mai. Londra è stupefacente. Lo è inerpicandosi per Primerose Hill, lo è là nelle curve di Hide Park. Londra coglie impreparati tra le viuzze che si diramano da Portobello Road, finendo in un dedalo di stradine caratteristiche dal sapore di un musical d’altri tempi. Londra è la città dove lui è nato e cresciuto e che ha ingiustamente dimenticato, anche se si vergogna questa è la triste realtà di cui si rende conto a un certo momento del suo vagare. L’eco di una sirena stuzzica i sensi di un Victor Trevor distratto, mentre una pioggerellina lieve gli solletica il naso. Ha dimenticato Londra. Ha dimenticato anche Sherlock a dire il vero, eppure eccolo lì. Che trotterella svelto appena un poco avanti a lui. Colletto del Belstaff sollevato, sciarpa blu e passo che non indugia ma che pare quasi affrettato. Sherlock che gli ha scritto un messaggio nel bel mezzo della notte, dicendogli di raggiungerlo. Dovrebbe confessare al suo vecchio amico che non ha tentennato un singolo istante, anche se già si era lasciato scivolare nel morbido letto del grande albergo che lo ospita, almeno finché non troverà una casa, alla vista di quel messaggio, Victor è balzato in piedi ed è corso a vestirsi.
 

Portobello Road. Vieni prima che puoi. SH
 

E lui l’ha fatto, senza neanche rispondere. Perché Sherlock già sapeva come sarebbe andata a finire. In effetti ci sono molte cose che Victor Trevor dovrebbe fare. Ammettere una volta per tutte che Sherlock Holmes gli era mancato da morire, decidersi a dire a qualcuno che anche se è inglese il tè gli fa schifo (particolare per il quale suo padre potrebbe quasi arrivare a diseredarlo) e trovare una casa, naturalmente. Si è rifiutato di vivere dai suoi genitori, anche se loro ne sarebbero stati entusiasti e ha del tutto abbandonato l’idea di andare da suo fratello, perché non ce la farebbe a vivere con tre bambini sotto i dieci anni tra i piedi tutto il santo giorno. E quindi alloggia all’Hilton, almeno per ora. Nel frattempo si limita a cercare un bell’appartamento, qualcosa di luminoso perché Victor ha bisogno di luce naturale per dipingere. Per ora nulla sta alle sue richieste. Ciò di cui è certo è che a Parigi non ha alcuna intenzione di tornare, e questo è quanto. Quella città si porta addosso le ragnatele viscide di un rapporto malato e ossessivo, un amore che amore aveva smesso di essere da tempo. Ha messo fine a tutto, lasciando chi doveva lasciare e poi se n’è andato, semplicemente. Anche se vivere in un hotel non è il massimo per l'intimità, ma in fondo se lo può permettere. Col lavoro che fa e i soldi che la galleria d’arte moderna più importante di Londra è riuscita a tirar fuori pur di averlo, potrebbe addirittura viverci, in quel dannato Hilton. Non lo farà, ovviamente. Victor vuole una casa. Una quotidianità. Un paio di gatti e forse anche un nuovo amore. Oddio, magari quello non subito. Per l’amore c’è tempo. Aspetterà. Al momento è troppo preso dagli albori di questa nuova vita per pensarci. E su tutto, a catturare gran parte del suo tempo, c’è Sherlock Holmes ed è proprio lui la sorpresa più inaspettata di tutte. Dannatamente piacevole, il che è quasi scontato a dirsi. Sì, sapeva che tornare in Inghilterra avrebbe significato l’essere nella stessa città del suo vecchio compagno di stanza dell'università, ma troppo tempo è passato dalla loro giovanile frequentazione. Troppi cambiamenti. Un trasferimento in Francia finito in malora e tante cose che preferisce dimenticare. Non era del tutto sicuro che Sherlock avrebbe voluto incontrarlo, né che Victor stesso avrebbe mai trovato il coraggio di andarlo a cercare. Eppure è successo. Una notte, una come questa. Fredda che faceva spavento a dirsi, passeggiava per le strade del centro senza una meta precisa, quando si è trovato in Baker Street. Non gli è servito niente per decidere, se non il notare luce accesa e l’ombra dietro una tenda scostata di poco. Il suono del violino che ancora riecheggiava per la via, vecchi sentimenti ad agitarsi nello stomaco e un sorriso ad allargar le lentiggini.

Sì, si era dimenticato di Sherlock Holmes. Della sensazione che lo prende quando vede il sorriso nascergli tra le espressioni perennemente serie che porta. Del groviglio emotivo che lo coglie all’altezza del petto e che non lo lascia più. Ne è stato innamorato, per un certo periodo. Ai principi della loro conoscenza, quella sua ruvida maniera di approcciarsi al mondo, lo inteneriva. In un certo senso si era sempre proclamato sicuro del fatto che quel ragazzino alto e allampanato, dentro di sé nascondesse ben altro che freddezza e apatia. Sherlock aveva qualcosa nella maniera di parlare e di pensare, che gli era piaciuto fin da subito. Ma giovane e inesperto, Victor non aveva mai fatto un passo in avanti. Il loro conoscersi aveva subito svariate mutazioni e da semplici colleghi di corso, erano diventati inseparabili. Oggi buona parte di quegli antichi sentimenti son tornati a farsi sentire e Victor non sa se riuscirà mai a farci qualcosa, di quell’antico amore. Lui esce da una brutta storia, Sherlock ha il cuore spezzato… Perché lo sa. Certo che lo ha capito. Anche se non dice nulla, anche se pronuncia il nome di John con un discreto distacco, sa che ha sofferto. Ma non si permette mai di forzarlo a parlare, anche se vorrebbe aiutarlo. Eccola lì, la sua dannata insicurezza. Il suo pensare troppo e poi l’agire di fretta e preda dalla passione. Ha sempre sbagliato tutto con Sherlock, questo Victor lo sa ancora oggi.

Lui e Sherlock parlano molto, in realtà. Anche se alcuni argomenti sono tacitamente banditi, da quando si sono rivisti, ormai due settimane fa, non fanno che raccontarsi pezzi di vita. Parlano dei casi. Di quelli divertenti, di quelli più pericolosi. Della storia finita male di Victor. Parlano del vecchio professore di anatomia di Cambridge e della sua alopecia, e quando lo fanno ridono di cuore. E parlano anche di John Watson, ma senza tirar fuori amore e dolore. Si limitano a qualche accenno al suo blog, alla fama che li ha stravolti. Parlano del fatto che il dottore ha sposato una certa Mary e che ora aspettano un figlio. Non parlano del loro bacio, però, quello avvenuto il giorno della laurea di Victor. Anche se l’ombra di quel ricordo aleggia lieve fra di loro, come un non detto che nemmeno pretende d'uscire. È successo un mattino, una manciata di attimi prima di separarsi. Sono trascorsi quasi vent’anni da allora, ma Victor lo ricorda come se fosse successo ieri. Stava impacchettando libri e facendo le valigie, avrebbe vissuto a Parigi per sei mesi (per vedere come va), in cerca di fortuna e magari facendo il lavoro dei suoi sogni. Non aveva visto Sherlock per tutto il giorno e tanto che aveva quasi temuto di non riuscire a salutarlo. Lui, gli si era presentato all’ultimo istante, quando Victor già stava con la portiera del taxi aperta e il motore acceso spazientiva l’autista. Era arrivato di corsa: gote arrossate, fiato corto e con una prima edizione de Les Miserable stretta tra le mani. Un sorriso timido e impacciato su quel viso incredibilmente giovane, l’ombra del dubbio dipinta dietro occhi dolci. Sherlock lo aveva baciato a quel punto, sulle labbra. In una maniera fugacemente impalpabile. In un saluto fatto su sorrisi che il suo più caro amico mai gli aveva negato e con sentimenti che, forse, entrambi si erano rifiutati di accettare. Non c’era mai stato nulla di concreto fra di loro, tranne quell’amore stupendamente platonico il cui ricordo addolciva entrambi. Ma sì, se Victor avesse saputo che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto quei meravigliosi e sinceri occhi, forse, magari, avrebbe ricambiato quel bacio.

Victor ci ripensa di tanto in tanto. Lo fa con un dolce e malinconico sorriso che gli arriccia le labbra e fa vibrare le lentiggini sulle guance rosee. Ci pensa anche in quel frangente, mentre osserva Sherlock camminare a passo svelto e nel contempo si chiede come abbia fatto quel John a farselo scappare. Salvo poi darsi dello stupido: lui non ha fatto di meglio.

«Vic, muoviti» sbraita un frenetico Holmes, come ogni tanto ancora lo chiama. Se ne sta qualche metro più avanti a lui e già ha svoltato a sinistra, in direzione di una Portobello che odora di nevischio e biscotti allo zenzero. Sebbene siano soltanto i primi di dicembre l’aria ha già una stucchevole atmosfera natalizia che Victor inizia a detestare. Ma Londra è fatta così. Stupefacente, colorata. Eccessiva. E anche sovraffollata, invivibile... Victor lo sa perfettamente e ha la sensazione che più ci stia, più si ricordi di quanto la ama e odia al tempo stesso. Per esempio, sa che Sherlock la adora proprio per questo e che non potrebbe davvero abitare altrove. E infatti eccolo, a proprio agio e anche adesso che è ben lontano da Baker Street o dall’essere appallottolato sul divano del soggiorno con una tazza di tè stretta tra le mani. Stanno inseguendo un criminale, un assassino gli pare d'aver capito. Sherlock è odiosamente impreciso su queste faccende, proprio come un tempo. Victor non ha capito bene chi sia stato ucciso o perché, ma sa che è importante e che c’è di mezzo Scotland Yard. Forse addirittura il governo. Non ha chiesto dettagli. Anche se ha tentennato, questo lo deve ammettere perché è sempre stato curioso. I piccoli misteri che svelavano insieme all’epoca dell’università lo tenevano sveglio la notte da tanto lo appassionavano. Vorrebbe sapere tutto, eppure se ne sta ugualmente lì, a tacere. Ben intenzionato a rimanerci e a non lasciare Sherlock per un solo attimo. Perché c’è una parte di lui che vorrebbe tornare al caldo, questo è vero, ma prima devono finire… beh, qualsiasi cosa stiano facendo.

«Qui» dice Sherlock, a un certo momento, trascinandolo dietro all’angolo di un vicolo mentre estrae il telefono dalla tasca e inizia a digitare. «Lo sapevo che qualcuno sarebbe tornato» continua, riferendosi a chissà chi.
«Tornato chi? E dove?» si azzarda a domandare un Victor che non capisce.
«L’appartamento al secondo piano, quello di fronte a noi, lo vedi?»
«Mh, sì?»
«Due settimane fa è stato commesso un delitto. La padrona di casa è stata assassinata, strangolata per la precisione. Quell’idiota di Dimmock ha arrestato il nipote perché è convinto che l’abbia uccisa per una questione di eredità, ma si sbaglia e adesso ne ho le prove.»
«E quindi chi è stato?»
«Ah, non ne ho idea!» se ne esce, facendo spallucce ed entrambi ridono di cuore. «Ma so che in quella casa c’è nascosto qualcosa di prezioso e io son certo di sapere anche dove andarlo a cercare.»
«Emozionante…» mormora Victor, ridendo appena.
«Allora vieni con me?» Sherlock ammicca e stira un ghigno malizioso. Sanno tutti e due che potrebbe essere pericoloso, ma nessuno pensa un granché a farlo presente. La sola cosa di cui è sicuro, è che lo vuole seguire. E quindi annuisce, timido e impacciato. Cedendo a quello che gli pare più un appuntamento romantico che una caccia al ladro. Ma no, Victor Trevor non pensa neanche a questo e un passo dopo l’altro, recupera gli anni perduti.


 
Continua
 



 
Aggiunta del 14/6/2018: Ho recentemente scoperto che alcuni tratti di questo Victor Trevor presentano delle similitudini con il Victor Trevor presente nella fanfiction: "Born to die" di Watson_my_head che è stata ripubblicata di recente. Mi sono resa conto di aver letto, tempo fa, quella fanfiction e di essermene ispirata inconsciamente, pertanto senza rendermene conto.  
   
 
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