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Autore: Robigna88    15/09/2017    1 recensioni
Quarta parte della serie The Family Business.
Crossover tra The Originals/TVD/Supernatural/Constantine/Arrow
-"Sei la donna più forte che conosco, puoi farcela. Ti amo."- Queste sono le ultime parole che Elijah Mikaelson ha detto a sua moglie poco prima di chiudere gli occhi e cadere nel sonno profondo all'interno della Chambre de Chasse creata da Freya per tenere la sua famiglia al sicuro. Queste sono le ultime parole che Allison ha sentito pronunciare da suo marito prima che chiudesse gli occhi lasciandola sola con il cuore spezzato.
-"Sistemeremo tutto.-" Questa è invece la promessa che Allison ed Hayley si sono fatte e che hanno intenzione di mantenere.
Da quelle parole sono passati cinque lunghi anni e molto è cambiato; la piccola Hope ha sette anni, è bella, sana e amata e le due donne stanno ancora provando a mantenere le promesse fatte. Per farlo sono pronte a qualunque cosa perchè la famiglia viene prima di tutto. Le conseguenze delle proprie azioni, però, tornano sempre a bussare e a volte marchiano l'anima... per sempre.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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18.

 

 

 

 

 

Allison fu svegliata da un leggero movimento sul letto. Le servì un attimo per capire che si trattava di Hope. Aprire un occhio le fece scoprire che era giorno... di già. Si sentiva stanca ultimamente e lo trovava bizzarro considerato che, teoricamente, avrebbe dovuto essere quasi immune ad ogni tipo di fatica. Praticamente il discorso era molto diverso però; Castiel le aveva spiegato – prima che smettessero di parlare – che la sensazione di sfinimento era normale, non usi il tuo potere nel modo giusto e questo alla fine stanca. Aveva provato a spiegarle come fare, ma poco tempo dopo c’era stato quel litigio con Sam, delle parti erano state prese e nessuno si era schierato dalla sua.

Fece un grosso respiro e si girò poco fino ad essere faccia a faccia con sua nipote. La bambina la guardava con due occhi chiari pieni di gioia, di speranza. Sulle labbra un sorriso sincero che ad Allison dava serenità.

“Buongiorno, mia bellissima nipote” le disse sollevandosi fino ad essere seduta.

Hope mosse entrambe le mani lanciandole addosso una pioggia di coriandoli colorati. “Buon compleanno!” le urlò quasi. Con un movimento veloce ma delicato le gettò le braccia al collo e la strinse forte.

La donna ricambiò ridendo. “Grazie” le disse prendendo un pugno di coriandoli sul lenzuolo. “Adoro i coriandoli, sono... allegri.”

Hope le baciò due volte la guancia, si allontanò poco e la guardò. “Lo so, ecco perché ho deciso di svegliarti così” le prese una mano. “Visto che oggi è il tuo compleanno abbiamo deciso che sarai tu a decidere cosa dobbiamo mangiare per colazione.”

“Uh” Allison si strofinò un occhio con due dita. “Qualunque cosa?”

“Qualunque cosa.”

“Che ne dici di pancake al cioccolato? E succo d’arancia, tanto succo d’arancia.”

“Mi piacciono i pancake al cioccolato!” esclamò la bambina. “Vado a dirlo alla mamma così inizieremo a preparare tutto. Sbrigati a scendere, ci sono dei regali.”

“Regali?” le fece eco l’altra guardandola correre verso la porta. “Farò in fretta allora.”

Hope annuì, uscì dalla stanza e quasi si scontrò con Elijah, lo salutò con la mano prima di inforcare le scale. Lui sorrise, fece qualche passo in avanti e si fermò sulla porta. Perse lo sguardo su Allison, teneva gli occhi bassi sui coriandoli, con un sorriso gioioso che stonava un po’ con l’aria stanca, ma che le faceva spuntare quelle belle fossette. “Non vedeva l’ora che ti svegliassi per poterti lanciare addosso i coriandoli. L’abbiamo trattenuta il più possibile” disse riferito ad Hope, mentre si avvicinava al letto e ci si sedeva sopra, faccia a faccia con sua moglie. “Ma quando l’orologio ha segnato le otto ha deciso che avevi dormito a sufficienza ed è venuta a svegliarti. Buon compleanno” si protese verso di lei e la baciò con dolcezza.

Allison sorrise contro quella bocca morbida. “Grazie. Ha detto che ci sono dei regali, credi che qualcuno mi abbia regalato una bicicletta? Sono anni che non vado in bici, mi piacerebbe averne una.”

Elijah rise, raggiunse l’armadio e ne tirò fuori una scatola quadrata. Tornò a sedersi e gliela porse. “Temo che nessuno ti abbia regalato una bicicletta quest’anno. Ma se ne vuoi una credo che potremo provvedere.” Sua moglie guardò la scatola per un istante, la prese e se la poggiò sulle gambe. Con delicatezza sciolse il fiocco rosso, lanciandogli un’occhiata di tanto in tanto. Infine tirò via la parte sopra e sgranò gli occhi dischiudendo poco le labbra.

“Oh El” sussurrò con gli occhi lucidi di emozione. Le sue belle iridi nocciola fisse sul carillon di legno e ceramica che replicava un carosello. “È meraviglioso.”

Lui allungò la mano, diede la carica e la giostrina di legno iniziò a girare suonando a ritmo di un valzer.

“Questo è il valzer che abbiamo ballato la prima volta che ci siamo incontrati” realizzò Allison. “A Mystic Falls un secolo fa.”

L’Originale ridacchiò. “Non era proprio un secolo ma sì, è quello. Cinque anni fa, ne hai visto uno simile durante una passeggiata, ricordo che te ne eri innamorata. Il giorno dopo sono tornato in quel piccolo negozio su Bourbon Street ma l’avevano venduto. E poi...”

“E poi ti sei fatto un pisolino di cinque anni” scherzò lei. “E una volta sveglio ti sei ricordato che mi piaceva e ne hai fatto fare uno tutto per me.”

“Più o meno” sorrise lui. “Ma se preferisci posso sempre scambiarlo con una bicicletta.”

Allison poggiò il carillon sulla parte vuota del letto e si allungò per baciarlo; le mani ferme sui lati del suo viso scivolarono giù sulla schiena mentre lui la abbracciava. “Non lo cambierei con niente al mondo. È il regalo più bello che mi abbiano fatto nei miei venticinque anni di vita.”

“Venticinque dici? E io che credevo che fossero un po’ di più.”

Lei rise. “Shh, sarà il nostro piccolo segreto” gli disse. “Ti amo.”

“Ti amo anche io.”

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Allison sistemò meglio la coroncina di fiori che Hope le aveva fatto e con alcuni pancake salì al piano di sopra, nell’attico in cui Marcel era ancora prigioniero. Da giorni non si sentiva alcun rumore, quasi come se lui si fosse arreso all’evidenza, il suo piccolo gruppo era rimasto in silenzio, probabilmente nascosto nell’ombra ad elaborare qualche piano per farlo fuggire, di Inadu non c’era più alcuna traccia e tutto sembrava incredibilmente e spaventosamente immobile. Appuntò mentalmente di chiamare Lucas per sapere cosa ne era stato di Alistair Duquesne. L’ultima notizia che aveva era di un paio di settimane dopo averlo consegnato alla Strige, poi più nulla. Aveva chiesto a Lucas di tenerlo in vita, ma solo se possibile. Lui le aveva assicurato che se fosse diventato un problema lo avrebbe eliminato definitivamente. La donna sperava che fosse ancora vivo, per qualche strano motivo provava compassione per quel tizio; aveva perso tutto ed era colpa di Klaus. Quello che l’Ibrido gli aveva fatto era terribile e anche se adesso Niklaus Mikaelson era parecchio cambiato capiva perché Alistair non fosse in grado di lasciarsi il passato alle spalle.

Avrebbe anche dovuto parlare con Will, forse. O forse no. Non era certa di cosa fare e così decise di non pensarci, almeno per un po’.

Aprì il cancello e lo richiuse, poi aprì la massiccia porta di ferro e entrò nella stanza. Marcel era seduto sul pavimento, gli occhi iniettati di sangue, le labbra secche e le sacche di sangue che ogni giorno gli erano state date giacevano sul pavimento, alcune vuote, molte altre piene.

“Ah” mormorò poggiando i pancake su un piccolo ripiano. “Vedo che hai deciso di fare lo sciopero della fame. La cosa più stupida che tu abbia mai fatto.”

“No” ringhiò lui. “La cosa più stupida che io abbia mai fatto è stato fidarmi di te. Mi avevi dato la tua parola che avreste lasciato la città e non vi avrei mai più rivisti eppure eccoci qui.”

“Sai che siamo dovuti tornare per Hope, perché era in pericolo. E quel pericolo forse non è ancora passato.”

Marcel si alzò con uno scatto rapido e le andò incontro. Allungò la mano e gliela strinse intorno al collo, la catena tesa fece un rumore sinistro. “E io vi ho lasciati tornare, ero disposto ad aiutarvi. E guarda com’è finita, sono incatenato in un attico” la osservò per un attimo, nei suoi occhi non vide alcuna paura. “Hai ragione, sai? Decidere di non nutrirmi è stupido, forse dovrei riprendere a farlo, forse dovrei iniziare da te.”

Allison rimase calma, alzò il braccio e espose il polso. “Fai pure.”

La bestia, come lo chiamavano, deglutì a vuoto diverse volte guardando quella pelle chiara. La fame si fece così urgente da fargli male, le lasciò il collo e con entrambe le mani afferrò il polso e vi affondò i denti assetato. Bastò un sorso però per farlo indietreggiare rinvigorito, un sospiro di euforia gli sfuggì di bocca. Cercando di riprendere il controllo si pulì le labbra e la guardò. “Il sapore del tuo sangue è...”

“Stupefacente? Elettrizzante? Estasiante? Sì, me lo hanno detto” la donna prese il tovagliolo che aveva portato su insieme ai pancake e tamponò la ferita. “È pieno di potere, infatti te ne è bastato solo un sorso. Sai Marcel, quella eccitante sensazione di energia che hai provato bevendo dal mio braccio, è solo un minuscolo assaggio della mia reale forza, quindi fammi un favore, okay? Non mettermi mai più le mani addosso. Sei incazzato? Bene! Ma se toccherai di nuovo me o qualcuno tra gli Originali, ti ucciderò e getterò le tue ceneri nel fiume e farò in modo che tu venga dimenticato da chiunque. Del grande e potente Marcel rimarrà solo un mucchietto di polvere che diventerà cibo per pesci.”

Lui la fissò con aria di sfida.

“Mangia i pancake, Marcel” gli disse lei riaprendo la porta. “Sono deliziosi.”

Sparì e Marcel serrò le mascelle tornando a sedersi.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Valerie andò dietro il bancone e le sorrise. “Cosa posso portarle, signora Mikaelson?” le chiese.

Allison rise. “Nessuno mi aveva ancora chiamata signora Mikaelson” le disse. “Devo dire che mi piace molto. Quanto a cosa potresti portarmi... direi un caffè, nero e forte. Ne ho bisogno.”

“Nero e forte significa lungo e con mezzo chilo di zucchero vero?”

“Esatto!” esclamò Allison. “Ho avuto una mattinata pesante.”

La sua amica le versò una tazza di caffè e indicò il suo polso fasciato. “Ha a che fare con quello?”

“Anche. Marcel e io abbiamo avuto una piccola discussione questa mattina.”

“Marcel...” rifletté Valerie. “Ha terrorizzato parecchie persone negli ultimi cinque anni.”

“Sì beh, il suo regno è finito” Allison bevve un sorso dalla tazza. “A ogni modo, il tuo messaggino diceva che devi dirmi una cosa molto importante. Spero che sia una buona notizia, mi serve proprio..”

L’altra poggiò la mano sinistra sul bancone e solo allora la cacciatrice si accorse che al suo dito brillava un anello bellissimo. La guardò e sgranò gli occhi. “Ti sei fidanzata? Non sapevo neppure che frequentassi qualcuno.”

“Sì, si chiama Calvin, è un avvocato. Socio in uno studio legale che ha uffici in metà degli Stati Uniti. Lo conoscerai domani sera alla nostra festa di fidanzamento” le passò un cartoncino color avorio con scritte in rilievo color tortora. “Ecco l’invito per te e Elijah. Troverai tutti i dettagli lì. Ho solo una richiesta.”

“Spara.”

“Cerca di non essere mozzafiato per una volta” Valerie fece una smorfia scherzosa e risero entrambe. “Ora torno al lavoro, mando avanti il tuo ristorante in fondo.”

Allison si guardò intorno, il Rousseau’s era ancora come lo ricordava. “E lo fai benissimo.”

La sua amica si allontanò, lei invece rimase ancora un attimo ferma lì. A riposare.

 

 

 

 

 

****

 

 

 

 

 

Elijah annodò la cravatta con calma, la strinse ben bene e sospirò guardando il suo riflesso nello specchio sopra il camino. Lisciò la giacca e sorrise; quel completo lo aveva comprato Allison per lui quando era intrappolato nella Chambre de Chasse, e doveva ammettere che era perfetto. Classico come piaceva a lui, di un bel grigio scuro, la cravatta invece era un po’ più colorata e quella era la parte che rispecchiava Allison. Negli occhi della sua bella moglie, sempre un po’ malinconici, ultimamente era calato un velo ancora più profondo, lui sperava che presto si sarebbe decisa ad aprirsi, perché fino ad allora aveva deciso di non chiederle niente. Se lo avesse fatto, sapeva, si sarebbe chiusa a riccio. Lei aveva i suoi tempi e lui li rispettava.

La tentazione di chiederle dei suoi poteri, del fatto che avesse le ali e fosse più potente di tutte le creature che avesse mai conosciuto, era tanta. Ma più che altro voleva sapere come si sentiva dopo la scoperta di quel padre non padre, perché lui sapeva quanto avesse amato l’uomo che l’aveva cresciuta e immaginava quanto scoprire che la persona che da ragazzina chiamava papino, in realtà non condivideva niente con lei, se non un cognome, le facesse male. Christofer Morgan sapeva che lei non era sua figlia, o era morto credendo che lo fosse? Allison forse aveva la risposta, forse no. Forse voleva saperla, forse preferiva di no.

Si versò un sorso di bourbon, mentre la attendeva nella biblioteca. Poteva sentirla borbottare sillabe a caso seguendo la musica del carillon che le aveva regalato il giorno prima. Pensò che aveva parecchi talenti, ma non era molto intonata.

Sorrise bevendo dal bicchiere e il suo profumo lo avvolse dopo pochi secondi.

“Sono pronta per andare se anche tu lo sei” gli disse sistemandosi il braccialetto con un gesto aggraziato, la borsa sapientemente incastrata sotto un braccio.

Elijah rimase a fissarla con le labbra dischiuse, squadrandola dai piedi alla testa; quel bel vestito rosso scuro che le arrivava poco più sopra delle ginocchia, cadeva leggermente più lungo dietro, le scarpe alte, le belle gambe scoperte. I capelli, ora più chiari, le incorniciavano quel viso bello come pochi altri.

“Sei troppo bella per essere vera. Mi dispiace per le altre donne che parteciperanno alla festa stasera.”

Allison sorrise, gli si avvicinò e gli prese il bicchiere di mano. “Anche io sono dispiaciuta per loro. Avrò l’accompagnatore più bello della serata, loro no” bevve un sorso di bourbon e poi gli baciò le labbra sporcandole di rossetto. “Ecco il mio piano per questa sera” gli disse ripulendole con la punta del pollice. “Andiamo alla festa, rimaniamo solo per un po’ e poi torniamo a casa. E una volta tornati mi aiuterai a fare delle ricerche per il mio libro.”

“Libro? Da quando stai scrivendo un libro?”

“Da adesso. Lo intitolerò Cinquanta sfumature di Mikaelson, quindi mi serve un Mikaelson per crearle queste sfumature.”

Elijah annuì e se la strinse poco addosso con un sorriso. “In questo caso, sarà un vero piacere aiutarti. Anche se... cinquanta sfumature? Come sei passata da Jane Austen a questo?”

“Sono finita parecchie volte in galera negli ultimi cinque anni. Will mi portava cibo e caffè, ma non poteva fare un salto in libreria ogni volta che finivo alla centrale. Le poliziotte amano Christian Grey ma non hanno tempo di leggere in servizio, io invece di tempo ne avevo parecchio perché a volte a Kinney servivano ore prima che riuscisse a farmi uscire, e quindi leggevo.”

L’Originale deglutì a vuoto, turbato dal fatto che fosse finita in galera Dio solo sapeva quante volte. Ma scacciò il pensiero, per non toglierle quell’espressione giocosa che aveva sul viso e che lo faceva sorridere. “Mia moglie è una galeotta!” esclamò scuotendo il capo. “Lo trovo intrigante.”

Allison rise. “Chissà perché la cosa non mi sorprende. Andiamo?”

Lui le baciò la punta del naso. “Andiamo.”

 

 

 

 

 

 

   
 
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