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Autore: SkyFullOfStars_    16/09/2017    0 recensioni
Tra gocce di pittura e tele silenziose, Grantaire viaggia con sua madre per la Francia, con l'obiettivo di trovare una stabilità economica...Ma cosa succede quando l'arte incontra l'amore? Cosa accade nel momento in cui due colori, il rosso ed il nero, si mescolano sulla stessa tela?
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Grantaire! Grantaire, resisti, ce la faremo!

Resta sveglio, avanti, non abbandonarmi...guarda solo me...guardami negli occhi e non spostare lo sguardo per nessun motivo.

Ce la faremo, usciremo da quest'inferno.

Ce la faremo. Insieme.

 

 

 

9 ORE PRIMA

 

 

 

-Credo che dovremmo andare a sciacquare i pennelli, almeno. Non possiamo stare sdraiati sul pavimento per l'eternità.- sussurrò la voce tremolante di Grantaire. Era ancora un po' scosso dal tornado di emozioni che i dolci baci di Enjolras avevano scatenato dentro di lui. Quasi tutta la pelle scoperta era tappezzata da sfumature di pittura differenti: sembrava che ogni emozione si fosse mascherata sotto un colore diverso.

Enjolras era ancora sopra al ragazzo; con le labbra umide, a causa della passione alla quale si era lasciato andare poco prima, si stava divertendo a vezzeggiare ogni punto del corpo dell'artista, anche quello più irraggiungibile. In quel momento, lui era il vero artista e Grantaire la sua bellissima tela.

Sorrise appena quando sentì il moro pronunciare quelle parole.

-Non mi scapperai così facilmente, lapinou.- bisbigliò andando a lambire maliziosamente il collo dell'altro, caldo ed accogliente.

Restarono così a lungo, uno nelle braccia dell'altro, con la ferma convinzione di aver trovato il senso delle loro vite. Grantaire si sentiva amato, protetto, felice come non era mai stato in tutta la sua misera vita. Era come quando, da bambino, non riusciva a trovare la sfumatura giusta per un disegno e provava, riprovava a mischiare i colori fino allo sfinimento; alla fine, quando riusciva ad ottenerla, veniva circondato da una nube di gioia e soddisfazione assolutamente impagabile.

Si sentiva così in quel momento. Enjolras era la sua sfumatura.

Enjolras, nel frattempo, non riusciva a staccare gli occhi da quel viso che lo aveva tormentato nei suoi sogni, quel viso ignaro della sua stessa bellezza. Sapeva che l'artista non si rendesse conto di quanto fosse straordinario. Mentre gli baciava le mani sporche di colore, avrebbe voluto essere uno specchio, in grado di riflettere tutta quella fragilità e quel fascino che sedevano nascosti dentro i suoi occhi, come due sconosciuti che non sanno di essere perfetti l'una per l'altro.

Gli sarebbe piaciuto fermare il tempo ed imprimere quegli occhi, quelle mani e quelle morbide labbra su un foglio, per infine appenderlo nella sua stanza, proprio accanto ai disegni che conservava sin da quando era bambino.

Aveva davanti una rosa nera inconsapevole della sua stessa essenza effimera.

E sarebbe stato tutto perfetto ed intoccabile se, all'improvviso, i due non fossero stati avvolti dal buio totale.

Nessuno dei due si spaventò in modo esagerato, ma entrambi si alzarono dal pavimento caldo in pochi secondi.

Intorno a loro regnava il silenzio assoluto, soltanto qualche piccola folata di vento cercava di fare irruzione dalla finestra chiusa dell'aula.

-E' saltata la corrente, di nuovo. E' strano però, non sta neanche piovendo.- disse Enjolras con aria interrogativa.

Grantaire gli passò una mano tra i ricci setosi. –Tranquillo, mi intendo di queste cose, vado a vedere in cantina se è successo qualcosa.-

-Cosa? Tu non vai da nessuna parte, potrebbe essere pericoloso!-

L'artista ridacchiò appena, divertito dalla reazione paterna del biondino.

-Hai intenzione di legarmi per caso?-

-Beh, l'idea di legarti non mi dispiacerebbe affatto.- sussurrò maliziosamente Enjolras, accostandosi alle labbra dell'altro, per poi baciarle con un residuo di eccitazione rimasto.

-Non cercare di distrarmi, andrò lo stesso. Vedi di rimanere qui...anche perché sei nudo.-

-Già, e non mi pare che ti sia dispiaciuto...Corri e torna, la tua Musa ha ancora bisogno di qualche...ritocco.- sorrise il biondino, mordendosi il labbro inferiore. Sapeva esattamente quanto quel gesto facesse impazzire il moro, quindi decise di provocare il suo appetito ancora una volta.

Grantaire assottigliò le labbra per qualche secondo, godendosi quella sensuale vista e poi, scattante, corse verso la cantina della scuola.

Aveva già aiutato parecchie volte il bidello con il generatore elettrico, per cui sapeva benissimo che poteva trattarsi di un guasto, e sapeva anche di essere perfettamente in grado di risolverlo in pochi istanti.

Mentre varcava a passo veloce il corridoio scolastico, il cumulo di emozioni date da quel dannato biondino volteggiava ancora dentro di sé, simile a foglie autunnali scosse dal vento.

Ripercorse velocemente tutta la giornata, dalla mattina in cui si era svegliato in un letto vuoto a poco prima di partire dal campeggio, quando Enjolras si era proposto come suo modello personale...fino ad arrivare a pochi minuti fa, quando si erano baciati appassionatamente sul pavimento dell'aula di arte, la stessa in cui si erano conosciuti ufficialmente.

Sorrise. Era un sorriso diverso quello che indossava ora, durante quella corsa frenetica. Era un sorriso innocente, innamorato. Innamorato di quegli occhi oceanici, di quei fili arricciati di grano che gli avevano illuminato l'anima. Sapeva di aver trovato il suo posto. Sapeva che tutto, d'ora in avanti, sarebbe andato bene.

Fu con questa netta e positiva convinzione che entrò nella polverosa cantina della scuola.

 

 

L'improvviso odore di muffa lo avvolse come una nube di fumo in un vecchio locale ottocentesco. Grantaire scese le scalette scheletriche con lentezza, facendo attenzione a non scivolare su qualche strano liquido salmastro o qualche trappola per topi.

Con una mano stretta sulla ringhiera polverosa delle scalette e l'altra immersa nel buio, il ragazzo riuscì a tastare un oggetto ruvido, lo prese con la mano libera e tremolante e fece scattare il piccolo interruttore.

La torcia elettrica illuminò la cantina. Alcuni fiocchi di polvere vennero illuminati dalla forte luce dell'attrezzo, e così Grantaire si avventurò in quel fosco covo dimenticato dal mondo.

Sebbene con qualche difficoltà, l'artista raggiunse il generatore elettrico, proprio a lato di un angolo della stanza tenebrosa. Grantaire aveva sempre avuto paura del buio; sin da piccolo, sua madre gli lasciava una piccola luce vicino al comodino perché sapeva benissimo che non si sarebbe addormentato al buio completo.

Il ragazzo ricordò una delle tanti notti in cui la corrente era saltata e si era ritrovato interamente sprofondato nelle tenebre della sua cameretta, pronte ad inghiottirlo vivo. Aveva avuto più o meno quattro anni, ma ricordava quella sera come fosse stata il giorno prima. Sua madre era corsa in camera sua non appena aveva sentito il suo figlioletto urlare, quasi avesse visto un mostro.

Il piccolo Grantaire, effettivamente, aveva visto un'ombra sospetta vicino al suo letto, ma un caldo abbraccio di sua madre aveva fatto sparire tutta la paura. Lei era sempre stata la sua luce, l'unica che sapeva capirlo ed ascoltarlo.

Ora, la sua fiducia era ancorata a quel getto di torcia elettrica che lo proteggeva dalle grinfie dalla totale oscurità.

Ora, la sua fiducia era ancorata a quel getto di torcia elettrica che lo proteggeva dalle grinfie dalla totale oscurità

Non appena si avvicinò al generatore, notò che tutti i fili erano al loro posto, tranne uno. Strano.

Grantaire sospirò sollevato: almeno non c'era niente di rotto. Poi, con una certa cautela, avvicinò le mani sporche di pittura al filo staccato, con l'intento di ricollegarlo con gli altri. La torcia, invece, fu poggiata su un mobile accanto, nella posizione ideale per fare la luce giusta.

All'improvviso, delle piccole scintille iniziarono a schizzare fuori dal generatore, aggressive, andando a colpire il viso e l'addome del ragazzo.

Grantaire gemette e si allontanò con prontezza da quel pericoloso aggeggio. Si passò un dorso tremante sullo zigomo e notò che gli bruciava parecchio. Fortunatamente le altre scintille erano riuscite solamente a bruciacchiare la felpa senza toccare la pelle. L'artista si riavvicinò al generatore. In fondo, non poteva lasciar perdere...La luce non era ancora tornata. Forse, con un altro tentativo, sarebbe stato più fortunato.

Le mani tremanti del moro si infiltrarono di nuovo tra i fili, ma questa volta la situazione fu peggiore.

Una serie infinita di scintille si scaraventò su di lui, colpendolo su tutto il corpo. Grantaire si allontanò spaventato e dolorante a causa di quella dannosa cascata bollente che gli si era riversata addosso. La sua mossa repentina ed esagerata gli fece urtare il mobile accanto al generatore; dopo aver barcollato cadde sul pavimento in mille pezzi.

Grantaire, dolorante, cercava di allontanarsi sempre di più da quella tempesta di zampilli elettrici, ma era come se quelli gli si avvicinassero sempre più in fretta, costringendolo ad indietreggiare con terrore.

Doveva fare qualcosa. Non appena tentò nuovamente di accostarsi al generatore, una fiamma fulminea gli si parò davanti agli occhi. Era alta, terribile, una lingua avvelenata che non desiderava altro che assaggiare le sue carni.

Graffiato dal panico, il giovane artista si guardò intorno nella speranza di trovare qualcosa per spegnere il fuoco.

Vide un panno, lo prese e cercò di soffocare quel mostro infernale con tutte le sue forze, ma quello non fece altro che duplicarsi, fino a che neanche quel panno fu abbastanza.

Il ragazzo indietreggiò ancora, dopo aver visto strapparsi di mano quel pezzo di stoffa ormai inutilizzabile. Le fiamme si moltiplicavano a vista d'occhio, mangiando avidamente l'ossigeno della stanza, annebbiando ogni piccolo angolo della cantina già buia.

Grantaire non riusciva a pensare, non riusciva a gridare, era bloccato. Quella che gli si stava svolgendo davanti, era la scena di massima tensione che aveva visto solitamente nei film...

Non avrebbe mai pensato che fosse accaduto nella realtà. Non a lui.

Era stato tutto troppo improvviso. E non riusciva neanche a gridare.

Cominciò a tossire, cercando disperatamente un altro panno con cui filtrare almeno un po' il fumo tossico che stava respirando involontariamente. La gola gli bruciava, gli occhi lacrimavano, il cuore gli martellava nel petto.

A causa di quella fitta rete nebbiosa non riusciva a vedere niente, ma non si arrese. Dopo un paio di secondi si accovacciò a terra, sperando di trovare un briciolo di ossigeno ma... niente. 

Iniziò a tossire instancabilmente, senza potersi difendere in alcun modo da quel mostro infernale che gli toglieva il respiro: Grantaire si accasciò interamente a terra, riuscendo a malapena a boccheggiare. I polmoni richiedevano aria, ossigeno, richiedevano vita. Capì che il respiro lo stava abbandonando: era come sentirsi assonnati, stanchi, era come lasciarsi andare ad una sensazione di assopimento improvviso.

Grantaire chiuse gli occhi con un ultimo colpo di tosse. Pensò ad Enjolras che lo stava spettando nell'aula di arte. Pensò al fatto di non poter gridare e, quindi, di non poterlo avvertire dell'imminente incendio che si sarebbe sparso per tutta la scuola. Si addormentò con il sorriso del ragazzo sulle palpebre chiuse.

Nei film arrivava sempre qualcuno a salvare il protagonista.

Per lui non sarebbe arrivato nessuno.

 

 

 

 

 

 

Enjolras sbuffò.

Erano ormai passati già dieci minuti da quando Grantaire era sceso in cantina per controllare il generatore.

Il biondo era rimasto a guardare il dipinto incompleto che era stato da poco interrotto. Sorrise.

Anche se non era ancora finito, quell'insieme di colori stava scatenando qualcosa di strano dentro di lui, qualcosa di inspiegabile, come una gioia improvvisa. Era la stessa sensazione che avvertiva osservando i disegni disposti sul muro della sua camera. Li aveva raccolti nel corso della sua vita, iniziando dal primo quando aveva appena sei anni, quello che aveva trovato nel prato vicino casa sua, realizzato da un piccoletto dai ricci capelli ebano.

Una strana sensazione scorse attraverso la sua schiena. Enjolras guardò la porta aperta dell'aula di arte. Niente, Grantaire non era ancora tornato.

Il ragazzo si diresse verso i suoi vestiti, che erano stati adagiati su uno dei banchi della calda stanza. In poco tempo Enjolras uscì dalla stanza, dando un'ultima occhiata al ragazzo angelico ritratto sulla tela colorata.

Non appena il biondo mise piede fuori dall'aula, notò quanto il corridoio fosse diventato caldo, quasi bollente. Camminò per qualche metro verso la cantina, finché non fu spaventato da un fragoroso trillo che lo fece balzare improvvisamente.

L'allarme antincendio.

Enjolras si fermò. Sembrava che dalla cantina uscisse del fumo.

Oddio, no, no...Non dirmi che...

Il ragazzo era terrorizzato dal peggio. Pensava a Grantaire, rinchiuso in quella cantina che si stava trasformando in un dannato forno, pensò a quanto potesse essere spaventato e rabbrividì ancora.

Dei forti getti d'acqua iniziarono a piovere dal soffitto del corridoio.

Enjolras si mise a correre.

Sto arrivando, lapinou. Sto arrivando.

 

 

  
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