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Autore: Applepagly    16/09/2017    5 recensioni
Il riposo è solo un pretesto per nascondere un segreto, una festa è l’occasione per svelarlo. La battaglia è finita ma non è mai finita davvero, e il male non è fuori ma dentro le mura... inizia la ricerca di ciò in cui è difficile credere. Inizia la ricerca del bello.
Genere: Commedia, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bloom, Nuovo personaggio, Tecna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
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III
 
I can remember the age that I was
But not that story that pumped in my blood
When you were the savior
And I was the taker of

Oh where I was
One Red Thread, Blind Pilot
 
Quando la porta si spalancò, annunciando la trionfale entrata di Looma, Bloom non si stupì poi molto.
Sfoggiando i suoi grossi incisivi immacolati in quello che era un sorriso gioioso, la ragazza elargì un energico saluto. Come sempre, il suo buonumore era contagioso ed era impossibile non rimanerne travolti.
Looma era una vivace studentessa del college ed era stata rimandata durante il suo secondo anno. Ora che frequentavano gli stessi corsi, la sua presenza lì era costante.
La sua corporatura esile la rendeva molto simile ad una sorta di bambina un po’ cresciuta, dai grossi occhi acquosi perennemente sgranati e dalla lunga chioma color tabacco, appuntata nelle acconciature più strane.
Di solito, si catapultava subito su uno dei divanetti ed iniziava a raccontare a Stella dei nuovi modelli invernali che aveva ideato, o dei cosmetici a basso prezzo ed alta resa che aveva appena scoperto a Magix.
Quelle due condividevano, tra le altre cose, la passione per tutto ciò che riguardava la moda; in particolare, la nuova arrivata era particolarmente nota per le sue abilità di stilista. Da quando era riuscita a mettere le mani su alcune stoffe, quell’anno, aveva allestito una sorta di boutique nel suo appartamento.
«Ho grandi, grandissime notizie per voi!» esclamò, restando a qualche metro da loro.
Stella rimase china sulla sua boccetta di smalto color porpora – sosteneva che la stesura operata da un incantesimo risultasse troppo grossolana per le sue unghie, che dovevano essere impeccabili – ma tese le orecchie.
«Ricordi le feste dello scorso anno?» le domandò la mora, suscitando la curiosità di Bloom.
Feste?
La principessa annuì. «Continua»
«Abbiamo trovato un posto. Musa e Riven ci sono stati l’altro giorno, ed è perfetto» sogghignò Looma, con voce sognante.
Stella sgranò gli occhi, scattando in piedi.
«Dici sul serio? Dove?» trillò, con un balzo.
Sotto lo sguardo confuso dell’amica, la principessa e l’altra fata iniziarono a discutere di arredamenti e di disinfestazioni; poi seguì una lunga epopea circa abiti da ballo, che fossero eleganti ma non troppo; liste di invitati e altre informazioni che Bloom non comprese.
Per qualche vago istante, temette che quelle due fossero seriamente uscite di senno, dopo l’estate.
«Brandon e Musa ti spiegheranno meglio» concluse Looma, muovendo qualche passo verso la porta. «Scusa, ma devo assolutamente finire di sistemare i bottoni a quel cappotto. Se vuoi scendi giù, dopo, così lo provi»
«Oh, senza dubbio!» rispose Stella, entusiasta.
Appena l’altra lasciò l’appartamento, la principessa prese nuovamente posto di fronte alla boccetta di smalto, ripiombando nel più religioso dei silenzi.
«Quindi?» la incalzò l’amica.
Sbatté le palpebre un paio di volte, distogliendo l’attenzione dalla cura delle sue unghie, come se non avesse capito a cosa si fosse riferita. «“Quindi” cosa?»
«Vuoi spiegarmi di cosa diavolo stavate parlando, tu e Looma? Per venti minuti ho creduto di star affrontando una delle solite ed incomprensibili lezioni di Griselda » rise. «Cosa intendeva, con “feste dello scorso anno”?»
«Oh, ma niente. Poi ti spiego» replicò, con tono annoiato.
Tuttavia, non ebbero più modo di affrontare la questione per un po’. Anche quando Bloom cercava di accennare alla vicenda, Stella restava vaga e sorrideva con fare malandrino, promettendole che le avrebbe spiegato ogni cosa.
In realtà, si divertiva semplicemente troppo a vederla cuocere nella sua curiosità e a farsi implorare. Andò avanti così fino a qualche giorno dopo, quando la principessa decise di accontentare le suppliche dell’amica.
«Vuoi dirmi dove stiamo andando?» ripeté Bloom per l’ennesima volta, mentre planavano lungo uno sprazzo erboso.
Senza un’apparente ragione, circa mezz’ora prima Stella l’aveva ribaltata dal letto, spiegando con un trillo qualcosa a proposito di “buone azioni”. L’aveva obbligata a vestirsi e sistemarsi in un battibaleno e, senza concederle nemmeno il tempo di fare colazione, l’aveva trascinata fuori dalla cancellata di Alfea.
Il fatto che fossero appena atterrate poco lontano dalla scuola di Fonterossa non lasciava presagire nulla di buono. Per Bloom era piuttosto difficile mettervi nuovamente piede perché, sebbene ora risultasse parecchio diversa, quell’accademia era pur sempre il luogo in cui aveva condiviso i suoi segreti con Sky.
Le sembrava fosse trascorsa un’eternità, da quei giorni sereni; eppure, si era trattato solo dell’anno precedente.
In generale, la infastidiva l’idea di passeggiare per quelle stanze senza che vi fosse la minima possibilità di incontrarlo. Perché Stella aveva voluto portarla lì? Sapeva perfettamente quanto fosse doloroso.
«Oggi è domenica. Se volevi vedere Brandon potevi farlo anche senza che venissi io» borbottò, contrariata. Non sarebbe certo stata la prima volta, se le loro presunte commissioni si fossero trasformate in romantici idilli tra quei due.
«Brandon c’entra relativamente» specificò Stella, sistemando con cura le pieghe della gonna. A poco a poco, le ali si ritrassero e l’abito della trasformazione scomparve completamente. «Dammi retta, siamo qui per una ragione più che ottima»
«Se lo dici tu…» biascicò l’altra, non molto convinta.
Mentre procedevano spedite oltre il labirinto, si passò una mano tra i capelli nel tentativo di addomesticarli. Solitamente erano piuttosto intrattabili e quella mattina, ovviamente, non aveva neanche avuto il tempo di pettinarli.
Sospirò sconsolata di fronte al vetro di una finestra, maledicendo quel casco di viticci rossi; all’improvviso, quella stessa finestra si spalancò, facendo trasalire la ragazza e anche il ragazzo che si trovava oltre essa.
Questi lanciò un urlo di spavento, portandosi le mani a coprirsi il petto, benché fosse interamente vestito. Bloom avvampò dall’imbarazzo e Stella rise fragorosamente. «Ben svegliato, Alan!»
Quello balbettò qualcosa, scandalizzato, nel tentativo di coprirsi e di placare quella morbida massa di riccioli biondi che gli ricadevano in fronte.
«Ma… insomma… vi ha dato di volta il cervello?» sbottò. «Cosa accidenti ci fate, qui? Perché lei guardava nella mia stanza?»
«Non volevo, scusa… io…» come spiegarlo, senza risultare ridicola? «Beh… stavo… cercando di sistemarmi… ecco…»
«Cos’è questo trambusto?» inveì una voce dall’interno della camera.
Di primo impatto, parve identica a quella di Alan; solo un po’ più dura e profonda, forse. Un altro studente si avvicinò loro, cercando di mettere bene a fuoco la scena.
Nel goffo tentativo, ridusse gli occhi grigi a due sottili fessure e corrucciò i lineamenti; eppure, anche così, mantenne una certa somiglianza con il compagno di stanza.
Gli stessi tratti bruschi, incorniciati però dalla dolcezza del cioccolato scuro; e qualcosa, nello sguardo, che catturò quello di Bloom.
«Beh? Queste cosa ci fanno, qui?» esordì.
«Chiedilo al tuo caro amico Brandon; lui avrà sicuramente le risposte!» bofonchiò Alan, traboccando un risentimento non meglio identificato. «La bionda è la sua ragazza»
L’altro aggrottò appena le sopracciglia brune, mimando poi un “oh” non troppo interessato. «In quel caso, forse lo stanno cercando» concluse. «È… beh, è tu sai dove»
Stella ringraziò dell’informazione, sogghignando; ma Bloom non riuscì a capire nulla di ciò di cui lei e quel ragazzo confabularono in seguito. Perché stavano mantenendo tutti quei segreti? Dove diamine stavano andando?
«A dopo» fece la principessa.
A dopo?
Alan emise una sorta di grugnito, mentre l’altro Specialista le salutò con un cenno della mano. Appena furono abbastanza lontane, Stella scoppiò nuovamente a ridere.
«Smettila» protestò la fulva. «Non pensavo che quella finestra desse sui dormitori»
«Beh, almeno ora conosci due dei più noti studenti dell’accademia» fece lei, trattenendo gli spasmi. «Alan e Sem»
Alan e Sem…
Ricordava di essere stata compagna di classe di un certo Sem Barrett, alle scuole elementari; ma si era trattato di un paffuto bambino afroamericano… «Com’è che non ne ho mai sentito parlare?»
«Sai» spiegò, con ovvietà. «Non credo proprio che parlarti dei suoi compagni figaccioni rientrasse nelle intenzioni di Sky. Anche se uno è frigido e l’altro… insomma… non è molto interessato alle ragazze»
«Qual è la differenza?» chiese, incerta sull’interpretazione che avrebbe dovuto attribuire a quelle affermazioni.
«L’hai visto, no? Uno è biondo, l’altro no» disse.
Bloom si nascose il viso tra le mani, scuotendo la testa. «Intendevo la differenza tra l’essere frigido ed il non essere interessato alle ragazze»
«Oh» apprese Stella.
Si fermò di fronte ad una parete piuttosto malconcia, che inquadrava un portone scardinato e sostenuto da delle sbarre metalliche. Sfregò un paio di volte la punta dei suoi stivali a terra. «Dovevi specificare. La vedrai presto, la differenza. Per intanto, sbrighiamoci»
La rossa stava per domandare nuovamente dove stessero andando ma, in un guizzo, la principessa le afferrò le mani appena prima che una botola si spalancasse sotto di loro.
Dopo quella che le parve una caduta infinita, percepì di essersi schiantata su qualcosa di estremamente morbido. Nel buio più totale, tastò quella che pareva una montagna di cuscini dalle federe sgranate e vecchie.
«Sei tutta intera?» domandò Stella, facendo luce con un incantesimo.
L’altra annuì, cercando di scendere da quel cumulo. «Dove siamo, Stella?»
«Nelle prigioni di Fonterossa. Non senti questo fetore di carogna?» commentò, ridendo poi all’espressione sconvolta dell’amica. «Sto scherzando! Secondo te potrei mai metterci piede, se fosse davvero così?»
Sotto l’ultimo cuscino, Bloom avvertì la dura consistenza del pavimento. Mosse qualche passo appena rischiarato dal bagliore che scaturiva dalle dita della principessa; ben presto, percepì alcune crepe tra le mattonelle.
Come la mano le raggiunse, la terra sembrò tremare appena. Ebbe l’impressione di percepire un boato e l’eco di una risata accompagnarsi a quello che avrebbe definito un preludio ad un terremoto.
Eppure, non accadde nulla. Forse lo aveva solo immaginato.
«Fonterossa sorge su una scuola preesistente. Questo è ciò che ne rimane» spiegò. «È qui che vorrebbero fare la festa»
«Quale festa?»
«Una festa per il Soldì. E per divertirsi, più in generale» spiegò, indicando poi uno stretto cunicolo di fronte a loro. «Per di qua»
Durante il tragitto, Stella non fece altro che parlare di tutte quelle festicciole abusive che gli anni precedenti erano state organizzate in una delle sale di addestramento della scuola. A detta sua, si trattava di momenti molto tranquilli, in cui era difficile che s’imbucasse qualcuno d’indesiderato.
«In realtà, le organizzavano da molto prima che io iniziassi a frequentare il college, ma allora potevano partecipare anche le streghe» raccontò. «Pare che qualche anno fa venissero anche Icy, Darcy e Stormy, di tanto in tanto. Solo che, un bel giorno, due stregacce hanno deciso di dar vita a delle scaramucce per un ragazzo proprio durante una di queste feste»
Dagli insulti, disse, erano passate allo scontro diretto. Erano volati incantesimi di ogni tipo e alla fine uno studente del primo anno si era perfino visto trasformato in un bidet.
«Perciò hanno bandito anche le streghe. Fino all’anno scorso le cose sono andate abbastanza bene, ma poi qualche squilibrato spione di Fonterossa ha deciso di spifferare tutto a Saladin e Codatorta» narrò, masticando imprecazioni.
Di fronte a loro si aprì un varco da cui Bloom poté vedere filare alcune ragnatele. Cercò di farle scomparire, prestando attenzione al racconto dell’amica senza riuscire a comprendere se si sentisse emozionata o stranita all’idea di party abusivi.
«Ovviamente, i due vegliardi non avevano prove certe e quando sono arrivati era già stato smantellato tutto a dovere. Quello che faceva da palo aveva dato l’allarme in tempo» rise. «Ma dovevi vedere la faccia di Brandon. Era su tutte le furie»
«Perciò non ne avete più organizzate?» chiese l’altra, facendo attenzione a non inciampare su una crepa.
Stella annuì. «Un po’ per quello e un po’ perché sarebbe stato rischioso. Saladin ha lanciato dei sigilli su tutte le aule e anche le fate dell’ultimo anno avrebbero avuto difficoltà a rimuoverli senza che lui se ne accorgesse»
Bloom si ammutolì, rimuginando.
Dunque, anche Sky aveva partecipato a quelle feste? Con chi aveva ballato, in quelle occasioni? Perché Stella non le aveva mai detto nulla?
«So cosa pensi, Bloom» disse infatti, prontamente. «Non potevo parlartene. Brandon non aveva alcun problema, ma gli altri non volevano. Soprattutto perché… beh, tu avresti voluto che partecipassero anche Flora e le altre e, detto fra noi, tra lei e Tecna non so chi si sarebbe lamentata di più per il regolamento ed altre idiozie»
«E quest’anno? Come mai hai cambiato idea?» fece, un po’ risentita.
L’amica si strinse nelle spalle, dicendo che tutti quelli che si opponevano ormai avevano finito la scuola e che, comunque, ora poteva fidarsi un po’ di più anche delle altre, memore di quella piccola festa che l’anno precedente avevano tenuto ad Alfea.
«Ovviamente, spetta a loro decidere se venire o meno. Sarebbe utile, perché così potrebbero dare una mano a pulire e sistemare questo posto» spiegò, quando giunsero di fronte ad una porta. «Musa ne è già a conoscenza. Lei ed un’altra fata si occuperanno di insonorizzare questo posto»
Quindi siamo qui per… pulire?
«La festa dovrebbe essere due giorni prima dell’inizio delle vacanze. Per allora, la maggior parte degli studenti indesiderati sarà già a casa, così sarà più sicuro» disse la bionda, prima di abbassare la maniglia.
«Resta ancora da definire come fare per trovarci tutti qui. Insomma, il mio scettro non può teletrasportare troppe persone ed io non ho intenzione di fare da chaffeur»
La soglia si spalancò, rivelando un immenso stanzone che comunicava con un’altra sala apparentemente inagibile. Era tempestata di crepe e di qualche secchio d’acqua lasciato qua e là, segno che i ragazzi avevano già iniziato a darsi da fare con le ristrutturazioni.
In un angolo risiedeva un cumulo di detriti provenienti da un’evidente falla del soffitto, a tratti sostenuta da alcune travi lì collocate alla meno peggio; quelle che parevano ampie finestre in vetro erano ora incrostate e polverose, e lo stesso si poteva dire di quello che anticamente doveva essere stato un pavimento marmoreo, o qualcosa del genere.
Stella spiegò che la vecchia Fonterossa, nel percorso di formazione dei giovani maghi, aveva sempre apprezzato l’impegno del sottile incanto della danza. «Questo salone era adibito proprio a i balli. Poi la struttura è stata inghiottita da un terremoto e, quando hanno dovuto ricostruire tutto da zero e ancora non c’era il buon vecchio Saladin a sistemare tutto con la magia, ormai non fregava più niente a nessuno di danze e cose simili»
Bloom si trovò ad annuire e ad appurare, ancora una volta, di sapere davvero poco della storia del mondo in cui viveva. Anche Alfea sorgeva su un’altra scuola? Quante tradizioni erano andate perdute?
E, soprattutto, quante volte Fonterossa era stata ricostruita?
«Questo posto doveva essere splendido» commentò, osservando ciò che restava di alcune tende ormai slabbrate. «Ma è davvero messo male. Anche con tutta la magia di questo mondo sarà lunga; no?»
«Oh, sì. Lo sarà senz’altro» fece con ovvietà. «Per questo abbiamo bisogno di aiuto. Looma mi ha detto che lei e le altre sono già riuscite a rendere queste rovine quantomeno percorribili; però, credo che non sarà altrettanto semplice, per il resto»
La fulva valutò gli evidenti squarci nella carta da parati, colmati dalla fresca ed umidissima terra. Forse non sarebbe stato tanto problematico conferire una certa dignità estetica a quel luogo, quanto assicurarsi che non crollasse sulle loro teste.
Senza contare che le vibrazioni emesse da voci, musica ed incantesimi avrebbero potuto peggiorare la situazione.
Proprio mentre rifletteva sul da farsi, dietro di loro comparvero alcuni studenti della scuola in abiti civili; tra loro, Bloom riconobbe anche Brandon, Alan e Sem.
Il primo fu immediatamente assalito da Stella, ricevendo poi un’occhiata carica di fastidio da parte del secondo; il suo gemello, invece, si mise subito all’opera. Afferrato un secchio d’acqua ed una scopa, si diresse verso una delle vetrate.
Mentre gli altri alternavano la fatica a qualche piacevole chiacchierata, Sem sembrava totalmente concentrato su ciò che stava facendo. Versò del sapone dentro il recipiente, immergendovi poi le setole logore.
Per qualche istante, Bloom seguì con lo sguardo i suoi movimenti, osservando la leggera schiuma rosa che colava lungo il bastone. Sobbalzò quando si accorse che Alan le si era avvicinato.
«Sem non perde mai un attimo» fece, calmo. «Mi chiedo dove trovi la voglia di sporcarsi le mani così»
«Bene o male, è quello che fanno tutti; no?» replicò lei.
Il biondo scosse la testa. Si allontanò, senza aggiungere altro.
Scrutandolo di quando in quando, si domandò come un tipo del genere – che pareva piuttosto vispo e pronto a rispondere a tono – potesse avere un viso così sereno. Anche quando si mostrava contrariato, i suoi lineamenti marcati non si deformavano mai in smorfie.
Ciò che tradiva i suoi reali stati d’animo era il guizzo che ogni tanto attraversava il grigio dei suoi occhi; in quel momento, pareva recriminasse qualcosa a se stesso.
Bloom non avrebbe saputo dire perché, ma la vista di Brandon e Stella sembrava averlo intristito parecchio.
«Hai intenzione di stare lì impalata ancora per molto?» le domandò, accortosi di essere osservato. «Credevo fossi qui per dare una mano, non per fissarmi»
La ragazza sobbalzò nuovamente, annuendo meccanicamente e decidendosi a lustrare una finestra a sua volta.
Con l’allegro chiacchiericcio di Stella come sottofondo, chiamati dalle sue abili dita, un secchio ed una pezza volarono in quella direzione; ad un tratto, però, la principessa chiamò a gran voce l’amica, distogliendo la sua attenzione dall’operazione.
Il secchio precipitò a terra; o meglio, precipitò sulla testa di quel povero malcapitato che aveva deciso di spostarsi proprio in quel momento. Da sotto il metallo lucente del recipiente comparve lo sguardo sbalordito di Sem.
Fradicio, dagli occhi appena svelati dagli ormai stopposi riccioli mori, guardò immediatamente in direzione di Bloom.
Oggi non è la mia giornata.
Avrebbe tanto voluto sotterrarsi, sprofondare in uno di quei solchi che rovinavano la fantasia del pavimento; accartocciatasi su se stessa e preparata al peggio – quel Sem le sembrava un tipo da cui guardarsi – e quasi non credette alle sue orecchie, quando una risata bassa la colpì in viso come uno schiaffo.
Sotto gli sguardi attoniti di tutti i presenti, lo Specialista continuava a ridere come se non avesse mai assistito a nulla di più comico. Avvertendo il silenzio attorno a sé, però, presto il ragazzo ammutolì nuovamente.
Vagamente imbarazzato, posò il secchio e lasciò la stanza, forse per cambiarsi gli abiti totalmente bagnati. Non fece più ritorno, e Bloom non comprese cosa fosse realmente successo; fino a che, dopo un paio di ore, Alan le si avvicinò giusto prima di andarsene.
Le disse, cercando di mascherare la sua sorpresa, che il fratello aveva riso per la prima volta dopo mesi e mesi di corrucciata serietà. Le disse, cercando di sembrare indifferente, che il fratello aveva riso.
Aveva riso grazie a lei.
 
Diede un paio di rapide occhiate fuori dalla porta, prima di uscire dalla sua stanza.
L’appartamento era immerso nel buio accogliente della notte, ma lei sapeva come muoversi. Fece attenzione a richiudersi piano la porta alle spalle.
In realtà, non le importava poi tanto di svegliare Musa; ciò che contava era non destare anche le altre. Poteva dirsi sicura che lei non avrebbe fiatato – date le ultime svolte della loro amicizia – ma non era altrettanto certa che Bloom, Stella e Flora non avrebbero detto nulla.
Avanzò furtiva, aprendo uno spiraglio oltre la soglia d’accesso all’appartamento. Il corridoio era deserto e silenzioso, ma Tecna sapeva bene che Griselda non era ancora andata a dormire.
Non le era risultato poi tanto difficile monitorare le sue abitudini, e quella era proprio l’ora della sua ultima ronda notturna. Si decise a mettere piede fuori di lì, svoltando subito sulla destra.
L’ispettrice avrebbe infatti svoltato sulla scalinata opposta, la meno ripida e lunga; o, almeno, così Tecna si aspettava che facesse.
Fu una sorpresa sentire i suoi passi risalire la tromba delle scale; e proprio mentre la studentessa era già a metà. Tornò indietro il più rapidamente e silenziosamente possibile, ricordando a se stessa di sopravvalutarsi di meno.
O, forse, avrebbe solo dovuto tenere a mente che tutte le creature sono piuttosto imprevedibili. Attraversò velocemente l’ala est, scagliando su di sé un incantesimo silenziatore che le impedisse di combinare disastri a causa dell’imposta cecità; l’intero piano era avvolto dall’oscurità, e lei non riusciva a vedere più nulla.
Fare luce sarebbe stato troppo pericoloso, anche perché era ormai vicina all’ufficio e anche alle stanze di Faragonda.
Cercò la parete, appoggiandovisi; tastandone la liscia consistenza, individuò i cardini di una porta.
Ci siamo.
Lasciò scorrere le dita alla ricerca della serratura, incontrando però una sorta di gelatina che la rivestiva. Cosa poteva mai essere?
Si accucciò, facendo come per sfilare uno dei suoi orecchini. Premette appena la piccola perla e quella, come si aspettava, iniziò ad emanare un bagliore non troppo fioco perché lei potesse studiare quel curioso tipo di protezione.
Tecna aveva pensato, forse un po’ ingenuamente, che la preside avrebbe imposto i soliti sortilegi di sigillo, se proprio avesse voluto premurarsi di precludere il suo studio ad esterni. Quella colla la lasciava perplessa.
Sembrava citoplasma, a prima vista; eppure, anche quando cercò di farlo svanire, rimase inchiodato lì. Ripassò mentalmente ogni tipo di mucillaggine che Palladium aveva illustrato loro appena il mese prima, ma nessun esempio pareva coincidere.
Puntò un pugno chiuso contro quella sostanza, reggendosi il polso con l’altra mano; provò con uno dei suoi incantesimi di saldatura, ma l’unica cosa che ottenne fu una serie di scintille eccessive che il sortilegio sprizzò dovunque.
Scintille che le permisero di constatare, suo malgrado, di non essere sola.
Non appena la luce rossa della magia sagomò i contorni di qualcuno alla sua sinistra, cessò di pronunciare mentalmente la formula. Restò in silenzio, acuendo i sensi e attendendo ulteriori sviluppi.
Ricercò con l’udito il respiro dell’altra presenza, ma non riuscì ad avvertire nulla all’infuori del proprio. Ad un tratto, però, poté percepire il lieve strascichio di quella che pareva una scarpa sul tappeto del corridoio.
Era appena dietro di lei.
Con uno scatto, si volto e sferrò un calcio laterale, mancando – sorprendentemente – colui o colei che avrebbe dovuto colpire.
«Ehi, non c’è bisogno di aggredirmi!» fece d’un tratto una voce, a metà tra l’affannato ed il divertito.
«Principessa Aisha?» sussurrò, Tecna, incredula. Puntò il suo orecchino in direzione di quella protesta, e la vide.
Era proprio Aisha; ma per quale assurda ragione non era nella sua stanza? «Non dovresti essere qui»
«Se è per questo, nemmeno tu. Sai…» rise piano, avvicinandosi. «mi domandavo proprio come saresti riuscita a scalfire il Morphix»
Tutto divenne subito più chiaro, nella mente della fata; quella mucillaggine non l’aveva imposta Faragonda, ma Aisha stessa. D’altronde, lo sapeva bene, no? I suoi poteri avevano a che fare principalmente sui liquidi e sulla costituzione di quella pasta rosa.
Come aveva potuto non pensarci?
«È stata Faragonda, a chiederti di farlo?» domandò, senza scomporsi. «Le hai riferito tutto ciò che hai ascoltato quel giorno»
La principessa scosse la testa. «Non le ho riferito nulla, né mi è stato chiesto niente. È stata una mia iniziativa»
Logico…
Tecna non aveva pensato a torto che Faragonda non avesse preso alcuna misura di protezione per il suo ufficio. No, le sue deduzioni erano state corrette, solo che…
Quella Aisha l’avrebbe ricattata. Perché aveva pensato che lei si astenesse da una così bassa pratica? Dopotutto, ognuno celava in sé ambizioni e desideri più o meno profondi.
«Cosa vuoi?» domandò, senza perdere ulteriore tempo prezioso.
La risposta la sorprese.
«Voglio che tu mi permetta di aiutarti»
Che cosa ha detto?
«Temo di non comprendere» finse. La principessa Aisha… invischiarsi in quelle faccende da impicciona?
«Hai capito bene. Voglio aiutarti» fece, avvicinandosi. «Non fare quella faccia. Tu hai sicuramente le tue buone ragioni, per voler sapere cosa ci sia sotto alla faccenda del Soldì; per me è lo stesso»
Tecna inclinò inconsciamente la testa, lasciando appena oscillare il ciuffo da un lato. Per quale motivo avrebbe dovuto riporre in lei la sua fiducia?
Cosa sapeva, di quella ragazza?
È abbastanza scaltra ed intraprendente da poter combinare ciò che più le aggrada. Perché dovrebbe necessitare del mio aiuto, se desidera scoprire i piani di Faragonda?
Aisha di Andros. La silenziosa principessa che, forse spinta dalla curiosità o da un’inspiegabile simpatia nei confronti di Bloom, aveva deciso di frequentare i corsi di Alfea.
Aisha, la prodigiosa fata che pareva assai più abile della maggior parte delle loro compagne. Quella che raramente proferiva parola, se non quando veniva interpellata dai professori o quando incontrava le ragazze del primo anno con cui condivideva l’appartamento.
Perfino con loro sembrava mantenere una certa riservatezza.
Una persona piuttosto taciturna che, tuttavia, quando doveva usare le parole non ne aveva mai una di troppo. O, perlomeno, così aveva detto Bloom.
Aisha di Andros. Cosa poteva mai averla spinta ad avvicinarsi proprio a Tecna, con cui a malapena aveva parlato, prima di allora? Cosa poteva esserci, di così irrinunciabile, da costringerla ad avere a che fare con lei?
«La mia è semplice curiosità» ammise Tecna. Evitò accuratamente di esprimere i suoi sospetti. «Quali sono, le tue ragioni?»
«Riguarda mio padre» tagliò corto. «So per certo che mio padre è coinvolto in tutta questa stramba situazione»
L’altra aggrottò appena le sopracciglia.
«Tu e Bloom non siete le uniche ad esservi accorte dell’assurdità di queste vacanze, sai?» rise piano, dandosi un’occhiata alle spalle. «Ricordi il giorno dei colloqui con i genitori?»
Lei annuì. Era una delle poche occasioni in cui aveva la possibilità di vedere i suoi genitori all’infuori di Zenith.
«Non ho visto mio padre discutere con un solo insegnante. Ha trascorso tutta la mattinata nell’ufficio della preside» prese a spiegare. «Per caso, ho ascoltato strascichi della loro conversazione. Lui era piuttosto allarmato, ma non sono riuscita a comprendere per cosa»
Tecna ascoltò il resto senza fiatare.
Tutto appariva così lineare. Senza dubbio, quella non doveva essere stata l’unica volta in cui il re di Andros e Faragonda avevano trattato quella… qualsiasi cosa fosse.
Secondo Aisha, la corrispondenza tra di loro doveva essere iniziata già da tempo.
«Nella memoria del teleproiettore ci sarà senz’altro qualche messaggio di mio padre» concluse, sperando di essersi guadagnata la fiducia dell’altra. «La mia idea, qualche tempo fa, era stata quella di introdurmi qui e consultare quell’affare, proprio come vorresti fare tu»
«Perché hai bisogno del mio aiuto? Credo tu sia abbastanza abile da potertela cavare da sola» indagò ancora, riluttante.
L’intervento di quella ragazza l’avrebbe aiutata a sciogliere un po’ i nodi di quella faccenda, che si faceva sempre più ingarbugliata man mano che più dettagli risalivano a galla. Oppure, al contrario, contribuiva solo a rendere il tutto più intricato?
«Le barriere tecnologiche non sono esattamente il mio forte. Come hai ben notato, se non fosse stato per il mio intervento non avresti incontrato alcuna resistenza» sospirò. «Tuttavia, come ho potuto scoprire la prima volta che ci sono venuta, quell’alambicco è intriso di sortilegi che hanno a che fare con… beh, con il tuo campo»
Aisha raccontò, non senza fare fatica ad ammettere una simile cosa, di aver dovuto rinunciare al suo piano per timore di combinare un disastro ed essere scoperta.
Barriere tecnologiche. «Perciò hai gettato questo Morphix qui per assicurarti che io avessi bisogno di te per scioglierlo come tu hai bisogno di me per il teleproiettore»
La principessa annuì. «Avrei voluto chiedertelo già l’altro giorno»
Tecna storse impercettibilmente il naso. Capiva bene perché quella Aisha non ne avesse avuto il coraggio e la voglia.
Nemmeno a lei piaceva particolarmente l’idea di dover ricorrere all’aiuto di altri, perché nella sua mente corrispondeva spesso ad abbassarsi. Tuttavia, forse in quella faccenda due menti avrebbero potuto lavorare meglio.
«Sbrighiamoci» disse allora la zenithiana, ingoiando una buona dose d’orgoglio.
L’altra esultò dentro di sé, accostandosi alla serratura e sbloccandola con un semplice schiocco di dita. Il citoplasma si dissolse, e la porta si aprì.
L’ufficio di Faragonda era appena illuminato dalla fredda luce che filtrava attraverso le spesse vetrate. In lontananza, il lago di Roccaluce appariva come un perfetto specchio non ancora ghiacciato nonostante la neve che, timida, stava iniziando a precipitare dal cielo.
La scrivania era sgombra di qualsiasi cosa, se non per una lampada sottile ed una piuma variopinta accanto ad essa.
«Dov’è il teleproiettore?» fece Aisha, allarmata. «È sempre su quella scrivania e proprio oggi che serve…»
Tecna spalancò un cassetto, sicura di trovarlo lì. E così fu.
«Ho un hardware esterno per poter copiare la memoria del dispositivo» disse, prestando la massima attenzione a come lo maneggiava. «Ma temo possa impiegare un considerevole intervallo di tempo»
L’altra scosse la testa. «Non importa. Quel che conta è che riusciamo a cavarne fuori qualcosa»
È il momento che mi concentri.
«Le tue preoccupazioni sono indirizzate verso la salute del tuo progenitore o è pura curiosità?» si azzardò a chiedere, mentre esaminava il teleproiettore.
«La prima che hai detto. E poi» rispose, osservandola in azione. «nemmeno tu sei mossa dalla pura curiosità»
Purtroppo no.
Come esserlo? Dopo gli eventi, le incertezze e i rischi corsi, qualsiasi sentore di pericolo destava in lei la necessità di investigare, di risolvere – di prevenire qualsiasi sofferenza.
Perché, forse non lo avrebbe mai ammesso, ma anche lei aveva qualcuno da proteggere.
«Riconosco i segni di un blocco e di un altro sigillo programmato nelle stesse impostazioni del teleproiettore» disse, cambiando argomento. «Ma ce n’è un altro… che non sono in grado di riconoscere. Non sembra provocare particolari impedimenti nella lettura della memoria»
La guardò, sperando al contempo di riuscire a ricordare dove avesse intravisto il piccolo simbolo che emetteva bagliori biancastri, l’unico che non riuscì a sciogliere con nessuno incantesimo.
«Senti, non ha importanza. Inserisci quella chiavetta lo stesso» fece Aisha, sbrigativa. «Dovrebbe scaricare quantomeno le ultime conversazioni, no? Sono già le quattro»
Tecna si trovò ad annuire, nonostante avesse un pessimo presentimento. Con i polpastrelli individuò l’unica apertura dell’oggetto, colmandola con il piccolo dispositivo di supporto esterno.
Quella sorta di missile di dimensioni ridotte si illuminò, proiettando sul soffitto l’ora corrente e lo stato di download delle conversazioni registrate.
«Fantastico… non siamo nemmeno al 20%» commentò Aisha.
«Avresti potuto premurarti di provvedere tu, se reputi che questo hardware non sia sufficientemente veloce» replicò Tecna. «Ti informo che è uno degli ultimi modelli»
L’altra rimase basita per qualche istante, forse non abituata a ricevere risposte tanto energiche. «Evidentemente non lo è. O forse è per quel sigillo che è rimasto?» fece, accantonando momentaneamente l’astio.
«Quale che sia la funzione di quel sigillo il download ha appena raggiunto il 60%. Come puoi notare tu stessa, è piuttosto rapido» ribadì, non avendo dubitato nemmeno un istante della sua tecnologia. «Al contrario, il teleproiettore di Faragonda è datato»
«Forse non lo è abbastanza perché voi possiate credere di usarlo senza che io me ne accorga» proruppe la voce irritata della preside.
Per qualche sporadico secondo di silenzio e gelo, Tecna e Aisha persero la facoltà di respirare. La prima sfilò immediatamente la chiavetta dal teleproiettore, cercando di nasconderla agli occhi della preside.
Ripose piano l’oggetto nel cassetto, richiudendolo poi con un incantesimo. Ecco qual era la funzione dell’unico sigillo rimasto.
«Posso sapere quali ragioni vi spingano qui nel cuore della notte?» fece, infastidita.
La donna, nonostante fosse pressoché piccola di statura e dall’aria bonaria, con quella lunga e morbida vestaglia, parve loro più spaventosa che mai.
Cos’avrebbero dovuto dire? Che scusante avevano?
Aisha pensò immediatamente di elaborare una scusa, anche la più sciocca, convinta che l’altra sarebbe stata al gioco. Ma era all’oscuro dell’incapacità più totale, da parte di Tecna, di mentire; e, soprattutto, non sapeva ancora quanto convenisse parlare con sincerità a Faragonda.
Eppure, come spiegare che né l’una né l’altra si fidavano del giudizio della loro preside? Che, anzi, non si fidavano delle sue intenzioni, delle sue parole?
La principessa fece per rispondere, ma l’altra le scoccò un’occhiata abbastanza rapida ed eloquente che la dissuase. Tacere, non fornire giustificazioni; nascondere quella piccola chiavetta nelle pieghe del pigiama.
«Non posso davvero credere che due studentesse della mia scuola – due ragazze come voi – siano state sorprese a rubare» fece, risentita. Guardava soprattutto in direzione di Tecna, colma di delusione e di incredulità.
Due sentimenti che la ragazza detestava, che non riusciva a sopportare; e Faragonda li rivolgeva a lei proprio perché lo sapeva. Ma ormai era fatta.
«Tornate immediatamente nelle vostre stanze, e non fatevi mai più trovare fuori dopo il coprifuoco!» esclamò, furibonda.
Per le due fate fu piuttosto difficile muovere le articolazioni e sbollire un po’ dell’imbarazzo che avevano provato. Raggiunti i dormitori, non si salutarono neppure.
Per tutta la mattinata rimasero in silenzio, a rimuginare sull’accaduto.
Tecna sedeva su uno dei divanetti dell’appartamento, sola, rintanandosi negli ultimi momenti di buio che quell’alba così forte si apprestava a squarciare.
Come aveva potuto essere così irrispettosa e sconsiderata?
In un tripudio di voci che urlavano ingiurie nella sua mente, iniziò ad immaginare mille scenari in cui Faragonda chiamava i suoi genitori, suo padre, la espelleva; immaginava il biasimo, la vergogna; e una grossa ferita iniziò a bruciare nel suo orgoglio.
Digrignò i denti, costringendosi a sopportare quel male che si meritava perché aveva cercato lei stessa. Doveva averle dato di volta il cervello.
Maledisse la sua curiosità eccessiva, quella strana e pessima abitudine ad impicciarsi in questioni che non la riguardavano.
Strinse forte tra le mani quella chiavetta che le restituiva un bagliore limpido ed il riflesso vago delle sue labbra sottili, distorte dal rimorso per ciò che aveva fatto.
Eppure, una piccola parte della sua mente sembrava suggerirle di aver agito per il giusto, per quella che era la parte umana e buona di lei, che voleva solo proteggere coloro che amava.
Sospirò, imponendosi di mantenere la calma.
Doveva ragionare senza lasciarsi prendere da tutte quelle emozioni che la stavano assalendo. Di certo, Faragonda non avrebbe espulso né lei né la principessa, per una cosa del genere.
Avrebbe sicuramente impartito loro una dura lezione e avrebbe avuto maggiore difficoltà a fidarsi delle sue allieve, ma la violazione della regola del coprifuoco non comportava nulla di grave come l’espulsione.
L’interrogativo centrale era rappresentato dalla questione del teleproiettore. Quel sigillo che entrambe avevano sottovalutato era in realtà una sorta di allarme che aveva avvertito la preside del loro tentativo di maneggiarlo.
Il fatto che fosse un sortilegio scagliato dalla donna e non incluso nella protezione dello stesso oggetto stava a significare che ella aveva voluto garantire che i suoi segreti non trapelassero; ma non si era preoccupata di aumentare drasticamente le misure di sicurezza, perché non aveva davvero creduto di avere alcun motivo per dubitare di chi viveva nella scuola.
Avrebbe iniziato a fare domande, e Tecna non avrebbe saputo come risponderle. Iniziò a pensare, a formulare possibili risposte che permettessero loro di non esporre eccessivamente le loro ragioni.
Ma non concluse nulla se non che fosse meglio, sopra ogni altra cosa, tacere.
L’interrogatorio non tardò ad arrivare e, come si aspettava, avvenne proprio quella stessa mattina, dopo l’ultima lezione della giornata.
Con aria seccata, l’ispettrice Griselda l’aveva presa in disparte intimandole di raggiungere Faragonda nel suo ufficio. Le sue amiche avevano cercato il suo sguardo preoccupate, chiedendo spiegazioni.
Le aveva rassicurate, dicendolo loro che avrebbe spiegato ogni cosa. In verità, avrebbe voluto evitare di farlo, di coinvolgerle.
E, in verità, pensò che avrebbe dovuto evitare di coinvolgere anche la principessa Aisha. Quando entrò nella stanza, lei era già lì.
Appena Tecna chiuse la porta, la preside sospirò. Si sfilò gli occhiali, prendendo a massaggiarsi le tempie, come a voler ricercare una ragione per cui intrattenere quella conversazione.
Si alzò, ponendosi esattamente di fronte a loro.
«Immagino possiate ben immaginare le ragioni che mi hanno spinta a convocarvi qui, oggi» iniziò, seria. Del suo solito tono gioviale non c’era più traccia. «Ho riflettuto molto, ragazze»
Fece una breve pausa, forse credendo che una delle due avrebbe detto qualcosa. Ma nessuna fiatò, nemmeno quando Faragonda si cimentò in un dettagliato resoconto di ciò che il regolamento scolastico ed il buon senso imponevano.
Non fiatarono nemmeno quando domandò ripetutamente loro le ragioni per cui si erano introdotte nel suo ufficio, appena qualche ora prima. Spiegarsi avrebbe implicato mandare a monte tutto, rendere la preside a conoscenza dell’esistenza di quei file che Tecna aveva già iniziato a scaricare e copiare sul suo computer principale.
Aveva deciso di andare fino in fondo, dal momento che avrebbe in ogni caso ricevuto una punizione che Faragonda non mancò certo di imporre loro.
«Una settimana di servizi per la scuola. E senza magia!» fece Aisha, una volta fuori di lì. «Non posso crederci»
«È stata sufficientemente clemente, nei nostri confronti» ribatté l’altra, invece. «Ma sa che nascondiamo qualcosa, ora. Avrà senz’altro un occhio di riguardo nei nostri confronti, ma al di fuori della scuola le sarà impossibile monitorarci»
«Vuoi dire…?»
Annuì. «Sto scaricando le conversazioni del teleproiettore. O almeno, ciò che siamo riuscite a copiare. Dovremmo avere quantomeno le conversazioni più recenti, ma temo che Faragonda possa osservare ogni nostro movimento, fino a che restiamo ad Alfea»
Come spiegò, il suo computer avrebbe impiegato del tempo per riuscire a recuperare i file, per la maggior parte corrotti. «Tra una settimana, quando avremo scontato la nostra punizione, ci sarà possibile consultare quelle conversazioni fuori di qui»
«Ho capito. Fino a quel momento forse è meglio che non ci facciamo trovare insieme troppo spesso, allora» ragionò Aisha, mentre camminavano. «Desterebbe sospetti, sarebbe piuttosto insolito»
Tecna annuì di nuovo, voltandosi di scatto, seguendo lo sguardo dell’altra. Bloom, Stella e Flora si dirigevano verso di loro, preoccupate; e, se da una parte si sentiva infastidita dall’idea che potessero fare domande – come sicuramente sarebbe accaduto – dall’altra avvertì come una fitta nel notare l’assenza di Musa.
Scrollò rapidamente quel pensiero dalla mente. «Non sono fatti miei, ma dovresti raccontare loro ogni cosa» fece Aisha, allontanandosi.
La vide salutare le ragazze con un gesto della mano ed un flebile sorriso sul volto. Adesso sarebbe iniziato l’interrogatorio.
«Che cosa è successo, Tecna? Perché la principessa Aisha era con te?» chiese Flora, allarmata.
Tutte e tre ascoltarono in silenzio il racconto, senza interromperla nemmeno una volta; perfino Stella non disse nulla. Mentre parlava, Tecna non poteva fare altro che tormentarsi segretamente su quali sarebbero state le loro reazioni.
Forse l’avrebbero biasimata anche loro? Ingenuamente, dimenticò di star parlando con quelle che avrebbe dovuto considerare amiche.
Perché Tecna era anche e soprattutto una creatura insicura, checché potesse sembrare. Non riusciva a concepire, come in realtà le fecero presente in seguito, di far parte di una squadra.
Non riusciva a concepire di poter condividere ogni singola cosa con loro. Proprio adesso, che Musa sembrava essersi decisa ad escluderla dal suo mondo per ragioni non del tutto chiare… lei aveva bisogno di supporto.
Aveva avuto la prova svariate volte di potersi aprire anche con chi le era sempre parso meno propenso all’ascolto. Lo aveva verificato appena l’estate precedente, no?
Sia Stella che Bloom l’avevano aiutata a riflettere su se stessa, sui suoi sentimenti confusi e su quel muro che impediva loro di identificarsi. Flora, poi…
«Se ci avessi parlato del tuo piano ti avremmo aiutata» fece la fulva, sorridendo. «Insomma… non credo che ci saremmo tirate indietro»
«Non avrei… saputo come domandarvelo» spiegò, distogliendo lo sguardo. «Dalle vostre parole… mi era parso di comprendere che la notizia suscitasse in voi contentezza, non sospetto»
Stella rise alla grossa. Erano nel cortile, sedute sul pozzo, e diverse studentesse si voltarono verso di loro, udendo quella fragorosa e gallinacea risata. «A me piace festeggiare il Soldì, ma non sono mica scema» fece. «È ovvio che ci sia qualcosa dietro ma… diamine, Tecna, a momenti non sono trascorsi nemmeno tre giorni! Non avevo ancora pensato ad investigare»
Tecna fece per replicare, ma dovette ammettere di essere sorpresa. Davvero era trascorso così poco?
Forse aveva trascorso troppe ore a rimuginare su quell’assemblea, e aveva perduto la cognizione del tempo. O forse aveva ritenuto di dover agire tempestivamente?
«Senti, è chiaro che Faragonda e gli altri vegliardi abbiano qualcosa da nascondere, ma in questo modo sapranno che noi lo sappiamo» ragionò ancora la principessa.
«La questione è proprio questa» disse lei, scuotendo la testa. «Non vogliono che noi sappiamo. Eppure, se ben ricordo, l’estate scorsa hanno domandato a noi di andare a recuperare informazioni sul talismano. Hanno affidato a noi il compito aiutare Vera, di svelare l’intera faccenda»
Si interruppe. Lo sguardo le ricadde istintivamente verso il grande porticato dove si era risvegliata in seguito a quella brutta maledizione che Darcy aveva scagliato su lei e Flora.
Faragonda e gli altri presidi non si erano quasi fatti scrupoli a richiedere l’aiuto dei loro studenti. Perché, dunque, tenerli all’oscuro di tutto, ora?
«Se non rientra nelle loro intenzioni renderci partecipi di quella che è la situazione, sta a significare che è particolarmente grave e che non ci reputano in grado di affrontarla» riprese. «Tuttavia, abbiamo dimostrato loro il contrario già in precedenza. O lo hanno rimosso?»
Tacque, e le altre con lei. Oltretutto, se anche Saladin e la Griffin erano coinvolti, forse il problema era comune a tutte e tre le scuole; o a tutta la dimensione, addirittura.
«Hai provato a pensare che, forse… loro non sono intenzionati a spiegarsi non perché non nutrano fiducia nelle nostre capacità, ma perché non… vogliono causarci altri problemi?» suggerì Flora. «Credo si rendano conto che, in ogni caso, abbiamo diciassette anni. Sanno che abbiamo già… sofferto molto per ragioni che dipendevano da loro. Sanno quanto abbiamo faticato e patito per combattere, per scavare nei ricordi di altre persone e trovarvi ugualmente il brutto. Forse non vogliono… che cresciamo troppo in fretta»
Le altre ragazze soppesarono quelle parole, con grande sorpresa. In effetti, nessuna di loro aveva lontanamente considerato la possibilità che la volontà dei professori fosse – come sarebbe sempre dovuta essere – quella di tutelare i loro studenti.
Allora, forse, riguardando dentro di sé alla luce di quel punto di vista, la scelta di indagare e di intromettersi non sembrava poi tanto corretta.
Eppure, quel che Faragonda non capiva, era che ormai era troppo tardi. Erano già cresciute troppo in fretta, e non solo loro quattro e Musa; ogni fata, strega o Specialista che avesse assistito o preso parte alla grande battaglia aveva perso qualcosa.
Tutti avevano affrontato la morte di qualche compagno; e ognuno aveva sofferto nel vedere stroncata la vita di chiunque si fossero trovati accanto, benché magari non lo conoscessero.
Quel che Faragonda non aveva realizzato era che nessuno di loro era e sarebbe più stato lo stesso, per quanto le cose avessero ripreso il loro solito corso. Tutto era già incrinato.
Ciascuna di loro quattro lo sapeva bene, ma nessuna ebbe la forza di muovere quell’obiezione così carica di trascorsi dolorosi alle spalle.
«Beh…» fece Stella, per smorzare l’assordante silenzio che era calato tra loro. «Che cosa vi ha detto?»
Tecna si strinse appena nelle spalle. «Ha tentato in ogni modo di comprendere il motivo del nostro comportamento, ma se avessimo parlato si sarebbe premurata di privarci della chiavetta» raccontò. «Una settimana di servizi pomeridiani per la scuola. Senza l’ausilio della magia, naturalmente»
«Che originale…» commentò la bionda, schiacciando quell’informazione con una mano. «È vecchia, questa punizione. Non si ricorda di averci dato bene o male la stessa, l’anno scorso?»
«Non è esattamente la stessa cosa, Stella. Loro dovranno farlo ogni pomeriggio, senza poter nemmeno trovare il tempo per studiare o altro» fece notare Bloom. «Senza contare che sono in due. È una punizione piuttosto tosta… potremmo aiutarvi noi e…»
La zenithiana scosse il capo. «Faragonda lo verrebbe senz’altro a sapere. D’ora in poi monitorerà me e la principessa con particolare attenzione» considerò. «Ma non rappresenta un problema»
Ciò che contava era che non scoprisse il resto del piano. Sì, sarebbe riuscita a tenerlo segreto, anche a costo di ricevere altre punizioni.
Perché questa volta… questa volta i presentimenti – il sesto senso di cui tanto parlava Bloom – proiettavano nella sua mente orribili immagini.
Si alzò dal bordo del pozzo, incamminandosi verso le scale del portico.
«Dove stai andando, Tecna? È quasi ora di cena» fece Flora, dando uno sguardo al cielo appena più cupo.
«…A disattivarmi nella mia stanza»
 
I’m not saying right is wrong
It’s up to us to make
The best of all the things that come our way
Oasis, The Masterplan
 

Sì, lo so: avrei dovuto pubblicarlo domani ma, visti battesimi e ricevimenti vari (uffi), anticipo ad oggi… chissà se riuscirò a rispettare la tabella di marcia, prima o poi…
Faragonda non ha molta fantasia, per quanto riguarda le punizioni… ma non finisce qui!
Non so se nello strano circolo Fonterossa-Alfea-Torrenuvola siano mai state date simili feste (anche se non credo, date le festicciole barbosamente divertenti alla fine di ogni anno scolastico, che coinvolgono tutto l’istituto), ma mi piaceva il senso di segretezza e cameratismo che si instaura tra quelli che partecipano a questi eventi mondani.
Ah, l’idea dei colloqui con i genitori l’ho ripresa dai fumetti, mi sembrava carina!
Precisazioni circa i nuovi personaggi…
Su Looma: non mi sembra sia mai comparsa nel cartone, ma nel videogioco c’era e mi stava particolarmente simpatica (in più era utile ed aveva davvero allestito una specie di boutique nel suo appartamento), perciò ho deciso di ripescarla anche per motivi che verranno svelati in seguito e che riguardano gli altri due.
Alan: lo avevo introdotto nella precedente storia come lo Specialista di cui Tecna, per non accennare a quell’ambigua… cosa tra lei e Brandon, aveva detto di essersi invaghita. Ovviamente le cose non sono mai state così, sia perché Alan è una vecchia suocera, sia perché… beh, lo scoprirete.
Dulcis in fundo, Sem: mia croce e mia delizia. Non spaventatevi: in realtà è un tenerone.
Tecna sarebbe un hacker perfetto, lo so. È solo giovane ed inesperta.
Bene; credo sia ora che mi dilegui.
Alla prossima – ovvero, ottimisticamente parlando, il primo di ottobre!
7th
  
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