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Autore: cristal_93    17/09/2017    2 recensioni
[Alcuni di questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di di Cassandra Clare. La storia è ambientata tra il terzo e il quarto libro di The Mortal Instruments. *Spoiler * da Cronache di Magnus Bane e Le Origini. La protagonista e, più avanti, anche altri personaggi, appartengono a me in qualità di Original Characters; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro]
A Brooklyn, dimora di una delle più grandi concentrazioni di Nascosti del mondo, presto farà la sua comparsa una ragazza proveniente dal lontano Oriente. Il suo nome è Yumi, ed è una strega, figlia di un demone e di un umana, ma è diversa da tutti i suoi simili, e nasconde un grande segreto. Ha viaggiato in lungo e in largo per molto tempo prima di raggiungere la Grande Mela, dove vive l'unica persona in grado di aiutarla. Ma la meta, pur essendo così vicina, in realtà è ancora molto lontana. E Yumi si ritroverà a combattere una dura battaglia, sia contro sè stessa, in cui dovrà scegliere se rivelare il proprio segreto o andare contro i propri principi morali e contro il proprio passato.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Catarina Loss, Magnus Bane, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Non è possibile avere sempre tutto sotto controllo…
Ci sono le emozioni… e quelle non le controlla nessuno.

Luana Donati
 
 
Mentre Magnus dormiva un sonno agitato sulla poltrona di casa propria e Alec vagava senza meta per le vie di New York, al Beth Israel Hospital si aggirava qualcuno con la luna storta e i nervi talmente a fior di pelle che sarebbe bastato soffiare per ritrovarsi sul letto di morte, peggiorando ulteriormente quella che ormai era chiaro fosse una palese giornata del cavolo, una di quelle in cui le cose che succedevano erano destinate solo a peggiorare ogni volta più della precedente, mai a migliorare.

Per colpa del contrattempo all’Istituto, Yumi era arrivata in ritardo al colloquio, causa per cui il direttore non aveva voluto sentire ragioni e l’aveva messa alla porta senza neanche dirle “buongiorno”. Yumi non era riuscita a trattenere la lingua, al che l’uomo le aveva intimato di non farsi più vedere, o avrebbe chiamato la polizia. La ragazza allora era uscita dall’ufficio sbattendo la porta violentemente e se n’era andata pestando i piedi così forte che, se fosse stata un certo gigante di sua conoscenza, il suo passaggio sarebbe stato contrassegnato da profondi solchi sul pavimento.

Lui però non avrebbe mai reagito in quel modo, avrebbe saputo gestire Maryse e il direttore con calma e razionalità, cercando di ragionare civilmente senza dare in escandescenza e ricorrere alle maniere forti e senza andarsene camminando come un gorilla a cui avevano rubato le banane da sotto il naso e ora batteva furibondo la strada palmo a palmo per stanare il ladro e fargli passare un brutto quarto d’ora come invece stava facendo lei. Se fosse stato presente, poi, l’avrebbe anche rimproverata e provato a farla ragionare, ma nemmeno lui sarebbe riuscito a calmare la ragazza, che ora voleva solo uscire da lì, tornare al suo appartamento e restarci anche tutto il giorno, magari affogandosi sotto la doccia sperando che avrebbe spento il furore che le bruciava dentro prima che potesse divampare e alimentare il potere della Tigre, facendole prendere il sopravvento sull’umana e trasformandola definitivamente in una belva assettata di sangue.

Era stato un errore andare comunque al colloquio, e se le fosse rimasto un briciolo di buonsenso avrebbe chiamato il direttore dell’ospedale per disdire l’appuntamento e poi si sarebbe rintanata nella sua stanza cercando di calmare i propri bollenti spiriti, magari passando tutta la giornata a fare yoga e tagliando fuori il resto del mondo, uscendo solo quando sarebbe stata certa di non essere una bomba a orologeria pronta a esplodere da un momento all’altro. Questo sarebbe accaduto se avesse avuto abbastanza lucidità… invece era andata all’incontro come da programma, ferita e collerica, e aveva pure rischiato di mettere in pericolo il direttore.
Se l’uomo avesse saputo a che genere di pericolo era scampato, non sarebbe stato così maleducato e sicuramente sarebbe anche morto di paura. Era fortunato però ad essere ancora vivo: una tigre arrabbiata in sé è molto pericolosa, ma se oltre a questo è anche ferita, allora lo diventa ancora di più. Fortunatamente le sue parole non avevano aggravato il dolore già intenso che la ragazza provava, le avevano solo dato fastidio, ed era per questo che Yumi aveva reagito in modo così venale, invece di esagerare come di suo solito.

Ciò che aveva detto il direttore non era stato nulla, nemmeno la puntura di un insetto, niente di neanche lontanamente paragonabile alla sofferenza che le parole di Maryse le avevano causato. Era un bene che non avessero avuto lo stesso effetto né portato alle stesse conseguenze: un conto è avere a che fare con persone che grosso modo sanno chi sei e cosa sei in grado di fare, un altro invece è avercelo con individui che non immaginano neanche nei loro incubi più remoti chi tu sia davvero e perciò si sentono al sicuro perché certi che non ci sia nulla da temere con te e che basti minacciarti di ricorrere alla legge per tenerti a bada.
Alle volte Yumi provava pietà per i mondani: vivevano nella menzogna, erano ciechi e sordi, non sapevano quali fossero le cose davvero importanti della vita, si disperavano o generavano i loro problemi da cose inutili.

Nonostante ciò, la violenza non era la soluzione giusta per risolvere i problemi, anche se la sua non voleva essere violenza quanto più che altro dimostrazione che lei non era un animale in gabbia, una schiava della società che si piegava alle sue regole senza obiettare.
Che lo volesse o meno, però, era così che funzionava nel mondo degli uomini, e anche se era da anni che lasciato quello animale per andare a stare in mezzo alle persone, non si era mai sentita davvero parte integrante della civiltà, e mai lo sarebbe diventata.

Questo purtroppo le causava non pochi problemi, e lei si ritrovava costantemente in conflitto con sé stessa e con il resto del mondo. Ciononostante, non avrebbe rinunciato a essere quello che era e mai avrebbe mai cambiato il proprio modo di fare o di vivere, sarebbe stato come tagliare le ali ad un uccello e insegnargli a vivere sulla terraferma, la sua vita sarebbe stata costellata da una sofferenza tremenda e lei sarebbe morta giorno dopo giorno fino a spegnersi del tutto. Era anche vero però che non poteva continuare così in eterno, prima o poi si sarebbe dovuta decidere a imparare a controllarsi per davvero, non era detto che sarebbe sempre finita senza vittime, un giorno all’altro sì che il suo temperamento avrebbe portato a guai irreparabili, e non avrebbe potuto accusare nessuno se non sé stessa.

Avere intorno a sé persone che le volevano comunque bene nonostante fosse così e cercassero costantemente di venirle incontro e aiutarla era al tempo stesso una benedizione immensa e una gran maledizione: era più che felice di averle, ma siccome era piuttosto orgogliosa non accettava davvero di farsi aiutare, e la faceva soffrire pesare su di loro in questa maniera e costringerli a sopportarla, si sentiva costantemente in colpa quando aveva uno dei suoi scatti d’ira e loro se ne ritrovavano coinvolti. L’amore non risolveva tutto, era certa che, come ogni cosa, anche questo avesse un limite, e che un giorno persino lei l’avrebbe valicato, causando sofferenze a coloro che amava e spingendole definitivamente ad allontanarsi da lei. Non li avrebbe fermati: se questo avesse voluto saperli al sicuro, allora non avrebbe fatto niente per impedirlo, preferiva stare da sola piuttosto che permettere che altri soffrissero a causa sua, anche a costo di condannarsi alla solitudine in eterno. Anche in quel momento non ambiva ad altro se non ad estraniarsi dal mondo intero e non avere a che fare con niente e nessuno per un bel po', prima di aggravare ulteriormente una condizione da codice rosso.

Nemmeno con Ryuu voleva farlo, ma neanche lui sembrava intenzionato a farsi sentire: da quando erano usciti dall’Istituto si era rintanato dentro Yumi e non ne era più uscito, non aveva dato sentore della propria presenza e non si era neanche sforzato di farlo, così come non aveva provato a convincerla a non andare al colloquio e a non parlare in quel modo al direttore.
Per il momento Yumi riteneva fosse meglio così, sarebbe stato più semplice cercare di riordinare le idee senza il peso del suo sguardo accusatore addosso, anche se sapeva di non poter protrarre quel mutismo a oltranza. Si accorse a malapena di essere arrivata davanti al portone d’ingresso e di aver inconsciamente deviato verso una sezione addossata al muro composta da una fila di traballanti sedie di plastica sbeccate, crollandovi sopra come una bambola a cui era finita la carica.

Si prese la testa tra le mani: come mai non faceva in tempo a tirare un sospiro di sollievo perché certa di essere finalmente riuscita a imparare a controllare le proprie emozioni che bastava distrarsi un secondo per ritrovarsi di nuovo punto e capo? Si sentiva sopraffatta: era furiosa, ansiosa, preoccupata e dispiaciuta al tempo stesso. Furiosa con Maryse per aver detto quelle cose e averla portato ad un passo dal farla uscire di senno; furiosa con Magnus, che invece di appoggiarla aveva cercato in ogni modo di zittirla; ed era furiosa anche con Ryuu per aver sostenuto lo stregone invece che lei. Oltre che arrabbiata, però, si sentiva anche ferita se ripensava a come aveva ridotto Maryse, allo sguardo carico di rabbia con cui Alexander l’aveva guardata e ancor più a quello riflesso negli occhi di Magnus.
A dir la verità, Yumi era grata Magnus per aver cercato di fermarla, e sapeva che anche Ryuu lo aveva fatto per il suo bene… ma questo non le impediva di sentirsi arrabbiata con loro, soprattutto con lo stregone.

Da quale parte stava, da quella degli Shadowhunters o del mondo Nascosto? Aveva cercato di impedirle di dire cose di cui si sarebbe potuta pentire, ma per cosa e per chi l’aveva fatto? Per arrestare sul nascere un nuovo genocidio o solo per salvare la faccia davanti ad Alexander che, tra parentesi, Yumi non aveva mancato di vedere confuso quando lei aveva espresso quella che era l’indiscutibile verità del Mondo Invisibile? Era abituata al fatto che era come se i Cacciatori provenissero da un’altra dimensione invece che appartenere al mondo terrestre come tutti loro, ma davvero Alexander aveva avuto gli occhi e le orecchie foderati di prosciutto fino a quel momento e non si era mai reso conto di quelle cose? Come poteva avere una relazione con uno stregone se nemmeno era a conoscenza di ciò che lo riguardava? E Magnus? Era succube di quello Shadowhunter o manteneva intatta la propria autonomia?

Sarebbe stato però meglio smettere di chiederselo e soprattutto di avere a che fare con lui: se i loro incontri erano condannati a dover essere sempre contornati da Shadowhunters (di cui uno era pure l’amante di Bane ) e da conseguenti scontri con questi ultimi allora preferiva non rivederlo mai più piuttosto che gettare ulteriormente in crisi il suo rapporto con Alexander e quello tra quei Nephilim e i loro genitori. Non aveva mai avuto quest’intenzione, non aveva desiderato altro all’infuori di non fare da zerbino a Maryse… però aveva comunque creato scompiglio, anche se, a quanto pareva, aveva solo gettato benzina su un fuoco già impetuoso che era l’ostilità che i suoi figli sembravano provare per lei. Yumi aveva solo detto come stavano le cose, erano parole che quei ragazzi avrebbero potuto sentirsi dire da chiunque, non era colpa sua se ora quella Cacciatrice si ritrovava i propri figli contro solo perché non era in grado di accettare la realtà e aveva mentito loro per cercare di nasconderla.

Yumi non era pentita di quello che aveva detto: si pentiva chi aveva capito di aver parlato a sproposito, ma lei era assolutamente sicura di ciò che aveva detto e non si sarebbe mai rimangiata la parola. Era meglio che una cosa del genere non accadesse mai più, ma per quanto le sue azioni avessero portato a conseguenze alquanto dannose, non era l’unica ad avere torto, e non avrebbe di certo implorato perdono. Prima di qualunque altra cosa però sarebbe stato meglio calmarsi per essere certa che a parlare non fosse la rabbia ma il suo buonsenso. Purtroppo era difficile cercare di raffreddarsi a comando, questa volta in particolare poi sentiva che lo sarebbe stato anche più del solito, e l’odore di disinfettante e malattia che alleggiava non aiutava affatto.

« Salve ».

Yumi alzò la testa e vide una giovane donna in camicia da notte sorriderle cordialmente.

« Le dispiace se mi siedo qui? » le chiese indicando il posto accanto al suo.

Non ti conviene, umana pensò Yumi, ma ciononostante la invitò ad accomodarsi con un cenno e la donna si sedette faticosamente. Yumi la guardò cauta incrociando le braccia e stringendo la stoffa tra le dita.

« Tutto bene? » chiese la sconosciuta.

« Sì, certo, perché? »

« Bè, si è ritratta come se volesse evitare un contagio. Sono solo incinta, non ho mica preso la malaria, sa? ».

Yumi abbassò gli occhi sulla pancia della donna e vide che era effettivamente piuttosto prominente. Dimenticò all’istante i propri timori e si avvicinò: con occhio esperto valutò che doveva essere all’ultimo mese di gravidanza. Lei intercettò il suo sguardo e sorrise.

« Ormai manca veramente poco, è questione di giorni » disse accarezzando con dolcezza la pancia.

Yumi sorrise con affetto portandosi istintivamente una mano sul ventre piatto: come strega non poteva avere figli propri, ma lei non ci aveva mai davvero sofferto troppo. Non le serviva certo avere la capacità di procreare per avere figli, ma anche se ce l’avesse avuta, non avrebbe mai concepito eredi del proprio sangue: non si sarebbe mai perdonata se avesse rovinato la vita di un essere innocente gravandolo del fardello con cui conviveva da tutta la vita. Si era però chiesta spesso come dovesse essere avere questa piccola vita che cresceva dentro di te, diventare responsabile di entrambi e stare attenta a tutto quello che facevi perché potevi inavvertitamente nuocere anche al bambino.

Le piacevano i bambini, ancor più i neonati, quelle creature così fragili e indifese, ancora incapaci di intendere e di volere, che non conoscevano ancora la felicità o la sofferenza, sempre bisognose di qualcuno che le accudisse, che era difficile non amare e sentire il bisogno di proteggerli a qualunque costo, che era bello guardare e chiedersi quale sarebbe stato il loro futuro e che genere di persona sarebbero diventati una volta persa la loro innocenza ed essere venuti a conoscenza della durezza della vita. Certo, la loro nascita causava molte sofferenze alla madre, però alla fine ne valeva la pena e venivano bene accolti e amati fin dal primo istante.
Era anche vero, però, che non tutti i neonati erano così fortunati … Guardò soprappensiero il bracciale di conchiglie e ci passò sopra il pollice: il dolore non scompariva mai del tutto, non importa quanto felice possa essere la tua vita o di quante persone che ti amano tu sia circondato.

Preoccupati piuttosto di problemi presenti invece di perdere tempo a crucciarti del passato!! esclamò una fastidiosa vocina nella sua testa che le ricordò in maniera terrificante quella del suo maestro. Era incredibile come un rompiscatole potesse rimanere tale anche dopo essere deceduto, ed era strano anche per lei che aveva a che fare coi fantasmi ogni giorno. Purtroppo però c’erano fantasmi che nemmeno lei poteva far sparire, e temeva che quello del suo maestro sarebbe rimasto a darle il tormento in eterno senza alcuna possibilità di appello … non che fosse stato poi tanto diverso quando lui era ancora in vita….

« Si sente bene? » disse la donna, portandola a rendersi conto di essere rimasta a fissare la sua pancia come un’ebete.

« Sì, mi scusi… » mormorò.

L’altra sorrise.

« E’ maschio o femmina? » chiese Yumi cercando di rimediare alla figura.

« Non lo so ancora, voglio che sia una sorpresa… » mormorò tristemente la donna.

Yumi aggrottò le sopracciglia perplessa: com’è che tutt’un tratto era diventata malinconica? La guardò meglio e si accorse che era davvero giovane, doveva avere giusto diciotto o diciannove anni.

« Ho detto qualcosa di sbagliato? ».

La giovane alzò lo sguardo.

« No, perché pensa questo? »

« Fino ad un attimo fa stava sorridendo, e ora invece… » si giustificò Yumi alzando le spalle.

L’altra sorrise di nuovo.

« Non ha detto niente di male, si figuri, solo… »

« Solo? ».

La ragazza si fece pensierosa.

« Posso darti del tu? Non mi sembri poi tanto più grande di me ».

Yumi annuì col capo. L’altra sorrise ancora, poi però ridivenne triste e posò una mano sul ventre.

« Sono rimasta incinta per caso » .

E questo spiega tutto pensò Yumi, provando pena per quella ragazza così giovane che era stata caricata all’improvviso di un impegno così importante che le avrebbe cambiato per sempre la vita annullando tutti i sogni e i progetti che aveva pianificato di realizzare.

 « Un’uscita con le amiche di nascosto… i miei genitori mi avevano messo agli arresti domiciliari perché la mia media aveva subito delle ripercussioni, ma erano le vacanze invernali, volevamo godercele appieno… insomma, niente di strano disobbedire ai genitori, l’abbiamo fatto tutti almeno una volta nella vita, no? »

Come no, solo che i miei hanno capito presto che con me era impossibile spuntarla… pensò Yumi mordendosi le labbra ma annuendo.

« Sì, insomma…siamo andate a divertirci in discoteca » .

Le orecchie  di Yumi si rizzarono , lei assottigliò gli occhi e si sporse in avanti come se avesse appena fiutato un pericolo: discoteche voleva dire molta gente, molta gente voleva dire ragazze adolescenti, ragazze voleva dire facili prede per i demoni, che consideravano quei posti come il loro paradiso per prendersi la virtù di mondane totalmente ignare del pericolo a cui avrebbero potuto andare incontro. Certo, non era detto che una ragazza rimasta incinta dovesse per forza di cose essere stata violentata da un demone, però…

« Non so, forse abbiamo bevuto troppo … ma è strano, perché non era la prima volta che lo facevamo… forse abbiamo alzato troppo il gomito o qualcuno ci ha corretto il drink… » strinse forte le mani sulle ginocchia.

« Non ricordo quasi niente di quella notte… non so nemmeno come sono riuscita a tornare a casa… so solo che, dopo qualche tempo ho iniziato a star male… e ho scoperto di essere incinta ».

Yumi non ce la fece più a trattenersi:

 « Scusa, posso chiederti una cosa? »

« Dimmi ».

« Hai mai… sognato o visto cose particolari da quando sei rimasta incinta? ».

L’altra sbatté le palpebre, perplessa da quella strana domanda.

« Bè… » disse. « Sì ».

I sensi di Yumi si acuirono e lei si sporse in avanti pronta ad aspettarsi il peggio.

« Ho sognato di essere al ballo di fine anno vestita da clown con una parrucca rinascimentale che mi rendeva la testa pesante come il casco di un palombaro. Avevo anche due scarpe di tre taglie più grandi, in cui inciampavo di continuo e per cui sono finita addosso al banco del rinfresco e mi sono ritrovata imbrattata di punch e salatini come un albero di Natale, e tutti intorno a me non facevano altro che ridere ».

Yumi quasi cadde dalla sedia, ma riuscì a stabilizzarsi appena in tempo ed evitare una figuraccia. La ragazza continuò a raccontare ignara della reazione della sua vicina.

« Una volta ho sognato addirittura di essermi tuffata in una torta gigante fatta di panna montata, crema e ciliegine candite, che poi però si è trasformata in una puzzola e ha rilasciato un gas pestilenziale che mi ha fatto piangere e mi ha dato la nausea, e il giorno dopo era così scossa che non ho toccato cibo. Quando mi sono ripresa ho saccheggiato il frigo mangiando dolce e salato mischiato insieme senza far caso alle combinazioni di sapori, poi però ho passato la notte a vomitare e credo di aver rimesso anche l’anima. Ah, e c’è stata quella volta- »

« Va bene, ho capito, i normali scherzi della gravidanza » la interruppe Yumi, quasi sforzandosi di sorridere ma ringhiando mentalmente dentro di sé: aveva lasciato che il suo istinto prendesse il sopravvento e aveva subito presupposto il peggio che per fortuna peggio non era, ma era troppo sconfortata per sentirsi sollevata di essersi presa una paura inutile.

« Dici che è normale nelle mie condizioni? »

« Più che normale, così come lo sarebbe stato desiderare un doppio cheeseburger con ketchup e maionese ricoperto di panna montata e liquore alla fragola o un kebab di pollo, gelatine di frutta e miele d’acacia ».

« Bè, una volta ho mangiato cetrioli affogati nello sciroppo d’acero con salsa di soia e granella di cioccolato, conta lo stesso? ».

« Sì… » rispose debolmente Yumi, pensando con disgusto al sapore che una cosa del genere avrebbe potuto avere e chiedendosi come potesse essere risultata commestibile, altro che passare la notte china sulla tazza del cesso.

La giovane ridacchiò.

« Se i miei sogni fossero stati la realtà, penso che sarei morta di vergogna, te li immagini i parrucconi che indossavano allora gli uomini e le donne? Davvero ridicoli, ma che razza di idee avevano gli stilisti di un tempo, erano stati cresciuti dalle scimmie? Quale mente sana penserebbe che andare in giro con un casco di banane fatto di peli sia il modo migliore per “fare tendenza”? E il  modo in cui si truccavano, poi? Inguardabile, sembravano l’accozzaglia di un’opera di un truccatore da film dell’orrore.  Io penso che morirei dal ridere se solo mi trovassi davanti qualcuno così incipriato e con venti chili di puzzolente parrucca di cavallo sulla testa » disse ridendo di gusto.

Yumi non poté fare altro che sorridere debolmente, preoccupandosi quando l’altra smise di ridere e riprese a raccontare la sua storia.

« Quando ho capito di essere incinta, ci ho messo un po' a riprendermi e a raccontare la verità ai miei genitori ».

Iniziò a tremare, e Yumi le mise spontaneamente un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé.

 « Che stai facendo? » esclamò la ragazza, stupita.

« Stai tremando come foglia, al tuo bambino verrà il mal di mare con tutti questi scossoni » rispose Yumi con uno sbuffo.

L’altra sbatté le palpebre perplessa, poi però sorrise e si accomodò meglio contro la spalla della strega, che le massaggiò la schiena e le braccia.

« Quando hanno saputo del fattaccio, i miei mi hanno subito intimato di abortire » proseguì stringendo la camicia tra le dita. « Io però… non ho avuto il cuore di farlo. Ho… preferito tenerlo e…deciso di darlo in adozione quando nascerà. Anche se io… io… ».

« … tu in realtà vorresti tenerlo ma preferisci farlo adottare perché pensi che sia la cosa migliore per lui? ».

La giovane la guardò stupita, ma annuì.

« Sì… voglio che sia felice… anche se fa male. Io… sono sua madre, ma lo sto allontanando come se non me ne importasse niente… e vorrei che si ricordasse di me, ma al tempo stesso non lo vorrei perché non voglio che cresca col dolore di essere stato abbandonato da sua madre…sono una persona orribile… ».

Nascose il viso tra le mani e scoppiò in singhiozzi. Yumi prese un pacchetto di fazzoletti di carta dalla borsa e gliene porse uno. Lei lo prese e si asciugò gli occhi, e Yumi allora la girò completamente e la obbligò a guardarla.

« Tu non sei affatto una persona orribile » disse con serietà. « Tu non stai dando tuo figlio a qualcun altro perché lo odi e non lo vuoi nella tua vita, ma è perché lo ami e vuoi solo che viva felicemente e non gli manchi niente. Se non te ne importasse davvero avresti abortito il primo giorno, o, nel peggiore dei casi, l’avresti abbandonato a sè stesso; invece sei qui per lui, hai sempre e solo pensato al suo bene da quando ha iniziato a crescere dentro di te.
Tu sei molto più degna di essere considerata una madre di molte altre donne più grandi di te, nessun figlio potrebbe mai vergognarsi di avere una mamma come te ».

La giovane la guardò con gli occhi spalancati.

« Dici… che… al momento giusto… saprà perdonarmi? ».

Yumi chiuse gli occhi qualche secondo e prese un respiro profondo, poi le prese le mani.

« Questo, purtroppo, solo il futuro potrà svelarlo. Se tuo figlio sarà in grado di perdonarti o meno dipenderà da lui. Tu però non dovrai dimenticare che quello che hai fatto non è stato per paura ma solo per il suo bene. E sperare che un giorno lui possa accettarlo e accoglierti nella sua vita ».

La giovane guardò Yumi commossa e l’abbracciò di slancio.

« Grazie! » .

« E di che? » disse Yumi staccandola delicatamente da sé. « Non ho detto niente di speciale ».

L’altra scosse la testa.

« Sei l’unica che finora mi abbia mai parlato in questo modo; nemmeno i miei genitori l’hanno fatto, mi hanno trattato come se fossi un fastidio di cui non vedevano l’ora di liberarsi e che quello che mi è successo sia la peggiore disgrazia al mondo. Tu invece non mi hai giudicata, mi hai ascoltata e confortata. Grazie, grazie di cuore » disse prendendole le mani e sorridendole tra le lacrime.

Yumi ricambiò con una smorfia: era una strega potente, sarebbe stata in grado di ridurre in cenere una foresta con un solo cenno della mano… ma a lei sembrava di compiere magie non tanto quando scacciava demoni o faceva comparire oggetti dal nulla quanto più che altro quando riusciva ad aiutare qualcuno semplicemente parlandogli. Preoccuparsi del dolore di qualcun altro, poi, era un toccasana per distrarsi dal proprio, e ora si sentiva meglio; non si era ancora ripresa del tutto, ma era già un miglioramento. Ora però sarebbe stato meglio levare le tende prima che la situazione potesse sfuggirle di mano.

« Lieta di averti aiutato » disse alzandosi. « Ora però devo proprio scappare ».

« Ciao allora, e grazie di nuovo » la salutò l’altra sorridendo.

Yumi sorrise in risposta e si avviò verso l’uscita. Mentre però stava per varcare la soglia, lottando nel contempo per liberare i capelli dalla morsa dell’elastico che li teneva imprigionati sopra la sua testa, un urlo alle sue spalle la ghiacciò sul posto e la fece voltare e precipitare verso la fonte come una scheggia: la ragazza con cui si erano appena salutate era riversa a terra in posizione fetale, il corpo attraversato da violenti spasmi e un’enorme pozzanghera rossastra che si stava allargando sul pavimento sotto le sue gambe. O demoni dell’Inferno, il bambino sta nascendo! Yumi slittò sul pavimento fino ad essere al suo fianco, si tolse velocemente la giacca e l’avvolse intorno alla borsa, poi voltò delicatamente la giovane di schiena e gliela mise sotto la testa.

« Aiutami… » la supplicò lei terrorizzata, poi urlò e s’inarcò violentemente.

« Puoi contarci » disse Yumi, e si tirò su le maniche della camicia.

« Non statevene lì impalati, andate a chiamare qualcuno! » intimò ai presenti, che però non sembrarono molto propensi ad eseguire quella richiesta.

« Muovetevi! » urlò, anche se il suo urlo fu più simile ad un ruggito, e forse fu proprio questo a spingere qualcuno a disfossilizzarsi e a correre verso la segreteria, mentre gli altri restarono paralizzati dallo stupore, senza dire né fare niente, neanche allontanare i curiosi che si erano avvicinati e avevano tirato fuori i cellulari riprendendo la scena in corso.

Yumi però se ne accorse e sbraitò:

« Mettete immediatamente via quei telefoni prima che ve li prenda e ve li ficchi lì dove non batte il sole! ».

Quelli obbedirono terrorizzati, e la Nascosta si voltò nuovamente verso la ragazza, cercando di calmare lei e al tempo stesso la furia della Tigre che imperversava nel proprio animo; ora più che mai era in assoluto il momento meno opportuno per concederle l’ora d’aria. Imprecando tra i denti, Yumi prese la giovane per le spalle.

« Ehi. Ehi, apri gli occhi, guardami! ».

Lei lo fece respirando affannosamente.

« Ora ascoltami: dovrai fare tutto quello che ti dirò, d’accordo? ».

La giovane annuì di nuovo. Yumi allora  si tolse la cintura e gliela mise in bocca.

« Mi raccomando, stringi più forte che puoi ».

Lei eseguì, strizzando gli occhi quando una nuova contrazione la colse alla sprovvista.

« Cerca di allargare le gambe e tenerle aperte il più possibile » .

Mentre lo diceva, Yumi si posizionò e gliele allargò lei stessa, poi le tolse la biancheria e sollevò l’orlo della camicia da notte, ma proprio mentre stava per avvicinare le mani all’intimità della ragazza, qualcuno spinse via le sue braccia.

« Cosa credi di fare?! ».

Yumi si girò e si ritrovò di fronte ad un’infermiera piuttosto minuta dalla pelle scura che la guardava come fosse stata un vagabondo colto sul fatto mentre cercava di scippare una vecchietta.

« Sto eseguendo una posizione del Kamasutra, a lei cosa sembra che stia facendo?! » esclamò spingendola via con un braccio.

Quella non demorse e la prese per le spalle.

« Togliti di mezzo! ».

« Togliti tu di mezzo, perché non vai a raggiungere i tuoi colleghi minorati? Rimanete pure imbambolati come deficienti a godervi lo spettacolo, i popcorn li offro io! » esclamò scrollandosela di dosso.

La donna però le si aggrappò di peso sulla schiena e cercò di trascinarla via.

« Credi forse che questo sia un Luna park?! O che questa ragazza sia la possibilità di poter giocare all’Allegro Chirurgo usando un personaggio a grandezza naturale?! ».

Yumi perse la pazienza e la spinse con forza, buttandola a gambe all’aria.

« Non sottovalutarmi » sibilò . « Mi stai solo facendo perdere tempo, e se continuerai ad insistere, io… » ma la voce le morì in gola quando mise una mano sul ventre della giovane donna.

Temendo di aver sentito male si tolse il guanto e toccò la pancia da sotto il vestito direttamente sulla pelle, ma servì solo a confermare i suoi timori e a farla impallidire.

« E’ dalla parte sbagliata… ».

« Cosa? ».

« Il bambino ha la testa dalla parte sbagliata, non è rivolto verso la vagina! ».

L’infermiera strabuzzò gli occhi e si trascinò vicino a Yumi mettendo una mano sul ventre della paziente, ma quando capì che la ragazza non aveva preso un abbaglio, iniziò a impallidire anche lei.

« Bisogna portarla in sala operatoria! ».

« Al diavolo, non c’è tempo! » esclamò Yumi, e mise entrambe le mani sulla pancia della donna, una all’altezza della testa del bimbo e l’altra all’altezza del suo sederino, massaggiando e cercando di fargli cambiare posizione.

Con enorme sollievo, il piccolo si mosse, ma sua madre si agitò ancora di più e iniziò anche a piangere.

« Cerca di resistere, andrà tutto bene » la rassicurò Yumi, mordendosi però le labbra: era una manovra delicata e molto dolorosa, quei due rischiavano di non farcela, ma non aveva altra scelta se non continuare e sperare per il meglio.

« Ma tu… » mormorò l’infermiera, ma Yumi la guardò con occhi di fuoco.

« Possiamo rimandare le stronzate a dopo o devo portarle thè e pasticcini?!  ».

La donna si riscosse e assunse un’espressione imperturbabile. Senza dire altro, si mise in ginocchio tra le gambe della giovane, che non aveva smesso un attimo di contorcersi, e mise entrambe le mani all’altezza della sua intimità  tenendole aperte le gambe coi gomiti.

Continuando a incitare la madre a non smettere di spingere, Yumi direzionò e mantenne il neonato verso la giusta via, mordendosi le labbra ogni volta che sentì i gemiti di sofferenza della madre, ma senza perdere la concentrazione e spronandola a non mollare e a mettercela tutta. Ci volle un bel po', ma la testa del piccolo alla fine fece capolino. Yumi e l’infermiera si scambiarono uno sguardo d’intesa che non servì tradurre in parole: Yumi tolse le mani dal ventre della madre e le sollevò la testa facendogliela appoggiare sulle proprie gambe in modo che fosse più sollevata da terra e le strinse forte le mani; con cautela, l’infermiera prese tra le mani la testolina minuscola del neonato, accompagnandolo con estrema delicatezza mano a mano che usciva dal corpo della donna finché, con un’ultima spinta e un grido soffocato di quest’ultima, il piccolo venne finalmente alla luce urlando a pieni polmoni.
Sua madre sputò la cintura e respirò con affanno, mentre le due donne quasi crollarono sul pavimento per il sollievo di avercela fatta. Yumi appoggiò con delicatezza la testa della ragazza per terra e le accarezzò i capelli sudati.

« Sei stata bravissima, ce l’hai fatta ».

L’altra sorrise a fatica e chiuse gli occhi. Yumi allora guardò il neonato e socchiuse le palpebre: con sollievo, le venne svelata una pura e innocente anima bianco-latte, e il suo cuore si alleggerì ulteriormente. In quel momento una squadra di medici e d’infermieri arrivò di corsa, caricarono la madre e il bambino su una barella e li portarono via senza degnare di uno sguardo le due donne né ringraziarle per la loro prontezza di spirito. Yumi fece finta di niente e si sistemò la camicia e la giacca sgualcite, ma quando si apprestò ad andarsene, l’infermiera l’afferrò per un braccio.

« Cosa vuole ancora? » sbuffò esasperata Yumi.

L’altra la guardò seriamente, ma in quel momento un uomo anziano piuttosto sovrappeso avanzò a grandi passi verso di loro.

« Che sta succedendo qui?! » .

Yumi storse la bocca: era il direttore dell’ospedale, che lei aveva trattato a pesci in faccia solo pochi istanti prima e che pensava non avrebbe più dovuto vedere. Anche lui non fu per niente contento di ritrovarsela ancora tra i piedi.

« Cosa ci fa ancora da queste parti?! Le avevo detto di andarsene! » esclamò a gran voce.

« Non urli in questo modo, direttore » disse l’infermiera. « Questo è un ospedale, non la piazza del mercato domenicale ». 

Yumi la guardò sbalordita, mentre l’uomo invece divenne furioso.

« Signorina, non le permetto di usare quel tono con me, sa che non mi ci vorrebbe niente a licenziarla? ».

« Ha ragione lei, invece » intervenne Yumi . « Come direttore dovrebbe dare il buon esempio ».

L’uomo si rivolse a lei rosso in viso:

« Lei non ha alcun diritto di aprire bocca. Se ne vada immediatamente, altrimenti chiamerò la polizia ».

Yumi fece per rispondergli a tono, ma l’infermiera le si mise davanti.

« E per quale motivo vorrebbe sbatterla dentro, perché a differenza di lei sa farsi valere? » lo sfidò incrociando le braccia.

Il direttore assottigliò lo sguardo.

« Moderi i toni, signorina, perché potrei farle fare compagnia a questa cafona, che ha avuto la faccia tosta di presentarsi in ritardo al colloquio che avevamo fissato per stamattina e ora ha pure avuto il coraggio di emanare sentenza dopo aver causato tutto questo trambusto! »

« Il genere di “trambustoche questa ragazza ha causato è quello di aver appena salvato la vita ad un bambino e a sua madre e per questo vorrebbe mandarla in prigione, perché è l’unica che abbia soccorso quella donna invece di stare in tribuna ad assistere allo show?! »

Allora se n’è accorta  pensò con stupore Yumi, pur non capendo perché stesse mettendo a rischio il proprio posto di lavoro per difenderla: al di là che non avesse alcun bisogno che qualcuno la difendesse, Yumi non avrebbe avuto niente da perdere se il direttore se la fosse presa con lei, invece quella donna rischiava il tracollo, ma non sembrava curarsene.

« Pure questa! » esclamò l’uomo rivolgendosi a Yumi. « Ha persino osato eseguire un’operazione senza la benché minima autorizzazione e preparazione in materia?!  Si rende conto che ha rischiato di mettere in pericolo la vita di due persone?! Avrebbe dovuto che ci pensassero i medici, non agire di testa propria; sarò costretto a sporgere denuncia per- »

« Yoseiyo [basta] ! » esclamò Yumi a quel punto ormai priva di pazienza. « Mentre quella povera ragazza era lì ad agonizzare, invece di prestarle sono rimasti tutti a riprendere la scena col telefonino neanche fossimo ad un concerto dei Linkin Park. E voi avreste il coraggio di professarvi infermieri, medici? Il lavoro di un medico è aiutare gli altri, salvare vite, non starsene a prendere il caffè aspettando che il lavoro si svolga da sé. Ma se proprio vuole denunciarmi, prego, faccia pure con comodo.
L’avverto, però: hanno registrato la scena, e non so quanto farebbe piacere agli agenti sapere che degli infermieri siano rimasti in panciolle invece di svolgere il proprio lavoro, potreste davvero rischiare una denuncia per omissione di soccorso e portare questo posto a chiudere i battenti, o peggio ancora, vedervi ritirata la licenza, è davvero questo che vuole? E tanto per la cronaca, ce le avevo eccome le capacità necessarie ad eseguire un intervento del genere, e l’avrebbe saputo se si fosse degnato di ascoltarmi invece che sbattermi la porta! ».

L’uomo divenne ancora più rosso, anzi livido, così tanto che Yumi temette gli sarebbe venuto un attacco cardiaco.

« Ai suoi genitori andrebbe revocata la potestà genitoriale visto il pessimo lavoro che hanno fatto nel crescerla ».

Le zanne crebbero velocemente nella bocca di Yumi che lei riuscì a coprirsi la bocca con entrambe le mani e a soffocare un ruggito appena in tempo, ma ci mancò davvero poco.
Ma come si permetteva quell’insulso ometto? Poteva dire di lei quello che voleva, ma non si sarebbe dovuto azzardare a toccare i suoi genitori. La sua rabbia tornò prepotentemente a  offuscare la sua razionalità, più forte e terribile di prima, e stavolta sentiva che non sarebbe riuscita a controllarla. A sorpresa, l’infermiera la trascinò indietro e le si parò davanti.

« Per quale tipo di lavoro hai richiesto un colloquio? ». Non sembrava affatto turbata o spaventata dall’espressione imbestialita che la ragazza aveva sul volto. Per tutta risposta, continuando a guardare in modo truce il direttore, Yumi le porse il giornale su cui aveva cerchiato l’annuncio. Lei vi dette una breve occhiata, scosse la testa e lo lanciò in un cestino dell’immondizia lì vicino.

« Ma che fa?! » esclamò Yumi allontanando leggermente le mani.

La donna la fronteggiò impassibile.

« Questo posto ha bisogno di medici, non di inservienti; di quelli ce ne sono anche troppi, e tu non sei affatto una di loro ».

Yumi sbatté gli occhi sconvolta e abbassò completamente le braccia, incapace di pronunciare una parola. L’infermiera non aspettò la sua risposta e si rivolse al direttore:

« Per favore, assuma questa ragazza come infermiera, sarebbe sprecata a fare la donna delle pulizie ».

« Abbiamo salvato quei due insieme… » tentò debolmente Yumi, non volendosi prendere tutti i meriti.

L’altra la fulminò con lo sguardo.

« Sei stata tu ad accorgerti che il bambino era girato nella posizione sbagliata, se non fosse stato per te a quest’ora lui non sarebbe vivo ».

Di nuovo, Yumi non seppe che dire, mentre invece il direttore non mancò di esprimere il proprio disappunto:

« Non ho alcuna intenzione di assumere questa stupida scaricatrice di porto ».

« L’unico stupido qui è lei » ribatté la donna. « Vuole davvero rischiare una denuncia? Faccia pure, ma io darò il mio appoggio a questa ragazza, non è lei qui ad aver commesso un reato ».

Il direttore divenne pallido e boccheggiò, e a Yumi sembrò anche di vederlo farsi piccolo piccolo di fronte alla donna ( davvero incredibile considerato che lei era di una spanna più bassa). Non poté fare a meno di ammirarla, anche se non capiva stesse facendo così. La guardò di nuovo e si accorse che, più la guardava, più la sua immagine tremolava, come una televisione che cerca di sintonizzarsi sulla giusta frequenza fino a trovarla e restituire un’immagine definita e precisa. E’ coperta da un glamour! realizzò, e capitolo l’incantesimo smise di funzionare ai suoi occhi, restituendole il vero aspetto di quella donna.

La prima cosa che Yumi pensò fu “Puffo”, e ad un Puffo ci somigliava davvero: al di là della bassa statura, la sua pelle della era blu-elettrico; i capelli, raccolti in uno chignon, erano bianchi come la neve, e gli occhi erano di un azzurro chiarissimo, quasi trasparente, ed era esile come un giunco. Di primo acchito pensò fosse una Nixie, poi però si accorse che non aveva né le orecchie a punta né gli occhi privi di pupilla tipici di quella razza, quindi presunse che dovesse essere una strega, come lei. Dopo averla guardata per qualche secondo, smise di pensare a lei in termini bambineschi e a trovarla davvero graziosa: la sua pelle e i suoi capelli s’intonavano bene con la divisa rosa che indossava, ed emanava un’aura di sicurezza e autorità che la intimoriva ma attraeva al tempo stesso.
Profumava di iris, e la sua espressione appariva stanca ma risoluta, un’espressione che Yumi conosceva bene, quella di chi lavora troppo ma sa di stare compiendo il suo dovere e quindi non si lascia distrarre dalle debolezze.

Trovarsi di fronte un altro suo simile però le diede un po' fastidio: era già la terza volta in una settimana che incrociava un altro stregone sul suo cammino, stava forse peggiorando a vista d’occhio? O era lo spirito del suo maestro a dirottare gli stregoni più vicini a lei per impedirle di fare casini al posto suo? Oltretutto: quella tipa sapeva chi era lei o si era accorta solo delle sue capacità mediche? Lei non aveva addosso un glamour, non avrebbe dovuto essere immediato capire di avere davanti una Nascosta. Ancora più importante: che ci faceva una strega in un ospedale di mondani? Quello che fai tu da tutta la vita evidentemente, stupida disse la solita vocina fastidiosa, che lei scacciò con la mano immaginando che avesse la forma di un diavoletto con le sue fattezze posato sulla sua spalla destra come aveva visto spesso nei fumetti.

Mise a nudo l’anima della donna: era davvero potente. Non era ai livelli di Magnus, ma non era nemmeno da sottovalutare. Non sembrava però che stesse usando i poteri per tener testa al direttore, sembrava tutta… farina del suo sacco, il suo carattere naturale. Ti ricorda qualcuno, per caso? disse beffarda la vocina. Lei la ignorò ma provò un istintivo moto di simpatia verso la Nascosta. Il direttore alternò lo sguardo dall’una all’altra strega come se non sapesse che pesci prendere, ma o i loro sguardi lo spaventarono o dovette pensare che non valeva la pena correre il rischio di una denuncia e di una conseguente revoca della licenza, perché alla fine alzò le braccia al cielo e sbottò:

« Ohh, e va bene, d’accordo: le darò un’altra possibilità! ».

La strega blu sorrise compiaciuta, Yumi invece lo guardò perplessa.

« Ma a due condizioni » aggiunse subito l’uomo, rendendo attente le due.

« Dovrà mantenere i giorni e lo stipendio stabiliti dal lavoro part-time per cui è venuta qui; se vedrò che svolge un buon lavoro, l’assumerò a tempo pieno » cominciò rivolto a Yumi, quasi tirando fuori a forza le parole dalla gola.

« E secondo? » disse l’infermiera.

Qui l’uomo produsse un ghigno soddisfatto che preoccupò le donne.

« Lavorerà insieme a lei, e sarà suo dovere supervisionarla e accertarsi che svolga bene il suo lavoro. Già che c’è, provi anche a mettere un freno al suo caratteraccio, non dovrebbe essere un’impresa difficile visto che sembra che siate entrambe sulla stessa barca. Chi si somiglia poi si piglia, in fondo ».

La strega non si fece scomporre e si voltò verso Yumi aspettando una sua risposta. Lei ebbe un attimo di esitazione: non le andava esattamente a genio l’idea di avere una balia pronta a comandarla a bacchetta, ma da quel poco che aveva visto, quel posto non vantava personale qualificato, aveva di certo bisogno di una mano; per di più, anche se si erano praticamente date addosso, lei e quella strega erano riuscite a collaborare alla grande e a risolvere la situazione senza intoppi. Non le dispiaceva poi tanto provare a lavorare con lei, forse insieme avrebbero potuto dimostrare qual’era il vero lavoro di chi indossava un camice, che sicuramente non era quello di partecipare ad una gara di cosplay. Neanche lavorare part-time le dispiaceva: fuori da lì c’erano mille cose da fare, mille e più persone bisognose di aiuto, il lavoro non le sarebbe di certo mancato solo perché non lo svolgeva in quel posto.

« D’accordo, accetto ».

L’altra strega sorrise soddisfatta, e Yumi ebbe l’impressione che avesse dato per scontato che avrebbe detto “sì” e che non avrebbe accettato un “no” come risposta.

« Molto bene, allora » sbuffò il direttore che, al contrario, non era particolarmente entusiasta. « Comincia oggi stesso. Ma l’avverto: non avrà un’altra occasione. Se dovesse di nuovo dare mostra di un tale atteggiamento o a trasgredire le regole, non esiterò a cacciarla via, sono stato chiaro? »

« Trasparente » rispose Yumi con sufficienza.

L’uomo arricciò il naso e si rivolse all’infermiera:

« Se la porti via, non voglio trovarmela tra i piedi un secondo di più ».

La donna non rispose, si limitò a prendere Yumi per un braccio e a trascinarla verso la segreteria, deviando poi all’ultimo verso destra e da lì ad una porta di metallo su cui era appeso un cartello di divieto di accesso con sotto la scritta “ Solo personale autorizzato”. L’aprì e trascinò dentro Yumi, che respirò una zaffata di odore di chiuso misto ad ammoniaca e ruggine che le fece storcere il naso. La sua accompagnatrice chiuse la porta e accese la luce. Yumi si guardò intorno: era un locale piuttosto ampio, con doppie file di armadietti a lucchetto con la vernice scrostata a coprire le pareti ai loro lati; in mezzo stavano due lunghe panche di legno, e sulla parete in fondo cappeggiava un enorme armadio di metallo dalle ante scorrevoli e chiazzate di ruggine.

L’infermiera si diresse da quella parte e l’aprì, rivelando divise da infermiere, cuffie di stoffa, guanti di lattice e scarpe ortopediche, più due mensole con sopra quattro scatole di metallo bianche con una piccola croce rossa sopra, rotoli di sacchi della spazzatura, asciugamani e flaconi di detergente. Squadrò Yumi con occhio critico, e senza chiedere s’immerse nell’armadio riemergendone con una divisa blu indaco, invece che rosa come aveva lei, e un paio di scarpe.

« Tieni, devi metterti questi » disse posandoli senza troppe cerimonie tra le braccia di Yumi, che ebbe appena il tempo di metabolizzare il leggero peso di quegli oggetti prima che la donna s’immergesse nuovamente nell’armadio e le lanciasse un paio di guanti di lattice, che lei prese al volo.

« Per oggi puoi usare il mio armadietto, ma stasera dovrai passare in segreteria e fartene fare uno personale » disse ancora l’altra mettendole in mano una piccola chiave, poi le indicò il proprio scomparto e le fece cenno di darsi una mossa immergendosi ancora nell’armadio, ma a quel punto Yumi esclamò:

« Aspetti un attimo, per favore! ».

La donna lasciò cadere la cuffia che aveva in mano e si voltò lentamente tenendo le mani sui fianchi.

« Cosa c’è, non ti piace quella divisa? Sei un'assistente e sei in prova, non posso darti la divisa ufficiale. Ti faccio notare poi che stiamo solo perdendo tempo, e se non ti dai una mossa- » fu bruscamente interrotta da Yumi che schiaffò i vestiti e le scarpe su una panca con un gran rumore.

« Può stare zitta un secondo?! ».

La strega rimase impassibile e si appoggiò all’armadio a braccia conserte. Yumi prese un bel respiro: erano successe troppe cose insieme nell’ultimo minuto, anzi, dall’inizio della mattinata, che da quando era cominciata era stata tutta un susseguirsi frenetico di eventi sfiancanti senza quasi un attimo di pausa; non erano bastati quei pochi minuti con quella giovane madre a far recuperare fiato a Yumi e permetterle di metabolizzare l’accaduto, senza contare poi quello che era successo dopo, causa per il quale si sentiva ancora frastornata, specie soprattutto per colpa del direttore.

Era incredibile a dirsi per una come lei che aveva sempre avuto una vita piuttosto movimentata, ma adesso sentiva davvero il bisogno di prendersi qualche minuto per fare con calma il punto della situazione prima che degenerasse e di nuovo. C’erano molte cose che avrebbe voluto chiedere alla sua benefattrice, ma visto che non sembrava affatto molto paziente, cercò di essere il più concisa possibile.

« Grazie per aver convinto il direttore a darmi una chance » cominciò, ma fu interrotta dall’altra:

« Non l’ho fatto per gentilezza » disse brusca. « Credi forse che abbia messo su una messinscena perché mi hai fatto pena? Penso davvero che tu abbia un buon potenziale, e qui abbiamo bisogno di gente in gamba. Rimandarti a casa sarebbe stato uno spreco, non pensare che la mia sia stata misericordia nei tuoi confronti ».

« Non l’ho pensato neanche per un attimo » sospirò Yumi.

L’altra sembrò sorpresa, ma si riprese subito.

« C’è altro che devi dirmi o possiamo smettere di gingillarci e metterci al lavoro? ».

Yumi fece una smorfia.

« Non ci  siamo ancora presentate, come può pensare di lavorare con me se nemmeno sa come mi chiamo? ».

In realtà lei sapeva già il nome della donna, l’aveva letto sul cartellino appuntato sul suo petto, ma preferiva sentirselo dire da lei, che comunque ancora non conosceva il suo. La donna sospirò e si tirò su. Yumi dovette abbassare gli occhi per poterla guardare in faccia.

« Catarina Loss » disse la strega blu in tono incolore.

« Yumi Shin, piacere ».

Catarina non diede segno di disagio quando sentì il suo nome e le strinse mollemente la mano.

« Ora che abbiamo terminato questi formalismi, datti una mossa e cambiati ».

Yumi non se lo fece ripetere, e in pochi secondi fu pronta, chiedendosi un secondo perché le avesse dato dei guanti se lei non li indossava, ma lasciò cadere praticamente subito: era contenta di non aver dovuto chiederglieli, e comunque era meglio evitare domande stupide. Sistemò alla meglio i capelli nello chignon e si affrettò e a riporre la propria roba accuratamente piegata dentro l’armadietto, poi restituì la chiave e senza dire altro si diresse verso l’uscita. Catarina però le sbarrò la strada.

« E ora che le prende? Non aveva detto che non voleva perdere tempo? ».

Forse si era arrabbiata perché lei se ne stava andando senza averla aspettata, cosa che avrebbe dovuto fare fin da subito visto che ora lavorava sotto quella persona e di conseguenza doveva darle la precedenza in ogni cosa. Il suo sguardo però la inquietò, sembrava un po' troppo duro per riguardare una mancanza di rispetto così lieve. D’accordo che quella tipa non sembrava esattamente un agnellino, ma cosa poteva aver fatto o detto Yumi per indurla ad assumere quell’espressione?

« Tanto per essere chiari » iniziò Catarina. « Non credere che solo perché so di cosa sei capace tu sia entrata nelle mie grazie e possa fare il buono e cattivo tempo come ti pare e piace. Sei sotto la mia supervisione, sono io che ti dirò cosa devi o non devi fare, e non ti azzardare a crederti formidabile solo perché hai salvato la vita di qualcuno. Non so che esperienze tu abbia fatto finora, ma se là fuori sei o eri qualcuno, qui sei soltanto una dipendente come tutti gli altri, quindi vedi di non montarti troppo la testa, ragazzina » e le voltò bruscamente le spalle apprestandosi ad uscire.

Yumi però l’afferrò per il bavero della divisa e la sollevò sbattendola con forza contro gli armadietti.

« Stia bene a sentire, lei » esordì avvicinando il viso al suo. « Non ho fatto quello che ho fatto per pavoneggiarmi o dimostrare di essere migliore di altri: c’erano delle vite in gioco che andavano salvate e l’ho fatto, non m’importa un accidente che la genti mi stenda il tappeto rosso o baci la terra su cui cammino. Non sono una che si monta la testa, sono perfettamente consapevole che là fuori ci siano centinaia di persone di gran lunga migliori di me. Se ho acconsentito di lavorare alle sue dipendenze l’ho fatto accettando tutto quello che ne consegue, non mi metterò a darle contro per ripicca. Se però è lei quella che vuole usare la sua posizione come pretesto per vessarmi e umiliarmi pubblicamente, l’avverto che troverà pane per i suoi denti, perciò mi dica subito quali sono le sue intenzioni, così la risolviamo una volta per tutte! » e strinse ancora di più il colletto mostrandole anche i denti.

Con suo enorme sconcerto, Catarina sogghignò.

« Quindi è questa… la ferocia implacabile della Tigre Nera ».

Yumi mollò la presa e la donna cadde per terra boccheggiando, mentre Yumi arretrò andando a sbattere contro le panche, su cui si acquattò inarcando la schiena, e se avesse avuto il pelo si sarebbe rizzato. Massaggiandosi il collo, Catarina si tirò su e guardò la ragazza senza smettere di sorridere.

« Smettila gatta selvatica, non intendo aggredirti » disse, molto più gentilmente di quanto avesse fatto fino a quel momento.

Yumi scese lentamente dalla panca ma rimase a distanza.

« Non c’è bisogno che mi guardi in quel modo, pensavi che non sapessi chi sei? Passerò pure la maggior parte della mia vita a contatto coi mondani, ma non sono per niente all’oscuro di ciò che succede nel Mondo Invisibile ».

« Però non ha reagito quando le ho detto il mio nome… » mormorò sospettosa Yumi.

Catarina sbuffò.

« Pensavo di essere stata chiara: non m’importa chi tu sia o cosa tu abbia fatto, qui sei solo una dei tanti, non sei né importante né famosa tra queste mura. E se vuoi contare qualcosa anche qui, dovrai lavorare sodo come tutti, senza pretendere che il tuo curriculum vitae sia la parola magica per essere considerata “qualcuno” ovunque tu vada » disse guardandola severamente.

Yumi poté solo abbassare lo sguardo e stringere i pugni: non sapeva perché, ma si sentiva colpevole.

« E voglio avvisarti » aggiunse Catarina alzando un dito. « Non importa quanto tu possa essere pericolosa: io non ho alcuna paura di te, e non ti ritengo speciale; sei un bravo medico, questo è evidente, ma niente di più ».

« Fossi in lei aspetterei a parlare, vedrà che presto si renderà conto che non è facile avere a che fare con la sottoscritta » sbuffò Yumi facendo una smorfia.

« Lo immagino benissimo. Fintanto che lavorerai qui, però, tieni artigli e zanne a posto: questo non è un circo, il carico di lavoro è già fin troppo eccessivo e purtroppo, come hai visto, questa struttura non vanta certo personale efficiente. E non aspettarti favoritismi da parte mia ».

« Non glieli ho chiesti e non li voglio, e non azzannerò nessuno , glielo garantisco » ribatté Yumi con un gesto a mezz’aria.

« Ho come l’impressione che invece tu abbia difficoltà a stare a cuccia, scommetto che prima stavi pensando di saltare al collo del direttore, ho ragione? »

In gamba la tipa pensò Yumi, ma non disse questo:

« Cos’è, per caso è anche uno strizzacervelli? Sì, ci ho pensato, ma al di là del fatto che non sono così stupida da spiattellare il mio segreto ai mondani in modo così evidente ».

« Datti una calmata o ti metterò una museruola, e credimi, sono più che disposta a correre il rischio, non sei certo la prima mocciosa indisponente e capricciosa con cui ho a che fare nella vita! » esclamò Catarina puntandole il dito contro.

« Questo l’avevo già supposto da sola… » mormorò stancamente Yumi, ammirando suo malgrado il coraggio di quella donna.

Sospirò e si passò una mano sul viso.

« Prima di venire qui ho avuto un brutto incontro che ha minato duramente i miei nervi e… anche ora non sono per niente sicura di aver recuperato stabilità. Mi sento… come una brocca d’acqua piena fino all’orlo che bisogna maneggiare con la massima attenzione, perché basta un attimo per rovesciarne il contenuto… ».

Catarina sospirò e la guardò comprensiva.

« Immagino che sia dura essere una tigre a New York, vero? »

« Non ha idea di quanto » rispose Yumi sospirando.

« Però non ci rinunceresti mai » aggiunse la donna, sorprendendo ancora Yumi.

« Infatti » confermò lei. « Lo farei solo se ne valesse davvero la pena. Io… non potrei mai concepire l’idea di diventare qualcosa di diverso. Non cambierei nulla di ciò che sono, non importa quanti problemi mi possa portare ».

Catarina sorrise dolcemente.

« Un’altra cosa » aggiunse.

« Cosa? »

« Lasciamo perdere le formalità e chiamami pure Cat, vuoi? ».

Yumi inarcò un sopracciglio e scosse la testa.

« No… meglio di no ».

L’altra sembrò piuttosto delusa dalla sua risposta, ma Yumi non ci fece caso.

« Piuttosto… »

« Cosa c’è ancora? ».

La ragazza sospirò.

« Non mi chieda di farmi da parte se vedrò qualcuno in difficoltà e non ci sarà nessuno ad aiutarlo: non m’importa quello che penseranno gli altri, io non resterò ferma a guardare ».

« Non lo farò nemmeno io » rispose Catarina. « Però, Yumi… sono seria, devi cercare davvero di controllarti, potresti causare guai molto più seri che il nostro licenziamento ».

« Quando distribuivano la diplomazia, io sono rimasta chiusa nel bagno… » sospirò Yumi.

« Facciamo un patto, allora » disse Catarina, e Yumi iniziò a preoccuparsi.

« Se me lo permetti,  vorrei provare ad aiutarti a gestire la tua aggressività ».

Yumi dovette mordersi le labbra per non scoppiarle a ridere in faccia. E come speri di riuscirci, nanerottola? Mi corromperai con un bicchiere di latte?  pensò, profondamente divertita da quell’idea pressoché assurda. Stava per dare voce ai suoi pensieri, quando le tornò però in mente qualcosa che una volta il suo maestro le disse:

“ Il valore di una persona dipende anche da quanto sa dimostrarsi umile. E, Yumi, ricordati: per quanto tu possa essere forte, non potrai sempre gestire tutto da sola; se qualcuno ti porgerà la mano, prendila, non rifiutarla per un pregiudizio, non potrai mai sapere come andrà se prima non l’afferri e compi il balzo “.

Sei veramente una piaga non-vivente! pensò stringendo forte i pugni.

« Non c’è niente di male dal mettere da parte l’orgoglio e farsi aiutare, sai? Voglio solo darti una mano, non gettarti in pasto agli squali » disse Catarina, riuscendo, chissà come, a indovinare cose le stesse passando per la testa.

Si morse le labbra a sangue, pensando di nuovo che davvero il suo maestro si stesse palesando attraverso dei loro simili pur di riuscire ad aiutarla, e anche se da un lato non credeva a questo tipo di coincidenze, dall’altro il pensiero le scaldò il cuore e le causò un magone.
Volse le spalle a Catarina e respirò profondamente, pensando alla faccia corrucciata del suo maestro e a cos’avrebbe detto se avesse potuto vederla in quel momento.

Non poteva farsi prendere dalla debolezza davanti ad un’estranea, non doveva  farlo. L’aveva promesso a sé stessa e al suo insegnante, soprattutto a lui; aveva già commesso quell’errore a casa di Magnus e davanti a Maryse, non doveva permettere che accadesse di nuovo. Guardò la collega da sopra la spalla, poi abbassò lo sguardo: purtroppo non aveva voce in capitolo per cercare di difendersi o farla desistere dal suo intento. A dire la verità le sembrava piuttosto arrogante, che speranza poteva avere, lei che la conosceva appena, di riuscire lì dove lei e Ryuu fallivano continuamente?

l suo maestro era l’unico ad esserci andato molto vicino, ma nemmeno lui era mai riuscito completamente nell’intento di dominarla, e anzi, lei pensava che nessuno ci sarebbe mai riuscito, nemmeno lei stessa, non importa quanti sforzi facesse o in quanti cercassero di aiutarla: lei era fatta così, era quella la sua natura. Anche per questo era restia ad accettare: se l’avesse fatto, avrebbe sicuramente messo in pericolo quella strega, e anche se non vinceva esattamente l’Oscar della simpatia, non si meritava un trattamento del genere. Non sembrava però molto preoccupata dei rischi a cui sarebbe potuta andare incontro, o forse non aveva le idee abbastanza chiare sulla portata dell’impegno che voleva sobbarcarsi. Perché poi le aveva fatto quella proposta? Voleva evitare guai a entrambe o era solo la sua indole da buona samaritana ad averla spinta a professarsi disposta ad aiutarla?

Qualunque fosse il motivo, Yumi non dubitava che avesse un doppio fine e volesse qualcosa in cambio del suo aiuto, sennò per quale altra ragione tutt’un tratto si stava dimostrando disponibile se fino ad un secondo prima era stata così scorbutica?

« In cambio cosa vuole? » disse scocciata voltandosi.

« Che mi dia del “tu” e mi chiami per nome » disse Catarina sorridendo furbamente.

Yumi fece una smorfia, ma ci pensò su: tutto sommato un tentativo poteva anche farlo, non era detto che sarebbe potuto andare a vuoto. Oltretutto… ne sentiva davvero il bisogno, specie dopo quello che era successo ultimamente. Aveva provato e stava continuando a provare di tutto tuttora, e anche se temeva già che quello si sarebbe trasformato nell’ennesimo fallimento, voleva farlo, voleva provarci, e per davvero, stavolta. Questo però non significava che avrebbe permesso a Catarina di metterle i piedi in testa ed essere l’unica a dettare sentenza.

« Ti darò del “tu” », si arrese sbuffando « ma per il momento preferisco chiamarti “Senpai(*)”» .

« Cos’è, un insulto? »

« No, per niente ».

Catarina sospirò e scosse la testa.

« Chiamami come ti pare, basta che non mi dai del “lei”, o per te saranno guai ».

« Uuuh, sto tremando di paura » disse Yumi fingendo di svenire.

Catarina incrociò le braccia e la guardò storto, ma poi fece una smorfia e scosse la testa.

« Scherzi a parte… vorrei aggiungere una piccola clausola » aggiunse Yumi.

« E cioè? ».

La mutaforma prese un respiro profondo e guardò Catarina negli occhi.

« Anch’io farò la mia parte: così come tu hai aiutato me, io aiuterò te, sia che tu voglia il mio aiuto o meno » e l’avrebbe fatto, come aveva fatto con quella giovane madre e come faceva da sempre, e non solo perché Catarina era una Nascosta o perché l’aveva aiutata e voleva quindi ricambiare il favore.

« Sempre fedeli ai nostri principi, Robin Hood dei poveri? » disse Catarina inarcando un sopracciglio.

« Sempre e comunque, Puffetta » ribatté Yumi con un sogghigno.

« Sta bene » rispose l’altra. « Ma non credere che starò a recitare la parte della damigella in pericolo ».

« Mai dire gatto finché non ce l’hai nel sacco, senpai » disse Yumi facendole l’occhiolino.

« Non tentarmi che sto già pensando di rinchiudertici » ribadì la donna.

« Non credo che ci riusciresti ».

« Non potrò mai saperlo finché non provo, no? »

« E come pensi di fare per capire se sto per tentare una mossa azzardata? » disse Yumi, chiedendosi se, oltre che infermiera e psicologa, fosse pure telepate.

« Non ho poteri telepatici, se è questo che ti preoccupa » la prevenne l’altra. « La tua faccia però dice tutto » .

Favoloso… pensò Yumi facendo una smorfia.

« Se sono un così libro aperto, allora immagino che ti sarà facile leggere quando ci saranno imprecazioni e scene cruente, vero? »

« Ci metterò dei segnalibri, così non dimenticherò mai quali pagine evitare ».

« Sono d’accordo » disse Yumi con una smorfia.

Catarina invece sorrise.

« Affare fatto, allora? » disse porgendole la mano.

Yumi sbuffò e la strinse con forza.

« Già ti trovo insopportabile, sappilo ».

« Me ne farò una ragione » sorrise la strega blu, poi batté le mani.

« Forza, allora , basta perdere tempo: abbiamo delle vite da salvare! ».

« Hai [] , senpai! » esclamò Yumi, e la seguì fuori dalla stanza.

 
Angolo autrice (*)

Abbiamo capito che mantenere la calma non è esattamente il forte di Yumi, ma è davvero difficile per lei tacere di fronte alle ingiustizie, ancora più, come dice Cat, essere una tigre in una metropoli frenetica come New York :-) Vi è piaciuta l’introduzione di Cat? Lei è il mio personaggio femminile preferito in assoluto, l’adoro. Spero solo di averla riprodotta bene e di non averla resa troppo rude, so che anche lei, nonostante il cuore d’oro, ha un gran bel caratterino. Il timore di Magnus ha iniziato a realizzarsi, chissà come progredirà questa cosa ;-) io ovviamente lo so e anzi avrei già in mente uno sviluppo interessante con Cat che non coinvolgerà in prima persona Yumi ma che comunque la renderà partecipe :-). Mata ne, a presto!

 
Traduzioni dal giapponese:

Senpai: Si utilizza generalmente come termine di rispetto verso una persona più anziana o di grado superiore, generalmente viene usata a scuola verso gli studenti più anziani ma anche in ambito lavorativo.
   
 
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