Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Sospiri_amore    17/09/2017    1 recensioni
❤️SECONDO LIBRO DI UNA TRILOGIA❤️
Ritorneranno Elena, Kate, James, Jo, Adrian, Stephanie, Lucas, Rebecca, (Nik ??).
Ci saranno nuovi intrecci, guai, incomprensioni e amori.
Elena avrà dimenticato James?
Chi vivrà un amore proibito?
Riuscirà il Club di Dibattito a sconfiggere la scuola rivale?
Nik sara sempre un professore del Trinity?
Elena andrà al ballo di fine anno?
IL FINALE di questo libro corrisponde alla fine del liceo, il terzo libro sarà incentrato sulla vita adulta dei personaggi. Più precisamente quattordici anni dopo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

IERI:
Facce da stoccafisso e pesce lesso




Abituarsi alle novità è una cosa difficile per me, soprattutto se riguardano mio padre e Tess.

La cosa che mi da fastidio non sono tanto i baci o gli abbracci, non ne gioisco e non ne faccio mistero, ma il fatto che quando siamo tutti nella stessa stanza quei due si irrigidiscano. Sembrano stoccafissi. Statue di gesso. Sorridono, si comportano bene e fanno di tutto per cercare di non innervosirmi, neanche fossi una pazza criminale. Certo mi sono comportata male con loro, ma abbiamo chiarito. Credo. Io proverò ad accettare la loro storia con serenità e loro dovranno evitare di dirmi altre bugie. C'è sempre molta tensione tra tutti, nessuno è naturale. In poche parole uno schifo.

 

La vita continua solo che sembra più scolorita.

 

La mensa scolastica pare più confusa del solito. Gli ottimi piatti che sforna la cucina mi paiono insapore e le chiacchiere dei miei amici prive di colore. Non è che io stia sempre a pensare a mio padre, ma il pensiero finisce inevitabilmente lì. Il più delle volte mi ritrovo a fissare il vuoto, non che io abbia pensieri particolari, mi incanto e basta. 

 

«Hai portato il libro di storia?», mi chiede Adrian passandomi la mano davanti agli occhi.

Sobbalzo, credo di essere da parecchi minuti fissa nella stessa posizione.

«Oggi pomeriggio ripasseremo storia visto che ci sono i test», mi dice mentre controlla sul programma fatto da Rebecca cancellando una voce con la penna.

«Andiamo alla biblioteca della scuola oppure a casa di James?», chiede Lucas.

«Preferisco la biblioteca. La Signora McArthur mi prende sempre in giro, credo mi odi», dice Rebecca.

«Mia nonna non ti odia, fa con tutti così. È il suo modo di fare. Chiedi ad Elena, la massacra ogni volta che la vede», dice sghignazzando James.

«Cosa?», rispondo in automatico nel sentire il mio nome. Non ho ascoltato quello che hanno detto.

«Ma che ti prende? Hai la faccia da pesce lesso. Sei su questo pianeta oppure no?», mi chiede Stephanie.

«Ho una valanga di pensieri che mi frullano in testa. Scusate», dico mesta.

«Elena non è l'unica ad essere in un universo parallelo, guardate Jo», dice Lucas.

 

Mi giro a guardare il mio amico. Sembra un mio clone, con i gomiti appoggiati sul tavolo e le mani che reggono il mento fissa un cestino della spazzatura a pochi metri di distanza. Dire che ha lo sguardo vuoto è poco.

 

«Che gli prende?», chiedo a bassa voce ad Adrian.

Alzando le spalle mi guarda confuso. Non ne ha la minima idea.

«Jo. Jo. Jo. Jonathan Kurtz!». James urla il nome dell'amico con forza.

«Che c'è? Che succede?», chiede confuso.

«Che ti prende? Hai sentito cosa abbiamo detto del ripasso di oggi pomeriggio? Facciamo storia, hai il libro e gli appunti?», gli chiede James.

«Sì... Hmm... ecco. Certo». Jonathan cerca nel suo zaino, ma si vede che pensa ad altro.

«Cosa ti turba? Il mio programma per i prossimi mesi è al completo, ma credo di poter trovare spazio per contrattempi imprevisti». Rebecca picchietta le unghie a ritmo sul tavolo della mensa.

«Niente di nuovo. La solita storia della lettera di presentazione. Ho inviato l'iscrizione per tempo, ma non ho ancora quella dannatissima lettera per il colloquio. Non mi posso presentare a mani vuote», dice Jo cupo, ha gli occhi umidi sembra molto nervoso.

 

Mi sento una pessima amica. Da quando ho saputo del suo problema non ho fatto nulla per aiutarlo. Come sempre mi sono immersa nei miei drammi senza rendermi conto di quello che succede intorno a me. I capelli neri di Jo ricoprono parte del suo viso, si mordicchia il labbro nervoso come fa ogni qual volta ha un problema. 

L'estate scorsa mi è stato vicino, mi ha aiutata in tutti i modi, non posso abbandonarlo in questo momento, Jonathan non si merita nulla del genere da parte mia. Lui merita Yale più di tutti gli altri, ha passato ogni giorno della sua vita a studiare per poter accedere al college dei suoi sogni.

Devo aiutarlo per quanto mi è possibile.

 

«Ma hai sentito le persone conosciute alla festa degli ex studenti l'anno scorso? Mi ricordo che parlavi con una signora e...», ma vengo interrotta.

«Serve gente che conta a livello accademico e intellettuale. Non per sminuire nessuno, ma quelle persone non vanno bene. Sono amministratori o dirigenti, ottime persone se cerchi un lavoro, ma non hanno i requisiti per Yale. Devo stupire. Lo capisci? Non posso portare una lettera qualunque. La mia famiglia è umile, devo presentarmi al meglio che posso, devo esibire l'eccellenza», dice Jo secco.

«Nessuno di voi conosce qualcuno?», chiedo a James e a tutti gli altri.

Tutti fanno cenno di no con la testa.

«Lucas ha una lettera scritta da un magnate dell'industria pesante, amico di suo padre, non proprio il massimo come referenza. James ne ha una scritta da un amico di famiglia che conosce da una vita, un giudice, direi che è una buona lettera. Stephanie scritta da una nobildonna impegnata in diverse associazioni benefiche, ma è cugina di sua madre, non so quanto valga. Adrian ne ha una scritta da suo zio, deputato repubblicano, uno strazio. Io ho una lettera dall'ex produttore televisivo con cui lavorava mia madre anni fa, niente di esaltante. Poi manchi tu, chi ti scrive la lettera?», dice Rebecca consultando la sua lista.

Non credo sia un bene far sapere di Nik e della sua promessa quindi faccio cadere il discorso dicendo una bugia bella e buona:«Un traduttore di testi giuridici della casa editrice di mio padre. Niente di eccezionale».

Rebecca prende appunti dopo la mia risposta: «Fidati Elena, se avessimo opzioni migliori le useremmo anche per noi, purtroppo non abbiamo nomi da consigliare a Jo. Del resto non lo conosce nessuno lui è... è...».

«... povero. Dillo Rebecca, non ti preoccupare non mi offendo, è la verità. Se avessi frequentato le persone che contano fin da piccolo probabilmente adesso non avrei questo problema», dice Jo.

«Roger», dico come se avessi avuto un illuminazione improvvisa, «Lui è un architetto, frequenta i circoli e le persone giuste. Sarebbero perfette per te e per tutti voi. Come cavolo non mi è venuto in mente prima. Kate devi dire a tuo padre di... Kate? Kate? Scusate, ma dov'è Kate?», chiedo guardandomi intorno.

Nessuno risponde.

«Che succede, perché Kate non pranza con noi?», chiedo.

«Scusa, ma non hai notato che nell'ultimo periodo non studia e non passa il suo tempo libero con nessuno. Si è isolata. Credevo che te ne fossi accorta visto che sei sua amica», mi dice Rebecca un po' imbarazzata.

«Io... io...». Non riesco ad aggiungere altro, mi sento gelare dentro.

 

Possibile che non mi sia accorta della sua mancanza? 

Possibile che sia stata così cieca da non accorgermi che non era con noi?

Che schifo di amica che sono. Ero talmente presa dalla storia di mio padre con Tess da non accorgermi che qualcosa non andava.

 

«Tu ne sai qualcosa?», chiedo a Stephanie.

Mi risponde facendo cenno di no con la testa.

 

Controllo l'orologio. Mancano venti minuti prima che riprendano le lezioni, devo trovarla e cercare di capire cosa frulla per la testa della mia amica. 

Saluto tutti velocemente fiondandomi per il corridoio semi deserto, la maggior parte degli studenti sta ancora pranzando. Provo a cercare nel cortile, affacciandomi da diverse finestre, ma fa troppo freddo, non riuscirebbe a stare all'aria aperta per così tanto tempo. Passo dall'aula di informatica, in quella di chimica, ma nulla. Non c'è traccia di Kate. Corto verso l'aula magna al pianterreno, svolto l'angolo e per poco non mi schianto contro Nik che, con un panino in mano e un quotidiano nell'altra, cammina distratto.

 

«Attenta, mi vuoi investire?», mi dice ridacchiando mentre mi sorregge.

«Scusa, non ho fatto apposta. Stavo cercando Kate, l'hai vista?», gli chiedo mentre raccolgo il giornale che gli è caduto per terra.

«No. Sono appena arrivato. Oggi ho una riunione con la Marquez per organizzare la festa degli ex studenti e la gara di dibattito contro il Saint Jude. Tutto bene Elena? Ti vedo provata». Nik mi osserva di sbieco cercando di intercettare il mio sguardo.

«Problemi, sai che non posso farne a meno», dico accennando un sorriso ritornando però subito seria.

«Credo di aver capito, si tratta di Yale, vero?».

«No. Cioè, sì. Non proprio. Ho tante cose in testa che non so da che parte girarmi». Come sempre sono un disastro, lo capisco dallo sguardo tenero e divertito di Nik.

«Ti ho detto che se vuoi la lettera di presentazione basta chiedere», mi dice dolce.

 

So che sarebbe comodo e vantaggioso avere una lettera scritta da lui, ma proprio non riuscirei a guardare in faccia i miei amici se venissero a saperlo. Loro hanno fatto fatica a trovare qualcuno che li aiutasse mentre io non ho avuto nessun problema. Se ripenso alla voglia di Jo, Lucas, Rebecca, Stephanie e James, di andare a Yale, mi vergogno un po'. Non che non voglia andare al college, ma non sono certa di essere in grado.  

 

«Il fatto è che non mi sembra giusto. Molti miei compagni si meritano quella lettera più di me», dico sincera.

«Io però ho deciso di scriverla per te, non per gli altri», mi dice con voce calma.

«A dire il vero preferirei che qualcun altro la scrivesse. Credo sarebbe più obiettivo, tu sei un caro amico oltre che un professore, credo potresti sopravvalutarmi un pochino». Ho la faccia rossa per l'imbarazzo.

Nik sorride: «Facciamo così, ho un incontro con amici e colleghi tra un po' di tempo. Te li faccio conoscere e se qualcuno di loro dovesse rimanere impressionato da te ti scriverà la lettera al posto mio. Ok?».

«Perfetto», dico sollevata.

«Adesso sparisci dalla mia vista. Voglio godermi il mio panino prima di passare ore a lavorare con la Marquez». Nik mi sbatte leggermente il quotidiano sulla testa prima di imboccare il corridoio e andarsene.

 

Sospiro sollevata, un problema in meno.

Adesso devo rintracciare Kate.

Riprendo a camminare a passo veloce guardando dentro ogni aula che trovo aperta. Controllo pure lo sgabuzzino dell'inserviente. Nulla. Nada. Niente di niente.

L'ultimo posto che mi resta da controllare è l'aula magna.

Spingo il portone con forza, decine di seggiole vuote mi si parano davanti. Guardo tra le file ordinate, ma non trovo la mia amica. Mi dirigo verso il piccolo palco, ma non c'è ombra di anima viva.

Sconsolata sto per andarmene quando sento uno starnuto risuonare nel silenzio della stanza.

 

«Kate? Kate, sei tu?», chiedo prudente.

Non ottengo risposta. Salgo i pochi gradini del palco ritrovandomi in pochi secondi dietro le quinte, uno spazio angusto e buio. Una sagoma umana è rannicchiata in un angolo, non si muove. Prendo il telefonino e lo accendo, spero di riuscire a fare un po' di luce per poter vedere meglio.

La luce giallognola illumina una testa castana chiara, capelli corti. Un paio di occhiali sono appoggiati per terra vicino ad un toast mezzo mangiucchiato.

 

È Kate.

Sta piangendo.

 

«Che succede? Kate? Kate, perché fai così?», chiedo alla mia amica buttandomi su di lei.

Come risposta ottengo solo singhiozzi.

«Ti ha fatto del male qualcuno? Dimmi, ti prego. Mi spaventa vederti in questo stato», le dico mentre la scuoto per le spalle.

Il volto di Kate immerso nelle lacrime è lo stesso che ho visto un milione di volte. Il mio, ogni volta che sono stata male, che ho sofferto e non sapevo cosa fare.

«Mi dispiace. Mi- Mi dispiace, non avevo capito... s-scusa», balbetta.

«Cosa non avevi capito? Perché chiedi scusa?», le chiedo.

«Non avevo capito come stavi dopo che James ti ha lasciata. Io, ti giuro, non credevo facesse così male», i singhiozzi non smettono come le sue lacrime.

«Adesso sono io che non capisco. Cosa stai dicendo?». Sono preoccupata, non l'ho mai vista in questo stato.

«Credevo mi a-amasse. Pensavo saremmo state insieme per s-sempre».

«Di chi parli? Kate, non capisco», chiedo allarmata.

«S. La mia S. La amo così tanto Elena. Perché mi ha fatto questo?». Il tremore di Kate è evidente ad occhio nudo. La bocca deformata per la sofferenza, gli occhi gonfi per il pianto ed i capelli arruffati hanno trasformato la mia amica. Sembra uno straccio, un sacco vuoto. È come se avessi davanti uno specchio, la Elena di mesi fa è di fronte a me.

Non so cosa dirle, non so cosa fare.

Con gli occhi sbarrati la osservo, immobile cerco le parole giuste da dirle anche se so benissimo che non esistono. L'unica cosa che mi viene spontanea da fare è abbracciarla e sperare che il mio affetto per lei riesca a bloccare lo sgorgare di dolore dal suo cuore, arginare la sua sofferenza e darle un po' di serenità.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Sospiri_amore