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Autore: Kim WinterNight    17/09/2017    5 recensioni
«Chakatagir», una parola armena che significa «destino».
Sako, fedele tecnico della batteria dei System Of A Down.
Mayda, fedele fan della band al suo primo concerto.
Una storia semplice, un incontro un po' disastroso, mille emozioni.
A vegliare su ogni cosa, il Destino.
- TERZA CLASSIFICATA al contest "San Valentino versus San Faustino" organizzato da MaryLondon sul forum di EFP.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sako Karaian
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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ReggaeFamily

Chakatagir




Era strano, però non riuscivo a non pensare a lei: sarebbe avvenuto proprio quella sera il nostro primo incontro, mi aveva avvertito con un messaggio su facebook.

L'idea che avrebbe assistito per la prima volta a un concerto dei System mi elettrizzava, significava che avrei potuto mostrarle tutte le mie capacità in quanto tecnico della batteria e avrei fatto di tutto affinché si godesse lo spettacolo nel migliore dei modi.

«Hai la testa tra le nuvole, Karaian? Sveglia!»

Sobbalzai non appena Daron mi raggiunse, sventolandomi una mano di fronte agli occhi; sbattei le palpebre un paio di volte e scossi appena il capo, mostrandogli il dito medio.

«Simpaticone! A che pensi?» insistette il chitarrista.

«A tutto e niente...»

«Che risposta di merda! Ah, datti una mossa, a momenti comincia il soundcheck della batteria!» Daron mi spintonò con una spallata.

Insieme ci dirigemmo verso la mia postazione, dovevo svolgere il mio lavoro e non potevo più pensare a Mayda, dovevo essere professionale e badare a John e alla perfezione a cui entrambi aspiravamo in ogni live.



«Ciao Mayda! Finalmente ci incontriamo!»

Mi voltai di scatto e riconobbi subito una delle ragazze che avevo conosciuto in un gruppo facebook creato appositamente per riunire tutti coloro che sarebbero stati al concerto dei System Of A Down quel weekend. Ero arrivata fino a Los Angeles con un autobus che mi aveva trasportato attraverso la California per almeno sei ore, ero stanchissima ma stavo già cercando di incontrare alcuni dei ragazzi che avevo individuato nel gruppo.

Di fronte a me, ora, c'era Helena, una ragazza piuttosto alta e slanciata, sicuramente molto più appetibile rispetto a me: pelle scura, capelli corvini e ricci, un sorriso mozzafiato e due occhi neri e profondi che avrebbero incantato chiunque.

«Helena!» esclamai, per poi stringerla in un abbraccio.

«Wow, ma sei bellissima!» disse, dopo avermi squadrato.

Rivolsi a me stessa un'occhiata dubbiosa. «Sono più bassa di te di almeno quindici centimetri, sono tremendamente magra e pallida come un fantasma... ora puoi ritirare ciò che hai detto? Sono stata abbastanza convincente?»

«Neanche un po'!» mi contraddisse subito lei, portandomi con sé verso un gruppo di ragazzi e ragazze che già facevano la fila all'ingresso dell'area concerti.

Nel frattempo, mi domandò: «Hai sentito Sako?».

Sobbalzai, sentirlo nominare mi faceva uno strano effetto. E poi, Helena ne parlava come se lui fosse uno qualunque con cui chattavo sui social per ammazzare il tempo.

«Uhm... stamattina gli ho scritto per dirgli che ci sarei stata, lui era tanto contento... non posso crederci, ma ci pensi?»

Helena batté le mani con entusiasmo. «Oddio, ti rendi conto? Io seguo i System in concerto da un po', sono stata a diversi live e non sono mai riuscita ad avere uno straccio di contatto con loro... tu sei al tuo primo concerto e già te la fai con il tecnico della batteria!»

Mi allungai verso di lei per tapparle la bocca. «Zitta! Non deve saperlo mezzo mondo! Non l'ho detto a nessuno, lo sai solo tu...»

Lei si strinse nelle spalle. «Okay, ricevuto! Come ti senti?» mi chiese poi, tornando seria.

Alzai gli occhi al cielo e il cuore fece una capriola nel mio petto. «Credo di star per morire, però tutto okay!»



«Ci siamo?» mi interrogò John.

«Ci siamo, capo!» confermai in tono scherzoso.

«Oggi sei particolarmente allegro» osservò il batterista, rimettendosi in piedi dopo aver concluso il soundcheck.

«Macché, tutto regolare. È solo che, sai... suonare a casa fa sempre uno strano effetto.»

John mi batté sulla spalla con la mano destra. «Non mi freghi, Karaian.»

«Non è mia intenzione, capo!»

«Piantala.» John sorrise appena.

«Stai ridendo? Cosa? Ora ti faccio una foto e ti sputtano in rete!» scherzai, passandogli una bottiglietta d'acqua.

«Non sei credibile...»

Mi feci improvvisamente serio. «John, posso chiederti un favore?»

Lui annuì senza replicare e attese che proseguissi.

«Oggi verrà al vostro live una persona... speciale, ecco. Posso regalarle una delle tue bacchette?» domandai con cautela, senza guardarlo negli occhi.

«Una fanciulla, eh?»

Annuii e mi sentii avvampare. «Già, hai capito. Posso?»

«No.»

Sollevai la testa di scatto e mi trovai di fronte all'espressione più buffa che avessi mai visto: John sorrideva con gli occhi, mentre cercava di trattenere un mezzo sorriso e teneva le labbra serrate.

«Devi regalargliene almeno due! Di una non se ne fa niente, Karaian. Sei un disastro.»

«Giusto! Okay... grazie!»

«Come si chiama?»

Sospirai. «Mayda.»



«Helena, svengo, ti giuro che svengo!»

«Non svieni! Cammina, piuttosto, siamo quasi arrivate alle transenne... oddio, corri, corri! Guarda quei tizi, stanno cercando di superarci!» sbottò la mia amica all'improvviso, trascinandomi per un braccio verso le barriere in ferro che separavano il pubblico dall'area che circondava l'enorme palcoscenico.

Durante l'attesa, un qualche dj sconosciuto mandava della musica rock in sottofondo, il che non faceva che accrescere la mia ansia già abbastanza palpabile.

«Eccoci!» strillò Helena, appendendosi letteralmente alla transenna.

«Sei matta? Così la scardini...» Mi guardai attorno e cominciai a sentire mancanza di ossigeno. «Morirò qui e subito, me lo sento! Cazzo, sto troppo male...» blaterai.

«Mayda, smettila, andrà tutto bene!» Helena si immobilizzò, lo sguardo fisso sul palco. «Oddio!» gridò.

«Che c'è?» Cercai di mettermi sulle punte dei piedi per poter vedere qualcosa anche io, ma ero nettamente in difficoltà e in quel momento invidiai il metro e ottantadue della mia amica. «Helena, parla, mi stai facendo impazzire!»

«L'ho visto!»

Mi portai le mani al petto in un gesto istintivo. «Chi?»

«Sako.»



Girovagai per il palco, ormai era quasi ora che i ragazzi cominciassero a suonare e io volevo provare a trovare Mayda prima che il casino più grosso avesse inizio.

Quando raggiunsi il bordo della piattaforma in legno, scandagliai le prime file di fronte a me con lo sguardo, e poco dopo ebbi un colpo al cuore: lei era lì, le mani sul petto e gli occhi chiusi; sembrava agitata, ma non avevo idea del motivo. Forse temeva che potesse succederle qualcosa in mezzo a quella folla? La osservai per un po' e sperai che mi notasse: aveva i capelli neri e lisci legati in una coda di cavallo, il viso era pallido e l'espressione tesa. A causa della transenna che copriva gran parte del suo corpo, non riuscii a capire come fosse vestita, ma mi resi conto che era davvero esile ed ebbi l'impressione di avvertire tutta la sua fragilità.

Avrei voluto portarla via di lì, e probabilmente stavo esagerando, mi stavo facendo i film mentali peggio di una ragazzina alla sua prima cotta, ma non volevo che qualcuno, durante la foga del concerto, le facesse del male.

Da quando mi aveva detto che sarebbe stata presente, in me era scattato qualcosa e avevo subito pensato che avrei dovuto proteggerla. Sì, ero decisamente patetico, ma allo stesso tempo ero incapace di frenare quei pensieri.

Poi, Mayda aprì finalmente gli occhi e incrociò i miei. Parve spaventata, come se non si aspettasse di trovarmi davvero di fronte a sé, a pochi metri da lei.

L'unica cosa che riuscii a fare fu sorriderle nel modo più spontaneo possibile e sollevare la mano sinistra per farle un cenno di saluto.

Lei esitò per un attimo, poi ricambiò il mio gesto e mi regalò un sorriso enorme e genuino, uno di quelli capaci di scaldare il cuore e di conquistare chiunque lo riceva.

Una ragazza accanto a lei la abbracciò di slancio e i nostri sguardi si persero.

Dovevo raggiungerla.



«Sto per svenire, Helena! Sostieni le mie povere membra...»

«Che palle! Quanto la fai tragica! Anziché rompere con queste cretinate, pensa a quanto Sako sia dannatamente carino! Oddio, ti ha salutato, che bello! Io faccio il tifo per voi, secondo me i vostri bambini sarebbero magnifici!» blaterò la mia amica, per poi abbracciarmi per l'ennesima volta.

«Gesù, non esagerare! Stai già correndo oltre i limiti! Prima devo sopravvivere a tutto questo e... oh, merda, quello è Daron! Muoio!»

«Io voglio Serj, quand'è che esce?!»

Intorno a noi si scatenò un casino, si espanse un boato pazzesco e mi parve di essere allo stadio durante un qualche partita di football, di quelle che mio fratello amava tanto guardare in tv.

«Dio, se esisti, dammi la forza per non perdere la vita proprio ora! Aspetta almeno che il concerto finisca!» implorai tra me e me, sotto lo sguardo divertito di Helena.

Poi i System cominciarono a suonare, partì Daron con l'intro di Soldier Side, e io mi lasciai risucchiare da tutto ciò che quelle note sapevano trasmettermi.



Ero fermo sul lato destro del palco, tutto andava bene ed ero contento di poter tenere Mayda sotto controllo: avevo una visuale abbastanza buona della sua posizione, fortunatamente era ancora tutta intera e nessuno le aveva arrecato particolare disturbo.

Sapevo, però, che sarebbero arrivati dei momenti cruciali durante il live, ero pronto a intervenire. Lanciai un'occhiata alle scale laterali che stavano alle mie spalle e contai gli scalini: dodici.

Forse avrei potuto scendere subito e infischiarmene di tutto, tuttavia avevo un compito da svolgere: se John avesse avuto dei problemi con la Tama, sarei dovuto intervenire all'istante e risolvere tutto alla velocità della luce.

Tornai a rivolgere il mio sguardo verso Mayda e contemporaneamente mi resi conto che i ragazzi stavano iniziando a suonare Bounce.

Mayda era incollata alle transenne e cantava a squarciagola, sembrava tranquilla, ma dietro di lei si stava pian piano formando una bolgia incredibile e anche lei, quasi subito, se ne accorse e si immobilizzò.

Sul viso aveva un'espressione preoccupata, e in un attimo mi resi conto che era sola: la ragazza che avevo intravisto accanto a lei non c'era più, era scomparsa. Merda.

Controllai velocemente che John avesse tutto a posto e mi precipitai giù da quei dodici scalini.

Era stato un riflesso incondizionato, non avevo più saputo resistere.



Ero in panico. Dov'era finita Helena? Era stata trascinata in mezzo al pogo generale, e ora non sapevo più come rintracciarla. Avevo un po' di paura, soprattutto perché l'atmosfera si stava scaldando e io non ero abbastanza forte per stare in mezzo a tutto quel casino.

A un certo punto mi sentii trascinare in mezzo a un ammasso di persone che presero a spingermi e strattonarmi senza riguardo, mentre le note di Bounce erano quasi un sottofondo per me.

Ero terrorizzata.

Andai a sbattere contro la transenna e mi ancorai nuovamente a essa, avvertendo un dolore atroce percorrermi il fianco destro. Non ce l'avrei mai fatta, ero terrorizzata e ormai non capivo più niente.

Altre spinte, altri strattoni, avrei voluto scavalcare le barriere e rifugiarmi in un angolino.

Perché la gente si divertiva a rovinare la festa a chi voleva soltanto godersi il concerto in santa pace?

Poi, tutto accadde in fretta: con il petto schiacciato contro la transenna e gli occhi appannati dalle lacrime, mi accorsi appena della figura che correva nella mia direzione.

Qualcuno mi afferrò per i polsi e gridò: «Dai, scavalca queste dannate transenne, coraggio! Ti porto via di qui! Mayda, ehi, mi senti? Mayda!».

Non riuscivo a reagire, ormai stavo piangendo e respiravo a fatica.

Mi sentii strattonare un'ultima volta e poi avvertii per un attimo il vuoto sotto di me, finché non atterrai con i piedi per terra e un corpo caldo cozzò contro il mio e mi avvolse in un abbraccio rassicurante.



Tenerla tra le braccia era qualcosa di indescrivibile, non riuscivo neanche a crederci.

Tuttavia, dovetti darmi una mossa e spostarmi da lì prima che qualcuno del pubblico si accorgesse di me o che i tizi della security mi rompessero i coglioni. Sapevo di non poter stare in quella zona, così camminai nuovamente verso la scaletta, stringendo Mayda a me.

Lei camminò al mio fianco, ma pareva quasi una bambola inanimata, come se non riuscisse a reagire o a compiere dei gesti di sua spontanea volontà.

«Per il momento andrà bene» mormorai, prendendo posto su uno dei gradini e trascinandola con me. «Ehi, Mayda? Piccola, stai bene? Ti prego, rispondimi, sono in pensiero per te...»

Lei parve riscuotersi all'improvviso e sbatté le palpebre almeno cinque volte, poi altre lacrime abbandonarono i suoi occhi.

«Cristo! Sako?!»

«Già, sono proprio io.» Mi resi conto che ancora la stavo abbracciando e la cosa mi fece arrossire immediatamente. «Ti dà fastidio?»

«Cosa? No! Non lasciarmi! Non mi sento affatto bene... ma che cazzo è successo? E tu che hai fatto? E io che ci faccio qui? Merda, Sako! Devo cercare Helena, che casino, oddio... devo tornare di là...»

«Ehi, ehi! Mayda, ehi! Calmati, ti prego! Va tutto bene, è solo che... ho creduto davvero che... ho visto che ti stavano trascinando in mezzo al casino, ecco perché ti ho portato via di lì!» le spiegai, senza allentare la stretta su di lei.

Sentivo il suo corpo magro e fragile tra le mie braccia, non riuscivo a credere che fosse proprio lì con me, sentivo emozioni incredibili inondarmi il petto, avrei potuto spiccare il volo per la gioia che stavo provando.

«Mayda? Davvero sei qui?» le chiesi, facendo probabilmente la figura del perfetto idiota.

Lei inclinò la testa di lato e mi rivolse un'occhiata stralunata. «Io... credo di sì.»



Oddio, era bellissimo, più bello di quanto avessi immaginato o sperato nel vedere le sue foto.

Era proprio attraente, sentirmi stringere da lui in quel modo mi stava mandando nel pallone.

I suoi occhi erano attenti e fissi su di me, sembrava preoccupato per qualsiasi mia reazione.

«Santo cielo!» esclamai, rendendomi conto che eravamo abbracciati e vicinissimi: lui mi avvolgeva i fianchi con entrambe le braccia e io ero aggrappata alle sue spalle e tenevo tra le dita la stoffa della sua t-shirt nera.

«Cosa c'è? Stai bene?» Sollevò una mano e mi sistemò alcune ciocche di capelli che erano sfuggite alla mia coda, portandole dietro le mie orecchie.

«Credo...» Mi schiarii la gola. «Credo di sì.»

Sako sorrise dolcemente. «Riesci ad alzarti ora?»

«Sì, suppongo...»

«Allora vieni con me, godiamoci il resto del concerto. Ti va?» Si alzò e mi tese la mano.

MI guardai attorno, avvertendo già il vuoto lasciato dal suo corpo che si era staccato dal mio.

«E dove?»

«Quassù.»

Sgranai gli occhi e seguii il suo sguardo, il quale puntava proprio sopra il palcoscenico. «Sako! Non posso salire!»

«Ma sì che puoi... andiamo!»

Seppur riluttante, mi misi in piedi e decisi di seguirlo. Tutto questo era fottutamente assurdo, ma ormai ci ero dentro e tanto valeva vivere quel momento senza pensarci troppo: avrei avuto tutta la vita per rimuginare.



Finalmente Mayda si stava divertendo: dopo qualche minuto, grazie all'energia positiva e alla carica dei ragazzi, parve dimenticarsi dell'accaduto e si lasciò andare, ballando accanto a me e fermandosi ogni tanto a osservare i ragazzi della band come se avesse visto dei fantasmi.

Ma, soprattutto, non fece che piangere a dirotto. Era emozionatissima, quello era il suo primo concerto dei System e sicuramente si sentiva al settimo cielo.

Dal canto mio, mi resi conto che i miei amici avevano notato la sua presenza, ma nessuno mi lanciò strane occhiate e tutti rimasero concentrati sul proprio lavoro.

«Daron, oddio!» esclamò Mayda, portandosi le mani sul viso. «Non ci credo.»

«Ti piace il chitarrista, eh?»

Lei sobbalzò e annuì con fare titubante. «Lo adoro da quando ho conosciuto la band. Non posso farci niente...» si giustificò, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.

«Non avevo dubbi! Ehi, ti stai giustificando con me?»

Lei sostenne il mio sguardo. «Sei geloso, Karaian?»

Ridacchiai. «Non essere sciocca.»

Ormai il concerto era quasi giunto al termine, ma a confermarlo arrivò l'esecuzione dell'immancabile Sugar in conclusione.

Mayda si rabbuiò. «Oh, no! Sta già finendo.»



Osservai John che si avvicinava al bordo del palco e lanciava delle bacchette e delle pelli della sua batteria tra il pubblico. Le bacchette che aveva usato per suonare, però, erano ancora appoggiate sul timpano e io non capivo come mai.

Il batterista, dopo aver scatenato un boato infernale tra la folla, tornò verso il suo strumento e recuperò le bacchette che ancora non aveva regalato ai fan.

Inaspettatamente si diresse nella mia direzione e io mi sentii morire. Sako parve rendersene conto e mi appoggiò con delicatezza una mano sulla spalla.

«Ciao, tu sei l'amica di Sako, vero?» esordì John.

«S-sì, c-credo... ehm, scusa ma... non credo di sentirmi... bene...»

Il batterista parve intenerito dal mio atteggiamento e allungò le sue bacchette verso di me. «Prendile. Sono tue.»

«Cosa?! No, non posso accettarle! Ehi, scherzi? No, non esiste! Ti ringrazio, davvero, grazie di cuore, ma questo è troppo, non se ne parla... tu sei matto, siete tutti matti, non potete pensare davvero di...»

«Mayda, sta' zitta!» mi interruppe bruscamente Sako, ficcandomi in mano le bacchette. «Io e John lo avevamo già deciso, quindi non serve che tu continui a blaterare.»

Spostai lo sguardo dall'uno all'altro, ero basita e non riuscivo a credere alle mie orecchie. «Ah» feci soltanto. Poi tornai alla carica: «Come sarebbe a dire che eravate d'accordo? Tu avevi già deciso tutto? Karaian, io ti ammazzo, non ce n'era affatto bisogno, ti giuro, ora mi sento in colpa e mi viene pure il nervoso perché sei un cretino e ti sei messo in testa che io volessi...»

«Cosa sta dicendo?» chiese John a Sako.

«Non lo so.»



Era tremendamente agitata e non faceva che gesticolare come una matta; nella foga del momento, finì per sciogliersi i capelli e prese a ricostruire più volte la sua coda di cavallo. Ogni tentativo fu vano, dal momento che le mani le tremavano e le sue parole erano un fiume in piena che non riusciva a controllare né ad articolare in maniera sensata.

«La fai stare zitta? Altrimenti le riprendo le bacchette!» minacciò scherzosamente John.

Scossi il capo e mi chinai su Mayda, afferrandola per i polsi. «Ehi, ti calmi?»

«Io... io... mi sento in colpa, non è giusto!»

Sospirai. Era adorabile, avevo una voglia matta di baciarla e non sapevo se sarei stato in grado di resistere a lungo. «La smetti?»

«No! Non posso credere che...»

Non riuscii più a controllarmi. Lanciai una rapida occhiata a John e lui parve capire le mie intenzioni, così annuì e si voltò per lasciare il palco e raggiungere il backstage.

Mi voltai nuovamente verso Mayda che ancora parlava a vanvera e cercava di farmi capire che avevo esagerato con quel regalo e che mai lo avrebbe accettato, per nessuna ragione al mondo e un sacco di altre cose.

D'un tratto la attirai a me e premetti le mie labbra sulle sue, approfittando di un momento in cui si era miracolosamente zittita per riprendere fiato.

Lei si sciolse immediatamente tra le mie braccia e ricambiò il mio gesto, aggrappandosi con forza alla mia schiena e schiudendo le labbra per permettermi di approfondire quel contatto.

Baciarla era come rinascere, era come se io e lei fossimo stati da sempre destinati a quell'incontro. Tutto fu spontaneo, non ci furono ripensamenti, sentivamo soltanto l'attrazione fisica e mentale che si faceva largo tra noi.

Quando ci staccammo, lei cercò quasi subito un nuovo contatto con me e mi baciò con foga, tenendomi ancora più stretto. Era incredibile che un corpo così fragile potesse contenere al suo interno tanta forza.

«Ehi, Mayda...» mormorai, dopo qualche altro bacio. Questi si erano fatti sempre più roventi, ma allo stesso tempo dolci e morbidi come carezze.

«Mi sa che abbiamo combinato un casino...» borbottò.

«Mi sa che hai ragione.»

«Ci conosciamo appena...»

«Abbiamo parlato un sacco in chat, ti sei dimenticata?» le feci notare, accarezzandole i capelli ormai sciolti sulle spalle.

«Sì, ma questo è diverso... non credo sia il caso di...»

La zittii con un bacio. «Ora ho imparato come farti smettere di dire cazzate.»

«Stronzo.»

«Lo so.»



Erano trascorse alcune settimane da quando io e Sako ci eravamo incontrati.

Intanto, i lividi che mi ero procurata al concerto stavano pian piano sbiadendo e la mia vita aveva ripreso il suo solito corso.

Il mio paesino sembrava desolato, specialmente dopo l'esperienza che avevo vissuto.

Fissai lo sguardo sulle bacchette che John mi aveva regalato e sorrisi al ricordo della mia reazione da pazza: chissà se il batterista se lo ricordava ancora...

Sako, ovviamente, non l'aveva dimenticato, visto che non perdeva occasione per prendermi in giro e scimmiottarmi continuamente quando parlavamo al telefono.

Mi arrivò un messaggio su WhatsApp e subito lo aprii.


Sto arrivando, scendi?


Il cuore perse un battito, l'avrei rivisto dopo quasi un mese da quel giorno pazzesco.

Lanciai un'ultima occhiata allo specchio: viso pallido, occhi scuri contornati da un filo di matita nera, occhiali da vista, capelli sciolti sulle spalle. T-shirt larga e shorts azzurri.

Gli sarei piaciuta? O forse era stato tutto un errore? Forse mi ero illusa?

Scacciai quei pensieri e mi precipitai giù dalle scale.



Il mio corpo fremette come non mai quando potei finalmente riprendere Mayda tra le braccia e stringerla al petto. Mi era mancata terribilmente, così presi a riempirle il volto di baci e di carezze, come se non riuscissi a capacitarmi che fosse davvero con me.

«Mi sei mancata da impazzire.»

«Ecco, ora fai lo sdolcinato e io arrossisco come una stupida...»

«Almeno questa tua bella faccina prenderà un po' di colore. Dovresti andare un po' al mare, prendere un po' di sole...»

Mi mollò un pugno sul petto. «Sei proprio stronzo, Sako Karaian!»

«Ora non offenderti!» Risi, facendole il solletico.

«Non lo soffro, è inutile che ci provi!» mi rimbeccò.

«Non è giusto... sei una strega.»

«Addirittura?! Ti rimando a Los Angeles se non la pianti!»

Le presi il viso tra le mani e la guardai negli occhi per un po', facendomi serio. «Non me ne vado, sono qui perché non ne potevo più di starti lontano.»

Lei sorrise e mi carezzò piano il petto attraverso la t-shirt. «Sei dolce.»

Rabbrividii a quel contatto. «Oh, andiamo! Non fai che prendermi in giro...» borbottai.

«Non sto scherzando, Sako. Sei proprio adorabile.»

Ci guardammo negli occhi e ci scambiammo un altro bacio.

«Ora andiamo in spiaggia?» insistetti.

«Oh, e va bene!» cedette, intrecciando le dita alle mie.



La spiaggia era silenziosa, deserta. Quel giorno tirava un forte vento, nessuno si era avventurato in quel luogo.

Io e Sako avevamo dovuto percorrere un tragitto di circa dieci chilometri prima di ritrovarci sulla sabbia umida. Fortunatamente lui aveva la macchina e aveva insistito per usarla per una giusta causa, a suo dire.

Accoccolati l'uno accanto all'altra, ascoltavamo lo sciabordio delle onde e lasciavamo che il vento spazzasse i nostri corpi avvinghiati e liberasse la nostra mente.

«Hai freddo?» sussurrò Sako al mio orecchio, lambendone il lobo con le labbra.

«No, affatto. Sto bene.» Un brivido colmo di aspettativa mi corse lungo la schiena.

«Sono qui» disse. «Se vuoi dirmi qualcosa, ti ascolto.»

Aveva la capacità di leggermi nel pensiero, o forse stava semplicemente imparando a cogliere i segnali che anche i miei silenzi sapevano inviare.

«Domani te ne vai» osservai.

«Sì. Ma la settimana prossima tu vieni da me, quindi non devi sentirti triste» mi rassicurò, baciandomi sulla fronte.

«Lo so, però... Sako?»

«Dimmi Mayda.»

«Ti va di rendermi felice?» gli chiesi.

«Che domande mi fai? Certo che mi va!» affermò con sicurezza.

«Okay.» Sospirai profondamente, inspirai ed espirai un paio di volte, mi schiarii la gola e infine gli chiesi: «Hai voglia di fare l'amore con me?».

Subito mi coprii il viso con le mani e mi sentii avvampare all'inverosimile; mi resi subito conto di quanto avevo detto, nonostante la mia voce non avesse fatto che tremare e il mio cuore martellasse furiosamente nel petto.

Sako afferrò con delicatezza le mie mani e le spostò dal mio viso al suo petto, in modo da potermi guardare negli occhi. Era serio, non c'era ombra d'ilarità nel suo sguardo.

«Piccola, sei sicura? Io... Mayda, tu non sai quanto ti desidero, ma non ho nessuna intenzione di metterti fretta... non sono venuto fin qui per questo.»

Scossi il capo. «Lo so, non dicevo questo! Oh, insomma, perché devi sempre pensare male? Io volevo solo dirti che... cazzo, perché è così difficile?»

«Non agitarti, non ce n'è bisogno. Davvero, Mayda... è solo che... non me l'aspettavo.»

Aggrottai le sopracciglia. «Come no?»

«No, giuro!»

Infilai le dita sotto il bordo della sua t-shirt. «La tua risposta è sì?»

Si avventò sulle mie labbra. «Secondo te?»

E mentre il sole tramontava sulla spiaggia frustata dal vento, noi ci spogliammo lentamente e scivolammo l'uno nell'altra con naturalezza, passione, dolcezza, intensità.

Forse era sempre stato quello il nostro destino, anche se io ancora stentavo a crederci, anche mentre lo sentivo così vicino e legato a me.

Anche quando, accarezzandomi il viso, mi sussurrò: «Ti amo. E non scherzo, e non ammetto repliche. E non è troppo presto per dirtelo, perché forse è quello che ho sempre saputo fin dal primo momento, fin da quando hai cominciato a seguirmi su quello stupido social e io ho visto la tua prima foto. E sì, è riduttivo e so che stai pensando che sono sdolcinato, ma Mayda, ti amo da impazzire».

La mia risposta lo investì sotto forma di gocce più salate dell'acqua dell'Oceano che, burrascoso, vegliava su di noi.



♥ ♥ ♥ ♥ ♥ ♥


Ragazzi ç____ç

Sì, mi sono commossa, lo ammetto: era da tanto che non scrivevo qualcosa di così dolce, ci credete?

È solo che Sako e Mayda sono TROPPO dolci insieme, io non posso farci niente, la ship è partita da sé! *___*

La prima cosa che voglio dire riguarda il titolo della storia, Chakatagir; come detto nella presentazione, significa destino ed è l'unica parola che mi è venuta in mente per dare un titolo alla storia di Sako e Mayda! Ho scelto di scriverlo in armeno perché mi piaceva davvero molto, e inoltre entrambi i protagonisti hanno nomi e origini armene ^^

Poi, spero vi sia piaciuta anche la mia scelta di alternare i pov dei due cuccioli (?) e di lasciare la narrazione in prima persona :)

Ci tengo a precisare, inoltre, che questa OS è nata da un'idea ben precisa, ma non sto qui a dilungarmi, vi assicuro solo che l'ispirazione mi ha travolto e ha fatto sì che creassi un personaggio femminile che potesse prendersi cura di quel cucciolo di Sako Karaian, nonché tecnico della batteria del nostro John adorato *-*

(Sono tutti adorati e cucciolosi a questo giro, avete notato? È che ultimamente stavo scrivendo troppe baggianate trash nonsense e dovevo rimediare :D)

Poi?

Il nome Mayda è armeno, come già detto; l'ho trovato in una lista di nomi femminili e mi ha colpito moltissimo, anche perché trovo che stia bene accanto a Sako :3

Come ultima cosa, ci tengo a dedicare questo scritto alla mia amata StormyPhoenix perché sì e basta, perché lei ha inserito Sako nella sua long, perché ha accettato di aggiungerlo nella lista dei personaggi qui su EFP e per un mucchio di altre ragioni che solo io e lei sappiamo ♥

Stormy, tutta per te *-*

Bene, ringrazio chiunque sia arrivato fin qui e spero vivamente di avervi emozionato almeno un po'. Per me è stato bellissimo scrivere questa piccola storia e mi auguro di ricevere i vostri pareri in merito!

Alla prossima

  
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