Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    17/09/2017    6 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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IL FUOCO E IL GHIACCIO
 
 
La fuga di Pete e Fabrizia attraverso la piccola pineta riuscì perfettamente.
Un minuto più tardi avevano raggiunto l’atrio deserto dell’ala degli alloggi e, in attesa dell’ascensore, si ritrovarono a ridacchiare, soddisfatti per aver seminato i possibili scocciatori, e a baciarsi, tra una risata e l’altra, come se non ci fosse un domani.
– Pete… siamo scalzi, te ne sei accorto? – riuscì ad articolare lei, tra un assalto e l'altro.
– Oh, al diavolo, no! Non me ne ero reso conto.
– Io non ci torno, là fuori, a recuperare le scarpe, sia chiaro! Manca solo che mi blocchi di nuovo qualcuno… – brontolò Briz.
– Beh, nemmeno io! Sarà una cosa in meno da levarci di dosso… – la chiuse lì Pete, malizioso ma pratico come sempre, senza scomporsi.
Briz concordò, in silenzio: la circostanza non le avrebbe comunque permesso di parlare…
Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Pete la spinse dentro, praticamente senza staccarsi da lei, e la appoggiò alla parete. Fabrizia scostò le labbra dalle sue solo per chiedergli: – Da me o da te?
– Da me, è più vicino – rispose lui ricominciando a baciarla.
– Mmm, okay – fu il mugolio di risposta; poi Briz si staccò bruscamente, prima che la sua mano trovasse a tentoni il pulsante – No, ma che da te? Una volta mi hai detto che nel tuo letto ci stai a malapena da solo!
– Già, hai ragione! Allora da te! – finì Pete, schiacciando il bottone dell’ultimo piano.
Le porte si chiusero, l’ascensore partì, e loro ricominciarono a baciarsi.
– Uhmm… e poi dovremo comunque accontentarci di una piazza e mezzo… – si lamentò Fabrizia contro le labbra di Pete, alludendo al proprio letto, mentre con le dita cominciava già a giocherellare con i bottoni della sua camicia.
– La notte scorsa ci siamo stati bene – la rassicurò lui, lasciandola fare.
– Vero… ma stanotte avrei intenzione di farci un po’ più di… come dire… scompiglio. 
– Dio, Bri… se tu fai l’amore nello stesso modo in cui vivi, io sono perduto – le sospirò tra i capelli, mentre le porte dell’ascensore si riaprivano.
I due percorsero quasi di corsa i pochi metri che li separavano dalla porta di Briz e, in una manciata di istanti, furono dentro, nella semioscurità dell’alloggio, con lei di nuovo tra le sue braccia, stretta tra lui e la parete della zona notte. Fabrizia abbandonò la sua bocca e gli lasciò una scia di baci lungo la mascella, arrivandogli sotto l’orecchio e cominciando a mordicchiarlo sul collo, continuando a slacciare bottoni e sentendo sotto le labbra il suo battito impazzito.
– Ehi, Vampirella, calmati, non avere così fretta… Non ci corre dietro nessuno – la ammonì lui, sottovoce.
– Io non ho fretta, sei tu che hai il cuore a mille, bradicardico da quattro soldi.
– Lo so, sei l’unica che riesce a mandarmelo fuori giri… e considerando che ha passato gli ultimi sette anni in congelatore, mi chiedo ancora che razza di amore potrà mai darti – sospirò lui, seminandole piccoli baci in giro per il viso.
– E allora il mio? Ormai è stato ricucito e rappezzato tante di quelle volte, che mi chiedo come faccia a battere ancora. Eppure tu riesci a farglielo fare meravigliosamente…
– Sì… lo sento… – disse Pete, stavolta posandole lui le labbra sul lato del collo – E sai una cosa? Sei anche l’unica con la quale ho scoperto che le classiche farfalle nello stomaco non sono una stupida leggenda. Da non credere, vero?
Briz lo guardò stupita, le mani attorno al suo viso: – Cosa? Tu senti le farfalle?
– Ogni volta che ti guardo, sì… o che mi sorridi. A te non capita? – rispose lui, tornando a baciarle la gola.
– Sei un dilettante, tesoro: quando tu mi guardi, e mi sorridi, nella mia pancia fa irruzione una mandria di rinoceronti! E se fai tanto di toccarmi, cominciano pure a ballare la conga!
– Uhm… Interessante – fece lui, accarezzandole il fianco e risalendo, con insopportabile lentezza, fino al seno – Allora? Ballano i rinoceronti? – le soffiò tra il collo e l’orecchio.
– Ohh, sì, altroché! Si stanno scatenando… – rispose lei, facendogli scivolare la camicia lungo le braccia e lanciandola dove capitava, impaziente di sentire sotto le mani la sua pelle calda e liscia.
Pete si riappropriò delle sue labbra e cominciò a slacciare i primi bottoncini dell’abito nero. Poi, come preso da un pensiero, le accarezzò il braccio sinistro, soffermandosi col pollice sull’interno del gomito e appurando, con quel gesto, che il contraccettivo era ancora al suo posto. Fabrizia si staccò e si guardarono per qualche istante, scambiandosi un lieve sorriso complice che fu più che sufficiente per capirsi, anche senza parole: Pete sapeva che lei avrebbe voluto dei figli, un giorno; e lui, che non aveva mai pensato, prima, all’eventualità di diventare padre, si ritrovò a riconoscere in quell’istante che l’idea non solo non lo spaventava, ma gli piaceva da impazzire. Le prese il volto tra le mani, e la voce quasi gli tremò.
– Bri… Li voglio anch’io, quei famosi due o tre bambini, quando sarà ora… Ma solo perché so che la loro mamma sarai tu.
– Sono felice di sentirtelo dire; ma non mi sono fatta rimuovere il dispositivo, ieri, perché adesso, e ancora per un po’… io voglio te. Soltanto te.
Io voglio te… Quelle tre parole gli procurarono un fremito caldo, lungo la spina dorsale, che lo lasciò quasi senza fiato.
– Su questa scelta mi trovi assolutamente d’accordo, fanciulla – le disse sulle labbra.
Si concessero ancora qualche bacio, finché Fabrizia gli sfuggì giocosamente puntandogli una mano contro il petto nudo e lo spinse all’indietro, mandandolo a cadere sul letto. Pete indietreggiò, fino a trovarsi con le spalle contro i cuscini appoggiati alla testiera, mentre lei lo raggiungeva sul copriletto colorato, muovendosi a quattro zampe e mettendosi a cavalcioni sopra di lui.
Lui intravide, nella semioscurità, che Briz slacciava altri bottoni dell’abitino e decise di volerci vedere più chiaro.
Accese la lampada sul comodino, ad illuminare lo spettacolo.
Briz arrossì disperatamente e si allungò a spegnerla.
Lui la riaccese.
Lei la spense nuovamente.
Con un perentorio sguardo che non ammetteva repliche, la ragazza si impadronì di un piccolo telecomando posato accanto alla abat-jour e fece aprire del tutto il pannello scorrevole che oscurava in parte la finestra sul soffitto spiovente: la luce soffusa della luna entrò, illuminandoli quanto bastava. Pete non poté fare a meno di approvare, mentre lei proseguiva a far uscire i bottoncini luccicanti dalle asole fino a rivelare un reggiseno a balconcino di seta rosa pallido, bordato di un sottile pizzo color grigio perla. Lui le fece scivolare il vestito dalle spalle lungo le braccia e glielo lasciò ricadere attorno ai fianchi dove si raccolse, simile alla corolla di un fiore nero dalla quale lei si ergeva, seminuda e bellissima: poté solo, semplicemente, ammirarla, completamente ammaliato dalla sua bellezza. 
 
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– Ti… aspettavi la solita microfibra di un colore assurdo e accecante, vero? – gli sussurrò.
– Sei riuscita a sorprendermi di nuovo: è una meraviglia, ma credo sia perché dentro… ci sei tu. Tu, sei la meraviglia!
– Non mi sembra molto diverso da com’ero oggi pomeriggio in spiaggia…
– È totalmente diverso, credimi… ma ti rivelo una cosa – disse a bassa voce attirandola a sé, accarezzandole la cicatrice sulla coscia e risalendo sotto la stoffa ammucchiata dell’abito – Pizzo, seta, microfibra… non importa di cosa sia fatto… tanto, non ti resterà addosso ancora per molto.
Il sorriso che Briz gli rivolse era carico di promesse, nonostante le guance in fiamme, e le sue mani gli corsero leggere lungo il torace, saggiando la compattezza dei muscoli, dai pettorali agli addominali perfetti, fino a scivolare più in basso; gli slacciò la fibbia della cintura e i bottoni dei jeans, abbassandoglieli poi sui fianchi. Il giovane la aiutò, scalciandoli via e rimanendo con i boxer, mentre lei si chinava a cercare le sue labbra: era più forte di lei, non ne aveva mai abbastanza di baciarlo, ma era piuttosto evidente che la cosa fosse reciproca.   
Ma poi, tutto ad un tratto, Briz si fermò, impacciata, cercandogli lo sguardo nella penombra: sembrava che, improvvisamente, non sapesse più cosa fare delle proprie mani.
– P-Pete, scusami… non…
– Bri, cosa c’è? – le chiese, prendendole il volto arrossato tra i palmi.
Lei scosse appena la testa, con un sorriso imbarazzato, e lui proseguì: – Se non sei sicura, dillo e ci fermiamo, ma… fallo subito perché, onestamente, credo che mi manchi molto poco al punto di non ritorno…
– No! N-non è quello, ma cosa dici? È solo che… volevo fare una bella scena di seduzione, ma lo sai che in realtà per me è come se fosse… insomma, io… sono imbranata, ecco.
– Davvero? Perché a me sembrava che già dall’ascensore stessi andando benissimo, sai?
– Non so… dai, insomma… gui-guida tu, ti prego.
– Guido io? – fece lui, un po’ perplesso.
– Sì – confermò Briz in un soffio.
Lui annuì, in silenzio, un mezzo sorriso sulle labbra. Il vestitino, ormai slacciato del tutto, andò a finire chissà dove, e la mano che Pete le teneva sulla coscia proseguì la sua esplorazione, insieme all’altra dal lato opposto: entrambe finirono il loro percorso sul fondoschiena di Briz, fasciato da una culottes di seta e pizzo, coordinata col balconcino. Pete la attirò un po’ in avanti, sul proprio bacino, e Briz avvertì contro di sé, un po’ fiera e un po’ imbarazzata, il desiderio di lui, ormai impossibile da nascondere. Lui la rovesciò spingendola sotto di sé e, tenendola stretta, appena sollevata, cercò sulla sua schiena il gancetto del reggiseno.
Se pensava di farcela con un semplice gesto, si sbagliava di grosso: dopo aver pasticciato per parecchi inutili secondi, fu sul punto di darsi per vinto.
– Ma porc… se scopro chi lo ha inventato… – brontolò, frustrato.
A Briz venne da ridere, e non resistette alla tentazione di prenderlo affettuosamente in giro.
– Che ti succede, bel pupone, ci hai perso la mano? Eppure non dovrebbe essere il primo che sganci.
– Bri, il problema è… che questo reggiseno è il tuo! Mi sento come… se fosse la prima volta – confessò lui.
Fabrizia si sentì assalita da un’ondata di tenerezza, a quell’ammissione.
– Beh, ma lo è: è la prima, per noi due insieme. L’hai detto tu: non ci corre dietro nessuno, abbiamo tutta la notte… Vedrai che prima di domattina questo gancetto si apre…
– Domattina? Ma vorrai scherzare, spero! – esclamò lui, impaziente, strappandole una risata che lo contagiò.
Le risate si affievolirono, stemperandosi in baci brucianti che Briz avvertì scendere lungo la gola e le spalle, fino al bordo di pizzo del balconcino; il malefico gancetto si slacciò come per magia, e le labbra di Pete furono libere di proseguire il loro percorso, impossessandosi della morbida e serica pelle del suo seno, facendo fiorire in lei una miriade di piccoli, piacevolissimi brividi. Si lasciò andare all’istinto, seguendo spontaneamente le movenze di lui: le carezze divennero intraprendenti da ambedue le parti, avventurandosi oltre la poca stoffa che ancora indossavano, e si inframmezzarono a sospiri, sorrisi e parole appena sussurrate, finché nelle loro vene il sangue diventò come lava infuocata.
Le ultime barriere di seta e cotone che separavano i loro corpi, finirono nell’unico posto che in quel momento gli competesse: il pavimento. Ben pochi centimetri della loro pelle accaldata, furono risparmiati dal tocco delle loro mani e dai loro baci, e la ragazza si accorse che al proprio corpo stava accadendo qualcosa di fino ad allora sconosciuto: fu come se il battito del suo cuore si spostasse all’ingiù, una stilla di liquido vuoto rovente, che infine si annidò, cupo, forte e pulsante, nel suo basso ventre. Un vuoto che urlava, silenzioso e incessante, di essere colmato.
 
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E proprio in quel momento… accadde: quel desiderio incontrollabile, famelico e dirompente, venne soddisfatto, evolvendosi in un attimo di perfezione irripetibile. I loro corpi si incontrarono guidati da un impulso irresistibile e diventarono un’unica cosa, completandosi l’un l’altro in quel modo assoluto e antico come la vita stessa.
Rimasero per qualche lunghissimo istante senza fiato, immobili, a guardarsi negli occhi, sopraffatti dalla meraviglia per la spontaneità e la naturalezza con cui era successo, ma pienamente consapevoli che con quell’atto, col quale si accolsero e conquistarono a vicenda, non solo i loro corpi, ma anche le loro anime, avevano creato la fusione e l’incastro perfetti.
– Oh, Dio, Bri… – sospirò Pete, chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte su quella di lei.
Fabrizia gli accarezzò i capelli, baciandogli il volto, sorpresa da quelle sensazioni del tutto nuove, che fino a quel momento aveva solo immaginato.
Era passato tanto tempo dalla sua prima, unica e disastrosa volta; era stata quasi sicura che avrebbe provato di nuovo dolore, che l’emozione e l’imbarazzo le avrebbero giocato brutti scherzi, e si era preparata a quella eventualità; e invece…
Si affrettò a rimuovere qualunque ricordo residuo di ciò che le fosse accaduto in passato: la realtà era questa, dove tutto era come doveva essere; proprio come aveva pensato da quando, per la prima volta, si era concessa di immaginare come sarebbe potuto essere, fare l’amore con Pete.
Incapace di resistere, assecondando l’istinto, si mosse sotto di lui, inconsapevolmente vogliosa e sensuale, schiudendogli la bocca sul collo e facendola scorrere fino alla spalla, alternando baci e piccoli morsi, assaporando la sua pelle leggermente salata. Gli accarezzò il braccio, sentendo sotto i polpastrelli la cicatrice che gli solcava il bicipite, mentre l’altra mano gli correva, curiosa e impaziente, lungo la spina dorsale, fino a raggiungergli il fondoschiena… e lui la fermò.
– Stai ferma… non muoverti, ti prego – le ordinò sottovoce, con un tono quasi implorante, mentre lei riportava la mano incriminata verso l’alto. Le parlò, sfiorandole la guancia e l’orecchio, cercando di sdrammatizzare: – Se ti muovi ora… qui finisce tutto prima di cominciare. Scusami, ma… non… non era mai stato così. Se questo è solo l’inizio, io sono un uomo morto.
– Oh, no… – sospirò lei, comprendendo al volo la situazione – io ti ho già detto che ti voglio vivo e sano come un pesce… E direi che fin qui ci siamo, e alla grande, anche…
Pete soffocò una risata fra i capelli di Briz, inebriandosi del loro profumo e pensando che solo lei poteva essere capace di fargli fare una cosa del genere, in un momento come quello. Proprio a lui, che aveva sempre preso il sesso molto sul serio: aveva sempre creduto che fosse la cosa più piacevole che si potesse fare senza ridere; e invece… la sua fanciulla pazzoide gli stava facendo scoprire che anche fare l’amore, poteva prendere una piega dannatamente divertente. Davvero niente male, se si considerava che, tra i due, l’esperto
sarebbe dovuto essere lui.
Eppure Briz, in quel modo, riuscì a distogliere la sua attenzione da quelle sensazioni talmente intense da rischiare di fargli perdere il controllo; fu esattamente ciò che ci voleva: a lui per riprendere la padronanza della situazione, e a lei per abituarsi a quella meravigliosa invasione.
Quando il momento di ilarità, così stranamente opportuno, si spense, i loro corpi ripresero a muoversi in modo lento e languido, all’inizio ancora un po’ incerti, cercando e trovando insieme la sincronia giusta, imparando a conoscersi.
Il resto del mondo scomparve, come era giusto: per lui avevano già dato.
Il tempo si dilatò, o si fermò… entrambi ne persero la cognizione, smarriti in quella danza antica come il mondo che diventava sempre più infuocata, in cui dolcezza e passione, amore e desiderio, si fondevano mirabilmente, creando un’onda impetuosa e irresistibile, che li legò indissolubilmente l’uno all’altra, cedendo finalmente il passo a tutto quello che, ormai da tempo, avrebbe dovuto essere.
I loro gesti diventarono più audaci, le richieste più esplicite; i respiri si fecero più affannosi, ad infrangersi sulla loro pelle bollente e contro le labbra che si cercavano, a tratti assaggiandosi dolcemente, a tratti divorandosi affamate.
Finché Briz si ritrovò a soffocare un grido, assolutamente attonita e impreparata a ciò che le accadde così, all’improvviso, quando una marea calda e travolgente salì dentro di lei, trascinandola in un gorgo di sensazioni sconosciute che la spinsero ad avvinghiarsi ancora di più al suo compagno.     
Pete avvertì il corpo di Briz tremare e inarcarsi contro il suo, tutti i suoi muscoli tendersi, le sue braccia cingerlo con forza e le unghie piantarglisi in una natica, come a trattenerlo nel timore che potesse staccarsi da lei. La strinse a sé, quasi cullandola, consapevole di ciò che stava provando, mentre le sue lunghe gambe gli si serravano attorno ai fianchi. Sentì la bocca di lei dischiudersi e i suoi denti affondargli nella spalla, mentre il grido della ragazza si trasformava in un lento mugolio contro la sua pelle. Quei gesti, insieme al gemito soffocato che li accompagnò, innescarono in lui la stessa reazione, irrefrenabile e ormai inevitabile, contro la quale Pete rinunciò a resistere, lasciandosi finalmente sopraffare a sua volta.
Briz lo abbracciò, stringendoselo addosso, mentre il giovane si lasciava andare su di lei, scosso da lenti e incontrollabili fremiti, il volto premuto sul suo collo, a reprimere a malapena un suono, a metà tra un ringhio e un sospiro.
Cercò quasi subito di rotolare al fianco di Briz, temendo di pesarle addosso, ma lei glielo impedì.
– No… stai qui, ti prego… – ansimò, continuando a tenerlo stretto.
Lui obbedì, abbandonandosi sopra di lei, senza riuscire a replicare.
Ci volle un po’, prima che i loro corpi smettessero di tremare e i loro cuori e i loro respiri tornassero a ritmi più lenti e regolari.
Stavolta, quando Pete si spostò, girandosi sulla schiena e portandosi Briz al fianco, lei non protestò: lo circondò con un braccio e una gamba e gli si avviticchiò addosso. I loro sguardi si cercarono e, ancora leggermente ansanti, si sorrisero, di un sorriso stanco e soddisfatto, al quale non riuscirono, per un po’, a far seguire nemmeno una parola. Briz si sollevò appena su di lui, gli accarezzò il volto e i capelli e gli lasciò un bacio sulla fronte, facendoglielo poi scivolare lungo il profilo fino a soffermarsi, casto e leggero, sulla bocca.
– Accidenti, Pete – sussurrò, strofinandogli la punta del naso contro il suo – Saremo anche fuoco e ghiaccio… ma insieme funzioniamo davvero bene.
– Credo proprio che il merito sia tuo, fanciullina. Il ghiaccio è solo materia fredda e inerte, mentre il fuoco è vivo, luminoso e caldo… come te – asserì lui, frugandole lo sguardo.
– Intanto sul freddo e inerte riferiti a te, soprattutto ora, avrei parecchio di cui discutere… e poi potrei dirti che il mio punto di vista sulla questione è diametralmente opposto al tuo: secondo me, il fuoco distrugge, mentre il ghiaccio preserva. Quindi? Cosa mi rispondi, adesso?
Pete la guardò, seriamente in difficoltà, ponderando che, effettivamente, la metafora di Briz ribaltava completamente il significato della sua, prima di lasciarsi andare ad una risatina sommessa.
– E cosa vuoi che ti risponda? Che… non avrò mai ragione, con te.
– Mmm… forse ogni tanto te la concederò. La ragione, intendo… – mugolò lei, prima di raggomitolarsi contro di lui, posandogli la guancia sul petto e chiudendo gli occhi, sfinita.
– Ti amo, Bri – sussurrò Pete, con le labbra a sfiorarle i capelli.
– Lo so – fu la lieve risposta – Anch’io ti amo… e so che lo sai…
Fu appena un sospiro, prima di trascinarlo con sé in un sonno dolce, profondo e appagato.
  
* * *
 
Pete fu svegliato di colpo, sì e no mezz’ora più tardi, dai gemiti soffocati di Briz e dai suoi movimenti inconsulti: con un ultimo grido, la ragazza balzò a sedere sul letto spingendolo via e spalancando gli occhi, ansante, e lui riuscì ad afferrarla da dietro, con le braccia intorno alla vita, un attimo prima che saltasse dal letto.
– L'allarme! Sta suonando l'allarme! – urlò lei, portandosi la mano all'orecchio, cercando l'auricolare… che non c'era.
Pete se la strinse contro, ancora intontito dal sonno, e le baciò la tempia, cercando di calmarla.
– Bri, tesoro… non c'è nessun allarme, è finita, tranquilla. Hai sognato…
Lei si voltò appena e lo guardò con occhi scuri e cupi, nella semioscurità della stanza, come a chiedersi cosa ci facesse Pete, lì nel suo letto, coperto a malapena dal lenzuolo. Poi le sue iridi si schiarirono e ritornò alla realtà, ricordando quello che era accaduto: si lasciò sfuggire un lieve sorriso, mentre si rilassava contro di lui con un sospiro.
– Scusami… non volevo svegliarti.
– Non è niente, è tutto a posto… è passato.
– Quanto durerà questa cosa? Svegliarmi con gli incubi, intendo – chiese Briz, in tono vagamente avvilito.
– Non lo so… ma, se può consolarti, sappi che è capitato anche a me, qualche volta; e non posso prometterti che non accadrà più – le disse, tornando a stendersi, con lei stretta al fianco – Passeranno anche gli incubi, Bri, abbi pazienza. Almeno, quando succederà, non ci sveglieremo più da soli.
Fabrizia non rispose e si limitò ad annuire, abbracciandolo in silenzio.
Riuscirono a riaddormentarsi, ma Briz si risvegliò dopo un paio d’ore. Restò ferma, ad ascoltare il battito lento del cuore di Pete e il lieve suono del suo respiro regolare. Si mosse per cambiare posizione, e anche lui si spostò, ma senza svegliarsi.
“Non riesco a crederci” pensò Fabrizia, sollevandosi appena su un gomito, guardando la zazzera scompigliata di lui, che gli nascondeva in parte gli occhi chiusi. Si era spostato a pancia in giù, il volto girato verso di lei e semi affondato nel cuscino.
Briz percorse con gli occhi la linea delle sue spalle e trasalì per un attimo, nel vedere sulla sua pelle il lieve segno dei propri denti. Arrossì, al ricordo delle sensazioni che l’avevano travolta nel momento in cui lo aveva morso: non se lo era aspettato… non già la prima volta; non così all’improvviso e non così intenso…
I suoi occhi scesero lungo la muscolatura armoniosa della schiena,  soffermandosi sulla scapola ornata dal disegno del drago, poi scivolò più in giù, sui glutei scolpiti, per metà coperti dal lenzuolo stropicciato; sul sinistro c’erano persino i quattro, piccoli segni a mezzaluna delle sue unghie: uno spettacolo che valeva davvero la pena, andava detto.
 
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Quante volte le era capitato che le fosse balenata in mente una visione come questa, spesso senza che nemmeno lei lo volesse? Beh, dal vero era decisamente meglio: altro che visione, era stato tutto molto, ma molto concreto.
Possibile che questo bellissimo, giovane uomo, che dormiva nudo al suo fianco, fosse lo stesso freddo, impenetrabile individuo che aveva conosciuto quindici mesi prima? L’insopportabile Capitano che l’aveva fatta sentire una nullità, quello che lei aveva preso a schiaffi e col quale se ne erano detti da forca e da galera per mesi? Sapeva essere duro e intransigente, quando era necessario, ma lei aveva scoperto da un pezzo che sotto quella corteccia ghiacciata che amava ostentare, c’era tutta un’altra persona; c’era lui, Peter Jonathan Richardson, quello vero, di cui aveva parlato Tom: il ragazzo che amava la musica, i bei film, studiare archeologia e divertirsi con gli amici… E che per qualche assurdo motivo, amava anche lei! Su quest’ultima cosa non aveva più dubbi, glielo aveva ripetuto persino davanti a decine di persone; e il modo infuocato, eppure gentile, con cui aveva fatto l’amore con lei, glielo aveva ulteriormente confermato.
“Cuore di ghiaccio ‘sto cavolo, mio Capitano! Tu sei la parte migliore di me e della mia vita” pensò, chinandosi a sfiorare con le labbra il cuore che il drago tatuato teneva fra gli artigli.
Daimonji li aveva costretti a frequentarsi perché aveva capito che avevano punti in comune su cui lavorare, e altri, che sembravano agli antipodi, che invece si sarebbero compensati. Diavolo di un dottore! Aveva avuto ragione, come sempre, anche se allora, probabilmente, non aveva immaginato nemmeno lui che l’epilogo potesse essere questo.
Pete le aveva insegnato a trovare il coraggio e l’autocontrollo dentro di lei, e a credere in sé stessa e nelle sue capacità, ma anche a fidarsi di lui. E c’era riuscito, perché se era lui, a dire che era coraggiosa, allora era vero; perché se era lui, a dirle che era bella, voleva dire che lo era davvero; perché se era lui, a dirle che la amava, lei ci credeva.
Stava per accoccolarsi di nuovo accanto a lui, quando un’immagine le balzò nel cervello, di nuovo: l’anello di Alessandro. Ma perché…? L’immagine di Alessandro, che la salutava mentre il suo corpo si smaterializzava in piccole stelle luminose, le riempì la mente, insieme alle parole che in quel surreale momento non era riuscita a sentire: “Cerca nel vecchio zainetto militare, Folletta, c’è ancora qualcosa di me lì dentro!”  
Visualizzò nella sua testa una vecchia e logora sacca, che non usava da tempo immemorabile; le sorse persino il dubbio di possederla ancora… Senza sapere perché, avvertì il bisogno impellente di controllare.
Briz si avvolse nella copertina colorata di cotone leggero e scivolò giù dal letto per raggiungere l’armadio.
Aprì l’anta e si chinò a frugare sul fondo, tormentata da quel vago sospetto: spostò un paio di scatole… e il vecchio zainetto era lì! Lo afferrò bruscamente, aprendo la cerniera e cercando con ansia una piccola tasca interna, seminascosta, anch’essa chiusa da una lampo. Fece scorrere la zip, e ficcò dentro le dita… Dio, non era possibile! Sfilò la mano… e l’anello di Ale era lì, a brillare sul suo palmo.
Era sempre stato lì, seppellito tra i ricordi in fondo a quell’armadio, dentro quella vecchia sacca di tela, che lei aveva completamente dimenticato di essersi portata dietro dall’Italia.
Sorrise tra sé: ancora una volta, suo fratello non si era smentito e aveva voluto lasciarle qualcosa di lui, e lo aveva fatto in quel modo speciale ed unico che era ancora tutto loro, pur vivendo ormai in due dimensioni totalmente aliene l’una all’altra.
In realtà, sapeva che quell’anello non lo avrebbe portato lei… Se lo infilò momentaneamente al pollice, l’unico dito nel quale non le ballasse, e fece per girare intorno al letto per tornare al fianco di Pete. 
Non aveva fatto nemmeno due passi che sentì la stoffa tirare e svolgersi dal suo corpo: rapidamente la riafferrò, drappeggiandosela intorno e girando il volto verso il letto, avvampando disperatamente.
 
 
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Si ritrovò ad affrontare lo sguardo malandrino di Pete, che teneva in mano l’altro lembo del leggero copriletto.
– Spiegami: dopo tutto quello che abbiamo fatto, ti copri per fare due metri?
– Sì! – rispose lei alzando il mento, l’atteggiamento a metà tra la sfida e la timidezza, tenendosi la stoffa sul seno.
– Hai bisogno di un’iniezione di autostima?
– Mmm… Forse.
– Allora vieni qui… – disse lui, tirando la copertina e facendola di nuovo cadere sul letto su cui rotolarono insieme, le gambe intrecciate nelle lenzuola, a ridere e ruzzare come due cuccioli, finché la giocosa schermaglia si concluse, con un tonfo e un paio di grida soffocate, sul pavimento, in un groviglio di stoffa colorata.
Quando riuscirono a smettere di ridere, Briz osservò la situazione.
– Non è successo – affermò con aria fintamente grave – Non siamo caduti dal letto: non può essere.
– Può essere eccome, fanciullina: quando si tratta di te, può accadere questo e altro…
– Anche questo è vero – fu costretta a concordare lei, stringendosi di nuovo il lenzuolo davanti.
– Ma la smetti? – le disse lui, vedendo quel gesto – Sei talmente bella da abbagliarmi, Bri, non puoi vergognartene – aggiunse serio.
– N-non è che mi vergogno, Pete, è solo… che non sono ancora abituata a stare nuda davanti a qualcuno.
– Io non sono qualcuno: sono l’altra metà di te.
– Santo Cielo… ti ho fatto uscire una vena poetica? Sono davvero un fenomeno.
– Basta che non lo dici a nessuno…
Eh, già! Non fosse mai, che gli altri venissero a conoscenza del lato tenero del Capitano Richardson! Come se ormai non lo sapessero già tutti.
– Va bene, te lo prometto. E… mi piace che tu sia l’altra metà di me: voglio che il resto della mia vita, sia fatta per il cinquanta per cento di te.
– Perché solo il cinquanta per cento? Che significa? – chiese Pete, mentre raccattavano lenzuola e copertina colorata e tornavano a prendere possesso del letto, distesi uno di fronte all’altra, le gambe intrecciate, prima di coprirsi sommariamente.
– Proprio un realista come te, me lo chiede! Perché nella vita vera non si può avere sempre e solo felicità, come nelle favole, Pete! Per quanto… visto ciò che entrambi abbiamo passato, direi che siamo sicuramente in credito – constatò – Comunque, se tu sarai metà della mia vita, ciò che ci sarà nell’altra metà andrà bene a prescindere, bello o brutto che sia. Con te affronterò qualunque cosa, so che è possibile: lo abbiamo già fatto, molto prima di oggi; prima di essere davvero una coppia.
– In realtà, io e te, siamo una coppia ormai da parecchio tempo, e lo sai.
– Di sicuro i nostri amici lo pensano da un pezzo, ma hai ragione. In fondo, se ci pensi bene, l’ultima cosa che mancava al nostro rapporto… era questa – disse lei, con un gesto vago che indicava le lenzuola sfatte.
– Beh, direi che stasera ci siamo impegnati, per aggiungere alla nostra storia l’ultimo tassello; avevi detto che volevi farci scompiglio, nel letto, ma mi sembra più un devasto – ridacchiò Pete – E pensare quanto ci siamo ostinati a non volerla nemmeno prendere in considerazione, questa cosa.
Briz si sollevò sui gomiti, per guardarlo in viso.
– Senti… io sono ancora convinta che se avessimo ceduto, e lo avessimo fatto prima, avremmo rovinato tutto. Non so tu, ma… io non ero pronta ad affrontare qualcosa di tanto meraviglioso come fare l’amore con te, proprio in mezzo al delirio che abbiamo vissuto. Non riuscivamo nemmeno ad ammettere di amarci, Pete. Probabilmente ne sarebbe uscita una cosa, non so… sminuita. Avremmo finito per considerarlo solo… uno sfogo. Va bene così, credimi, mi piace molto di più – concluse.
– Sì, va bene così – convenne Pete, passandole una mano dietro la nuca e impossessandosi delle sue labbra.
– Bri, è… tutto okay, vero? – le chiese poi, vagamente preoccupato.
– In che senso?
– Ecco… c’è stato un momento in cui… sono stato un po’ troppo… ho temuto di averti fatto male.
– Ma cosa dici? Sto divinamente, anzi, sono io che ti ho dato un morso… e graffiato il sedere… – disse, imbarazzata, sfiorandogli la spalla, sulla quale il segno dei suoi denti andava svanendo – Mi hai fatto provare molte cose, ma ti giuro che… male, non era fra queste – aggiunse, guardandolo intensamente e sollevandosi a sedere.
Quest’ultima affermazione lo fece sorridere e provare un moto di soddisfazione: si stiracchiò, con un’espressione compiaciuta che fece ridere Briz.
Poi divenne seria e sollevò appena la mano destra: Pete vide l’anello al pollice, che lei si sfilò, mostrandoglielo.
– Da dove viene, questo? – le chiese, sedendosi anche lui e osservando l’incisione.
– Era di Alessandro; credevo fosse andato perduto nella distruzione della nostra casa, invece è rispuntato fuori. Forse è un segno del destino, o forse Alessandro ci ha messo di nuovo del suo: conoscendolo è capace di averlo fatto, anche da dove si trova ora. Sì, okay, sto farneticando, lascia stare… Comunque è qui: tu sei l’unica persona, addosso alla quale sarò felice di vederlo.
– E io sarò felice, e onorato, di portarlo, Bri.
– Il suo valore materiale non è minimamente paragonabile a questo – disse Briz, osservando il suo diamante – Ma… mi sembra appropriato, e non solo perché, casualmente, c’è incisa l’immagine di un drago…
Pete non rispose, si sentì solo commosso e orgoglioso, mentre Briz posava un bacio sull’anello e glielo infilava all’anulare sinistro, prima di passargli le braccia intorno al collo e baciare lui.
Si guardarono, sentendosi entrambi vagamente straniti, eppure, allo stesso tempo, essere lì, su quel letto sfatto, senza nient’altro addosso che quelle lenzuola stropicciate, sembrò loro la situazione più naturale del mondo…
– Devo farti vedere una cosa – disse all’improvviso Pete, sporgendosi a raccogliere i propri jeans, che erano ancora sul pavimento, e prendendo lo smartphone da una tasca, prima di appoggiarsi con la schiena ai cuscini, contro la testiera del letto. Lei gli si accoccolò accanto, mentre lui cercava alcune foto nella galleria del cellulare.
– Eccola – disse Pete, trovando ciò che cercava.
– È… una casa – constatò Briz.
Le immagini mostravano, ripresa da diverse angolazioni, una grande costruzione a due piani più una mansarda, bianca, dall'architettura vagamente spagnoleggiante, con un ampio porticato e il tetto di tegole rosse: in quell'abitazione c'era posto per almeno due famiglie, forse tre. Alle sue spalle c'era un bel prato con una specie di dépendance, insieme a un annesso in legno che aveva tutta l'aria di una specie di stalla con il fienile, anche se sembrava assolutamente spoglio e inutilizzato. Tutto il complesso era però attorniato da alberi, cespugli fioriti e palmizi, e si stagliava nitido contro l'azzurro del cielo e il verde di una bassa collina.
– Ehm… mi correggo: questa non è una casa – commentò Briz – Sembra più un ranch… no, come si dice già, in spagnolo? Una… hacienda. Ma dov'è?
– Nell'entroterra di Santa Barbara, in California; l'oceano però è a pochi chilometri. Ti piace?
Briz rimase per qualche istante senza parole, poi si riprese.
– Come potrebbe non piacermi? È bellissima! Ma perché me lo chiedi?
– Perché… è casa mia. Ti piacerebbe… abitarci?
– Abit… eh… ehu… – Briz perse la parola per la seconda volta in pochi secondi e si alzò sulle ginocchia – Mi stai chiedendo… di andarci a vivere insieme?
Pete non capì subito se la cosa la intrigasse, la scandalizzasse o, addirittura, la spaventasse.
– Bri… – si affrettò ad aggiungere – Se vuoi tornare a vivere in Italia, sappi che Boscombroso, a me, piace moltissimo. E se vuoi andare in qualunque altro posto, vendiamo la casa di Santa Barbara e ne compriamo un'altra: qui in Giappone, in Australia o a Timbuctu… non mi importa dove. Basta che sia un posto che ti piaccia, dove pensi di poter essere felice.
Briz gli sorrise, divertita e completamente conquistata da quel Capitano Richardson alquanto inedito, che si lasciava prendere dall'entusiasmo per progetti di vita a lunga scadenza. Per non parlare di quel vendiamo, riferito a quella meraviglia di casa come se già fosse di entrambi, che gli era uscito senza nemmeno rendersene conto.
– Sei diventato anche tu, uno di quelli convinti che casa non sia dove, ma chi?
– Straconvinto al mille per cento, sì! La mia casa sei tu, Cuordileone.
– Oh, queste sì, che son parole! E considerando che io una casa non ce l'ho proprio, è tutto dire. Ma… sei sempre vissuto lì?
– No… Quella casa viene dalla famiglia di nonno McBride, il marito di nonna Rosy. Noi abitavamo a Los Angeles, e lì ci andavamo solo in vacanza: papà non la amava particolarmente e non aveva nemmeno modo di venirci spesso, ma io e Tom ci siamo affezionati. Abbiamo passato lì quasi tutte le estati della nostra vita, prima di… del… – si interruppe; parlare del naufragio a volte lo angosciava ancora, e Briz lo zittì dolcemente.
– …sì, ho capito. Quindi hai anche una casa a Los Angeles?
– Non più: l'ho venduta e ho lasciato a Tom il ricavato, quando mi sono arruolato nell'USAF e lui è andato in collegio. A me bastavano gli alloggi dei piloti dell'Aviazione.
– Pete, ti confesso una cosa che non sai di me – disse lei, dopo aver metabolizzato quelle ultime rivelazioni.
– Un'altra? Cosa devo aspettarmi?
– Niente di preoccupante, soltanto che… se volessimo un'altra casa, in qualunque altro luogo, non ci sarebbe bisogno di vendere niente. Io, anche se ne ho dati quasi la metà in beneficenza, praticamente a ogni organizzazione umanitaria e ambientalista che conosco, beh… ho ancora un mucchio di soldi, ecco!
E così finì per raccontargli anche quanti fossero, da dove provenissero, e di come avrebbe desiderato immensamente riavere la sua famiglia, al posto di tutto quel denaro che le assicurazioni sulle vite di Ale e suo padre le avevano fruttato.
Pete la ascoltò, stravolto e perplesso e, alla fine, persino divertito.
– Per fortuna che me lo hai detto solo ora, almeno non mi accuserai di volerti sposare per i tuoi soldi!
– Scemo! – rise Briz – Che poi mi pare di capire che nemmeno tu e Tom siate esattamente sul lastrico. Ma tornando al discorso di prima, Pete… per il momento mi va bene stare qui, voglio fare ciò che Doc ci ha proposto: missioni di pace e non di guerra.
– Ti rassegnerai davvero anche al valzer, dunque? – la provocò lui.
– Solo se me lo insegnerai tu.
– Allora è cosa fatta, ma… dovrai arrenderti anche ai vestiti da sera, lo sai.
– Già, e dovrò anche smettere di imprecare come un pirata della Tortuga. Sono pronta al sacrificio, ne varrà la pena, visto che la ricompensa sarà ammirare te in smoking, che dev'essere davvero un bel vedere! Anche se… credo sia niente, in confronto a ora – le sfuggì, mentre gli faceva scorrere, lieve, una mano sul petto.
Pete le fece scivolare lentamente un dito sul lato del collo, scendendo lungo la clavicola, delineando poi la curva esterna del seno; come risvegliandosi di colpo, le riportò la mano sul viso.
– Allora… Santa Barbara ti piace?
– Moltissimo. Vorrei solo poter tornare a Boscombroso ogni volta che sarà possibile.
– Non credo che sarà così difficile: sono un pilota, no?
– Disse quello che, oggi pomeriggio, aveva paura di non avere niente da offrirmi… – rise Briz, divertita.
Pete le accarezzò il volto.
– Ti amo, Lionheart. Ti amo più di ogni altra cosa sulla Terra, e anche oltre. E so di cosa parlo, perché ci sono stato… e non ho trovato niente che ti somigliasse, nemmeno da lontano.
– Meno male! Sono contenta di sapere che non mi trovi somigliante all'unica, terribile donna, con cui hai avuto a che fare nello spazio! – esclamò lei, tornando ad abbracciarlo.
Pete represse una specie di brivido, sentendo l'allusione a Zhora, e cambiò argomento, cercandole di nuovo lo sguardo.
– C’è qualcosa di particolare che vorresti fare, quando le Missioni di Pace del Drago Spaziale saranno finite e andremo a vivere in California?
– Sì! Voglio la mia dannata laurea in Veterinaria, sperando che all’università di Santa Barbara mi riconoscano gli esami del primo anno che ho dato a Bologna. Ma sono disposta anche a ricominciare da capo. E tu?
– Voglio la mia dannata laurea in Archeologia, avevo già frequentato quasi due anni! – le rispose, copiandole la battuta.
– Davvero? E l’Air Force?
– Questa è un’altra delle cose che ho fatto stamattina… cioè, ieri mattina, ormai. Ho parlato con i miei superiori: al termine dell’anno delle Missioni di Pace, mi sarà accordato il congedo col grado di Maggiore. Non voglio mai più avere a che fare con la guerra, Briz, nemmeno di striscio. E allora mi iscriverò di nuovo all’università e ricomincerò a studiare, e pazienza se risulterò un po’ fuori corso, come studente.
– Farai quello che vuoi, credo che tu ne abbia tutto il diritto. Sarò felice in egual misura di essere la signora Richardson, un giorno, che sia del Maggiore o del Professore. Ma ammetto che, archeologo o meno, non riesco a immaginarti a non pilotare qualcosa: tu non puoi vivere senza volare.
– È vero anche questo, infatti… Ma potrei conciliare le cose, e fare l’istruttore a livello privato. Ho parlato anche con un vecchio amico di mio padre, che ha un piccolo aeroporto con una scuola di volo…
– Non ti mancherà il Drago Spaziale?
– Te l’ho detto, non voglio più sentir parlare di mezzi da guerra. E tu? Ti mancherà pilotare Balthazar? Intendo dire, la NGC: quella sensazione che ti faceva sentire… invincibile.
– No. Ora che Ale si è staccato da me, anche se dovessi aver bisogno di connettermi ancora, non ci sarà più quella sensazione di… dipendenza. Hai visto, dopo l’ultima battaglia: quando è finito tutto, non sono nemmeno stata male. E poi, ho trovato un’altra cosa che mi fa sentire potente, esaltata e protetta, anche più della NGC.
– Ah, sì? E dove?
– Qui, adesso. Tu, mi fai sentire così.
– Se mi dici cose come questa, lo sai cosa succede, vero?
– E secondo te, perché te l’ho detto? – rispose Briz maliziosa, allungando le dita tra i suoi capelli e avvicinando il volto a quello di lui.
– Stai di nuovo entrando in modalità seduttrice? 
– Se ti dispiace, non hai che da dirlo, ma… mi sembri più che pronto per il secondo round – gli sussurrò mentre le loro labbra si fondevano.
Pete fece per sospingerla contro il cuscino e rotolarle sopra, ma lei lo bloccò e ribaltò la situazione: lo sguardo di fuoco che Briz affondò nel suo, non lasciava spazio a fraintendimenti.
– Shh… fermo, Capitano: guido io…
Lui rimase lì, incantato, a guardare Fabrizia, il suo bel volto chino a pochi centimetri dal suo, accarezzandone il corpo nudo e perfetto.
– Bri… mi stai facendo venire degli strani pensieri… credo che senza troppa azione di convincimento, prima di giorno riuscirò persino a fare la doccia con te…
– Ma ti sei proprio fissato con quella doccia! Guarda che è una cabina normale, non siamo mica sull’Arcadia di Capitan Harlock, con la doccia a gravità zero!1 Per adesso va bene il letto, ti ho detto come la penso, sul farlo strano. Per quanto… ora di domani, non è detto che… – fu la allettante prospettiva che Briz lasciò in sospeso, prima di ricominciare a baciarlo.
Pete la strinse sopra di sé, lasciandola libera di… guidare lei e sentendosi, ad ogni secondo, più felice, innamorato e leggero.
Questa era davvero la fanciullina che, fin dal primo giorno, lui aveva trattato malissimo, cercando di umiliarla e sminuirla? E soltanto perché, ora lo sapeva, era stata capace, del tutto inconsapevolmente, di stregarlo fin dal primo sguardo.
Briz non si era lasciata intimidire, gli aveva tenuto testa, lo aveva riempito di improperi, lo aveva preso in giro e persino a ceffoni. E anche quando aveva avuto un momento di cedimento, e aveva quasi deciso di mollare tutto per causa sua… non si era arresa! Non l’avrebbe mai ringraziata a sufficienza per questo, perché non osava nemmeno immaginare cosa sarebbe stata, adesso, la sua vita, se quel giorno lei se ne fosse andata davvero…
Sempre che l’avesse avuta, una vita, naturalmente.
Briz era la sua guerriera indomita e ribelle, capace di guidare Balthazar in battaglia, di prendere in giro i nemici a colpi di sarcasmo, oltre che di Thunderbolt e Supernova Starfire, e di saltare nello spazio da sola per andarselo a riprendere dalle grinfie di Zhora, procurandosi quella ciocca di capelli bianchi che lui adorava, perché gli ricordava continuamente quanto coraggio le avesse dato l’amore che provava per lui.
Era la sua buffoncella squinternata, che con le sue parolacce, i suoi animali, i suoi aforismi a volte strampalati e i suoi momenti di follia, alternati a quelli di malinconia, era riuscita a farlo morire dal ridere e persino dal piangere.
Le sue armi erano state le risate, le chiacchiere, i baci e persino gli scontri e i litigi; con tutto ciò aveva combattuto e sconfitto il mostro di ghiaccio che lo imprigionava. Aveva recuperato il suo cuore e glielo aveva rimesso in moto; aveva salvato la sua anima, risvegliandola e riportandola alla vita.
Fabrizia Cuordileone aveva davvero colorato i suoi giorni, ma si era appena reso conto che sarebbe stato niente, in confronto a quanto avrebbe colorato le sue notti.
Gli occhi verdi le scintillavano lucidi di passione, mentre lo guardava; le labbra rosee, appena dischiuse, che riuscivano a farlo sciogliere con un sorriso e a farlo impazzire con un bacio, erano come un richiamo ancestrale al quale non poteva, e non voleva, resistere.
Adesso era, finalmente, la sua fanciullina, che faceva davvero l’amore nello stesso modo appassionato, tenero, impetuoso e divertente, col quale viveva.
Stentava ancora a credere che tutto ciò stesse accadendo realmente, mentre i loro corpi si fondevano di nuovo, muovendosi sensuali e con perfetta armonia, nuovamente alla ricerca di quel piacere unico, intenso e caldo che, quella notte, già una volta li aveva portati ad annullarsi totalmente uno nell’altra.
Il fuoco aveva sciolto il ghiaccio.
Il ghiaccio aveva domato il fuoco.
Loro due insieme erano la fine del mondo…
…e l’inizio del Paradiso.
 
 
L-inizio-del-paradiso  
 
> Continua…
… con l’Epilogo.
 


Note:
1 Nel film in CG Capitan Harlock the Space Pirate del 2014, (film stranissimo, che non è assolutamene ciò che mi aspettavo quando lo andai a vedere, ma che in qualche modo ho apprezzato) c’è una scena in cui Kei Yuki, la ragazza bionda dell’equipaggio, fa la doccia a gravità zero, volteggiando tra le gocce d’acqua. Scena che, nonostante la brevità, (e l’inutilità, aggiungerei) ha scatenato la fantasia di diverse fanfictionare, nonché di parecchi maschietti. Tra i quali, forse, anche il Capitano Richardson, che deve averlo visto…
 
E qui, cosa dire? Direi che siamo arrivati davvero in fondo, e i nostri due sono finalmente arrivati al dunque. Non credo di aver sforato nel rating rosso, ma se così fosse fatemelo sapere, okay?
A questo punto manca solo l’epilogo, (e direi che era anche ora, in fondo) giusto per dare uno sguardo a cosa succederà…dopo.

 
Ringrazio ancora, di cuore, tutti quelli che leggono questa storia, conosciuti e sconosciuti, e che hanno avuto il coraggio e la costanza di arrivare fin qui (senza morire di coma iperglicemico…)
Vi abbraccio forte!

 
Credo di essere rimasta nel rating arancione anche con i disegni. Dei quali, a differenza del solito, sono abbastanza soddisfatta.
E devo dire che mi sono divertita a farli, anche se mi hanno fatta sudare (in più di un senso...! ;P) L'ultimo, che io trovo stupendo, è di Morghana, che ringrazio come sempre tantissimo!
  
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