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Autore: TenouHaruka    17/09/2017    3 recensioni
I Talismani sono apparsi, e con loro il Calice Sacro. I nemici proseguono senza sosta nella loro ricerca di cuori puri, forse con ritmi più elevati di prima; è piuttosto evidente che la resa dei conti si avvicina. Haruka decide allora di far passare a Michiru una giornata speciale, prima che gli eventi le trascinino verso la battaglia finale. Una giornata che, spera, entrambe ricorderanno...
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza serie
- Questa storia fa parte della serie 'Stelle del Destino'
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Dalle finestre del quattordicesimo piano di un grattacielo come il Mugen non si poteva vedere molto in linea retta, solo le pareti dei palazzi vicini, dalle vetrate rigorosamente a specchio. Sarebbe stato necessario avvicinarsi e sporgersi, per guardare l’area della baia, o il brulicare delle persone giù in strada.

Michiru, seduta come sempre al suo banco nella fila centrale, voltò per l’ennesima volta, con noncuranza, lo sguardo verso Haruka, seduta nella fila esterna.

In tutta la mattinata la compagna non aveva fatto altro che guardare fuori, completamente avulsa da quanto avveniva in aula. Fortunatamente l’ultima lezione stava per terminare, così quello strazio sarebbe finito; o quanto meno, avrebbe potuto provare a chiederle cosa non andasse.

Non che Haruka si fosse mai mostrata particolarmente rispettosa delle formalità scolastiche – lei al contrario era sempre molto attenta alle apparenze – ma quest’oggi dava particolarmente nell’occhio, e il professore di matematica cominciava a dare chiari segni di intolleranza, senza che ciò le provocasse reazione alcuna.

Andava detto che anche nell’ultima prova intermedia della settimana precedente Haruka aveva ottenuto un risultato più che ragguardevole, e quindi sostanzialmente gli insegnanti lasciavano un po’ correre. Lei era la prima, a volte, a chiedersi come facesse, visto che la vedeva studiare piuttosto di rado.

Il suono della campanella giunse a sancire la fine delle ostilità. Michiru raccolse rapidamente le sue cose e si fermò in corridoio, aspettando di essere raggiunta.

Certo, negli ultimi giorni gli eventi avevano accelerato bruscamente… erano passate solo due settimane dall’apparizione dei talismani e del Graal, e già i nemici avevano attaccato tre volte, l’ultima solo due giorni prima, sempre alla ricerca di cuori puri. E meno male che Eudial era sparita senza rivelare le loro identità, altrimenti sarebbe stato impossibile continuare ad indagare in incognito come studenti della scuola.

“Eccomi, scusa. Andiamo?” esclamò Haruka, la cartella sotto braccio e un sorriso destabilizzante sfoggiato con naturalezza.

La giovane violinista ci mise un attimo di troppo a muoversi per poter pretendere di sostenere di non essere rimasta incantata, ma si incamminò verso le scale come se nulla fosse, domandandosi come avesse fatto a cambiare umore così radicalmente.

Un paio di rampe e poi la deviazione sugli ascensori di servizio: ci voleva qualche minuto in più, ma pochi studenti sceglievano quel percorso, e così di solito potevano parlare liberamente.

“È molto probabile che Setsuna-san abbia ragione,” cominciò Michiru appena furono sole, “e che adesso i nemici cerchino i cuori puri per dare forza alla Creatura del Silenzio. Dobbiamo ostacolarli il più possibile, in attesa di individuare il vero Messia. La nuova strega, per fortuna, non mi sembra al livello di Eudial… finora è stato facile seguirne le mosse.”

Haruka annuì, ma le fece cenno di fermarsi. “Ricordati che siamo sempre nella tana del lupo… sarà meglio essere prudenti, stiamo lavorando bene perché possiamo muoverci liberamente qui dentro. E abbiamo già rischiato molto.” concluse, fattasi rapidamente seria.

Raggiunto il piano terra, attraversarono il grande ingresso verso l’uscita principale, poi si diressero al parcheggio interno. “In queste ultime due settimane sono venuti allo scoperto già tre volte, stanno affrettando i tempi, non ti pare?” chiese Haruka fermandosi d’improvviso, ormai a un passo dalla macchina.

Allora stava facendo le mie stesse considerazioni, prima, pensò Michiru vagamente rassicurata.

“D’altronde i talismani hanno fatto apparire il Graal, è chiaro che ci stiamo avvicinando alle battute finali.” proseguì la giovane pilota, lo sguardo fisso sull’auto davanti a sé. Restò un attimo silenziosa, poi si girò verso la compagna, rimasta un passo indietro.

“Quindi stavo pensando, prima che il nostro tempo libero si riduca drasticamente, di portarti fuori stasera” affermò sorridendo, compiaciuta dell’effetto sorpresa che pensava di provocare. “E poi domani è sabato, non abbiamo neanche vincoli di orario...” concluse alzando le spalle, come se dovesse giustificare la proposta. Come se le fosse mai importato qualcosa degli orari!

Michiru la fissò sorpresa per qualche momento, si portò una mano al viso e cominciò a ridere. Questa in effetti non se l’era immaginata.

“Mi sembra un’ottima idea,” rispose poi, avvicinandosi alla portiera del passeggero. “Puoi accompagnarmi a casa allora, intanto?” chiese salendo a bordo, mentre Haruka faceva lo stesso. “Mi faccio trovare pronta per le -”

“Per le quattro. Passo a prenderti alle quattro.” rispose, manovrando per uscire.

Le quattro? Credevo per l’ora di cena, rifletté la giovane pensando al poco tempo per prepararsi. Tra l’altro, forse era stata solo un’impressione, ma per un attimo le era sembrato che Haruka fosse leggermente arrossita, quando le aveva proposto di uscire…

Un quarto d’ora più tardi la Toyota gialla si fermava davanti al portone della villa dei Kaioh.

“Posso sapere almeno che genere di abbigliamento è necessario, per stasera?” domandò Michiru un po’ stizzita scendendo dalla vettura, dopo che i suoi svariati tentativi di farsi dire dove sarebbero andate erano falliti miseramente.

L’altra la guardò soddisfatta, poi rispose “Informale ma non troppo… mi fido del tuo intuito e del tuo buon gusto”, ben consapevole di non aver risposto granché, ma anche di aver impedito ogni insistenza.

Ci provò, infatti, a replicare: ma dopo aver valutato mentalmente almeno una dozzina di risposte possibili, Michiru riconobbe la sconfitta e chiuse la portiera del passeggero rimanendo in silenzio.

“Alle quattro!” ribadì la pilota sollevando una mano in segno di saluto, poi ripartì velocemente lungo il vialetto del parco.

Controllò l’orologio. Le due e mezza!

Si precipitò in casa e raggiunse la sua stanza.


 

Un asciugamano stretto intorno al corpo e un altro avvolto sui capelli, la giovane musicista spalancò l’armadio e si mise ad esaminare tutti gli abiti presenti, alla ricerca di un’idea brillante, e con l’ansia leggera di chi comincia ad avere i minuti contati.

Ne prese uno, poi un altro, un altro ancora, li mise a posto, poi ancora due. Informale ma non troppo… sarebbero state al chiuso? All’aperto? Per fortuna la stagione era ancora abbastanza calda, anche se le giornate si stavano accorciando inesorabilmente: la scelta era abbastanza ampia.

Era la prima uscita che facevano dall’apparizione dei talismani: nei giorni successivi avevano passato molto tempo con Sailor Pluto, che le aveva aiutate a consolidare la memoria delle loro esperienze passate, poi c’erano stati la scuola, gli impegni quotidiani, le indagini sui nemici… l’idea di passare una serata insieme, da sole, senza pensieri, era decisamente allettante. Anche perché chissà quando avrebbero potuto farlo di nuovo! Perché non farne un’occasione speciale?

D’improvviso ebbe l’ispirazione: tirò fuori abito, scarpe, accessori e corse ad asciugarsi.

Alle quattro era praticamente pronta, soltanto i capelli erano rimasti un po’ umidi; ma non voleva tardare, scelse un nastro di seta e li tirò su, alti dietro la nuca.


 

Haruka varcò il cancello aperto della tenuta dei Kaioh, e imboccò lentamente il vialetto in modo da non attirare troppo l’attenzione.

Si fermò come di consueto a qualche metro dall’ingresso principale, spense il motore e restò seduta in macchina ad aspettare.

Non avevano mai toccato apertamente l’argomento, ma aveva da sempre la sensazione che Michiru preferisse mantenere il riserbo sulle proprie frequentazioni, davanti alla servitù, e così aveva preso l’abitudine di non annunciarsi ma attendere l’uscita della padrona di casa all’orario pattuito. Fortunatamente, la sua compagna di solito era abbastanza puntuale.

Lei invece era in anticipo di un buon quarto d’ora; d’altronde aveva già tutto pronto a casa ad attenderla, quindi si era preparata piuttosto rapidamente.

Dal giorno in cui avevano affrontato Eudial alla cattedrale marina qualcosa era scattato nella sua testa, non si sentiva più la stessa persona di prima. Il suo forte idealismo, tanto estremo da sembrarle infantile, adesso, quello per cui la missione veniva prima di ogni altra cosa, si era scontrato violentemente con la vita reale; un’onda di emozioni l’aveva travolta e ora, passata la marea devastante, era evidente che ne era uscito, se non proprio sconfitto, almeno molto ridimensionato.

Ogni risveglio era stato diverso, da allora: si sentiva felice, completa, più empatica verso il mondo esterno, tutta compresa in quel nuovo piccolo universo a due. Certo non aveva dimenticato la missione, i problemi, la situazione; ma li percepiva con uno spirito diverso, e una nuova coscienza di se stessa.

L’idea di organizzare questa serata le era venuta quasi subito: aveva speso qualche giorno a cercare l’idea giusta, e quando finalmente si era decisa, aveva organizzato tutto senza indugio.

Un’uscita a sorpresa, ma studiata in ogni minimo dettaglio, le sembrava un bel regalo per Michiru; e quella mattina a scuola l’aveva passata a ripassare il piano, e a controllare mentalmente di non aver scordato nulla.

Si lisciò la giacca e i pantaloni nuovi, tutto comprato appositamente per l’occasione.

Mai come quest’oggi ci teneva ad essere impeccabile: giacca leggera color carta da zucchero col risvolto scuro, camicia di seta bianco perla, pantaloni bianchi, scarpe e cintura marroni. Aveva tirato su le maniche fino al gomito, era ancora caldo, ma soprattutto le piaceva sentire il vento sulle braccia.

Haruka non si accorse subito dell’apertura del portone, ci fece caso soltanto quando lo sentì richiudersi; si voltò come reazione spontanea, e quel che vide la fece restare letteralmente a bocca aperta.

Michiru indossava un abito al ginocchio, di un colore verde molto chiaro, tendente quasi al celeste. La gonna ampia, morbida e svolazzante, lo scollo a barca, il punto vita stretto in una fascia di colore più scuro, vicino a quello dei suoi capelli, lo stesso colore delle maniche, a palloncino, che arrivavano al gomito. Sandali chiusi leggermente rialzati, un pendente sottile al collo e orecchini non molto appariscenti. E i capelli, vaporosi, raccolti in alto dietro la nuca con un nastro.

Il collo e le spalle erano completamente scoperti, ma portava a braccio un’ampia stola che le sarebbe servita più tardi.

Scese i pochi gradini e raggiunse la macchina con la sua solita grazia, e quando fece per salire rimase anche lei colpita dall’eleganza della giovane pilota; ma fu più brava a dissimulare, e si accomodò a sedere.

“Sei bellissima,” disse Haruka, che ancora la stava guardando come se avesse accanto una divinità, poi si riprese e arrossendo leggermente mise in moto, facendo rombare il motore.

“Grazie, Haruka,” rispose, non usa a complimenti così diretti da parte sua, “anche tu stai molto bene.” concluse guardandola, con un tono che non era affatto di semplice educazione. Haruka sorrise e dette gas.


 

In breve tempo avevano lasciato l’area metropolitana, direzione sud.

Tuttora Haruka si ostinava a non volerle dire dove fossero dirette, guidava senza esitazioni ripetendole di smetterla di insistere, perché tanto non le avrebbe detto niente, e se la cosa da un lato la infastidiva, dall’altro era divertente riscoprire il gusto della curiosità.

Le tornò in mente la prima volta che erano state fuori in macchina insieme, per esaudire il suo desiderio di correre lungo la spiaggia, e lei si era aspettata che la giovane pilota, collaudatrice ufficiale della TOM’S, una delle scuderie di Formula 3 e Super Turismo più quotate del paese, facesse la spaccona tutto il tempo pavoneggiandosi e guidando da matta; e invece al contrario, per quanto fosse andata costantemente – e abbondantemente, specie in un tratto isolato – oltre i limiti di legge, non era stata affatto esibizionista, ma le aveva fatto assaporare il piacere della velocità trasmettendole sicurezza per tutto il tempo. Inoltre non aveva mai detto una parola fuori posto, e addirittura in tanti momenti le era sembrata timida e quasi in imbarazzo. Nulla che avesse scalfito l’immagine che si era fatta di lei fino ad allora, anzi; questo suo lato riservato l’aveva incuriosita e intrigata ancora di più.

Sembrava ieri, ma in effetti erano passati mesi. All’epoca, neanche nei suoi sogni più rosei avrebbe mai pensato che il loro rapporto sarebbe arrivato a quel punto. Lei aveva capito di essersi innamorata quasi dall’inizio, ma non era mai stata sicura di cosa Haruka provasse davvero nei suoi confronti: a volte faceva la possessiva e la gelosa, a volte pareva che in lei cercasse un sostegno, a volte giocava con le ragazzine, altre volte ancora sembrava lontana e distaccata. E in cuor suo soffriva di questa situazione… ma ogni volta che l’aveva vicina, accantonava i dubbi sopraffatta dall’intensità del proprio sentimento.

Adesso i dubbi si erano dissolti. Haruka le aveva affidato il suo cuore, cosa che probabilmente pensava che non avrebbe mai fatto con nessuno, e non l’aveva fatto solo a parole: era evidente, si poteva quasi toccare con mano la diversità di atteggiamento che esprimeva ora nei suoi confronti, e questo contava più di qualsiasi dichiarazione.

Quando si accorse che la strada si avvicinava alla costa, per prima cosa pensò che stavolta la compagna dovesse aver infranto la barriera del suono, per aver percorso così tanta strada; ma poi vide che erano quasi le cinque, e capì che banalmente era lei che aveva perso la cognizione del tempo.

“Ehi, sei ancora arrabbiata con me? Non mi hai più rivolto la parola...” scherzò Haruka guardandola di sottecchi, sfoggiando quel suo sorriso convinto che per lei era così seducente. “Dai, siamo quasi arrivate!”

La musicista non poté rispondere, perché passata un’ultima curva l’oceano Pacifico si spalancò davanti ai suoi occhi catturandola, e cominciò a sentire la brezza marina accarezzarle il viso. “Kamakura...” disse piano, quasi tra sé e sé. Ci era stata qualche volta, era una delle zone di mare più facilmente raggiungibili da Tokyo, ma era certa di non esserci mai stata in autunno.

Haruka proseguì per qualche altro chilometro lungo la via litoranea, finché non vide un piccolo rientro e accostò. “Ti va di fare due passi?” chiese, per poi parcheggiare. Guardando meglio, sembrava un punto fatto apposta per consentire la discesa ai bagnanti, un piccolo spiazzo a bordo strada. Probabilmente in estate sarebbe stato impossibile riuscire a fermarcisi.

La pilota si avvicinò a un ragazzino che se ne stava seduto su una roccia, ci parlò un attimo e tornò indietro. “Tutto a posto, terrà d’occhio lui la macchina” disse scherzosamente.

Fu solo dopo aver attraversato la strada ed esser scesa in spiaggia che Michiru si rese conto del luogo dove era stata portata.

La sabbia si stendeva incontaminata per centinaia di metri in entrambe le direzioni, a est un capo roccioso, ad ovest poco distante un’isola con il faro e sullo sfondo, in lontananza, il profilo del Fuji.

Tolse immediatamente i sandali e si avvicinò al bagnasciuga, gli occhi luccicanti, estatici per la bellezza e la tranquillità del posto. Il sole stava scendendo rapidamente, ma si percepiva ancora il colore dell’acqua, era magnifica e accogliente.

Si voltò di scatto, dimentica per un attimo della sua compagna, e la vide poco più indietro, a piedi nudi e con i pantaloni tirati su, che la guardava con un’espressione beata, felice di vederla così entusiasta.

Si incamminarono lentamente, una sotto braccio dell’altra, in direzione del tramonto. Erano completamente sole in spiaggia, e poche macchine passavano in strada, una fortuna superiore alle attese.

“Si sta così bene, Haruka, è un posto magnifico… ti ringrazio di avermici portata” sussurrò Michiru stringendole il braccio. L’aveva detto con spontaneità, senza nessuna civetteria.

“Ero curiosa di sapere se avresti riconosciuto il luogo, dovresti esserne perfettamente in grado” rispose lei guardando avanti.

La violinista rimase un attimo interdetta, era sicura di non essere mai stata quel particolare tratto di mare, prima. Haruka sorrise.

“Le trentasei vedute -”

“…del Monte Fuji di Hokusai, ma certo! Questa è la spiaggia di Shichiri, e quella laggiù Enoshima!” intervenne Michiru indicando l’isola col faro, entusiasta di aver colto il riferimento.

“Terra di battaglie, di lame e di grandi spade,” riprese Haruka, col tono enfatico dei narratori storici. “Il colore scuro di questa sabbia deriva dal gran numero di particelle ferrose che contiene e, secondo le leggende, dai resti delle armi dei numerosi eserciti che si sono affrontati proprio qua.” concluse alzando le spalle, con un sorriso. “Però è vero che la presenza del ferro nella zona ha dato una grande tradizione di forgiatura di lame a Kamakura.”

“Non dubitavo di trovarti preparata, parlando di spade” ridacchiò Michiru continuando a camminare.

Il sole stava avvicinandosi all’orizzonte, anche se loro non l’avrebbero visto direttamente, nascosto dall’isola e dal vicino promontorio. Però il cielo era diventato rossastro, e sia Enoshima che il Fuji apparivano ormai come dei profili scuri. Michiru si fermò e attese che l’ultimo spicchio di fuoco sparisse dietro la montagna. Avrebbero avuto almeno un’altra mezz’oretta di luce, ma il momento perfetto del tramonto ormai era passato.

Camminarono ancora un po’, fino a raggiungere un piccolo pontile in legno. Pensava che sarebbero tornate indietro, ma Haruka si avvicinò a un uomo che stava armeggiando su un piccolo motoscafo.

“Salve! Ha dato un bel nome al suo motoscafo, sa? Quest’oggi il mare doveva essere magnifico, avrà fatto sicuramente un’ottima uscita.”

“Una splendida giornata davvero, ho portato fuori due turisti a fare sci d’acqua e si sono divertiti parecchio.” rispose l’uomo, guardandola dalla barca.

Michiru seguì quello scambio di battute come una cosa surreale. Che stava combinando? Osservò il motoscafo, curiosa di leggerne il nome. “Kageyama… montagna ombrosa...” disse tra sé e sé, ma ancora non capiva.

“Senta… la mia ragazza non è mai stata in mare in vita sua, mi piacerebbe farla provare… non sarebbe così gentile da portare anche noi a fare un giro?”

Quasi le si strozzò la saliva in gola. Non era mai stata in mare? Lei? Come gli era venuta?

“Oh, è una vergogna che una ragazza così graziosa non sia mai stata in barca. Salite su!” rispose l’uomo, senza perdere l’occasione di squadrarla da capo a piedi.

Haruka la prese per mano, gentile ma ferma, accennandole di salire. Lei non se la sentì di farle fare figuracce e, anche se confusa, la assecondò. L’uomo mollò gli ormeggi in un attimo, si mise al posto di guida e partì senza una parola.

“Sei impazzita? Perché questa sceneggiata, ti è sembrato divertente?” disse con un volume tale che l’uomo non potesse sentirle. “E poi… la mia ragazza non è mai stata in mare...” Era così assurdo che mentre lo diceva le venne da ridere. Haruka sembrava divertirsi da matti. La fermò con un bacio leggero, poi le passò un braccio dietro la schiena e la invitò a guardarsi intorno. “Che ne dici piuttosto di goderti il tragitto?”

Il motoscafo aveva preso velocità, e nonostante il mare fosse calmo, le piccole onde lo facevano sobbalzare un po’: come in una culla, per lei che aveva nelle acque oceaniche il suo elemento costitutivo. Il vento poi completava l’opera, facendola partecipe della velocità e avvolgendola come in un abbraccio.

Sia a riva che sull’isola cominciavano ad accendersi le prime luci, che nella penombra sembravano tante lanterne messe apposta per indicare loro il cammino. Si avvolse la stola intorno alle spalle e si rilassò contro il braccio della compagna, lasciandosi ammaliare dallo spettacolo che la circondava.

Il motoscafo rallentò mentre girava intorno all’isola, e quando videro un punto idoneo Haruka chiese all’uomo di farle scendere lì. Lo ringraziò calorosamente, lui augurò loro una buona serata e con una stretta di mano ripartì allontanandosi.

Erano sul lato dell’isola opposto al porticciolo, una zona piuttosto tranquilla. Da lì partiva un piccolo sentiero che si inerpicava fino a raggiungere un gruppo di edifici, e poco più distante si intravedeva il faro.

Michiru aveva già dimenticato ogni perplessità: il tragitto in motoscafo era stato estremamente piacevole alla fin fine, e trovarsi lì con la persona che amava le dava un senso di completezza e di serenità che non provava da chissà quanto tempo.

Haruka la prese per mano e la condusse su per il sentiero, senza parlare. Forse come lei aveva percepito la magia di quel momento, e non voleva spezzarla.

Giunsero in cima e si fermarono a guardare il mare da una piccola terrazza panoramica, dove forse in estate la gente andava a prendere il sole. Ormai era buio, e i pochi lampioni contribuivano a mantenere un’atmosfera intima. Tanto più che a quell’ora, e in quella stagione, c’erano davvero poche persone oltre a loro, e salendo non avevano incontrato nessuno.

La luce del faro passava ciclicamente dal mare alle coste, e si misero a cercare le luci delle navi lontane, giocando a indovinare dove fossero dirette e cosa trasportassero.

“Sai Haruka, sto così bene in questo momento, mi sembra quasi che non ci siano missioni, che non ci siano nemici...” disse piano Michiru, china sulla balaustra. “Vorrei davvero poter stare sempre così con te, come due ragazze normali, inseguendo i nostri sogni, vivendoli insieme...” Si avvolse più stretta nella stola.

L’altra le accarezzò il collo e la nuca scoperti, prima di baciarla. “Lo faremo, ne sono certa,” disse poi. “Anzi, ti prometto che appena questa storia sarà conclusa, per prima cosa ce ne andremo via per un po’, solo io e te, lontano da tutto. Ci saranno mille giornate come questa. Ma adesso spostiamoci, tu cominci ad avere freddo.”

Si incamminarono verso l’interno, e videro un piccolo locale. “Io ho una fame da lupi, ti va bene se ci fermiamo?” chiese Haruka sorridendo.

Pensò che più tardi, con tutta la strada che avrebbero dovuto fare per tornare alla macchina, avrebbe patito ancora più freddo, ma scacciò il pensiero e annuì.

Si trattava di un ristorante tradizionale molto intimo, con le porte scorrevoli, tutto in legno, ma con tavoli all’occidentale. Era pieno, e si chiese da dove venissero tutte quelle persone, ma poi realizzò che l’isola era collegata con un ponte alla terraferma, e quindi venirci non era così complicato. Il caposala si scusò dicendo che purtroppo era rimasto soltanto un tavolino in fondo, ma che era a disposizione, se si accontentavano.

Le fecero accomodare in veranda, vicino alle vetrate, la baia di Sagami proprio davanti ai loro occhi. Il cameriere sistemò sul tavolo un piccolo lume e si allontanò per attendere l’ordine.

Michiru si avvicinò alla compagna in modo da parlare piano. “Ma davvero secondo loro avremmo potuto rifiutare questo tavolo? È magnifico, sembra il posto d’onore!” esclamò divertita. Haruka fece spallucce con indifferenza, mentre sfogliava il corposo menù.


 

Quando lasciarono il locale erano appena passate le nove. Si era alzata una brezza leggera, ma si stava ancora abbastanza bene.

Haruka strinse a sé Michiru, mentre valutava il modo migliore per tornare sulla terraferma. Un cartello indicava la presenza di un’area taxi a breve distanza, e quando la compagna si diresse in quella direzione, la giovane musicista si sentì decisamente sollevata.

La strada faceva una curva, e appena l’ebbero superata trovarono l’area di sosta. Ma… al primo posto c’era parcheggiata la Toyota gialla!

Michiru rimase un attimo sbalordita, ma quando vide l’espressione soddisfatta di Haruka che tirava fuori le chiavi di tasca, cominciò a rimettere insieme i pezzi.

“Tenoh Haruka!” esclamò con finto rimprovero. “Ti dispiacerebbe darmi qualche spiegazione?”

La pilota si portò una mano al mento, fingendo di pensarci. “Bu… magia?” disse allargando le braccia.

“Magia, eh…?!” replicò la violinista lanciandosi in un attacco di solletico spietato ai fianchi, che terminò solo quando Haruka, ormai senza fiato, riuscì ad abbracciarla stretta fermando le ostilità.

“Va bene, va bene, te lo dico...” sussurrò respirando forte, e allentò la stretta.

“Hai presente quel ragazzino che se ne stava seduto dove abbiamo parcheggiato prima? Tu forse avrai pensato che gli avessi dato una mancetta, ma in effetti gli ho lasciato le chiavi...”

Si appoggiò delicatamente alla macchina, e mise le mani alla vita di Michiru, così da guardarla meglio.

“Non vorrai dirmi che ha guidato lui la macchina fin qua!” replicò lei, che certo non se ne sarebbe bevute altre.

“Ah ah ah, di sicuro gli sarebbe piaciuto… comunque no, lui ha portato le chiavi a suo padre… che poi l’ha portata qui.”

“E suo padre sarebbe…?”

“L’uomo del motoscafo. Che quando ci ha fatto scendere, me le ha restituite.” rispose con un sorriso divertito.

Michiru attese il resto, mentre ripensava alla sequenza degli avvenimenti.

“Il signore in questione si chiama Kageyama Masami, ed è il secondo pilota della TOM’S, quest’anno è stato a un passo dal vincere il campionato di Formula 3 nazionale. Abita vicino Kamakura, e il suo hobby sono le barche… credo che sia l’unica persona a cui farei mai guidare questa macchina. Diciamo che gli ho chiesto un favore, e lui ha accettato con piacere.”

Lei rimase un attimo pensierosa. “A questo punto deduco che anche il tavolo al ristorante fosse prenotato...”

“Ovvio.” rispose la bionda, toccandole la punta del naso.

Non sapeva che dire… o meglio, come dire. Come esprimere alla donna che le stava davanti, e che le aveva organizzato questa meravigliosa sorpresa, la tempesta di emozioni che la stava attraversando. Averla accanto a sé era ancora più bello di quanto avesse mai immaginato.

Haruka si scostò delicatamente, aprì il bagagliaio e ne tirò fuori la sua giacca a vento, che le fece indossare. “Andiamo?”


 

Michiru chiuse il rubinetto della doccia e riappese il soffione alla parete. Vista l’ora aveva deciso di non lavarsi nuovamente i capelli, ma dopo il rientro in macchina il bisogno di riscaldarsi era stato imprescindibile. Colpa sua, era stata un po’ troppo ottimista nel vestirsi, ma certo non si aspettava quel genere di uscita. E meno male che Haruka le aveva dato la sua giacca…

Haruka.

All’inizio non ci aveva fatto caso, ma via via che si avvicinavano a Tokyo si era fatta sempre più silenziosa e seria, e lei non era riuscita a capirne il perché. Sembrava pensierosa, quasi preoccupata, come se stessero andando in battaglia, piuttosto che rientrando da una giornata bellissima.

Erano arrivate a casa, Haruka aveva sistemato scrupolosamente la macchina come sempre, poi erano salite, e la pilota non aveva praticamente aperto bocca.

Aveva deciso di non tergiversare, e appena entrate nell’appartamento le aveva chiesto cosa avesse; ma lei era caduta dalle nuvole, e sorridendo aveva ripreso a comportarsi normalmente, dando la colpa tutt’al più a un po’ di stanchezza.

Ormai conosceva la sua ragazza abbastanza da non credere alla sua risposta, ma non aveva voluto insistere; avrebbero fatto una doccia e poi sarebbero andate a riposare.

Sospirò. Forse aveva esagerato ad uscirsene subito in quel modo, ma era certa che qualcosa fosse accaduto; comunque fosse, l’atmosfera di perfetta sintonia che aveva pervaso tutta la serata era inevitabilmente sfumata.

Uscì dal bagno e raggiunse la seconda camera, quella che inizialmente Haruka aveva preparato per lei, le prime volte che era rimasta per la notte; adesso era diventata la sua personalissima cabina armadio.

Quella di dormire insieme era stata una scelta così spontanea e naturale che non avrebbe saputo dire con precisione come e quando avessero cominciato a farlo, ma era stato quasi subito. Quel pensiero tornò ad addolcirla, e si mise a scegliere la biancheria per la notte.


 

Haruka aveva fatto una doccia veloce, aveva indossato camicia e pantaloni, e poi era uscita in terrazza.

Aveva caldo, ma sapeva bene che non dipendeva dalla temperatura… era agitata, come non si aspettava di essere.

L’uscita fino ad allora era andata magnificamente: la giornata era volata, gli occhi di Michiru avevano brillato per tutto il tempo, ed era convinta che, al di là di ogni scherzo, la compagna avesse apprezzato il fatto che avesse preparato tutto quanto per lei. Adesso però veniva la parte più difficile, quella per cui la preparazione non sarebbe mai stata sufficiente: e questa consapevolezza aveva cominciato a farle chiudere lo stomaco già durante il viaggio di ritorno.

Non che temesse un rifiuto; quello, onestamente, no. Ma per la prima volta da un sacco di tempo a questa parte non era sicura di quello che avrebbe fatto, e questo la destabilizzava e spaventava. In ogni caso non si tornava indietro, almeno, non per colpa sua.

Sentì la vetrata aprirsi e si voltò indietro.

“Haruka, sei matta a star fuori in quel modo? Ti prenderei un malanno!” esclamò la giovane musicista stringendosi addosso la vestaglia di seta.

Cielo, con i capelli tirati su era davvero magnifica. Respirò profondamente, e con rinnovato slancio entrò nella camera.


 

Michiru osservò per un attimo la compagna richiudere la vetrata, poi cominciò a preparare il letto tirando giù le coperte. “Sai Haruka, poco fa cercavo di ricordare esattamente quando abbiamo cominciato a dormire qui insieme...” cominciò, pronta ad ammettere la propria mancanza.

“Sì, lo ricordo benissimo.” replicò Haruka con naturalezza. “È stato quando la TOM’S ha vinto la prima gara in Super GT. La vittoria era stata così inattesa che avevano deciso di festeggiarla la sera stessa, con un cena per tutto il team. Dovetti andar via di corsa lasciandoti a casa da sola, e al mio ritorno ti ho trovata qui, addormentata, vestita di tutto punto...” concluse sorridendo, picchiettando con la mano sul materasso.

Eh sì, aveva proprio ragione. Si era svegliata con le prime luci dell’alba, e Haruka le stava dormendo accanto, vestita anche lei, una coperta leggera a proteggerle entrambe. Al mattino ci avevano scherzato su, e da allora non era più tornata nell’altra camera. Per fortuna Haruka non le aveva chiesto spiegazioni… perché dirle che si era sdraiata lì ad aspettarla perché le lenzuola erano impregnate del suo odore sarebbe stato decisamente imbarazzante.

Chissà come mai non le fosse tornato in mente subito… però Haruka lo ricordava, e di questo era molto compiaciuta.

Si sfilò la vestaglia, rivelando la canottina di seta con cui dormiva. Portò le mani dietro la testa per sciogliere i capelli, ma prima di riuscirci si sentì abbracciare da dietro.

“Non avevi mai portato i capelli legati prima d’ora, se non in piscina...” sussurrò Haruka avvicinandosi con il viso al suo. “Ti ho già detto che ti rendono ancora più bella?”

Sentì le sue labbra sfiorarle il collo e le spalle, ed ebbe un brivido. L’altra lo percepì chiaramente, e con delicatezza allentò la stretta facendola voltare verso di sé.

C’era la decisione di sempre nel suo sguardo, un ardore quasi febbrile, ma sembrava ci fosse anche del… timore?

Michiru pregò tra sé e sé che il suo intuito fosse corretto, e rimase in silenziosa, trepidante attesa.

“Mcihiru, la mia vita è cambiata molto, da quando ti ho incontrata. Hai riempito il vuoto che avevo cercato inutilmente di colmare in mille modi, indifferente al mondo che mi circondava. Mi hai donato un sentimento vero, sconfinato, inarrestabile, e io comunque ho tentato di respingerlo, per paura, finché non mi ha travolta inesorabilmente. Adesso ogni giorno è più luminoso, ogni notte meno buia… e non mi pesa aver sacrificato tanto per la missione, perché in cambio ho trovato te.” cominciò a spiegare la bionda pilota, dopo un lungo respiro.

“Vorrei che la nostra unione fosse perfetta. Vorrei che tu mi volessi quanto io ti desidero, e vorrei mostrarti con fatti, più che con parole, che sono tua, anima e corpo. Qualunque cosa succeda d’ora in poi… per sempre insieme, fino alla fine del mondo.”

Michiru si sentì avvampare. Era vero, era tutto vero, Haruka aveva appena pronunciato quelle parole che da tanto tempo sognava di sentirsi dire. E dovevano esserle costate molto, perché il suo viso aveva assunto un inedito color carminio. La vide irrigidirsi, come in attesa di un giudizio, riprese coscienza di sé e le venne in mente che spesso, quando un sogno a lungo alimentato sta per realizzarsi, subentrano le paure… e che forse era proprio quello che stava succedendo loro, in quell’esatto momento.

Sorrise di se stessa. Come si può avere paura dell’amore, quando si è già stati a un passo dalla morte?

Si avvicinò alla compagna, le incrociò le braccia dietro al collo e le sussurrò all’orecchio, “Ti voglio, Tenoh Haruka. Ti voglio con tutta me stessa.”

Un attimo dopo non toccava più con i piedi per terra. Haruka l’aveva sollevata di peso, e la guardava con occhi traboccanti di gioia, mentre copriva la breve distanza che le separava dal letto.

La depose a sedere, delicatamente, accompagnandola giù; poi salì a sua volta e, chinatasi su di lei, la invitò a sollevare appena il collo e le tolse il nastro dai capelli, liberando sul cuscino la fluente chioma ondulata.

Rimase qualche secondo ad osservarla, estasiata, poi cominciò ad accarezzarle il viso, leggera come se sfiorasse una bambola di porcellana, con la punta delle dita.

Era lì tra le sue braccia, non stava sognando; e finalmente iniziò a baciarla, sulla bocca, sulla fronte, sugli occhi, decisa e delicata contemporaneamente, poi ancora sotto le orecchie, sui lati del collo, sugli zigomi, e poi da capo… sentiva la giovane violinista tremare sotto il tocco delle sue labbra, e ogni sussulto la riempiva d’orgoglio, spingendola a proseguire.

Il profumo della sua pelle la inebriava, e poco dopo, quasi senza accorgersene, le mani le scorrevano sui fianchi, sotto la canottiera di seta, e da lì, su su fino al seno, quel seno che tanto l’aveva attirata, sin dal loro primo incontro.

Michiru sobbalzò istintivamente a quel primo contatto, facendola fermare di colpo. Forse era presto, stava correndo troppo? Si ritrasse, pronta a scusarsi… ma l’altra si sollevò sui gomiti, la baciò con ardore, si sfilò la canottiera e la lasciò cadere a terra. “Non fermarti, ti prego...” sussurrò accarezzandole la nuca.

Fu il suo turno di tremare. La donna che amava le si stava offrendo senza alcuna protezione…

Riprese da dove si era interrotta, circondò con le mani a coppa quei due seni meravigliosi, osservò i capezzoli, ormai inturgiditi, e volle assaporarli dolcemente, con le labbra, prima l’uno e poi l’altro, suscitando gemiti intensi di approvazione.

Si sentì infiammare. Le mani fremevano, cercavano il contatto con la sua pelle come un assetato cerca l’acqua nel deserto.

Esplorò ogni centimetro di quel corpo vibrante, il collo, le spalle, il petto, il seno, i fianchi, il ventre, dapprima con le mani e poi ancora con le labbra e la lingua; avesse potuto, avrebbe voluto fondere insieme i loro corpi, e farne una cosa sola.

Michiru si lasciò travolgere senza remore da quella tormenta di sensazioni e di piacere. L’istintivo timore, la paura che ogni ragazza prova davanti alla sua prima volta svaniva man mano dai suoi pensieri, nella consapevolezza che nessun’altra persona mai avrebbe potuto avere maggior cura di lei della giovane che la stava stringendo tra le braccia. Il cuore aveva accelerato i battiti, e il desiderio diventava ogni momento più forte. Il contatto delle mani di Haruka le procurava una sorta di scossa elettrica, ed era certa di esserne già diventata dipendente come da una droga.

Fu quando la compagna si interruppe un istante per risalire dal ventre fino al viso, che si rese conto di quanto fosse bagnata in mezzo alle gambe. Il suo corpo stava reagendo, le chiedeva di andare avanti! Si lasciò baciare ancora e ancora, rispondendo con tutta la passione che aveva, poi avvicinò le labbra all’orecchio della compagna sopra di lei e accantonò tutte le sue paure residue. “Haruka, prendimi,” sussurrò con voce arrochita. “Prendimi, voglio essere tua, adesso.”

Haruka sgranò gli occhi, incerta di aver capito bene. Incrociò lo sguardo della violinista, cercando una conferma, e dopo essersi persa in quell’azzurro appassionato, sorrise amaramente. “Purtroppo non penso che sia tecnicamente possibile.” disse come a giustificarsi.

“Neanche io, ma non credo che sarà un problema.” rispose Michiru, dolcissima, prima di baciarla di nuovo.

Le sbottonò la camicia e gliela sfilò dalle spalle, aiutandola a toglierla. Le prese una mano e se le portò al petto, poi la guidò giù lungo il corpo, lentamente, spingendola fino ad entrare sotto la mutandina. Ma fu un movimento brusco, imprevisto, e Michiru si lasciò sfuggire un gemito doloroso.

“Scusa” rispose Haruka distendendosi cautamente sul fianco, puntata sul gomito, in modo da consentire alla mano manovre più agevoli.

Esaminò con le dita quella superficie intima, ne percepì il calore e la morbidezza, ne sentì gli umori; era il suo giardino dell’Eden, esclusivo e meraviglioso, e già solo poterci sostare le procurava un’intensa soddisfazione.

Cominciò a muovere delicatamente le dita su e giù, nelle curve più esterne della carne, provò a variare tempi e movimenti, sperimentando le diverse reazioni che provocavano, suscitando gemiti sempre più frequenti e compiaciuti; e ogni gemito, ogni spasmo di piacere la eccitavano come se lo provasse lei stessa.

Quando sentì che quell’ambiente le era ormai diventato amico decise di tentare un passo ulteriore, e con la massima delicatezza si introdusse piano in quello spazio celato, trovandosi avvolta nella superficie più morbida e vellutata che avesse mai conosciuto.

Michiru inarcò la schiena con un sospiro, e lasciò che le sue dita la portassero, col loro bacio, in un mondo di piacere mai provato. Stava facendo l’amore con la donna cui teneva più che a se stessa, al termine di una giornata perfetta che l’aveva fatta sentire la persona più fortunata sulla terra.

Ad un tratto sentì cambiare le carezze della compagna, e una sensazione travolgente ma delicatissima la distolse da ogni altro pensiero, richiedendole massima concentrazione. Sembravano piccoli movimenti circolari, leggeri, ma le procuravano delle scosse di un’intensità impareggiabile.

Pregò ripetutamente Haruka di proseguire in quel modo, tra un gemito e l’altro; finché non sentì che si avvicinava al culmine, e trattenne il fiato, aggrappandosi con forza alla schiena dell’amata, incapace quasi di respirare, in un costante crescendo.

Quando l’apice del piacere la raggiunse, scuotendola violentemente, riuscì a respirare di nuovo.

Lasciò cadere le braccia sul letto, inspirando profondamente, e quando riprese il controllo di sé, fremendo ancora nelle sue parti intime, riaprì gli occhi e il suo amore era lì, accanto a lei, che la guardava estasiata, negli occhi la gioia evidente, il compiacimento assoluto di aver dato alla sua donna tutto quello che poteva.

Michiru la baciò con trasporto stringendola forte a sé, poi la invitò a distendersi sulla schiena e si avvicinò più possibile, la testa sullo stesso cuscino. Si trovarono entrambe ad osservare il soffitto ormai buio, in silenzio, finché Michiru non si girò verso la compagna.

“Per caso avevi programmato anche questo epilogo di serata, tesoro mio?” chiese con leggera ironia.

Haruka fece un segno di assenso col capo. “Diciamo che speravo potesse diventarne il degno coronamento.” rispose rapidamente, poi si sentì arrossire e si affrettò a sollevarsi verso il fondo del letto, con la scusa di tirar su le coperte e sistemarle.

Michiru attese che Haruka si distendesse di nuovo accanto a lei e si crogiolò nel tepore di quel talamo nuziale; il domani sarebbe stato meraviglioso.

“Per sempre insieme, fino alla fine del mondo” sussurrò alla donna che riempiva la sua vita.

“Come dici?”

“È la promessa che ti faccio io, stavolta. Fino alla fine del mondo.”

Haruka sorrise accarezzandole la guancia, poi si avvicinò e suggellò la promessa con un bacio appassionato.

  
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