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Autore: _only_ hope_    18/09/2017    4 recensioni
Prima stagione, situata qualche tempo dopo la 1x04.
Alle due di notte, Marco e Cecilia si trovano tutti e due in cucina, tutti e due insonni: Marco deve risolvere un caso, mentre Cecilia è agitata per il suo primo giorno al Conservatorio.
Tra battibecchi e rispostacce riuscirano a trovare un accordo e un po' di serenità?
[partecipa al contest "La rivincita dei piccoli Fandom - II edizione" indetto da Nuel2 sul forum di EFP]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cecilia Sabatini, Marco Ferrari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mattoni che cadono

 

 

Allora, ricapitolando... una donna era stata rapita due giorni prima, presumibilmente dall'amante, il quale non aveva potuto accettare il fatto che lei volesse lasciarlo. Entrambi erano spariti dalla circolazione: lei era stata vista per l'ultima volta dal marito mentre usciva di casa per andare al lavoro, e qualche ora dopo gli aveva lasciato un messaggio in segreteria; un messaggio muto con in sottofondo il rumore del motore di un'auto.

Marco sospirò e si stropicciò gli occhi mentre riascoltava per l'ennesima volta la registrazione. Era seduto su uno dei tavolini dell'Angolo divino, il bar del convento in cui si trovava il suo appartamento provvisorio, e non era ancora riuscito a cavare un ragno dal buco.

L'orologio del computer segnava le due di notte quando tre dita picchiettarono sulla sua spalla destra. Non se ne accorse neppure. Allora riprovarono, questa volta più decise, e Marco finalmente si ridestò. Per prima cosa lo colpì il profumo, quel profumo indefinito dal sapore di bambina, quello che aveva imparato ad amare con qualche raro abbraccio: quello della piccola Cecilia, la bambina più insopportabile del mondo, la figlia di Giulia, una sua ex. I tre si erano ritrovati a convivere nel convento di Modena, dieci anni dopo che lui aveva lasciato Giulia con un post-it, dopo due fantastiche settimane assieme. Lui era fatto così: non riusciva ad avere una relazione stabile. A volte, però, si pentiva di aver lasciato Giulia, sopratutto dopo aver ricominciato a riavvcinarsi a lei; si era dimenticato quanto fosse facile parlare con lei: riusciva ad aprirsi senza imbarazzo, senza paura di essere giudicato.

Con le sopracciglia aggrottate e gli occhi interrogativi Marco si tolse le cuffie e si voltò: in piedi davanti al bancone del bar, alla sua altezza, c'era proprio Cecilia, che a braccia incrociate lo guardava come a dire: "Alla buon'ora..."

"Ehi, Ceci, che ci fai alzata a quest'ora?" le chiese, passandosi i polpastrelli sull'occhio destro.

"Potrei chiederti la stessa cosa" ribatté lei, che come sempre aveva la risposta pronta.

"Io devo risolvere un caso".

"Sì, lo so che non dormi mai quando devi risolvere un caso. È una cosa carina" commentò.

Marco sorrise, poi la invitò a sedersi sulle sue ginocchia. Lei scosse la testa.

"E tu, come mai non dormi?" le chiese allora.

Cecilia fece spallucce, e distrattamente alzò lo sguardo sul pianoforte; sul pianoforte che lui le aveva regalato. Solo che lei non lo sapeva. Quel gesto non sfuggì alla parte osservatrice di Marco, e gli ricordò che il giorno dopo lei avrebbe avuto la sua prima lezione al conservatorio. Cecilia sembrava più grande della sua età, ma alla fin fine era pur sempre una bambina; una bambina a cui le cose nuove un po' facevano paura. Per un attimo gli tornò in mente il momento dell'audizione: l'aveva accompagnata lui, di nascosto da Giulia, ma di certo non si sarebbe aspettato che lei gli stringesse forte la mano e gli chiedesse di entrare con lui.

"Giulia?" le chiese a quel punto, facendo cadere l'argomento.

"La mamma dorme".

"E tu non la svegli se non riesci a dormire?"

"Ma che, sei matto? Non ha senso... poi va a finire che siamo in due a non dormire".

"Può essere, ma magari invece vi addormentate assieme".

Lei sbuffò: "Certo che sei cocciuto..." commentò, per poi allontanarsi verso la cucina, al di là del bancone del bar.

Vicino ai fornelli una sedia si trovava al posto sbagliato, sotto ad un armadietto.

"Volevo sapere se volevi un po' di camomilla, ma non te lo chiedo" borbottò la bambina mentre si arrampicava su di essa. Quando la punta delle sue dita sfiorò il pentolino, il corpo in equilibrio sulla punta di un piede solo, la mano di Marco lo afferrò.

"Ce la facevo anche da sola" commentò Cecilia voltandosi verso di lui, gli occhi poco sotto i suoi.

"E come? Cadendo?" ribatté lui, retorico.

Lei lo fulminò con lo sguardo. "Non stavo cadendo".

"Certo, come no".

"No". Cecilia chiuse l'argomento con un tono che non ammetteva repliche, mentre Marco alzava gli occhi al cielo: cocciuta era dir poco... Era la degna figlia di sua madre sotto quell'aspetto.

"Senti... potrei averne un po' anch'io?"

La bambina puntò gli occhi in quelli dell'agente di polizia, e alzò le sopracciglia.

"E se io non volessi fartelo?" lo provocò.

Lui alzò le spalle. "Me ne farò una ragione" concluse allontanandosi. Sì, in fondo ci restava male quando la bimba lo trattava in modo acido, ma sicuramente non poteva darlo a vedere! Figurarsi, quella lo prendeva in giro già abbastanza... Uno sbuffo giunse subito alle sue orecchie.

"Dai, torna qui..." borbottò lei. Nonostante tutto, lui era la sua unica compagnia nel bel mezzo della notte...

Seduti l'uno di fronte all'altra al tavolo, occhi negli occhi, labbra sul bordo della tazza, si scrutavano in silenzio; da parte di Cecilia, neppure uno sbadiglio. No, non occorreva avere molta esperienza con i bambini per capire che non andava affatto bene...

"Sai giocare a scacchi?" le chiese di punto in bianco Marco.

"Pensi che io sia così ignorante da non saperlo fare?"

"Assolutamente no. Volevo solo accertarmene" ribatté lui.

"Che, vuoi per caso giocare a scacchi alle due e mezza?"

"Se non hai di meglio da fare..."

Due occhi color nocciola si puntarono nei suoi, comunicandogli la risposta.

 

 

Alle sette e mezza del mattino la scacchiera era ancora lì, nel punto esatto del tavolo in cui era stata abbandonata nel bel mezzo della notte, con le pedine nella stessa identica posizione.

"Secondo me mi hai spostato la regina..."

"Io? Mi credi capace di una bassezza simile? Se vinco, vinco senza barare. E direi che sto vincendo".

"Posso recuperare".

"Quando torni da scuola". Non giunse risposta alle orecchie di Marco e lui, alzando gli occhi dalla scacchiera, trovò due guance improvvisamente bianche.

"Andrà tutto bene, lo sai?" si lasciò sfuggire, e lei per un attimo gli sorrise. Si dimenticò pesino di rispondergli a tono, negando l'evidenza.

"Ora mi segno le posizioni; dopo continuiamo. E purtroppo per te non starò dormendo in piedi". Si era addormentata sul più bello, qualche ora prima, e Marco l'aveva portata in braccio fino al suo letto, anche se nessuno dei due avrebbe mai ammesso che quel gesto aveva fatto piacere a entrambi; no, neppure sotto tortura. Quella notte si erano anche divertiti, tra una mossa e l'altra: Cecilia aveva riso più volte, soprattutto quando Marco aveva cominciato a dare voce ai personaggi presenti sulla scacchiera.

"Ehi, Alfiere, sopostati di là, che devo passare. L'hai voluto tu: ora ti mangio!"

La stanchezza tende a togliere i freni alle persone, ad abbattere i muri e le maschere che ci si era pazientemente costruiti. E chissà, attimo dopo attimo, mattone dopo mattone, il muro che c'era tra Marco e Cecilia forse sarebbe diventato sempre più un muretto possibile da scavalcare.

"Ehi, non barare, lì non ci puoi andare!"

"E chi lo dice?"

"Beh, neppure io" ribatté lui, alzando il mento. "E fammi controllare quel foglio quando hai finito: non sia mai che sei tu la barona qui dentro!"

 

 

Intanto Suor Angela, che si trovava dall'altra parte della cucina a preparare la colazione, li osservava con un sorriso.

Padre e figlia. Si ritrovò a pensare.

 

  
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