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Autore: malacam    18/06/2009    2 recensioni
Solitamente gli allievi finiscono con il superare i propri maestri. Ma questo luogo comune non vale certo per tutti...
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Gin Ichimaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata ai 100 euro di sushi e

Dedicata ai 100 euro di sushi e al clone...

 

Siediti sull’argine del fiume ad aspetta il cadavere del tuo nemico

 

Non era per nulla un rumore, ma riecheggiava fra le colonne dello sconfinato e vuoto androne come la marcia di un immenso esercito.

Troppo silenzio!

E nel troppo silenzio strillava esageratamente forte la paura, sotto forma di un pesante affanno, ma gli ci volle un po’ per rendersene conto.

Si portò una mano al petto, quasi per frenare il cuore, poi la fece scivolare sulla fronte per liberarla dai capelli, infine la poggiò sull’elsa della spada come per estrarla... non muovendola più.

Poggiò la testa sulla colonna che aveva alle spalle e trattenne il fiato per un istante prima di spalancare gli occhi all’improvviso, rendendosi conto che stare lì dietro non era vantaggioso, né gli sarebbe stato di alcuna utilità.

Girò gli occhi frettolosamente a destra e a sinistra, cercando di ascoltare, ma la sua mano sudata sulla spada lo distraeva non permettendogli di concentrarsi. L’asciugò velocemente sul kimono.

Spostarsi.

Spostarsi.

Ma dove?

Sapeva di non essere al sicuro, ma la lunga corsa di prima (senza una direzione, governata dalla sola paura) non gli aveva permesso di orientarsi bene!

Anche gli occhi non potevano aiutarlo; tutte uguali le snelle colonne bianche che si perdevano nel buio.

Buio e silenzio.

Non riusciva a pensare ad una combinazione peggiore.

Colpì piano la colonna con la testa, come per riportarsi alla realtà.

Aveva perso il sangue freddo, e sapeva che sarebbe stato principalmente quello il motivo della sua fine, ma nonostante gli sforzi non riusciva a concentrarsi.

Ad un tratto aprì gli occhi di scatto: il silenzio e il buio potevano essere anche suoi alleati!

Si voltò, poggiando una mano sulla colonna e tenendo l’altra sull’elsa, quindi si inginocchiò cercando di abbassarsi il più possibile.

Ad un tratto si ricordò del grosso buco appositamente lasciato sul soffitto per illuminare il gigantesco androne.

La luce della luna squarciava il buio cadendo in diagonale, illuminando i petali color perla dei ciliegi che cadevano al suo interno senza fare il minimo rumore. Non percepiva più alcun suono, ora. Il suo respiro era tornato regolare. Rendendosi conto di avere di nuovo la situazione sotto controllo, un ghigno gli apparve in viso.

Interruppe nuovamente i suoi pensieri quando vide il grosso braciere di ottone. Era freddo, dato che non erano soliti accenderlo durante la primavera, e il chiarore di luna ne delineava appena il contorno... ma era sufficiente!

Ora sapeva che in quella direzione si andava verso le scale che potavano agli alloggi del capitano della terza compagnia; l’unico posto al mondo dove non voleva andare, e decisamente l’unico posto al mondo in cui non doveva andare; era proprio da quella direzione, infatti, che proveniva anche il suo nemico.

Ormai aveva perso il conto di quante volte aveva cambiato strada, non importava più quante volte era caduto e si era frettolosamente rialzato per continuare a correre.

Adesso era davanti al braciere, e davanti a questo c'era l’uscita sull’ampio cortile interno: la salvezza.

Si sorprese nel trovarsi la mano sull’elsa ancora sudata, l'asciugò nuovamente.

Ricominciare a correre era l’unica soluzione, ma sentiva il ginocchio troppo pesante.

Si fermò un istante ad ascoltare. Ancora nulla.

Si volto di scatto come se avesse il nemico alle spalle, ma dietro di sé vide solo il vuoto.

Si rese conto che la situazione gli stava nuovamente sfuggendo dalle mani... Non sapeva dov’era il suo nemico, il suo capitano.

Si sforzò di ricordare anche un solo giorno in cui era riuscito ad avvertire la presenza del capitano Ichimaru senza che questi lo volesse.

Non ci riuscì.

Non aveva mai sentito il suo respiro, non aveva mai avvertito i suoi passi, non aveva mai visto la sua ombra.

Si rese conto che no, il silenzio non era affatto un suo alleato.

Ripensò alle volte in cui aveva sussultato sentendosi la sua mano sulla spalla senza essere riuscito ad accorgersi che era dietro di lui.

Si rigirò di colpo.

Ancora, solo il vuoto.

Staccò la mano dalla colonna e liberò nuovamente la fronte dai capelli.

Ricordò il giorno in cui, da quello stesso androne, aveva osservato Ikkaku e il capitano Kenpachi duellare nel cortile antistante.

Li aveva osservati muoversi freneticamente, correndo e lanciando fendenti con le due mani salde sullo loro zampakuto.

Neanche quella volta aveva avvertito Gin alle sue spalle se non un attimo prima che questi cominciasse a parlare.

“Che sciocchi! Shinigami come loro devono solo sperare che il loro nemico sia talmente stupido da scontrarsi in un corpo a corpo. Cosa che va più che bene contro gli stupidi hollow che sono soliti affrontare. Ma impara una cosa: siediti sull’argine del fiume ed aspetta il cadavere del tuo nemico!”

Ricordava ancora l’impassibilità del suo volto quando si era girato per guardarlo in faccia. E, soprattutto, quel suo ghigno. Non capiva mai se stava per tagliargli la testa o se gli stava sorridendo amichevolmente.

Al brivido di terrore che gli aveva percorso la schiena aveva saputo reagire soltanto mettendosi sull'attenti ed esclamando “…torno subito al lavoro, signore, mi scusi!” per poi accennare un inchino e mettersi a correre verso il suo posto.

Non gli veniva da sorridere ripensandoci, no no.

Non trovava affatto divertente la paura che provava per il suo capitano quando era ancora fanciullo.

“Siediti sull’argine del fiume e aspetta il cadavere del tuo nemico!” Quelle parole ora continuavano a ronzargli in testa… Si rese conto che quella era la cosa giusta da fare.

Non poteva sperare di sorprendere il capitano Ichimaru, né di duellare con lui alla pari (sempre se fosse stato ancora vivo il momento successivo a quello in cui se lo sarebbe ritrovato davanti)!

Doveva agire.

Scattò in piedi e si mise a correre verso il giardino, il posto ideale per tendere un agguato, visto che per accedervi il capitano aveva a disposizione un solo ingresso.

Correva con l'unica preoccupazione di tenere il passo il più leggero possibile.

Cercò di percepire i rumori intorno a sé per capire se era seguito.

Si compiacque nel non sentire i propri passi sul marmo dell'androne.

Superò le colonne più robuste che aprivano al cortile interno, illuminato di perla dalla vigile luna piena.

Il silenzio, inizialmente infranto solo dal rumore dell’acqua della piccola cascata nel giardino, dal fruscio del vento fra i ciliegi e dal soffice movimento dei petali, bruscamente sottratti agli alberi che si poggiavano sullo specchio increspato del laghetto o sul freddo terreno, venne spezzato dal fortissimo rumore dei suoi sandali sul terreno…o era lui che si era abituato troppo a percepire i flebili suoni della notte?

Improvvisamente...

Il freddo.

Non se n'era reso ancora realmente conto, ma l'intenso e puro, semplice e disarmante freddo aveva iniziato già a percorrere tutta la sua colonna vertebrale. Rendendolo incapace di muoversi.

Realizzò che il suo spirito era ora completamente avvolto dal terrore. Ogni spiraglio della sua anima, ogni tendine o muscolo.

Era lui.

A pochi centimetri dal suo volto.

Fermo, impassibile.

Alzo leggermente lo sguardo e ne vide il mento, il ghigno.

Spalancò completamente gli occhi.

I capelli mossi dal vento quasi gli coprivano l’occhio destro. L'espressione impassibile, non un solo muscolo in movimento... Non riusciva a capire se lo stesse guardando.

Sembrava una statua, avrebbe voluto toccarlo.

Sentì una forte sensazione di appiccicaticcio sul suo kimono, allora abbassò lo sguardo sul proprio stomaco.

Vedeva solo l’elsa della zampakuto del capitano Ichimaru.

Guardò davanti a sé. Il capitano aveva le mani nelle maniche e continuava a fissarlo, immobile, con quel suo sorriso stampato in faccia e gli occhi chiusi.

Percepiva distintamente il tessuto spesso del suo kimono inzupparsi sempre più.

Allontanando le mani le apri, e se le portò davanti agli occhi. Erano completamente coperte di sangue.

Davanti a lui, il capitano Ichimaru continuava a stare fermo e a fissarlo.

Non ricordava di essersi portato le mani al ventre. Sollevò il braccio finché con una manica non arrivò all’altezza della bocca. Si sorprese a pulire altro sangue.

Pensò subito alla spada che portava al fianco.

Portò la mano dalla bocca all’elsa, continuando a fissare Gin davanti a sé.

Una folata di vento più forte della altre fece sventolare la palandrana bianca del capitano.

Capì solo dopo qualche istante che questi non era più immobile davanti a lui: l'aveva notato spostarsi verso il basso, allora d’istinto aveva abbassato lo sguardo e non aveva più visto l’elsa attaccata al suo stomaco. Un sandalo in avanti, Ichimaru era ora in posizione con una gamba avanzata.

Strinse con la mano la sua zampakuto e tese i muscoli del braccio per estrarla dal fodero.

Una forte pressione sulla sua fronte. Un urto leggero appena sotto il ginocchio. Una pesante botta dietro la schiena.

Quando riaprì gli occhi (solo allora si era reso conto di averli chiusi nel disperato tentativo di estrarre la sua zampakuto per parare il colpo) realizzò di essere con la schiena per terra.

La zampakuto ancora riposta nel fodero.

Il capitano Ichimaru che lo guardava dall’alto, con un ginocchio poggiato sul suo petto.

Lo fissò in viso, cercando di carpire un'emozione.

Sentì del gelo sulla sua gola.

Un pizzico, poi un sordo rumore di stridolio.

Sentì il rumore di fiotti di sangue uscire, sentendosi bagnare il mento, la gola, il collo, il volto.

Inspirò, ma non sentì arrivare aria ai polmoni; aprì di più la bocca per cercare di sopperire.

Non ne uscì alcun rumore.

Venne riavvolto dal silenzio: non era mai stato suo alleato.

Ora cominciava a perdere i contorni del volto sorridente di Gin, tutto cominciava a sfumarsi e fondersi con il bianco dei suoi capelli.

Sentiva freddo. La sensazione gelo della lama di Shinsou nel tepore della notte primaverile, sarebbe stato per lui il primo sibilo di gelo di un inverno senza fine.

Quando la vista gli si oscurò del tutto sentì, chiara e limpida, la voce del capitano:

“…siediti sull’argine del fiume ed attendi il cadavere del tuo nemico.”

Forse sentì anche una leggera risata. Non gli fu difficile immaginare il suo volto sorridente.

 

*°*°*°*°*°

 

Strinse forte il lenzuolo nei pugni e scattò seduto nel letto, completamente madido di sudore.

Respirava affannosamente, tanto che quando se ne rese conto si portò una mano al petto cercando di calmarsi.

Spostò la mano sulla fronte e assicurò il gomito sul suo ginocchio, sospirando.

“Buongiorno, Izuru Kira…”

Rimase immobile.

“…brutto risveglio, eh?”

Passata la prima sensazione di terrore, voltò la testa.

Gin era seduto di fianco al suo letto, le gambe divaricate e il braccio destro completamente abbandonato sulla gamba, la mano che penzolava. Il sinistro, puntellato sulla coscia, reggeva la testa pigramente abbandonata sul palmo.

I capelli bianchi lasciavano vagamente intravedere la linea degli occhi quasi chiusi.

Sul suo viso si allargava il suo permanente ghigno.

Kira, lo sguardo un po’ tremolante, aprì la bocca come per rispondere ma questi lo interruppe:

“… poltrire troppo non va bene, a maggior ragione se si poltrisce male…”

Gin si sollevò e si diresse verso la porta, senza fare nessun rumore. Quando fu all’uscita aggiunse:

“…ti aspetto nel dojo!”

Voltò lo sguardo verso Kira, ma la penombra non permetteva a questi di vedere chiaramente il suo viso.

Il luogotenente abbassò comunque gli occhi.

Quando li rialzò, puntandoli verso la porta che non impediva più alla luce di entrare, si sorprese nel rendersi conto di stringere ancora il lenzuolo fra le mani.

Aprì il pugno, fissando le gocce di sudore sul palmo della mano.

La passò sul lenzuolo, poi si scostò i capelli dagli occhi e si alzò dal letto.

 

  
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