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Autore: Sinkarii Luna Nera    19/09/2017    4 recensioni
|Dragon Ball Super|
Siamo alla vigilia del Torneo del Potere, e tutti quanti si preparano per la più grande e importante battaglia che abbiano mai affrontato, dalla quale dipenderà il futuro del settimo Universo.
In tutto questo, Lord Beerus si ritrova all'improvviso ad avere a che fare con una sua vecchia conoscenza, che mai avrebbe immaginato di poter incontrare ancora.
Dalla storia:
[ Era davvero possibile che due esseri immortali le cui vite erano andate avanti separatamente per moltissimo tempo potessero ritrovarsi di nuovo insieme, in qualcosa che somigliava molto al punto di partenza?
Pareva di sì e, anche se lei non lo sapeva, sembrava anche che lei e Lord Beerus avessero avuto pensieri molto simili sulla questione.
“Forse era veramente destino” pensò “Forse era un cerchio che, mio malgrado, doveva chiudersi in queste poche ore che mancano alla probabile fine di tutto… in un modo o nell’altro”. ]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lord Bills, Nuovo personaggio, Whis
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Reflecting Mirrors'
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♦♦  Varie centinaia di milioni di anni or sono… ♦♦
 
 
 
 
«Giuro che non avrò mai altre che te, finché avrò vita».
 
«Abbiamo solo vent’anni, e tu sei immortale».
 
«Non vedo il problema, lo sarai anche tu!»
 
«…hm».
 
Il giovane Hakaishin la guarda, mascherando con un sorriso la vaga inquietudine che inizia a serpeggiare nel suo petto. «Anise, devo preoccuparmi? Pensavo che volessimo farlo, insomma, tu… non hai cambiato idea, vero?»
 
Un brevissimo momento di silenzio e la lince solleva lo sguardo, mentre la presa sulle mani di Beerus si fa più decisa. «No, è solo… tu sei proprio sicuro? Whis aveva detto di aspettare».
 
«Sì, ma ho io l’ultima parola! Non importa se siamo giovani, io non cambierò mai idea. So che la mia Neiē puoi essere solo tu. Whis deve farsi gli affari suoi, è una cosa che riguarda noi e quel che vogliamo, non lui».
 
Lo dice con tale incrollabile sicurezza da indurla quasi a pensare che un lieto fine come sua Neiē -compagna per l’eternità- sia possibile, nonostante la giovanissima età in cui lei e un dio si stanno scambiando un simile voto. «Io-»
 
Si sente un rumore sordo e Beerus crolla in avanti tramortito, finendo tra le braccia di Anise.
 
«Più gli dico di aspettare a fare qualcosa, più ha fretta di farla! C’è ben poco peggio di un Hakaishin a malapena ventenne. Per fortuna ha preso tempo, Lady Anise» sospira Whis, e solleva il suo allievo con la magia «Lei è la sua Iarim Neiē» “futura” Neiē «È già molto ufficiale così, e per adesso è sufficiente. Concorda?»
 
I sentimenti sono forti, ma quella che avrebbe finito per commettere se Whis non fosse intervenuto resta una grossa imprudenza in cui non è da lei cascare. Anise lo guarda negli occhi e, sentendosi un po’sollevata e proprio per questo altrettanto in colpa, annuisce. «Concordo. Beerus però ha già giurato, conta?»
 
«Lui magari si sentirà vincolato, ma tecnicamente non lo è. Non è stato reciproco».
 
Un ben poco romantico “Capisco” di Anise conclude il tutto.
 
 
 
 
♦♦  Il presente ♦♦
 
 
 
 
«Bastardo che sei» bofonchiò Lord Beerus all’indirizzo di Whis, per poi fare uno sbadiglio.
 
«Prego?»
 
Whis si stupì non poco per quell’epiteto ingiustificato che il suo Hakaishin gli aveva rivolto appena sveglio, e anche se non si notava iniziò a sentirsi leggermente agitato. Che Beerus avesse avuto un altro dei suoi sogni profetici sul futuro, e avesse visto la messa in atto del machiavellico piano di Anise?
No, si disse subito dopo, non poteva essere per quello, fosse stato così non sarebbe stato tanto calmo.
 
«Ho fatto un sogno ambientato nel passato…»
 
«Non c’è da stupirsi, visto quant’è accaduto oggi» si affrettò a dire Whis.
Non gli risultava che Lord Beerus fosse in grado di fare anche sogni diversi da quelli premonitori -o da quelli veri e propri- ma non era detto che fosse davvero così: quelle riguardanti i sogni non erano abilità comuni tra gli Hakaishin, erano un’esclusiva che Beerus non condivideva neppure con Champa, e che nessuno si era curato di sviluppare o conoscere a fondo.
 
«Ricordi la volta in cui lei stava per giurare a sua volta, e tu mi tramortisti?»
 
Bulma e compagnia erano impegnati a farsi i fatti propri, per fortuna, e non stavano ascoltando. Ormai erano talmente abituati ad averli lì sul terrazzo che in certi momenti facevano sì e no caso alla loro presenza, e a Lord Beerus in quel momento stava più che bene.
 
«Ricordo».
 
«Ho sognato che ti lamentavi della mia fretta, e dicevi era già tutto abbastanza “ufficiale”. Lei ha concordato, e sembrava perfino sollevata, ancor più quando le hai detto che il mio giuramento non era valido -il che è opinabile. Che sogno stupido» sbuffò «Ma al di là di quest’assurdità, tu mi hai tramortito sul serio. Da qui, “bastardo”».
 
“Doveva iniziare a sognare il passato proprio ora?!” pensò Whis “Fortunatamente non crede nemmeno lui in quello che ha visto, il che mi consente di stroncare la cosa sul nascere”. «Ha fatto proprio un sogno bizzarro, Lord Beerus, non è certo andata così».
 
«Ovvio, questo lo so» ribatté il dio «Quanto manca? Quel maledetto sole è ancora troppo alto, per i miei gusti!»
 
“Quasi quasi…”
 
«Non starà pensando di distruggere il sole per far sì che diventi tutto buio, spero!» lo rimproverò Whis «Sono le nove, siamo alla fase clou del tramonto, ormai».
 
«Se anche fosse come hai detto, avrei tutto il diritto di farlo sparire. Sono o non sono il Dio della Distruzione?»
 
«Oh, non dica sciocchezze! I terrestri non potrebbero sopravvivere senza sole, il che significherebbe dover rinunciare alla pizza, al sushi, al ramen, al daifuku, al gelato…» elencò l’angelo «Considerando quel che potrebbe accadere, mi sembra assurdo farlo prima del tempo».
 
«Menagramo!» sibilò Beerus.
 
«Realista» replicò Whis.
 
Il dio si passò una mano sul volto. «Sento di star sprecando tempo, cosa che mi fa innervosire, e al pensiero di essere innervosito mi innervosisco ancora di più!»
 
Tra l’idea del Torneo e il dover attendere, anche se ormai mancava poco, gli sembrava di star diventando matto. Non lo dava a vedere, guardandolo non lo si sarebbe notato, ma aveva una gran voglia di prendersi a pugni il cranio -o di prendere a pugni il cranio di qualcun altro- pur di sfogarsi in qualche modo.
 
«Nessun impedimento fisico o inerente a questioni di importanza universale glielo impedisce, né glielo impediva prima. Vuole andare? Vada!» disse Whis, facendo spallucce.
 
Beerus strinse i pugni. «A volte ho l’impressione che tu tragga soddisfazione dal mettermi in certe situazioni!»
 
«Io non ho fatto nulla, ci si è messo da solo. Non che sia una novità» aggiunse l’attendente, con voce leggermente più bassa come a “non volersi far sentire”.
 
«Non intendo darti spago, in questo momento ho altro per la testa, e in generale non ne vale la pena» si massaggiò le tempie «Io qui, e lei in casa di Goku…»
 
«In verità, è tornata a casa propria» lo informò Whis «Dieci minuti fa».
 
Lord Beerus si voltò di scatto verso Whis, pensando che saperla ancor più vicina di quanto fosse prima non lo stava affatto aiutando a resistere al “Vai!” urlato da ogni fibra del suo corpo. «E tu me lo dici adesso?!»
 
«Non volevo metterla in agitazione, Lord Beerus».
 
«Ma quanta premura! Basta. Io vado» disse il dio, alzandosi bruscamente dal lettino «Non intendo aspettare oltre, l’ho fatto già a sufficienza».
 
«Lord Beerus, se ne sta andando?» gli domandò Bulma, accorgendosi delle sue mosse.
 
«Sto decidendo se distruggere o meno il vostro sole, e mi serve un luogo tranquillo, privo di chiacchiere e schiamazzi di bambini» rispose «Quindi sì, me ne vado».
 
«Decida per il meglio, mi raccomando. La casa di Anise comunque è quella laggiù!» esclamò, indicandone una a poca distanza.
 
«Bulma! Non impicciarti!» sbottò Vegeta.
 
Per un attimo Beerus fu fortemente tentato di disintegrare quella donna che più volte si era dimostrata tanto insolente, ma infine lasciò stare, e si alzò in volo senza proferire verbo, puntando dritto verso casa di Anise. La sfrontatezza di Bulma era un’altra cosa per la quale in quel momento non valeva la pena perdere tempo.
 
«Ma se lo seguissimo?... io sono un po’curiosa di vedere come andrà a finire, dopo tutto il trambusto di oggi» ammise la scienziata.
 
«Può finire in una sola maniera, ossia quella che desidera Lord Beerus. Lei non può uscirne» commentò Vegeta.
 
«Non lo dia per scontato, signor Vegeta! Se c’è qualcosa in cui Lady Anise è abile è proprio “uscirne”» lo contraddisse Whis, dando l’assalto a un cosciotto di carne arrosto.
 
«Significa che quando era da Chichi ha trovato un modo?!» si stupì Bulma «E come… aspetta: prima allora, quando Lord Beerus dormiva, non sei andato di nuovo al parco per prendere un altro gelato! Sei andato da lei a esporle la tua idea!»
 
«La “mia” idea?» Whis sollevò un sopracciglio «Non le ho esposto idee, ne ha già abbastanza per conto suo. Sia come sia, ora ha una scelta, e immagino che l’esito dipenda da come andrà stasera. Se andrà come desidera Lord Beerus, lui avrà quello che vuole… in caso contrario, è probabile che domani notte debba dargli un colpo in testa prima che distrugga la Terra senza neppure volerlo».
 
«COME SAREBBE?!» gridò Bulma «Se è così, allora quella benedetta lince deve fare quello che vuole Lord Beerus! Vedesse di comportarsi bene, non esiste che la Terra venga distrutta per colpa delle loro beghe, non se ne parla proprio, non può permetterlo!»
 
«Per quel che le importa, può permettere questo e altro» replicò Whis, con semplicità.
 
«Come mai potrebbero esserci problemi simili “domani notte”, se si incontrano adesso?» indagò Vegeta, che ancora ignorava la posta in gioco al Torneo.
 
«Perché prima di allora non varrebbe la pena fare alcuna mossa. Questa sera dovrebbe andare tutto piuttosto bene, ma la verità salterà fuori soltanto domani notte» rispose l’angelo «Ma credo sia inutile continuare a parlarne ora. Piuttosto dovremmo pensare ai guerrieri che mancano per il Torneo! Potete ricordarmi a quanti ammontano quelli trovati finora?»
 
«Sicuri siamo io, Kaaroth, Gohan e Junior, C18 e suo marito… e a quest’ora Kaaroth dovrebbe aver convinto Majin Bu. Sette» disse Vegeta «Domani dovrebbe riuscire a portare qui anche gli ultimi tre».
 
«Ottimo».
 
 
 



 
 
Il giardino attorno alla casa che Anise aveva scelto come residenza sulla Terra era grande quanto quello di Bulma, ma decisamente più incolto. C’erano zolle di terra verde inframezzate da altre su cui non cresceva un filo d’erba, grossi sassi sparsi ovunque lungo sentieri naturali creatisi tra cespugli di bacche e di rovi, e grossi alberi dalle ampie chiome, alcuni in parte soffocati da piante rampicanti, in grado di tenere tutto e tutti al riparo dal giorno.
 
“E lei è qui fuori, la percepisco”.
 
Quello fu l’ennesimo salto indietro nel tempo per Beerus, al quale tutto ciò ricordava la foresta dov’era vissuta Anise una vita fa. La domanda più logica da farsi sarebbe stata dove avesse trovato il denaro per comprare la proprietà, lui invece si chiese soltanto se il paesaggio avesse influito o meno sulla scelta.
 
Volle addentrarsi tra gli alberi, sempre volando: avrebbe potuto agire diversamente, ma si disse che se ormai si era tuffato nel passato, tanto valeva annegarvi completamente dentro. Non rischiava certo di perdersi in un posto simile, e comunque l’aura di Anise lo stava guidando.
Fu tanto agile e veloce che nessuna sterpaglia riuscì a sfiorarlo mentre volava attraverso gli alberi, diretto verso un chiarore rosso-aranciato sempre più intenso, e infine rispuntò in quella che sarebbe stata una radura, se non avesse avuto al centro un grosso albero privo di foglie -morto, forse?- che proiettava un’ombra somigliante a una mano scheletrica protesa verso di lui.
 
Quello e la luce rossastra creavano un’atmosfera degna di un brutto sogno, ma ciò che rese tutto ancor più irreale fu vedere Anise dondolarsi in piedi su un’altalena legata proprio a un ramo di quell’albero morto.
 
“…”
 
Per qualche istante non riuscì a fare altro che restare immobile a fissarla, preda di pensieri assurdi tipo “Ecco, ora la terra si aprirà e inghiottirà lei e l’albero, e lei morirà di nuovo, e di nuovo io non riuscirò a fare nulla per salvarla”; per fortuna si riscosse abbastanza in fretta, dandosi anche dell’imbecille per essersi lasciato suggestionare a tal punto. «Mi ero giusto domandato come mai avessi scelto di vivere proprio in questo posto» esordì «Credo di aver avuto la risposta che cercavo».
 
«Sono un’Anise semplice: vedo un’altalena, ci salgo» replicò lei, senza smettere di dondolare «Non ricordo se quel che ho appena detto è o no farina del mio sacco».
 
«È un’uscita delle mie. Di una vita fa» riuscì a dire il dio «Anche se al momento mi sembra più l’altro ieri».
 
«Lei non è il solo a pensarla così, devo ammett-»
 
«Anise, non darmi del “lei”. Te l’ho detto prima, te lo ripeto adesso» disse, e volò più vicino «Non lo fare. È un’assurdità».
 
Lei non rispose.
 
«Vederti dondolare così mi riporta alla mente molte cose» riprese l’Hakaishin.
 
«Incontrarci qui non è stata una cosa voluta, ti aspettavo dopo il tramonto» ribatté la Lusan, senza biasimo nella voce «Bada bene, non è un rimprovero. A dirla tutta hai resistito più di quanto credessi: immaginavo che mi avresti raggiunta subito, ma non l’hai fatto, e questo mi ha sorpresa. In bene».
 
«Avevi detto di voler essere lasciata in pace fino a stasera. Non si dica che non presto attenzione ai tuoi desideri» disse Beerus, con un filo di sarcasmo più del dovuto, imputabile al nervosismo accumulato durante l’attesa. «Anche se, in verità, avevo già aspettato abbastanza. Centinaia di milioni di anni, più o meno».
 
In tutto questo fu solo il dondolio dell’altalena a cambiare, rallentando, mentre l’espressione di Anise non subì mutamenti di alcun genere. «Centinaia di milioni di anni» ripeté lei, lentamente «E vari tipi di Sfere dei desideri in circolazione. Hai avuto molto tempo a disposizione per riportarmi in vita, ma non l’hai mai fatto, quindi non lo volevi poi così tanto… e ora ti lamenti?»
 
Si riteneva una carogna nel fargli un rimprovero simile, sapendo di non essere mai morta, ma al momento Anise riteneva risultare credibile più importante di come si sentiva lei, dunque la reazione doveva essere adeguata.
 
Sul volto del dio, per un singolo attimo, era comparsa un’espressione degna di qualcuno accoltellato al petto; l’abitudine a nascondere certi tipi di emozione però riuscì a restituirgli compostezza subito dopo, e scese a terra. «Ho saputo delle Super Sfere molto tardi, perché Whis prima non me ne ha parlato affatto, e il resto delle Sfere dei desideri è stato creato in tempi più recenti. Inoltre, ti ho già detto che Whis era già riuscito a convincermi ad andare avanti, per il mio bene. Col tempo ero riuscito più o meno a farmene una ragione, ed era un mio diritto farlo: non puoi rimproverarmelo».
 
«Io infatti ti ho rimproverato le tue lamentele che, se eri riuscito a fartene una ragione come dici, non hanno ragione di esistere».
 
L’altalena ormai era ferma, e Anise era in piedi lì sopra a guardarlo, impassibile, oscurandolo con la sua ombra. Non era un bel momento per Beerus, che non aveva idea di cosa le passasse per la testa. Se provava rabbia, lui avrebbe preferito che gli urlasse contro, e se provava odio, lui avrebbe preferito che lo insultasse; qualunque altra cosa sarebbe stata migliore di quella chiusura… ma “qualunque altra cosa” non sarebbe stata da Anise, che in momenti come quello aveva sempre fatto così. «Non avrei voluto che il nostro incontro iniziasse in questo modo… ma poteva andare peggio».
 
La lince si mise a sedere. «Tu vuoi che dica “poteva piovere”, vero?»
 
Lord Beerus si strinse nelle spalle. «Che devo dirti, ci ho provato!»
 
«“Poteva piovere”».
 
Era il segnale di una distensione, seppur piccola, e il dio l’accolse con un lieve accenno di sorriso. «Avevamo entrambi ragione nel dire che non siamo migliorati, riguardo le uscite infelici».
 
«Eravamo messi in un modo tale che potevamo soltanto peggiorare. Comunque» fece una breve pausa «Mi scuso per aver “dato spettacolo”, qualche ora fa. Fuggire bestemmiando, ubriacarmi, mettere in piazza la faccenda di mia sorella e tutto il resto è stato molto increscioso da parte mia».
 
«Sì, abbastanza, ma non pensarci più sopra. Piuttosto, riguardo la nostra breve conversazione nella Dimensione degli Specchi…hai presente, no?»
 
«Quella in cui ti ho detto di lasciar perdere e tu hai detto che non se ne parla? Sì, ho presente».
 
Certe volte Anise, quando voleva farlo, rendeva veramente difficile parlare con lei, “chiusura” o meno; già per Beerus era arduo, visto l’argomento, ma se lei si comportava in quel modo diventava quasi impossibile. «Non me lo rendi facile, Anise, per nulla!»
 
«Sicuro, perché invece per me è una passeggiata al parco».
 
«Falla finita! Tu dovresti-»
 
«Stai per dire che “dovrei sentirmi onorata del fatto che una divinità dedichi del tempo a me”? Perché se è così, puoi anche andartene via subito».
 
Effettivamente le parole che Beerus stava per dire erano proprio quelle, per colpa del nervosismo, dell’orgoglio da divinità e quello puramente personale, dell’abitudine, e anche del profondo desiderio di poter parlare veramente con lei, semplice quanto insoddisfatto. «Stavo per dire che devi smetterla di nasconderti dietro queste dannate risposte sarcastiche. Non so se te l’hanno mai detto, ma se vuoi che qualcuno ti ascolti devi prima parlargli chiaramente, perché se non lo fai poi non puoi lamentarti di nulla!»
 
Anise scese dall’altalena e si alzò in piedi. «Le volte in cui ti rimproveravo qualcosa non ero abbastanza chiara, allora? Le volte in cui ti ho detto, per esempio, “Ero la Iarim Neiē di Beerus, ma ora mi sento la proprietà del Dio della Distruzione” ho espresso un concetto troppo astruso?» fece un altro passo «Oppure, quando ti facevo notare che avevi distrutto un pianeta per futili motivi -cosa che inizialmente non facevi- non ero abbastanza diretta, signor “Sono un Hakaishin e ne avevo il diritto, quindi non ti riguarda”?» avanzò di nuovo, avvicinandosi ancor di più al dio «Io parlavo chiaramente, ma tu recepivi solo quel che volevi, e non sono sicura che questo sia cambiato».
 
«Se non sei sicura allora dammi modo di confermarlo o di smentirlo, magari senza essere prevenuta come sei stata finora» ribatté lui.
 
«Quando qualche ora fa nella Dimensione degli Specchi ho espresso il mio scarso entusiasmo e poca convinzione, tu hai risposto che le mie erano sciocchezze. Non è “essere prevenuta”, mi baso su quello che ho visto e sentito».
 
«Non ti è venuto in mente che magari l’ho detto semplicemente perché rivoglio al mio fianco la mia Neiē?» sbottò il dio facendo uno sforzo sovrumano nell’esporsi così tanto, in un clima simile «È davvero una cosa tanto difficile da capire?!»
 
«Non sono mai-»
 
«No, non venirmi a dire cose del tipo “Non sono mai stata la tua Neiē”, perché sai benissimo quanta importanza do a quel giuramento. Ti considero la mia Neiē adesso, ti consideravo tale anche allora, e ho continuato a farlo sempre. Sempre!» esclamò afferrandole le braccia, distese lungo i fianchi «In tutto questo tempo non ho frequentato altre, non ho avuto altre Iarim Neiē, non le ho neppure cercate, anche quando era passato tanto tempo da riuscire a mettere da parte quanto accaduto…»
 
Ormai aveva iniziato, e non riusciva a fermarsi, forse perché quelle parole erano lì già da troppo tempo per restare ancora non dette… e comunque non lo stava guardando o sentendo nessuno se non l’interessata, quindi il suo onore e il suo orgoglio erano salvi.
 
«Non sarebbe mai stato lo stesso» proseguì «A che pro cercare altrove? Ho rivolto il mio interesse al cibo, alle dormite, ai video di GodTube e alla distruzione, ma non volevo un’altra compagna, io avevo già una Neiē, ed eri tu! Anche se non c’eri più, anche se eri morta senza che io facessi nulla… perché dormivo!» fece una risata che aveva poco di savio e nulla di allegro «Io dormivo e tu morivi, sono un dio ma non sono neppure riuscito a fare una cosa semplice quale essere lì per salvarti, e non ho potuto neppure parlarti un’ultima volta per cercare di sistemare le cose, e-»
 
«Beerus» Anise gli prese il volto tra le mani «Sono viva, sto bene e sono qui con te. Quel periodo è passato molto tempo fa, non pensarci più sopra, d’accordo?»
 
Tanto bastò a Lord Beerus per ritrovare il contegno perso, e con esso una punta di vergogna. «Credo… ho dato io spettacolo, questa volta».
 
«Non hai dato spettacolo, qui ci siamo solo noi due, e io non andrò a raccontarlo in giro. Credo sia una di quelle cose che non racconterei nemmeno dopo due bottiglie di vino, ma nel dubbio eviterò di bere almeno fino a dopo il Torneo. Sempre ci sarà un “dopo”» aggiunse la Lusan, facendo scorrere le mani dal viso al petto.
 
L’incontro non era iniziato bene, ma Beerus aveva cominciato a pensare che Anise non lo odiasse poi così tanto: se così fosse stato si sarebbe comportata diversamente, dopo averlo visto perdere compostezza come aveva fatto. «Come ho già detto oggi, deve esserci per forza. Deve».
 
La lince mosse leggermente le orecchie, pensierosa. «La prospettiva di essere cancellato ti spaventa davvero così tanto?»
 
«Ma che domanda è?» allibì il dio «Sarebbe anormale non provare paura all’idea, se mai! Non sarebbe come quando si finisce nell’aldilà, smetteremmo completamente di esistere. Dopo tutto questo tempo che sono in vita, non riesco neppure a immaginare come sarebbe la non esistenza».
 
«Non c’è bisogno di immaginarla, perché non “sarebbe”, semplicemente» disse Anise «Non avremmo neppure modo di dispiacerci per come sono andate le cose».
 
Nel sentirle dire simili parole, Lord Beerus si inquietò non poco. «Non dirlo nemmeno per scherzo, e tantomeno col tono di chi quasi ci spera. Ci sono tante cose per cui vale la pena restare in vita… come tutti i cibi che non abbiamo ancora provato, per esempio!»
 
«Beerus! Io credevo che stessi parlando seriamente!»
 
«La pizza è una cosa seria» ribatté lui.
 
«Beerus» Anise fece facepalm «Ti preg-»
 
«Ah! Quello era un sorriso, lo ho visto!»
 
«Hai visto malissimo» negò lei, voltandosi dalla parte opposta per nascondere… un sorriso.
 
«Allora perché ti sei girata dall’altra parte?» insistette, poggiando la testa su una spalla della lince «Eh?»
 
Non stava facendo lo scemo tanto per gradire, ma perché si era reso conto che insieme ad Anise era resuscitata anche quella specie di malinconia che i Lusan chiamavano “male di vivere”, che lui aveva notato anche allora, e che lei non gli aveva mai nascosto.
Dai venti ai ventidue anni aveva finito col dare alla cosa meno peso -era abbastanza onesto da ammetterlo- dicendosi che quei momenti semplicemente andavano e venivano da soli, e lasciando che li gestisse per conto proprio, ma forse si era sbagliato; nel dubbio, avrebbe cercato di non commettere lo stesso errore un’altra volta.
 
«Magari mi sono voltata perché volevo guardare l’albero» replicò Anise.
 
«Non capirei perché, un albero morto non è molto interessante».
 
«Guarda che non è affatto morto» lo contraddisse lei «In questa stagione non ha foglie, contrariamente al resto delle piante che vedi,  ma tornano tutte… al momento giusto. È un albero vivo e vegeto».
 
«Vivo e Vegeta!»
 
Quello, per la Lusan, fu il terzo facepalm della giornata. «Sempre peggio! Dov’è Whis, quando serve che ti dia una botta in testa?»
 
«Lascia perdere Whis, prima mi ha fatto innervosire non poco già solo per avermi detto in ritardo che eri qui. Anise, ascoltami» esordì, tornando molto serio «Pur non avendo una gran memoria, posso ricordare senza alcuno sforzo che c’è stato un tempo in cui eravamo felici, molto felici. So che poi le cose sono finite male, so che sono passati centinaia di milioni di anni sia per me qui che per te dall’altra parte, e nonostante l’impressione di essere tornato indietro nel tempo so che non siamo più dei diciottenni, ma io credo veramente che si potrebbe ricostruire qualcosa, se lo volessimo tutti e due».
 
Anise non disse nulla.
 
«Tu vuoi?» insistette Beerus.
 
«Dopo le volte in cui sono stata a lamentarmi per la poca considerazione data a quel che voglio io, mi prenderei a schiaffi da sola per quanto sto per dire… ma in tutta onestà, non lo so» ammise «Avrei bisogno di tempo per capire se è veramente il caso, tempo da passare anche con te, oltre che da sola. Tempo che non abbiamo».
 
Il dio non tolse la testa dalla sua spalla, e lei non lo allontanò, restando semplicemente in attesa.
 
«Avrei preferito un’altra risposta, ma se non altro non sei di nuovo scappata via bestemmiando. È già un miglioramento» sospirò Beerus «E considerando che hai detto di voler passare del tempo col sottoscritto, potrei perfino arrivare a pensare che sia un successo».
 
«L’hai presa meno peggio di quanto pensassi. E se invece ti avessi detto che non volevo saperne affatto?»
 
«Beh, non l’hai detto. Perché parlarne e scatenare un potenziale processo alle intenzioni basato su “se” e “ma”?»
 
L’attimo di silenzio della lince gli fece pensare di aver commesso un errore…
 
«Non c’è nulla di più stupido che un processo alle intenzioni, hai ragione».
 
Fortunatamente però sembrava essersi sbagliato, e tanto meglio così. «Lieto di trovarti d’accordo».
 
«Stavo pensando, perché tanto che ci siamo non andiamo in casa? Bulma mi ha portato una torta al limone in tarda mattinata, è buona, possiamo finir-»
 
Per qualche istante Anise non sentì più la terra sotto i piedi, e il mondo attorno a lei divenne confuso. Quando tutto tornò a posto, si ritrovò davanti alla porta principale di casa propria.
Beerus era veramente una saetta, quando c’era di mezzo del cibo.
 
«Non ho mai mangiato una torta al limone!» sentì esclamare Beerus «Hai detto che è buona, ma poi? È molto dolce? Poco dolce? Dolceamara? E la consistenza? È molto compatta? Spumosa?»
 
Anise fece un lungo sospiro, non infastidita, ma rassegnata al fatto che certe cose non cambiavano veramente mai. «Noto che l’abitudine di bombardare la povera gente di domande culinarie non ti è passata neppure dopo tutto questo tempo».
 
«Che sapore ha una torta al limone?!» insistette il dio, mentre entravano in casa insieme «Dimmelo!»
 
«Se continui giuro che la finisco tutta io da sola, anche se è più di tre quarti».
 
«Non osare nemmeno pensarci» la ammonì Lord Beerus «Ora va’ in cucina, e porta il tributo al tuo dio!»
 
Anise si fermò, e si mise davanti a lui. «Sai dov’è che te lo metto, il tributo?» picchettò il naso di Beerus «Proprio qui, tutto spiaccicato».
 
«Riuscirei ad assaggiarla in ogni caso» replicò Beerus, facendo spallucce «Anise, c’è un’ ultima cosa che dovrei dirti. Ho accettato il tuo “non lo so”, e mi comporterò come abbiamo stabilito, tuttavia voglio che tu sia vicino a me durante il Torneo del Potere. Se per disgrazia le cose dovessero andare diversamente da come auspico, voglio che tu sia lì».
 
Stava andando bene, non voleva rovinare tutto dicendole quell’ultima cosa, ma non aveva proprio potuto evitarlo: se quelli del Torneo dovevano essere i suoi ultimi momenti, voleva passarli con lei accanto.
 
«A essere sincera, un po’ me lo aspettavo» disse la Lusan «Mi sta bene. Presumo che questo significhi tornare a vestire i panni della tua Iarim Neiē almeno fino a domani notte».
 
«Sì, precisamente» annuì il dio, sollevato di non aver trovato resistenza.
 
«Bene. Accomodati nel salotto» accese la luce della stanza attigua «Io e la torta arriviamo».
 
Lord Beerus non se lo fece ripetere due volte, e Anise si diresse in cucina senza di lui.
 
“Come potrei mettere in pratica il piano che ho congegnato, dopo quanto mi ha detto?” pensò, mentre tirava fuori la torta dal frigorifero “Come potrei? Dopo centinaia di milioni di anni è ancora messo così, riguardo la mia presunta morte… come reagirebbe, se dovessi attuare i miei progetti e la finta me stessa dovesse ‘morire’ davanti a lui?”
 
Di certo non avrebbe festeggiato, tanto per usare un eufemismo, non serviva essere un genio per capirlo, e nonostante fosse iniziato tutto piuttosto male poi le cose si erano distese.
Beerus aveva perfino accettato una risposta diversa da “Sì, lo voglio”, per l’amor del cielo! Se quello non era mettersi d’impegno, come altro si poteva definire?
 
“Se lo facessi, lui si sentirebbe in colpa, e io sarei una carogna priva di giustificazioni decenti” si disse, prendendo un coltello da un cassetto per poi tagliare la torta a fette. “Come potrei?”
 
Guardò il suo riflesso alla finestra, e lo vide fare spallucce.
 
“Potrei decidere che non mi importa nulla né di lui, né di diventare una vera e propria infame”.
 
Il riflesso la guardò severamente.
 
“Non sarebbe la verità, lo so”.
 
Diede le spalle al riflesso, si gettò dietro spalle la lunga treccia argentea, e tornò in salotto con la torta in mano. «Eccom-»
 
«Ancora?! Sul serio?»
 
Beerus stava tenendo sollevato un lavoro a maglia lasciato a metà, che una volta ultimato sarebbe diventato un poncho di lana grossa color tiffany, inframezzato da varie perline di vetro.

Anise alzò le sopracciglia. «Sì, faccio ancora lavori a maglia. Con ciò?»

 
«Non ho mai capito che gusto ci provassi a-»
 
Il gomitolo color tiffany attaccato al futuro poncho cadde a terra, rotolando rapidamente via.
Entrambi i felini lo seguirono con lo sguardo, come ipnotizzati…
 
«No eh! Siamo persone adulte e abbiamo una torta da mangiare!» esclamò Beerus, che si riscosse per primo «E poi ci sono attività migliori da fare durante la sera e la notte, rispetto all’inseguire un gomitolo».
 
Anise gli porse una fetta di torta. «Dunque intendi fermarti qui, stanotte?»
 
«L’idea sarebbe quella» confermò lui, senza aggiungere altro.
 
«Ma come, non vuoi passare la notte a casa dell’adorabile Bulma?» finse di stupirsi la lince, con un sorrisetto ironico.
 
«E rischiare di vederla appena alzata al mattino, con i bigodini e strane pappe verdi sulla faccia? Non credo di farcela!»
 
Il sorrisetto di Anise si allargò. «Domattina appena sveglio mi vedrai esattamente in quel modo, allora».






...eeee niente, il capitolo finisce qui! :'D con questi due che potrebbero passare la notte a dormire, o svegli a mangiare, o svegli a inseguire gomitoli, o chissà.
Mi limito a ringraziare di cuore chi ha letto e sta continuando a farlo, e a lasciare a voi eventuali commenti.


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