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Autore: Unintended6    19/09/2017    1 recensioni
"Mentre allungavo la mano verso la maniglia della porta, ho salutato la signora Hudson e, girandomi, ho notato sulle scale l'inconfondibile figura slanciata. Indossava la sua vestaglia blu e aveva i capelli arruffati. Sembrava sorpreso di vedermi soprattutto perché sapeva benissimo di essere l'ultima persona che avrei voluto incontrare."
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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È passata ormai qualche settimana dalla morte di Mary. I primi giorni sono stati un terribile incubo, uno di quelli di cui non ci si libera facilmente: rivivevo quella scena ogni volta che chiudevo gli occhi. Vedere Rosie ogni mattina mi faceva sentire davvero a pezzi. Pensavo a come sarebbe stato il suo futuro, a come sarebbe stato il mio. Era come se mi rendessi conto sempre di più non essere in grado di crescerla da solo. Fortunatamente Molly e la signora Hudson hanno sempre adorato la piccola e si sono prese cura di lei durante le mie crisi.
Quel pomeriggio la signora Hudson si era offerta di darmi una mano con Rosie, ma mi aveva avvertito del fatto che non sarebbe riuscita a passare a prenderla e mi aveva chiesto se gentilmente avessi potuto portarla da lei. Ho preso il borsone con giochi e cambi e sono andato a Baker Street. Speravo di non incontralo, speravo di non vedere Sherlock. Sarebbe stato troppo per me. Non sapevo come avrei potuto reagire. 
Al 221B la signora Hudson ci aspettava sulla soglia. Dopo essersi scusata ancora per non essere riuscita a venire a prendere Rosie, le ho lasciato il borsone e, come al solito, abbiamo fatto due chiacchiere.
Si era fatto tardi perciò, dopo averla ringraziata ancora per la disponibilità, mi sono diretto verso la porta.
Mentre allungavo la mano verso la maniglia della porta, ho salutato la signora Hudson e, girandomi, ho notato sulle scale l'inconfondibile figura slanciata. Indossava la sua vestaglia blu e aveva i capelli arruffati. Sembrava sorpreso di vedermi soprattutto perché sapeva benissimo di essere l'ultima persona che avrei voluto incontrare. Aveva un'aria mortificata. 
Si rendeva conto di quanto fossi distrutto e decise di invitarmi per un the. Avrei risposto no se non fosse stato per la signora Hudson: la situazione era piuttosto pesante e quello che desiderava era che le cose si riappacificassero in modo da poter far crescere Rosie in un clima più sereno.
Accettai, a mio malgrado perché non ero per niente certo di essere pronto ad affrontare una conversazione con lui.
Lo seguii per le scale ed entrando si scusò per il disordine, si lamentò del fatto che la signora Hudson continuasse a ripetergli di sistemare l'appartamento e anche di non essere la sua domestica.
Notai che la mia poltrona era ancora al suo posto, anche se circondata da giornali e riviste che probabilmente la signora Hudson gli portava per distrarlo. Lei sapeva che non le avrebbe lette. Ne ero certo anche io, come ero sicuro del fatto che non avrebbe acceso il televisore: infatti il telecomando era chissà dove e i pulsanti erano sicuramente coperti di polvere. 
Sapevo che per lui il silenzio assoluto era la migliore condizione per pensare: sdraiato sul divano, occhi chiusi, mani giunte.
Facendo queste considerazioni mi resi conto di quanto bene lo conoscessi, nonostante non vivessi più con lui.
In qualche minuto tornò con il the pronto, sempre in totale silenzio.
Avevo nostalgia dei momenti a Baker Street poco dopo la nascita di Rosie. Dopo quello che era successo per me era difficile, troppo difficile guardarlo senza addossargli parte della colpa. So che è stata Mary a decidere di buttarsi e nessuno l'ha costretta in alcun modo, ma in fin dei conti l'ha fatto per salvare lui, il sociopatico che ormai faceva parte della nostra famiglia. 
Mi passò la tazza e si sedette sulla sua poltrona. Mi guardava come se non riuscisse a trovare le parole per scusarsi, mi aveva invitato a salire ma non sapeva cosa dire, uno dei rari casi in cui Sherlock Holmes non sapeva veramente cosa dire. In quel momento avrei preferito, anzi sono di sicuro che entrambi avremmo preferito, essere altrove o dover parlare in circostanze diverse. 
Lui restava muto e immobile, di fronte a me. A testa bassa per la situazione scomoda. Era visibilmente nel panico. Probabilmente si era pentito di avermi invitato per il the. Ero praticamente certo che non avrebbe iniziato lui la conversazione. Sapevo molto bene, meglio di chiunque altro, quale fosse il suo rapporto con le emozioni. Disprezzava i sentimenti, non era fatto per questo genere di situazioni, non era decisamente il suo campo. Guardava la sua tazza di the, se la rigirava tra le mani, accarezzava la ceramica liscia. La tensione era visibile, gli tremavano leggermente le mani, anche se cercava di nasconderlo muovendole rapidamente. Avevo abbassato lo sguardo anche io, quando lo sentii fare un respiro profondo. E poi "John..." con un filo di voce. Non potevo quasi credere alle mie orecchie. Alzai lo sguardo. Stava facendo di tutto per non guardarmi. I suoi occhi saettavano di qua e di là, sembravano in cerca di un appiglio, una distrazione, qualunque cosa, purché non fossero i miei. A quel punto non sapevo cosa dire. Era stata inaspettata quella sua mossa. Forse era calcolata, sapeva che non me la sarei aspettata. Continuavo a guardarlo, aspettavo un suo segno di cedimento.
Finalmente i suoi occhi incontrarono i miei, sapeva che da quel momento non avrebbe avuto scampo. In quell'istante avrei solo voluto urlare. Urlare con tutta la voce che avevo. Urlare senza pensare a cosa avrebbero potuto pensare gli altri. Urlare e basta. Non potevo. 
"Credimi non è facile. Non è facile vedere te davanti a me. Non ti nascondo che mi sento uno schifo, davvero uno schifo. Sto male. Non sarebbe dovuta andare così. Non avresti dovuto permetterlo." Mentre parlavo, Sherlock era rimasto praticamente in apnea, gli occhi lucidi fissi su di me. "Avrei dato la vita per Mary, John, lo sai bene. Avrei dato la vita per te. Era già pronto alle conseguenze di quel colpo. Ero pronto a cadere a terra e passare i peggiori, o meglio gli ultimi, istanti della mia vita. Sarebbe stato giusto. Tu avevi lei, lei aveva te. Avrei finalmente smesso di mettere in pericolo la tua famiglia." Stava iniziando a singhiozzare. "Sarei morto una volta per tutte." Aveva le mani tra i capelli. "John. Non posso immaginare nemmeno lontanamente come ti puoi sentire in questo momento. Ma fidati di me se ti dico che il senso di colpa mi sta soffocando. Avevo promesso." Ormai singhiozzava e una lacrima gli rigava il volto. "Avevo promesso di proteggervi. Lo avevo giurato sulla mia vita. E non ci sono riuscito. Non hai idea di quanto mi stia odiando. Di che sensazione di disgusto provi nei miei stessi confronti. Perché non sono in una stanza buia con la pelle gelata e un foro di proiettile." Aveva ragione. Forse sarebbe stato giusto.
In quel momento pensai a come sarebbero potute andare le cose se Mary non lo avesse salvato. Realizzai che avrei sofferto molto in ogni caso perché avrei perso parte della mia famiglia. Pensai a come Mary mi avrebbe sostenuto se fosse morto, come aveva praticamente già fatto quando ci aveva fatto credere di esserlo. Ci saremmo fatti forza a vicenda finché il dolore non fosse diventato il più sopportabile possibile. Era quello che avremmo dovuto fare anche io e Sherlock in questo momento.
Senza che me ne rendessi conto, sentii una lacrima scorrermi sulla guancia. Non potevo piangere. Ci sarebbe voluto troppo per smettere. 
Vederlo di fronte a me in quello stato pietoso, con gli occhi gonfi e quel senso di impotenza mi faceva soffrire.
Non potevo più sopportare quell''angoscia. "Ti prego, aiutami", supplicai. Le lacrime correvano veloci sul mio volto. Avevo un nodo alla gola. "Ho bisogno del tuo aiuto."
Avremmo affrontato la situazione insieme
Posai la tazza e mi avvicinai a lui per abbracciarlo. Non si mosse per qualche istante. Poi ricambiò l'abbraccio. Sentii le sue mani stringere la mia camicia e non lasciarla più andare, come fossi un'ancora di salvezza. Mi mancava il calore della sua pelle. Ne aveva bisogno anche lui, aveva bisogno di sentirsi perdonato dopo essere stato così vulnerabile. In quel momento mi sembrò di essere al sicuro, mi sembrava di aver raggiunto uno stato di quiete momentanea, la quiete dopo la tempesta. Ormai non riuscivo più a controllare le lacrime e, sembra un paradosso, ma nemmeno Sherlock ci riusciva. Sentendo cadere le piccole goccioline sulla mia spalla, mi resi conto di quanto fosse umano e di quanto anche lui avesse bisogno di qualcuno.
Non so dire per quanto tempo restammo così, l'uno nelle braccia dell'altro. Ma sentivo che, pian piano, le mie forze stavano tornando.
Ora sapevamo di potercela fare.
Io avevo lui, Rosie e chiunque avesse il buon cuore di starci vicino. Lui aveva tutti noi. 
Per qualsiasi cosa nessuno dei due sarebbe rimasto più solo a combattere con il dolore. 
Qualsiasi problema sarebbe diventato di entrambi.
  
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